il manifesto, 20 luglio 2019 Nell’orbita del Perigeo
Un incontro con Giovanni Tommaso e Claudio Fasoli. La band jazz rock italiana torna insieme dopo 40 anni per un solo concerto, il 23 a Firenze In quel geniale testo sociologico che è Retromania, Simon Reynolds mette in guardia dalla «dittatura della nostalgia» e si chiede se la musica ha smesso di evolversi e perché. Non è certo la preoccupazione dei componenti del Perigeo, che hanno continuato a sperimentare, cercare, creare con grande prolificità. Abbiamo incontrato Giovanni Tommaso e Claudio Fasoli in occasione della preparazione del prossimo concerto di Firenze, martedì 23 in piazza Ss. Annunziata, per farci raccontare la storia del gruppo e questa nuova avventura.
Giovanni Tommaso, oltre a essere l’ideatore dei Perigeo, è contrabbassista, compositore, direttore d’orchestra. Ha collaborato con Sonny Rollins, Dexter Gordon, Gil Evans, Max Roach, Chet Baker, Kenny Clarke, John Lewis, Steve Lacy e molti altri. Ha scritto colonne sonore per cinema e televisione e dirige i seminari di Umbria Jazz Clinics in gemellaggio con il Berklee College of Music. In ambito pop, come produttore e come arrangiatore, ha collaborato con Dalla, Cocciante, Mina, Morandi, Rino Gaetano, Ivan Graziani. «È uno dei musicisti che maggiormente hanno contribuito allo sviluppo del jazz italiano. Ha vissuto i momenti e i luoghi che hanno contrassegnato la parabola ascendente del nostro jazz», sostengono i critici Gaspare Pasini e Maurizio Franco.
Giovanni, partiamo dall’oggi: le notevoli carriere solistiche dei componenti del gruppo confermano – oltre che il tuo fiuto nell’individuazione dei musicisti – la validità della ricerca del Perigeo. Quali sono le caratteristiche del gruppo, le peculiarità che lo contraddistinguono da altre esperienze in ambito jazz rock?
Come gruppo, avevamo intuito tre strade interessanti, che abbiamo cercato di approfondire nel tempo. La prima era un linguaggio jazzistico, improvvisativo, realizzato con un suono «elettrico» di sapore rock, che ci serviva come una sorta di passaporto per parlare con i giovani di allora. La seconda era una ricerca compositiva, rivolta alle origini stilistiche di ognuno di noi. La terza era una sperimentazione di tipo timbrico effettistico, libera, cui davamo vita negli intermezzi fra le varie composizioni. Inoltre, da un punto di vista compositivo c’è sempre stato un interesse per la melodia, con alcune ballad senza un groove ritmico specifico. Questa era un’apertura di una strada nuova, originale. Il gioco di melodie «a cappella» di voce e sax in un pezzo come Respiro a distanza di tanti anni lo trovo molto originale.
Vi dava fastidio essere definiti i Weather Report italiani?
Un po’ sì, anche perché siamo nati nello stesso anno e quando abbiamo iniziato non conoscevamo la loro musica. Però, avendoci suonato fianco a fianco, posso dire che era una band pazzesca. Musicisti stratosferici e un sound dal vivo che era ancora migliore di quello su disco. Massima stima.
Negli anni Settanta il Perigeo ebbe – nonostante le ritrosie di alcuni conservatori – riconoscimenti internazionali di critica, con articoli importanti, e di pubblico, che vi seguiva numerosissimo. Si dice che Zawinul chiese ai manager di non farvi suonare più come spalla dei Weather Report perché in alcuni concerti riscuoteste troppo successo.
Risponde tutto a verità! Te lo posso assicurare perché Zawinul – con cui sono rimasto sempre grande amico – nell’occasione di un tour europeo, in maniera molto confidenziale, chiese direttamente a me di comprendere questa richiesta. Il contratto non lo permetteva, ma prima del concerto all’Olympia di Parigi il loro manager riuscì a trovare un cavillo nel regolamento del teatro e ci fu impedito di suonare. Con i Soft Machine, durante una tournée italiana, il loro manager cercò di ridimensionare la nostra partecipazione, senza riuscirci. Non facevamo il gruppo «di spalla» ma eravamo co-protagonisti, fu un successo incredibile. Alcuni critici scrissero che noi «facemmo del male» al gruppo inglese, che dal confronto usciva bastonato. Insomma, che si creda o meno ai giornali di allora, noi suonavamo veramente con grande forza e originalità.
Il sassofonista e compositore Claudio Fasoli è, come ha scritto Maurizio Franco, «la voce lirica del quintetto, ma oltre all’aspetto solistico, il suo apporto è ancor più prezioso nel completare la tessitura timbrica e poliritmica che caratterizza, ad alto livello, la proposta del gruppo». Dopo la fine del Perigeo ha portato avanti una incessante ricerca musicale, collaborando tra gli altri con Lee Konitz, Mick Goodrick, Manfred Schoof, Kenny Wheeler, Mario Brunello. Così lo definisce il Dizionario del Jazz di Comolli, Clergeat e Carles: “Uno dei più lungimiranti e perspicaci compositori in circolazione, oltre che solista dallo stile personalissimo e riconoscibile». Premiato nel 2018 come Musicista dell’anno, il suo libro Inner Sounds (Agenzia X Edizioni) è giunto alla seconda edizione. I suoi cd più recenti sono Haiku Time e Selfie. Nel 2018 è uscito il film Claudio Fasoli’s Innersounds, del regista Angelo Poli, premiato in vari festival internazionali.
Claudio, quali sono le originalità dei Perigeo?
Premetto che Giovanni, Franco D’Andrea e Bruno Biriaco erano all’epoca, e lo sono tutt’oggi, dei musicisti top a livello internazionale, che costituirono una delle ritmiche più forti al mondo, lo dico senza tema di smentita. Tony Sidney era giovanissimo all’epoca e poco conosciuto, ma portò un contributo importante e gli sviluppi posteriori della sua musica hanno confermato la cognizione rigorosa dello strumento. Sono felice di aver avuto la possibilità di prender parte a quella esaltante esperienza. La genialità compositiva di Giovanni, la sua grande intuizione nel fondere con il jazz non solo l’elettronica e le sonorità rock, ma anche un forte aspetto melodico mediterraneo erano la base su cui tutti innestavamo le nostre sensibilità. Sul piano timbrico l’originalità era data da un impasto sonoro che non era debitore di altri modelli, per esempio la chitarra elettrica abbinata al sassofono contralto e soprano erano veramente unici a quei tempi. E poi c’era questo altalenarsi tra contributi rock e i momenti di jazz assoluto, come quando io e Franco suonavamo Naima di Coltrane, a rivendicare le nostre radici.
Dopo il Perigeo la tua ricerca non tocca più il jazz rock…
Credo che l’essenza del jazz risieda proprio nell’essere disponibili a esperienze espressive in contesti diversi, cioè affrontando il problema «dove e come» gestire un linguaggio in maniera espressiva e possibilmente innovativa secondo opportunità e sollecitazioni differenti. È un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, ibridando tutto ciò che ha trovato lungo la sua storia. È la vitalità che ci permetterà di riproporre in divenire le musiche del Perigeo.
Qual è il senso di una reunion a 40 anni di distanza dallo scioglimento del gruppo? Avete in programma altri concerti o dischi?
Abbiamo avuto molte richieste nel corso degli anni, mai abbastanza serie, se non nell’occasione di Umbria Jazz nel 1993 e di Firenze nel 2008. Anche per il concerto del 23 luglio prossimo, a Firenze, gli organizzatori ci hanno garantito la massima serietà. Le ragioni invece sono queste: i nostri dischi hanno continuato a essere venduti in ogni parte del mondo, i brani su youtube hanno un numero di visualizzazioni altissimo e spesso ci arrivano apprezzamenti che sottolineano l’attualità di quella musica. Abbiamo deciso che saranno delle interpretazioni non filologiche ma vivificate dal percorso artistico che ognuno ha evoluto negli anni. C’è grandissimo entusiasmo e non vediamo l’ora di metterci alla prova. E se alla prova verificheremo che si possono percorrere strade nuove, nulla osta che si verifichi le possibilità di nuovi dischi o altri concerti.
di Marc TibaldiGiovanni Tommaso, oltre a essere l’ideatore dei Perigeo, è contrabbassista, compositore, direttore d’orchestra. Ha collaborato con Sonny Rollins, Dexter Gordon, Gil Evans, Max Roach, Chet Baker, Kenny Clarke, John Lewis, Steve Lacy e molti altri. Ha scritto colonne sonore per cinema e televisione e dirige i seminari di Umbria Jazz Clinics in gemellaggio con il Berklee College of Music. In ambito pop, come produttore e come arrangiatore, ha collaborato con Dalla, Cocciante, Mina, Morandi, Rino Gaetano, Ivan Graziani. «È uno dei musicisti che maggiormente hanno contribuito allo sviluppo del jazz italiano. Ha vissuto i momenti e i luoghi che hanno contrassegnato la parabola ascendente del nostro jazz», sostengono i critici Gaspare Pasini e Maurizio Franco.
Giovanni, partiamo dall’oggi: le notevoli carriere solistiche dei componenti del gruppo confermano – oltre che il tuo fiuto nell’individuazione dei musicisti – la validità della ricerca del Perigeo. Quali sono le caratteristiche del gruppo, le peculiarità che lo contraddistinguono da altre esperienze in ambito jazz rock?
Come gruppo, avevamo intuito tre strade interessanti, che abbiamo cercato di approfondire nel tempo. La prima era un linguaggio jazzistico, improvvisativo, realizzato con un suono «elettrico» di sapore rock, che ci serviva come una sorta di passaporto per parlare con i giovani di allora. La seconda era una ricerca compositiva, rivolta alle origini stilistiche di ognuno di noi. La terza era una sperimentazione di tipo timbrico effettistico, libera, cui davamo vita negli intermezzi fra le varie composizioni. Inoltre, da un punto di vista compositivo c’è sempre stato un interesse per la melodia, con alcune ballad senza un groove ritmico specifico. Questa era un’apertura di una strada nuova, originale. Il gioco di melodie «a cappella» di voce e sax in un pezzo come Respiro a distanza di tanti anni lo trovo molto originale.
Vi dava fastidio essere definiti i Weather Report italiani?
Un po’ sì, anche perché siamo nati nello stesso anno e quando abbiamo iniziato non conoscevamo la loro musica. Però, avendoci suonato fianco a fianco, posso dire che era una band pazzesca. Musicisti stratosferici e un sound dal vivo che era ancora migliore di quello su disco. Massima stima.
Negli anni Settanta il Perigeo ebbe – nonostante le ritrosie di alcuni conservatori – riconoscimenti internazionali di critica, con articoli importanti, e di pubblico, che vi seguiva numerosissimo. Si dice che Zawinul chiese ai manager di non farvi suonare più come spalla dei Weather Report perché in alcuni concerti riscuoteste troppo successo.
Risponde tutto a verità! Te lo posso assicurare perché Zawinul – con cui sono rimasto sempre grande amico – nell’occasione di un tour europeo, in maniera molto confidenziale, chiese direttamente a me di comprendere questa richiesta. Il contratto non lo permetteva, ma prima del concerto all’Olympia di Parigi il loro manager riuscì a trovare un cavillo nel regolamento del teatro e ci fu impedito di suonare. Con i Soft Machine, durante una tournée italiana, il loro manager cercò di ridimensionare la nostra partecipazione, senza riuscirci. Non facevamo il gruppo «di spalla» ma eravamo co-protagonisti, fu un successo incredibile. Alcuni critici scrissero che noi «facemmo del male» al gruppo inglese, che dal confronto usciva bastonato. Insomma, che si creda o meno ai giornali di allora, noi suonavamo veramente con grande forza e originalità.
Il sassofonista e compositore Claudio Fasoli è, come ha scritto Maurizio Franco, «la voce lirica del quintetto, ma oltre all’aspetto solistico, il suo apporto è ancor più prezioso nel completare la tessitura timbrica e poliritmica che caratterizza, ad alto livello, la proposta del gruppo». Dopo la fine del Perigeo ha portato avanti una incessante ricerca musicale, collaborando tra gli altri con Lee Konitz, Mick Goodrick, Manfred Schoof, Kenny Wheeler, Mario Brunello. Così lo definisce il Dizionario del Jazz di Comolli, Clergeat e Carles: “Uno dei più lungimiranti e perspicaci compositori in circolazione, oltre che solista dallo stile personalissimo e riconoscibile». Premiato nel 2018 come Musicista dell’anno, il suo libro Inner Sounds (Agenzia X Edizioni) è giunto alla seconda edizione. I suoi cd più recenti sono Haiku Time e Selfie. Nel 2018 è uscito il film Claudio Fasoli’s Innersounds, del regista Angelo Poli, premiato in vari festival internazionali.
Claudio, quali sono le originalità dei Perigeo?
Premetto che Giovanni, Franco D’Andrea e Bruno Biriaco erano all’epoca, e lo sono tutt’oggi, dei musicisti top a livello internazionale, che costituirono una delle ritmiche più forti al mondo, lo dico senza tema di smentita. Tony Sidney era giovanissimo all’epoca e poco conosciuto, ma portò un contributo importante e gli sviluppi posteriori della sua musica hanno confermato la cognizione rigorosa dello strumento. Sono felice di aver avuto la possibilità di prender parte a quella esaltante esperienza. La genialità compositiva di Giovanni, la sua grande intuizione nel fondere con il jazz non solo l’elettronica e le sonorità rock, ma anche un forte aspetto melodico mediterraneo erano la base su cui tutti innestavamo le nostre sensibilità. Sul piano timbrico l’originalità era data da un impasto sonoro che non era debitore di altri modelli, per esempio la chitarra elettrica abbinata al sassofono contralto e soprano erano veramente unici a quei tempi. E poi c’era questo altalenarsi tra contributi rock e i momenti di jazz assoluto, come quando io e Franco suonavamo Naima di Coltrane, a rivendicare le nostre radici.
Dopo il Perigeo la tua ricerca non tocca più il jazz rock…
Credo che l’essenza del jazz risieda proprio nell’essere disponibili a esperienze espressive in contesti diversi, cioè affrontando il problema «dove e come» gestire un linguaggio in maniera espressiva e possibilmente innovativa secondo opportunità e sollecitazioni differenti. È un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, ibridando tutto ciò che ha trovato lungo la sua storia. È la vitalità che ci permetterà di riproporre in divenire le musiche del Perigeo.
Qual è il senso di una reunion a 40 anni di distanza dallo scioglimento del gruppo? Avete in programma altri concerti o dischi?
Abbiamo avuto molte richieste nel corso degli anni, mai abbastanza serie, se non nell’occasione di Umbria Jazz nel 1993 e di Firenze nel 2008. Anche per il concerto del 23 luglio prossimo, a Firenze, gli organizzatori ci hanno garantito la massima serietà. Le ragioni invece sono queste: i nostri dischi hanno continuato a essere venduti in ogni parte del mondo, i brani su youtube hanno un numero di visualizzazioni altissimo e spesso ci arrivano apprezzamenti che sottolineano l’attualità di quella musica. Abbiamo deciso che saranno delle interpretazioni non filologiche ma vivificate dal percorso artistico che ognuno ha evoluto negli anni. C’è grandissimo entusiasmo e non vediamo l’ora di metterci alla prova. E se alla prova verificheremo che si possono percorrere strade nuove, nulla osta che si verifichi le possibilità di nuovi dischi o altri concerti.
il manifesto, 17 gennaio 2018 Rigore e passione, la creatività inesausta di Claudio Fasoli
Molte tracce portano a Claudio Fasoli: sopranista, tenorista, compositore e didatta. Il referendum 2017 di “Musica Jazz” lo ha proclamato “musicista dell’anno”, precedendo Franco D’Andrea, suo antico compagno fin dal Perigeo dei primi anni ’70. Il riconoscimento celebra un artista di estrema coerenza, impegnato nella ricerca senza compromessi della propria poetica, la cui musica è stata definita da Sandro Cerino “capacità di esprimere una forte fascinazione emotiva, rigorosità e (apparente) semplicità di una forma conchiusa e perfetta, ma sempre passibile di nuove aperture e sviluppi”. Fasoli, peraltro, ci tiene a coniugare la complessità con la comunicatività in un discorso sonoro “che possa dire qualcosa a chi mi ascolta”. Il 78enne sassofonista dichiara suoi ispiratori – oltre a John Coltrane e Wayne Wheeler e Mike Goodrick, con cui ha lungamente inciso e collaborato in una carriera iniziata nel 1966.
Non smette, tuttavia, di andare avanti: il 2017 ha visto l’uscita del cd Haiku Time (abeat) con il Samadhi quintet e le registrazioni, a giugno, a New York con artisti del valore di Matt Mitchell (pianista di Tim Berne e R. Mahantappa), Matt Brewer e Justin Brown per un album di prossima uscita. Haiku Time è un eccellente lavoro ispirato ai poemi giapponesi di 27 suoni: in esso undici brevi composizioni vedono il quintetto (Michael Gassmanm, Michelangelo Decorato, Andrea Lamacchia, Marco Zanonli) scomporsi in tanti organici, dar vita ad un raro interplay, usare anche il silenzio. L’album precedente si chiamava Inner Sounds come l’omonimo libro (sottotitolo “nell’orbita del jazz e della musica libera”), pubblicato da Agenzia X e curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi. In 285 pagine Claudio Fasoli si ritrae e viene raffigurato mediante una lunga intervista, suoi scritti su jazzisti e questioni musicali, interventi estesi (C. Boccadoro, F. Caroni, M. Donà) e brevi “punti di vista” da Ralph Alessi a Stefano Zenni, con foto, discografia e bibliografia. La celebrazione di una creatività inesausta.
di Luigi OnoriNon smette, tuttavia, di andare avanti: il 2017 ha visto l’uscita del cd Haiku Time (abeat) con il Samadhi quintet e le registrazioni, a giugno, a New York con artisti del valore di Matt Mitchell (pianista di Tim Berne e R. Mahantappa), Matt Brewer e Justin Brown per un album di prossima uscita. Haiku Time è un eccellente lavoro ispirato ai poemi giapponesi di 27 suoni: in esso undici brevi composizioni vedono il quintetto (Michael Gassmanm, Michelangelo Decorato, Andrea Lamacchia, Marco Zanonli) scomporsi in tanti organici, dar vita ad un raro interplay, usare anche il silenzio. L’album precedente si chiamava Inner Sounds come l’omonimo libro (sottotitolo “nell’orbita del jazz e della musica libera”), pubblicato da Agenzia X e curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi. In 285 pagine Claudio Fasoli si ritrae e viene raffigurato mediante una lunga intervista, suoi scritti su jazzisti e questioni musicali, interventi estesi (C. Boccadoro, F. Caroni, M. Donà) e brevi “punti di vista” da Ralph Alessi a Stefano Zenni, con foto, discografia e bibliografia. La celebrazione di una creatività inesausta.
L’Espresso, 17 dicembre 2017 Quanta musica in una pausa
Come il silenzio di Venezia… “mai immobile, ma sempre viva”; così si configura la ricerca musicale di Claudio Fasoli. Un sassofonista che si è sempre mosso in punta di piedi, senza sgomitare né urlare, e che solo un mai pago giusto della sperimentazione avrebbe trasformato in una delle più preziose realtà del jazz italiano. Il suo volume Inners sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera, molto ben curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi, è concepito come un vero e proprio Zibaldone di pensieri, che ha consentito a Fasoli di “raccontarsi”, ma soprattutto di “interrogarsi”. In realtà egli interroga anzitutto il tempo, anche solo per venire a capo di una pratica compositiva e improvvisativa affidata alla magia di un “suono”. Per lui, infatti, “la musica non è nel pentagramma, ma nei suoni, e che ogni nota e ogni pausa possono essere suonata in tante maniere diverse”. Non a caso, avrebbe cercato in tutti i modi di individuare un suono finalmente “irrinunciabile” e personalizzante: lo racconta con grande pathos ripercorrendo una ricchissima carriera artistica. E lo fa con una grande lucidità: rimanendo consapevole del fatto che, ad averlo destinato alla pratica jazzistica, è stato il fascino di una musica che risulta riconoscibile proprio in quanto vi è in essa di più imponderabile. Cioè, nella pronuncia, negli anticipi ritmici, ma anche nelle pause, altrettanto significative delle note, e nell’improvvisazione.
di Massimo Donàwww.lisolachenoncera.it, 23 novembre 2017 Inner sounds
Parlare di Claudio Fasoli, del suo sax, ma soprattutto dell’approccio, tecnico, stilistico e “mentale” alla musica ed al processo creativo, significa, per lo meno istintivamente, tornare indietro nel tempo a quell’esperienza unica, inconfondibile e ricchissima che fu, fra il 1972 ed il 1977, il gruppo del Perigeo.
Per il sassofonista veneziano l’incontro con Giovanni Tommaso, Franco D’Andrea, Bruno Biriaco e Tony Sidney fu una sorta di vera e propria palestra in cui iniziare a sperimentare un metodo di avvicinamento alla musica che non lo avrebbe più abbandonato negli anni a venire. Sviluppò proprio allora la capacità di accostare, conoscere, approfondire, comunicare ed interfacciarsi con stili e mentalità musicali differenti, apprendere da esse e, contemporaneamente, trasmettere loro qualcosa di sé.
Inizia così, dopo una breve introduzione sulle prime esperienze giovanili veneziane, la prima parte di questo interessante volume suddiviso in tre sezioni: l’intervista, appunto, intitolata “Tempi di jazz”, in cui Fasoli ripercorre la propria carriera nei vari decenni fino ai giorni nostri, raccontando episodi, aneddoti, ma soprattutto indicando i musicisti, moltissimi (davvero impossibile citarli tutti…), con cui ha collaborato, e descrivendo come, con ognuno di essi, si è relazionato umanamente e musicalmente.
A questa sezione fa seguito un lungo ed approfondito capitolo, “La cognizione della musica”, in cui il musicista all’interno di una serie di scritti, descrive attraverso numerosi esempi, citazioni di artisti, analisi di brani, album e strutture musicali, il proprio modello di avvicinamento non tanto e non solo all’atto del suonare, quanto proprio al concetto di musica come esperienza strettamente connessa con la propria vita.
All’interno di queste pagine si riesce a cogliere, davvero in profondità, quanto la musica non sia, per Fasoli, un semplice “mestiere”, un gesto estetico o soltanto una passione, quanto una vera e propria espressione di sé.
La conferma di ciò si trova all’interno della terza parte del libro, “Su Claudio Fasoli – Punti di vista”, in cui un nutrito numero di musicisti, con i quali Fasoli ha condiviso nel tempo un pezzetto del proprio percorso, racconta in breve, e secondo la sensibilità di ognuno, chi siano l’uomo, ed il musicista, che hanno incontrato e con il quale hanno collaborato.
Sensibilità differenti, stili diversi, metodi eterogenei non impediscono di trovare, in queste brevi narrazioni, un minimo comune denominatore del tutto evidente, ovvero la dedizione, totale ed incondizionata, di Fasoli alla musica, e la capacità di scambio artistico che, negli anni, è riuscito a sviluppare.
Inner sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera non è una semplice biografia, ma una sorta di compendio, scritto da un musicista, che si rivolge ad un pubblico non necessariamente di addetti ai lavori: chiunque suoni uno strumento, a prescindere dai generi, potrà trovare stimoli, provocazioni, “dritte” sul come approcciare il concetto di musica e come viverlo con intensità.
Chi invece si considera anche solo un ascoltatore, potrà comprendere in profondità quali siano i percorsi che conducono un artista ad effettuare determinate scelte, orientandosi in un certo modo piuttosto che in un altro.
Il lettore, in generale, artista, ascoltatore o semplice curioso che sia, avrà ben chiaro il perché un musicista, giunto a determinati passaggi della propria carriera, senta in maniera urgente la necessità di cambiare direzione, di spostare il proprio sguardo, di mutare orizzonte.
Fasoli, sin dall’inizio della propria esperienza, ha vissuto intensamente questo procedimento di avvicinamento alla musica: già negli anni con il Perigeo aveva contribuito a “scandalizzare” la critica più ortodossa dell’epoca, come testimonia questa stroncatura di Arrigo Polillo, pubblicata su Musica Jazz, nel 1973: “… come la monaca di Monza, dopo che ebbe risposto ìi al Conte Osio, i componenti del Perigeo sono scesi di gradino in gradino toccando il fondo, me lo auguro proprio, quella sera ad Alassio. La verità è che gli amici del Perigeo… hanno scoperto che il jazz rende poco mentre il rock rende molto, e cosi dal jazz appena poppeggiante del primo disco Azimut, sono arrivati al rock più fracassone e truccato in cui sono naufragati quasi tutti… è stata per me, e per tutti coloro che mi stavano intorno, una grossa delusione, quella dataci dal Perigeo, ai cui componenti vorrei amichevolmente consigliare di non presentarsi più, con una musica del genere, a un festival jazz in cui gli spettatori competenti prevalgono sugli ingenui…”.
Il tempo, come spesso succede, si dimostra invece galantuomo e, laddove le critiche massimaliste e, per certi versi, miopi e caratterizzate da un certo snobismo (peraltro abbastanza tipiche, soprattutto negli anni ’70 ed ’80, a prescindere dai generi musicali ai quali venivano rivolte), vengono relegate negli anfratti della memoria, il valore di molte sperimentazioni viene, non solo riconosciuto, ma diventa una sorta di standard al quale in molti, negli anni successivi, faranno riferimento.
Sperimentare, anche in ambito musicale, significa, concettualmente, azzardare, saggiare strade differenti, interrompere percorsi considerati “sicuri” per avventurarsi lungo cammini più incerti e con minori punti di riferimento, misurarsi con artisti che hanno stili e metodologie differenti dalle proprie, creare sinergie, scambi musicali, e perseguire un obbiettivo comune aggiungendo, ognuno, il contributo della propria esperienza: la carriera di Claudio Fasoli, e questo volume lo descrive in maniera del tutto esaustiva, è caratterizzata esattamente da questo tipo di approccio per cui le esperienze musicali del sassofonista appaiono eterogenee ma tutte improntate ad un continuo arricchimento, musicale ed umano, reciproco.
Un continuo dare ed avere, ricco di momenti felicissimi, anche di qualche inevitabile e fisiologica battuta d’arresto, ma con l’obbiettivo chiaro e preciso di andare oltre, di superare l’attualità disegnando scenari musicali futuri o futuribili; se si considerano le varie epoche musicali è proprio grazie a musicisti con questo imprinting se la musica non è mai stata uguale a sé stessa, ma si è evoluta nei secoli: per fare ciò, diversi musicisti si sono accollati dei rischi, hanno sfidato le critiche, hanno talvolta rinunciato ad un successo quasi annunciato per scivolare in nicchie non sempre immediatamente riconosciute.
Eppure è soprattutto grazie a loro che, ancora oggi, la musica si dimostra quanto mai vitale, e fa piacere constatare che, a molti fra coloro che l’hanno resa tale, venga reso il dovuto merito per non essersi mai tirati indietro.
di Andrea RomeoPer il sassofonista veneziano l’incontro con Giovanni Tommaso, Franco D’Andrea, Bruno Biriaco e Tony Sidney fu una sorta di vera e propria palestra in cui iniziare a sperimentare un metodo di avvicinamento alla musica che non lo avrebbe più abbandonato negli anni a venire. Sviluppò proprio allora la capacità di accostare, conoscere, approfondire, comunicare ed interfacciarsi con stili e mentalità musicali differenti, apprendere da esse e, contemporaneamente, trasmettere loro qualcosa di sé.
Inizia così, dopo una breve introduzione sulle prime esperienze giovanili veneziane, la prima parte di questo interessante volume suddiviso in tre sezioni: l’intervista, appunto, intitolata “Tempi di jazz”, in cui Fasoli ripercorre la propria carriera nei vari decenni fino ai giorni nostri, raccontando episodi, aneddoti, ma soprattutto indicando i musicisti, moltissimi (davvero impossibile citarli tutti…), con cui ha collaborato, e descrivendo come, con ognuno di essi, si è relazionato umanamente e musicalmente.
A questa sezione fa seguito un lungo ed approfondito capitolo, “La cognizione della musica”, in cui il musicista all’interno di una serie di scritti, descrive attraverso numerosi esempi, citazioni di artisti, analisi di brani, album e strutture musicali, il proprio modello di avvicinamento non tanto e non solo all’atto del suonare, quanto proprio al concetto di musica come esperienza strettamente connessa con la propria vita.
All’interno di queste pagine si riesce a cogliere, davvero in profondità, quanto la musica non sia, per Fasoli, un semplice “mestiere”, un gesto estetico o soltanto una passione, quanto una vera e propria espressione di sé.
La conferma di ciò si trova all’interno della terza parte del libro, “Su Claudio Fasoli – Punti di vista”, in cui un nutrito numero di musicisti, con i quali Fasoli ha condiviso nel tempo un pezzetto del proprio percorso, racconta in breve, e secondo la sensibilità di ognuno, chi siano l’uomo, ed il musicista, che hanno incontrato e con il quale hanno collaborato.
Sensibilità differenti, stili diversi, metodi eterogenei non impediscono di trovare, in queste brevi narrazioni, un minimo comune denominatore del tutto evidente, ovvero la dedizione, totale ed incondizionata, di Fasoli alla musica, e la capacità di scambio artistico che, negli anni, è riuscito a sviluppare.
Inner sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera non è una semplice biografia, ma una sorta di compendio, scritto da un musicista, che si rivolge ad un pubblico non necessariamente di addetti ai lavori: chiunque suoni uno strumento, a prescindere dai generi, potrà trovare stimoli, provocazioni, “dritte” sul come approcciare il concetto di musica e come viverlo con intensità.
Chi invece si considera anche solo un ascoltatore, potrà comprendere in profondità quali siano i percorsi che conducono un artista ad effettuare determinate scelte, orientandosi in un certo modo piuttosto che in un altro.
Il lettore, in generale, artista, ascoltatore o semplice curioso che sia, avrà ben chiaro il perché un musicista, giunto a determinati passaggi della propria carriera, senta in maniera urgente la necessità di cambiare direzione, di spostare il proprio sguardo, di mutare orizzonte.
Fasoli, sin dall’inizio della propria esperienza, ha vissuto intensamente questo procedimento di avvicinamento alla musica: già negli anni con il Perigeo aveva contribuito a “scandalizzare” la critica più ortodossa dell’epoca, come testimonia questa stroncatura di Arrigo Polillo, pubblicata su Musica Jazz, nel 1973: “… come la monaca di Monza, dopo che ebbe risposto ìi al Conte Osio, i componenti del Perigeo sono scesi di gradino in gradino toccando il fondo, me lo auguro proprio, quella sera ad Alassio. La verità è che gli amici del Perigeo… hanno scoperto che il jazz rende poco mentre il rock rende molto, e cosi dal jazz appena poppeggiante del primo disco Azimut, sono arrivati al rock più fracassone e truccato in cui sono naufragati quasi tutti… è stata per me, e per tutti coloro che mi stavano intorno, una grossa delusione, quella dataci dal Perigeo, ai cui componenti vorrei amichevolmente consigliare di non presentarsi più, con una musica del genere, a un festival jazz in cui gli spettatori competenti prevalgono sugli ingenui…”.
Il tempo, come spesso succede, si dimostra invece galantuomo e, laddove le critiche massimaliste e, per certi versi, miopi e caratterizzate da un certo snobismo (peraltro abbastanza tipiche, soprattutto negli anni ’70 ed ’80, a prescindere dai generi musicali ai quali venivano rivolte), vengono relegate negli anfratti della memoria, il valore di molte sperimentazioni viene, non solo riconosciuto, ma diventa una sorta di standard al quale in molti, negli anni successivi, faranno riferimento.
Sperimentare, anche in ambito musicale, significa, concettualmente, azzardare, saggiare strade differenti, interrompere percorsi considerati “sicuri” per avventurarsi lungo cammini più incerti e con minori punti di riferimento, misurarsi con artisti che hanno stili e metodologie differenti dalle proprie, creare sinergie, scambi musicali, e perseguire un obbiettivo comune aggiungendo, ognuno, il contributo della propria esperienza: la carriera di Claudio Fasoli, e questo volume lo descrive in maniera del tutto esaustiva, è caratterizzata esattamente da questo tipo di approccio per cui le esperienze musicali del sassofonista appaiono eterogenee ma tutte improntate ad un continuo arricchimento, musicale ed umano, reciproco.
Un continuo dare ed avere, ricco di momenti felicissimi, anche di qualche inevitabile e fisiologica battuta d’arresto, ma con l’obbiettivo chiaro e preciso di andare oltre, di superare l’attualità disegnando scenari musicali futuri o futuribili; se si considerano le varie epoche musicali è proprio grazie a musicisti con questo imprinting se la musica non è mai stata uguale a sé stessa, ma si è evoluta nei secoli: per fare ciò, diversi musicisti si sono accollati dei rischi, hanno sfidato le critiche, hanno talvolta rinunciato ad un successo quasi annunciato per scivolare in nicchie non sempre immediatamente riconosciute.
Eppure è soprattutto grazie a loro che, ancora oggi, la musica si dimostra quanto mai vitale, e fa piacere constatare che, a molti fra coloro che l’hanno resa tale, venga reso il dovuto merito per non essersi mai tirati indietro.
www.giornaledellamusica.it, 8 novembre 2017 Claudio Fasoli: il suono come pensiero musicale
Inner Sounds: un libro e un disco per fare il punto sulla carriera del sassofonista veneziano Per molti artisti c’è un momento, una fase della vita professionale, creativa e progettuale, dove si guarda indietro, non con un inutile sguardo nostalgico, ma con quello vitale, curioso della verifica, rielaborazione di ciò che si è costruito negli anni per approfondire scelte, errori, motivazioni, passioni e proiettarle nel futuro. Perché un artista vero non ha traguardi, cammina sempre, cerca sempre. Proprio la metabolizzazione del passato con i successi, le delusioni, i sogni non realizzati, illuminata dall’esperienza, può risultare terreno utile a definire meglio la strada ancora da percorrere.
Claudio Fasoli, sassofonista, compositore, arrangiatore, band leader, direttore artistico, docente, ha attraversato un bel pezzo di storia del jazz italiano con una coerenza inattaccabile sempre condita da una curiosità a disposizione di un’idea musicale mai statica ma ciclicamente messa in discussione. Il musicista veneziano affida il proprio momento di riflessione ad un cd per Abeat e un libro per Agenzia X – curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi – dallo stesso significativo titolo, Inner Sounds. Dopo i contributi in apertura di Carlo Boccadoro («I suoi silenzi eloquenti quanto le sue note»), Franco Caroni («Un vero maestro di vita, di comportamento filosofico e artistico che poi ho sempre ricercato negli altri musicisti») e Massimo Donà («Maestro di rigore, eleganza, libertà di movimento, ricerca incessante e sguardo aperto a 360 gradi») la struttura del libro, oltre alla discografia completa e a una ricca raccolta fotografica, si dipana in una lunga intervista al musicista. La parte centrale si sofferma invece sugli scritti dello stesso, La cognizione della musica, per chiudersi con Su Claudio Fasoli - Punti di vista, che raccoglie testimonianze di colleghi, giornalisti, operatori culturali, tecnici, produttori...
"Ex sassofonista del Perigeo": questa etichetta Fasoli se la porta dietro da quarant’anni. Se è vero che la sua notorietà è molto legata a quella esperienza, che va dal ’71 al ’77, è anche vero che risulterebbe estremamente riduttivo usarla come unica lente di lettura della sua lunga esperienza professionale e artistica. Il Perigeo, con le fascinazioni che partivano dal Davis elettrico e dai Weather Report, è un passaggio importante sul piano professionale, strumentale, della ricerca sonora, anche per la frequentazione a livello internazionale di un pubblico giovanile, di spazi alternativi che come jazzista non avrebbe probabilmente più incontrato.
Il dopo Perigeo e gli anni Ottanta sono colmi di strade che si aprono, collaborazioni, le prime formazioni a proprio nome, concerti, registrazioni, per prima cosa il cambio di strumento, Fasoli passa dall’alto al tenore, mantenendo il soprano. I maestri emergono subito chiari, nel nome del suono: su tutti Lee Konitz e Wayne Shorter, ma anche Kenny Wheeler, Dave Liebman, John Surman, Tomasz Stanko. Il sassofonista veneziano si smarca subito da un’idea di jazz canonico e autocelebrativo, ma si allontana anche dai rischi di un’improvvisazione radicale dove spesso la mancanza di armonia, la reiterazione di stessi ambienti espressivi può approdare ad una certa prevedibilità. Quindi accanto al suono, la voce dello strumento che Fasoli considera come il colore per il pittore, e all’architettura dell’aspetto compositivo, l’identità dell’improvvisatore risulta elemento imprescindibile.
Gli anni Novanta si caratterizzano per una estrema sperimentazione non solo sul piano della variabilità numerica e strumentale delle formazioni, dal trio all’orchestra, ma anche su quello del linguaggio. Fasoli lo definisce la fine di un periodo e l’inizio di un altro meno asimmetrico, ma esprime anche concetti estetico-filosofici come, sottrazione, decostruzione, e usa anche l’elettronica come moltiplicatore delle voci del sassofono. Insomma una ricerca che continua tutt’oggi, dove incontra, coinvolge, viene coinvolto da musicisti di provenienze musicali, generazionali, culturali e geografiche diverse, segno che tutti in Fasoli trovano una certezza sul piano creativo e professionale. Scorrere la discografia, pur nella sua arida formalità, è utile perché sintetizza, ci dà un segnale forte della sua straordinaria capacità di progettare, stare dentro progetti altrui in una visione musicale a 360°. Come colpisce anche la profondità con la quale affronta da musicologo-recensore, in una scrittura elegante e sobria, i linguaggi, gli aspetti tecnici ma anche poetici dei suoi maestri, per primo Coltrane.
Il cd Inner Sounds risulta come un prolungamento naturale del libro. Un’istantanea di Fasoli oggi, con un ottetto – Michael Gassmann alla tromba, Michele Calgaro alla chitarra elettrica, Michelangelo Decorato al piano, Andrea Lamacchia al contrabbasso, Lorenzo Calgaro al contrabbasso, Gianni Bertoncini alla batteria e all'elettronica, e Marco Zanoli alla batteria – che esplora con estrema coerenza composizioni concepite come spazi, quadri da riempire con colori-suoni. Un susseguirsi di panorami soffusi, eleganti e sospesi, melodie e silenzi ma anche qualche squarcio inquieto e spigoloso. Fasoli ci regala questo prezioso messaggio musicale per ricordarci ancora che la bellezza non sta nel bel suono, come freddo calcolo tecnico espressivo, quanto nel suo contenuto, nel pensiero dei musicisti.
di Paolo CarradoriClaudio Fasoli, sassofonista, compositore, arrangiatore, band leader, direttore artistico, docente, ha attraversato un bel pezzo di storia del jazz italiano con una coerenza inattaccabile sempre condita da una curiosità a disposizione di un’idea musicale mai statica ma ciclicamente messa in discussione. Il musicista veneziano affida il proprio momento di riflessione ad un cd per Abeat e un libro per Agenzia X – curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi – dallo stesso significativo titolo, Inner Sounds. Dopo i contributi in apertura di Carlo Boccadoro («I suoi silenzi eloquenti quanto le sue note»), Franco Caroni («Un vero maestro di vita, di comportamento filosofico e artistico che poi ho sempre ricercato negli altri musicisti») e Massimo Donà («Maestro di rigore, eleganza, libertà di movimento, ricerca incessante e sguardo aperto a 360 gradi») la struttura del libro, oltre alla discografia completa e a una ricca raccolta fotografica, si dipana in una lunga intervista al musicista. La parte centrale si sofferma invece sugli scritti dello stesso, La cognizione della musica, per chiudersi con Su Claudio Fasoli - Punti di vista, che raccoglie testimonianze di colleghi, giornalisti, operatori culturali, tecnici, produttori...
"Ex sassofonista del Perigeo": questa etichetta Fasoli se la porta dietro da quarant’anni. Se è vero che la sua notorietà è molto legata a quella esperienza, che va dal ’71 al ’77, è anche vero che risulterebbe estremamente riduttivo usarla come unica lente di lettura della sua lunga esperienza professionale e artistica. Il Perigeo, con le fascinazioni che partivano dal Davis elettrico e dai Weather Report, è un passaggio importante sul piano professionale, strumentale, della ricerca sonora, anche per la frequentazione a livello internazionale di un pubblico giovanile, di spazi alternativi che come jazzista non avrebbe probabilmente più incontrato.
Il dopo Perigeo e gli anni Ottanta sono colmi di strade che si aprono, collaborazioni, le prime formazioni a proprio nome, concerti, registrazioni, per prima cosa il cambio di strumento, Fasoli passa dall’alto al tenore, mantenendo il soprano. I maestri emergono subito chiari, nel nome del suono: su tutti Lee Konitz e Wayne Shorter, ma anche Kenny Wheeler, Dave Liebman, John Surman, Tomasz Stanko. Il sassofonista veneziano si smarca subito da un’idea di jazz canonico e autocelebrativo, ma si allontana anche dai rischi di un’improvvisazione radicale dove spesso la mancanza di armonia, la reiterazione di stessi ambienti espressivi può approdare ad una certa prevedibilità. Quindi accanto al suono, la voce dello strumento che Fasoli considera come il colore per il pittore, e all’architettura dell’aspetto compositivo, l’identità dell’improvvisatore risulta elemento imprescindibile.
Gli anni Novanta si caratterizzano per una estrema sperimentazione non solo sul piano della variabilità numerica e strumentale delle formazioni, dal trio all’orchestra, ma anche su quello del linguaggio. Fasoli lo definisce la fine di un periodo e l’inizio di un altro meno asimmetrico, ma esprime anche concetti estetico-filosofici come, sottrazione, decostruzione, e usa anche l’elettronica come moltiplicatore delle voci del sassofono. Insomma una ricerca che continua tutt’oggi, dove incontra, coinvolge, viene coinvolto da musicisti di provenienze musicali, generazionali, culturali e geografiche diverse, segno che tutti in Fasoli trovano una certezza sul piano creativo e professionale. Scorrere la discografia, pur nella sua arida formalità, è utile perché sintetizza, ci dà un segnale forte della sua straordinaria capacità di progettare, stare dentro progetti altrui in una visione musicale a 360°. Come colpisce anche la profondità con la quale affronta da musicologo-recensore, in una scrittura elegante e sobria, i linguaggi, gli aspetti tecnici ma anche poetici dei suoi maestri, per primo Coltrane.
Il cd Inner Sounds risulta come un prolungamento naturale del libro. Un’istantanea di Fasoli oggi, con un ottetto – Michael Gassmann alla tromba, Michele Calgaro alla chitarra elettrica, Michelangelo Decorato al piano, Andrea Lamacchia al contrabbasso, Lorenzo Calgaro al contrabbasso, Gianni Bertoncini alla batteria e all'elettronica, e Marco Zanoli alla batteria – che esplora con estrema coerenza composizioni concepite come spazi, quadri da riempire con colori-suoni. Un susseguirsi di panorami soffusi, eleganti e sospesi, melodie e silenzi ma anche qualche squarcio inquieto e spigoloso. Fasoli ci regala questo prezioso messaggio musicale per ricordarci ancora che la bellezza non sta nel bel suono, come freddo calcolo tecnico espressivo, quanto nel suo contenuto, nel pensiero dei musicisti.
MuMag, marzo 2007, Inner sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera
“Il jazz è un linguaggio completamente diverso non solo dalla musica classica, cui si avvicina come musica classica, ma da qualsiasi altro linguaggio musicale. E sottolineo ‘linguaggio’ perché a questo ci si dedica quando si studia jazz. E non si studia solo dai libri, ma al 50% con l’ascolto, proprio perché è un linguaggio di cui si devono capire e cogliere inflessioni, accenti, suoni, intonazione e pronuncia, oltre che un vocabolario come qualsiasi altro linguaggio verbale.” Questa affermazione coglie l’essenza del libro di Claudio Fasoli Inner sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera a cura di Francesco Martinelli e Marc Tibaldi, pubblicato alla fine del 2016. Essa, molto significativa, come tante altre che si possono individuare nello scorrere della lettura, è sicuramente un invito alla riflessione, all’arricchimento e alla discussione rivolto a coloro che amano, si avvicinano o vogliono conoscere il jazz.
Si tratta di un lavoro molto interessante, corposo e di grande spessore culturale che, sebbene affronti un argomento oceanico come il jazz nella sua poliedricità con sfaccettature filosofiche, storiche, sociali, didattiche e linguistiche, si legge di un fiato e ti fa sentire l’odore della musica libera, ti fa apprezzare i silenzi, ti fa avvertire ritmi, ti accompagna per mano in una dimensione di note che uscendo dal pentagramma si trasformano in suoni che spaziano tra armonie, tonalità, sfumature, improvvisazioni, vibrati e fraseggi nel rispetto degli stili e dei registri linguistici delle svariate interpretazioni. L’autore, infatti, attraverso argomentazioni pregnanti di vissuti, esperienze, aneddoti, analisi e studio approfondito, descrizione di tecniche musicali e ben espresse in un linguaggio forbito, elegante, arricchente e nello stesso tempo fluido e scorrevole, conduce il lettore in un viaggio musicale variegato e intrigante, quel viaggio che ha intrapreso fin da ragazzo con coraggio e affrontando il rischio, “il pepe del jazz”, che corre quando si esplorano nuove strade.
Il libro del talentuoso e lungimirante sassofonista veneziano, che negli annii ’70 ha fatto parte dei Perigeo, la mitica band rock-jazz che diede una svolta alla musica, elevandola a livelli molto alti grazie all’unione coraggiosa di linguaggio diversi, è introdotto da Carlo Boccadori, Franco Caroni e Massimo Donà che presentano il musicista in modo interessante e accattivante che ben dispone al prosieguo della lettura. Esso è articolato in varie sezioni: la prima costituita da una lunga e ben costruita intervista, la seconda, La cognizione della musica è una raccolta di articoli, recensioni, testi editi o inediti in cui l’autore affronta svariate tematiche, ed una terza intitolata Punti di vista in cui più di cinquanta noti esperti del pianeta jazz, musicisti, giornalisti, scrittori, fotografi ed intellettuali, lo descrivono.
Attraverso queste parti Fasoli si “racconta” ed emergono ricordi, riflessioni, incontri, aneddoti, esperienze e insegnamenti, ripercorrendo tutta la sua vita a partire da Venezia, la città natale dal “silenzio che non è mai immobile ma sempre vivo” a cui successivamente dedicherà il disco Venice inside e Reflection. Man mano che scorrono le pagine ecco apparire il primo incontro con Miles Davis, la figura di riferimento Lee Konitz, le scelte del sax alto, soprano e tenore, le jam in unno scantinato di Bologna con personaggi del calibro di Mingus, Dolphy, Clifford ordan, Monk, Horace Silver, Art Blakey, la scelta di suonare indossando un copricapo, gli anni ’70 con i Perigeo, l’esperienza di compositore, i contatti con l’Rca, le diverse formazioni negli anni ’80, ’90 in duo, trii, quartetti e orchestra, i contatti con Shorter, i seminari a Siena e in altre città italiane o estere, il crescente perfezionamento della sua formazione, i festival internazionali a fianco di Giorgio Gaslini, le direzioni artistiche, il rapporto con il pianoforte e le sue potenzialità espressive, l’amore per la fotogrfia, i progetti futuri e tant’altro. Interessanti sono i focus, inframezzati nell’intervista, su Dexter Gordon, Dizzie Gillespie ed Elvin Jones, Kenny Wheeler, Evan Parker, Walter Prati, sulle notti finlandesi ed altri, così come i testi dedicati a Coltrane, a Bach e le osservazioni sull’improvvisazione e sull’imprevedibilità. Il testo ricco di riflessioni-insegnamento da cui potrebbero essere estrapolate citazioni esemplari. Eccone alcuni esempi: “Per me il jazz fu la musica alternativa per la proposta libertaria e personalizzabile”, “Suono, identità dell’improvvisatore e composizione: nella convergenza di questi tre assi si può ricercare l’essenza del jazz”, “Il jazz è quindi musica sconosciuta ai più, anche se tutti sanno che c’è. La sua natura flessibile, ma peculiare, lo rende a volte irriconoscibile o esoterico o complesso… Vale comunque la pena di conoscerlo”.
Il libro è arricchito da splendide fotografie in bianco e nero che rappresentano alcuni momenti della sua carriera musicale, da alcuni suoi spartiti, dalle immagini delle copertine dei dischi e dalla completa e dettagliata discografia.
Da segnalare anche una bella poesia che gli ha dedicato Enrico Intra e riportata tra i Punti di vista che, attraverso i versi, sintetizza la sua grandezza di uomo e musicista.
di Daniela VellaniSi tratta di un lavoro molto interessante, corposo e di grande spessore culturale che, sebbene affronti un argomento oceanico come il jazz nella sua poliedricità con sfaccettature filosofiche, storiche, sociali, didattiche e linguistiche, si legge di un fiato e ti fa sentire l’odore della musica libera, ti fa apprezzare i silenzi, ti fa avvertire ritmi, ti accompagna per mano in una dimensione di note che uscendo dal pentagramma si trasformano in suoni che spaziano tra armonie, tonalità, sfumature, improvvisazioni, vibrati e fraseggi nel rispetto degli stili e dei registri linguistici delle svariate interpretazioni. L’autore, infatti, attraverso argomentazioni pregnanti di vissuti, esperienze, aneddoti, analisi e studio approfondito, descrizione di tecniche musicali e ben espresse in un linguaggio forbito, elegante, arricchente e nello stesso tempo fluido e scorrevole, conduce il lettore in un viaggio musicale variegato e intrigante, quel viaggio che ha intrapreso fin da ragazzo con coraggio e affrontando il rischio, “il pepe del jazz”, che corre quando si esplorano nuove strade.
Il libro del talentuoso e lungimirante sassofonista veneziano, che negli annii ’70 ha fatto parte dei Perigeo, la mitica band rock-jazz che diede una svolta alla musica, elevandola a livelli molto alti grazie all’unione coraggiosa di linguaggio diversi, è introdotto da Carlo Boccadori, Franco Caroni e Massimo Donà che presentano il musicista in modo interessante e accattivante che ben dispone al prosieguo della lettura. Esso è articolato in varie sezioni: la prima costituita da una lunga e ben costruita intervista, la seconda, La cognizione della musica è una raccolta di articoli, recensioni, testi editi o inediti in cui l’autore affronta svariate tematiche, ed una terza intitolata Punti di vista in cui più di cinquanta noti esperti del pianeta jazz, musicisti, giornalisti, scrittori, fotografi ed intellettuali, lo descrivono.
Attraverso queste parti Fasoli si “racconta” ed emergono ricordi, riflessioni, incontri, aneddoti, esperienze e insegnamenti, ripercorrendo tutta la sua vita a partire da Venezia, la città natale dal “silenzio che non è mai immobile ma sempre vivo” a cui successivamente dedicherà il disco Venice inside e Reflection. Man mano che scorrono le pagine ecco apparire il primo incontro con Miles Davis, la figura di riferimento Lee Konitz, le scelte del sax alto, soprano e tenore, le jam in unno scantinato di Bologna con personaggi del calibro di Mingus, Dolphy, Clifford ordan, Monk, Horace Silver, Art Blakey, la scelta di suonare indossando un copricapo, gli anni ’70 con i Perigeo, l’esperienza di compositore, i contatti con l’Rca, le diverse formazioni negli anni ’80, ’90 in duo, trii, quartetti e orchestra, i contatti con Shorter, i seminari a Siena e in altre città italiane o estere, il crescente perfezionamento della sua formazione, i festival internazionali a fianco di Giorgio Gaslini, le direzioni artistiche, il rapporto con il pianoforte e le sue potenzialità espressive, l’amore per la fotogrfia, i progetti futuri e tant’altro. Interessanti sono i focus, inframezzati nell’intervista, su Dexter Gordon, Dizzie Gillespie ed Elvin Jones, Kenny Wheeler, Evan Parker, Walter Prati, sulle notti finlandesi ed altri, così come i testi dedicati a Coltrane, a Bach e le osservazioni sull’improvvisazione e sull’imprevedibilità. Il testo ricco di riflessioni-insegnamento da cui potrebbero essere estrapolate citazioni esemplari. Eccone alcuni esempi: “Per me il jazz fu la musica alternativa per la proposta libertaria e personalizzabile”, “Suono, identità dell’improvvisatore e composizione: nella convergenza di questi tre assi si può ricercare l’essenza del jazz”, “Il jazz è quindi musica sconosciuta ai più, anche se tutti sanno che c’è. La sua natura flessibile, ma peculiare, lo rende a volte irriconoscibile o esoterico o complesso… Vale comunque la pena di conoscerlo”.
Il libro è arricchito da splendide fotografie in bianco e nero che rappresentano alcuni momenti della sua carriera musicale, da alcuni suoi spartiti, dalle immagini delle copertine dei dischi e dalla completa e dettagliata discografia.
Da segnalare anche una bella poesia che gli ha dedicato Enrico Intra e riportata tra i Punti di vista che, attraverso i versi, sintetizza la sua grandezza di uomo e musicista.
progressivamenteblog.blogspot.it, 26 febbraio 2017 Claudio Fasoli. Inner Sounds
Doppia esaltante uscita per Claudio Fasoli, solista dallo stile molto personale che gli appassionati di progressive ricordano soprattutto per la sua militanza negli straordinari Perigeo. Doppia perché il sassofonista firma con Inner sounds un esaltante libro, sintesi della sua splendida carriera e, non contento, in contemporanea pubblica un nuovo e interessante album con un double quartet di tutto rispetto. Per Fasoli il jazz è sempre stato un punto di partenza, un’attitudine vitale lontana da vacui esercizi accademici che nel corso di una vita lo ha portato a sperimentare linguaggi anche molto differenti tra loro. Il volume racconta proprio di questa sua ricerca della libertà creativa, della voglia di contaminare l’arte e del suo percorso di rinnovamento, dove la curiosità diviene parte integrante del processo creativo. Fasoli approfondisce le tante collaborazioni (tra cui Lee Konitz, Kenny Wheeler, Mario Brunello e Giorgio Gaslini), viene a sua volta raccontato da splendide testimonianze di vita e il tutto assume la veste di un compendio minuzioso in cui si parte dai tipici anni di formazione per passare alla nascita del Perigeo e al periodo jazz rock, ricordando le storiche jam al Capolinea di Milano e le contestazioni dei festival giovanili dell’epoca, anni in cui sperimentare non era un atto marginale. Il libro racconta di un’epoca ma non si sofferma su essa con occhio nostalgico, perché lo sguardo di Claudio è sempre stato proiettato in avanti (d’altronde il veneto è uno stimato docente dei Seminari Internazionali di Jazz a Siena e insegna alla Civica scuola di jazz di Milano). Le note introduttive di Carlo Boccadoro, Franco Caroni e Massimo Donà sono tanto brevi quanto incisive, mentre l’intervista a Claudio, che ripercorre la sua avventura (gli anni ’60, il Perigeo, la ricerca incessante, l’essenza del jazz) è forse il momento più coinvolgente dell’intera opera. Anche gli scritti di Fasoli rappresentano un lungo frangente del libro, brevi saggi su John Coltrane, Sonny Rollins, Wayne Shorter, Lee Konitz, le realtà odierne (giusto per citarne qualcuno), mentre il finale è completato da alcuni punti di vista di altri artisti sul sassofonista, una ricca galleria fotografica e la discografia completa di Claudio (vera chicca per gli appassionati).
“Ho pensato di arrivare a dare a quasi ogni musicista la possibilità di esprimersi in un territorio sonoro scelto solo per lui: questo ha portato ad una moltiplicazione delle situazioni musicali e a brani politematici con la studiata volontà di accostare atmosfere le più lontane fra loro.” Queste le parole di Claudio per descrivere Inner sounds, platter in cui si sono uniti il Quartetto Four e il Quartetto Samadhi per creare un percorso suggestivo e che vive delle intuizioni non solo del leader ma anche dei tanti strumentisti coinvolti (oltre a Fasoli impegnato al sax tenore e soprano troviamo Michael Gassmann alla tromba, Michele Calgaro alla chitarra, Lorenzo Calgaro al contrabbasso, Gianni Bertoncini alla batteria, Michelangelo Decorato al piano, Andrea Lamacchia al contrabbasso e Marco Zanoli alla batteria). Il groove ritmico è essenziale ma dinamico e sposa strutture fantasiose e oblique, che permettono all’album di essere un altro egregio capitolo nella lunga carriera del sassofonista. Chi ci legge vorrà sapere se è rimasto qualcosa del Perigeo. Stilisticamente Fasoli si è allontanato da quei suoni da molti anni ma lo spirito è ancora quello, ossia utilizzare il jazz per andare a scoprire o immaginare altro, essere consapevole di una certa grammatica musicale tentando di innervarla di nuove pulsioni. “Sebbene fortemente ispirata da Horae Canonicae di Wystan Hugh Auden e in relazione con il testo del poeta inglese, la musica del disconon rivela nessun legame con i ritmi del procedere poetico, non è descrittiva … si potrebbe parlare di un commento musicale intimo e riflessivo … non cerco necessariamente la coerenza e so di rischiare abbastanza.” Queste piccole frasi del libro danno l’idea di come il veneto non sia uno di quei musicisti ancorato a delle certezze sempre uguali e di come sviluppi un jazz dai tratti noir che oscilla tra soluzioni criptiche ed altre maggiormente comunicative, articolando le composizioni in modo decisamente strutturato. Ovvio che in un tale crogiuolo di soluzioni tutto diviene molto carico di impulsi e il lavoro di squadra diviene fondamentale per la riuscita di un discorso coerente ed organico, a maggior ragione quando si lasciano aperte più porte per sperimentare e creare. Fasoli d’altronde ha sempre puntato sul suo estro, pur essendo rigoroso e puntiglioso nel creare partiture complesse che hanno bisogno di interpreti adeguati, non solo per essere eseguite ma anche comprese e capite. Se siete amanti del jazz e del percorso del sassofonista l’accoppiata libro più cd è un regalo al quale non vi potete assolutamente sottrarre.
di Luigi Cattaneo“Ho pensato di arrivare a dare a quasi ogni musicista la possibilità di esprimersi in un territorio sonoro scelto solo per lui: questo ha portato ad una moltiplicazione delle situazioni musicali e a brani politematici con la studiata volontà di accostare atmosfere le più lontane fra loro.” Queste le parole di Claudio per descrivere Inner sounds, platter in cui si sono uniti il Quartetto Four e il Quartetto Samadhi per creare un percorso suggestivo e che vive delle intuizioni non solo del leader ma anche dei tanti strumentisti coinvolti (oltre a Fasoli impegnato al sax tenore e soprano troviamo Michael Gassmann alla tromba, Michele Calgaro alla chitarra, Lorenzo Calgaro al contrabbasso, Gianni Bertoncini alla batteria, Michelangelo Decorato al piano, Andrea Lamacchia al contrabbasso e Marco Zanoli alla batteria). Il groove ritmico è essenziale ma dinamico e sposa strutture fantasiose e oblique, che permettono all’album di essere un altro egregio capitolo nella lunga carriera del sassofonista. Chi ci legge vorrà sapere se è rimasto qualcosa del Perigeo. Stilisticamente Fasoli si è allontanato da quei suoni da molti anni ma lo spirito è ancora quello, ossia utilizzare il jazz per andare a scoprire o immaginare altro, essere consapevole di una certa grammatica musicale tentando di innervarla di nuove pulsioni. “Sebbene fortemente ispirata da Horae Canonicae di Wystan Hugh Auden e in relazione con il testo del poeta inglese, la musica del disconon rivela nessun legame con i ritmi del procedere poetico, non è descrittiva … si potrebbe parlare di un commento musicale intimo e riflessivo … non cerco necessariamente la coerenza e so di rischiare abbastanza.” Queste piccole frasi del libro danno l’idea di come il veneto non sia uno di quei musicisti ancorato a delle certezze sempre uguali e di come sviluppi un jazz dai tratti noir che oscilla tra soluzioni criptiche ed altre maggiormente comunicative, articolando le composizioni in modo decisamente strutturato. Ovvio che in un tale crogiuolo di soluzioni tutto diviene molto carico di impulsi e il lavoro di squadra diviene fondamentale per la riuscita di un discorso coerente ed organico, a maggior ragione quando si lasciano aperte più porte per sperimentare e creare. Fasoli d’altronde ha sempre puntato sul suo estro, pur essendo rigoroso e puntiglioso nel creare partiture complesse che hanno bisogno di interpreti adeguati, non solo per essere eseguite ma anche comprese e capite. Se siete amanti del jazz e del percorso del sassofonista l’accoppiata libro più cd è un regalo al quale non vi potete assolutamente sottrarre.
Mescalina.it, 28 gennaio 2017 Inner Sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera
Inner Sounds, un disco (di cui recentemente abbiamo già parlato in termini entusiastici qui su Mescalina), ma anche un libro.
Con questo nuovo volume, curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi, l’autore, il grande sassofonista, compositore e docente Claudio Fasoli, ci presenta un quadro generale vario e appagante in cui l’anima jazz e la mente creativa di uno dei più personali e artisticamente rilevanti musicisti jazz contemporanei emerge in tutta la sua pienezza.
Nelle quasi trecento pagine, Inner Sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera, uscito sotto la “perspicace” casa editrice Agenzia X, si distingue per la completezza, la cura dei particolari, la passione con cui sono stati raccolti e documentati tanti scritti professionali e vibranti commenti. Un testo che esprime la voglia di valorizzare un corpo di lavoro importante, in modo tangibile, un libro-documento che aggiunge preziosi elementi votati a far emergere i significati di un progetto musicale e artistico a cui è stata dedicata una intera vita, nel nome della ricerca sonora, nel nome del jazz.
Le pagine del volume seguono un percorso davvero intenso: dalle appassionate introduzioni di Carlo Boccadoro, Franco Caroni e Massimo Donà si passa alla bellissima intervista che inizia con gli anni sessanta, con le scene jazz di Milano e Bologna, il singolare jazz rock dei Perigeo (“L’essenza dell’essere musicista jazz è cogliere l’opportunità di fare qualcosa di riconoscibile, è quello che ho cercato di fare individualmente ed è quello che abbiamo fatto con i Perigeo”), i quartetti e i quintetti degli anni ottanta, poi l’evoluzione dal trio all’orchestra, infine gli anni recenti e il jazz in generale, con i suoi significati e la sua anima da decifrare (“il jazz sta soprattutto nel ‘come’ e meno nel ‘cosa’ si suona, anche in questo è la sua identità”).
Dopo l’intervista si passa agli scritti dell’autore e agli ascolti dedicati a figure che lo hanno influenzato: dall’ampio spazio dedicato alla figura “universale” di Coltrane, alle citazioni di Surman, Evan Parker, David Liebman, Sonny Rollins, Miles Davis, Wayne Shorter, Bill Evans, l’amico stimato Lee Konitz, fino a Debussy, Ligeti e perfino J.S, Bach; si continua parlando di imprevedibilità, silenzio in musica, concetto di imitazione, musica contemporanea ed esperienze improvvisate con la musica colta. Infine tanti eccellenti contributi di musicisti e critici, seguiti da un bel diario fotografico cronologico e da una conclusiva e esauriente discografia/bibliografia.
Significativa la frase del critico jazz Stefano Zenni “Sembra che Claudio Fasoli abbia colto fin dall’inizio il senso profondo del jazz: il suono, nella sua accezione più pura, che però tra le sue mani perde quell’enfasi spettacolare per farsi distillato timbrico, gioco di contrappesi con il silenzio”.
Partendo dalla lontana scena bolognese degli anni sessanta per poi continuare con la formazione storica dei Perigeo (una delle espressioni più estrose del jazz rock tutto) e l’infinita carriera solista, Inner Sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera ci offre una lettura piena di spunti interessanti dove l’ottica di un jazz originale, fatto di contaminazione, colta sperimentazione sonora e creatività compositiva, diventa anche stile di vita, esente da barriere o limiti prestabiliti.
Un testo autentico, un ritratto d’artista che completa idealmente la riconoscibile dimensione professionale e umana di Claudio Fasoli ma in definitiva anche un dono da passare di mano in mano, da regalare a chi cerca in qualche modo di far entrare, in modo importante, la musica jazz nella propria vita.
di Fausto GoriCon questo nuovo volume, curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi, l’autore, il grande sassofonista, compositore e docente Claudio Fasoli, ci presenta un quadro generale vario e appagante in cui l’anima jazz e la mente creativa di uno dei più personali e artisticamente rilevanti musicisti jazz contemporanei emerge in tutta la sua pienezza.
Nelle quasi trecento pagine, Inner Sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera, uscito sotto la “perspicace” casa editrice Agenzia X, si distingue per la completezza, la cura dei particolari, la passione con cui sono stati raccolti e documentati tanti scritti professionali e vibranti commenti. Un testo che esprime la voglia di valorizzare un corpo di lavoro importante, in modo tangibile, un libro-documento che aggiunge preziosi elementi votati a far emergere i significati di un progetto musicale e artistico a cui è stata dedicata una intera vita, nel nome della ricerca sonora, nel nome del jazz.
Le pagine del volume seguono un percorso davvero intenso: dalle appassionate introduzioni di Carlo Boccadoro, Franco Caroni e Massimo Donà si passa alla bellissima intervista che inizia con gli anni sessanta, con le scene jazz di Milano e Bologna, il singolare jazz rock dei Perigeo (“L’essenza dell’essere musicista jazz è cogliere l’opportunità di fare qualcosa di riconoscibile, è quello che ho cercato di fare individualmente ed è quello che abbiamo fatto con i Perigeo”), i quartetti e i quintetti degli anni ottanta, poi l’evoluzione dal trio all’orchestra, infine gli anni recenti e il jazz in generale, con i suoi significati e la sua anima da decifrare (“il jazz sta soprattutto nel ‘come’ e meno nel ‘cosa’ si suona, anche in questo è la sua identità”).
Dopo l’intervista si passa agli scritti dell’autore e agli ascolti dedicati a figure che lo hanno influenzato: dall’ampio spazio dedicato alla figura “universale” di Coltrane, alle citazioni di Surman, Evan Parker, David Liebman, Sonny Rollins, Miles Davis, Wayne Shorter, Bill Evans, l’amico stimato Lee Konitz, fino a Debussy, Ligeti e perfino J.S, Bach; si continua parlando di imprevedibilità, silenzio in musica, concetto di imitazione, musica contemporanea ed esperienze improvvisate con la musica colta. Infine tanti eccellenti contributi di musicisti e critici, seguiti da un bel diario fotografico cronologico e da una conclusiva e esauriente discografia/bibliografia.
Significativa la frase del critico jazz Stefano Zenni “Sembra che Claudio Fasoli abbia colto fin dall’inizio il senso profondo del jazz: il suono, nella sua accezione più pura, che però tra le sue mani perde quell’enfasi spettacolare per farsi distillato timbrico, gioco di contrappesi con il silenzio”.
Partendo dalla lontana scena bolognese degli anni sessanta per poi continuare con la formazione storica dei Perigeo (una delle espressioni più estrose del jazz rock tutto) e l’infinita carriera solista, Inner Sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera ci offre una lettura piena di spunti interessanti dove l’ottica di un jazz originale, fatto di contaminazione, colta sperimentazione sonora e creatività compositiva, diventa anche stile di vita, esente da barriere o limiti prestabiliti.
Un testo autentico, un ritratto d’artista che completa idealmente la riconoscibile dimensione professionale e umana di Claudio Fasoli ma in definitiva anche un dono da passare di mano in mano, da regalare a chi cerca in qualche modo di far entrare, in modo importante, la musica jazz nella propria vita.
wordsocialforum.com, 16 gennaio 2017 La cognizione della musica di Claudio Fasoli
Inner sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera di Claudio Fasoli è un libro che racconta l’essenza di un artista apprezzato in tutto il mondo; descrive la scena della musica creativa internazionale e i suoi segreti, le collaborazioni e le riflessioni di un musicista che ha sempre avuto una grande capacità di rinnovarsi, di continuare con curiosità a percorrere nuove strade. Un libro denso di testimonianze e di vita, suonata al ritmo dello spirito del tempo, alla ricerca della libertà espressiva: dagli anni della formazione veneziana alle esperienze nella vivace scena bolognese degli anni sessanta, dalla nascita dei mitici Perigeo alle jam session milanesi al Capolinea, dal laboratorio sperimentale del jazz-rock ai festival giovanili all’epoca delle contestazioni, fino ad arrivare al ruolo decisivo della cognizione e dell’insegnamento degli spazi improvvisativi.
Claudio Fasoli, sassofonista, compositore, docente e membro del Perigeo, uno dei più celebri gruppi di sperimentazione jazz-rock, ha collaborato tra gli altri con Lee Konitz, Mick Goodrick, Manfred Schoof, Kenny Wheeler, Mario Brunello e Giorgio Gaslini; insegna ai Seminari internazionali di jazz a Siena e alla Civica scuola di jazz di Milano. “Fasoli è uno dei più lungimiranti e perspicaci compositori in circolazione, oltre che solista dallo stile personalissimo e riconoscibile”, scrivono sul Dizionario del jazz di Philippe Carles, André Clergeat, Jean-Louis Comolli. E il musicologo Stefano Zenni aggiunge: “La disposizione di forme e colori è, nella musica di Claudio Fasoli, inestricabile dalla composizione, dalla pianificazione armonica, melodica, contrappuntistica. In questa visione sobria e profonda, Fasoli ha raggiunto esiti di grande originalità, che lo staccano da altre esperienze del jazz contemporaneo e fanno di lui una delle voci più singolari della musica di ricerca”. Opinioni confermate anche nelle introduzioni, del filosofo Massimo Donà, del musicologo Carlo Boccadoro, di Franco Caroni, fondatore di Siena Jazz, ma anche dagli interventi di molti musicisti e critici.
Scandiscono i capitoli degli intermezzi che ricordano incontri importanti: Art Blakey, Miles Davis, Kenny Weehler, Evan Parker, Walter Prati, Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Elvin Jones, i Weather Report, Steve Lacy, Giorgio Gaslini. Il capitolo sul “Jazz e la sua essenza” fa da trait-d’union con la sezione dedicata agli scritti di Fasoli, giustamente intitolata “La cognizione della musica”, dove risulta evidente la riflessione teorica che sottende alla sua musica. Completano e impreziosiscono il volume i contributi di musicisti e di intellettuali, una ricca raccolta fotografica (con alcune perle di Roberto Masotti) e la discografia completa.
Il jazz non è né un repertorio specifico, né esercizio accademico, ma uno stile di vita. Il jazz è infatti la rivolta delle emozioni, è il tipo di musica che può assorbire molti altri generi ed essere ancora jazz. È un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, ibridando tutto ciò che ha trovato lungo la sua storia: il cinema, la poesia, la pittura (cit)…“ed è dalle connessioni tra esperienze e sperimentazioni diverse che nascono lampi di rara bellezza, “Inner sounds” è nato sotto il segno della sperimentazione e della creatività, dal connubio tra un musicista che non ha mai rinunciato alla ricerca e una vivace casa editrice come Agenzia X, attenta alle culture alternative” (cit.). Anche questa particolarità rende il libro imperdibile. Buona Lettura!
Last but not least, Inner sounds è anche il titolo del cd più recente del Claudio Fasoli Double Quartet, uscito, per l’etichetta Abeat, in contemporanea a questo libro.
di Angela GrecoClaudio Fasoli, sassofonista, compositore, docente e membro del Perigeo, uno dei più celebri gruppi di sperimentazione jazz-rock, ha collaborato tra gli altri con Lee Konitz, Mick Goodrick, Manfred Schoof, Kenny Wheeler, Mario Brunello e Giorgio Gaslini; insegna ai Seminari internazionali di jazz a Siena e alla Civica scuola di jazz di Milano. “Fasoli è uno dei più lungimiranti e perspicaci compositori in circolazione, oltre che solista dallo stile personalissimo e riconoscibile”, scrivono sul Dizionario del jazz di Philippe Carles, André Clergeat, Jean-Louis Comolli. E il musicologo Stefano Zenni aggiunge: “La disposizione di forme e colori è, nella musica di Claudio Fasoli, inestricabile dalla composizione, dalla pianificazione armonica, melodica, contrappuntistica. In questa visione sobria e profonda, Fasoli ha raggiunto esiti di grande originalità, che lo staccano da altre esperienze del jazz contemporaneo e fanno di lui una delle voci più singolari della musica di ricerca”. Opinioni confermate anche nelle introduzioni, del filosofo Massimo Donà, del musicologo Carlo Boccadoro, di Franco Caroni, fondatore di Siena Jazz, ma anche dagli interventi di molti musicisti e critici.
Scandiscono i capitoli degli intermezzi che ricordano incontri importanti: Art Blakey, Miles Davis, Kenny Weehler, Evan Parker, Walter Prati, Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Elvin Jones, i Weather Report, Steve Lacy, Giorgio Gaslini. Il capitolo sul “Jazz e la sua essenza” fa da trait-d’union con la sezione dedicata agli scritti di Fasoli, giustamente intitolata “La cognizione della musica”, dove risulta evidente la riflessione teorica che sottende alla sua musica. Completano e impreziosiscono il volume i contributi di musicisti e di intellettuali, una ricca raccolta fotografica (con alcune perle di Roberto Masotti) e la discografia completa.
Il jazz non è né un repertorio specifico, né esercizio accademico, ma uno stile di vita. Il jazz è infatti la rivolta delle emozioni, è il tipo di musica che può assorbire molti altri generi ed essere ancora jazz. È un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, ibridando tutto ciò che ha trovato lungo la sua storia: il cinema, la poesia, la pittura (cit)…“ed è dalle connessioni tra esperienze e sperimentazioni diverse che nascono lampi di rara bellezza, “Inner sounds” è nato sotto il segno della sperimentazione e della creatività, dal connubio tra un musicista che non ha mai rinunciato alla ricerca e una vivace casa editrice come Agenzia X, attenta alle culture alternative” (cit.). Anche questa particolarità rende il libro imperdibile. Buona Lettura!
Last but not least, Inner sounds è anche il titolo del cd più recente del Claudio Fasoli Double Quartet, uscito, per l’etichetta Abeat, in contemporanea a questo libro.
Il manifesto, 4 dicembre 2017 I suoni interiori di Claudio Fasoli nell’orbita del jazz
Inners sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera di Claudio Fasoli è nato sotto il segno della sperimentazione e della creatività, dal connubio tra un musicista che non ha mai rinunciato alla ricerca e una vivace case editrice come Agenzia X, attenta alle culture giovanili e alternative.
È dalle connessioni tra esperienza e sperimentazioni diverse che nascono lampi di bellezza. Il libro contiene una lunga intervista dove Claudio Fasoli ripercorre la sua vita artistica, dagli anni della formazione jazzistica tra Venezia, Padova e la dinamica scena bolognese dai ’60 ai ’70 con la partecipazione all’esaltante progetto dei Perigeo, principale gruppo jazz elettrico italiano; dagli anni ’80 sulle strade delle collaborazioni internazionali (tra cui Lee Konitz, Mick Goodrick, Kenny Wheeler, Giorgio Gaslini, Enrico Rava), alle sperimentazioni del 2000 con Mario Brunello, nelle rivisitazioni delle Suite di Bach e i progetti dei Quartetti. Scandiscono i capitoli degli intermezzi che ricordano incontri importanti: Art Blakey, Milese Davis, Wheeler-Parker-Prati, Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Elvin Jones e i Weather Report.
Il capitolo sul “jazz e la sua essenza” fa da trait-d’union con la sezione dedicata agli scritti di Fasoli, giustamente intitolata La cognizione della musica, dove risulta evidente la riflessione teorica che sottende alla sua musica. I contributi interpretativi del filosofo Massi,o Donà, del musicista-musicologo Carlo Boccadoro, di Franco Caroni, fondatore di Siena Jazz e di molti musicisti e critici – assieme alle ricche sezioni fotografica e discografica – arricchiscono questo viaggio bel jazz e nella musica libera.
di Marc TibaldiÈ dalle connessioni tra esperienza e sperimentazioni diverse che nascono lampi di bellezza. Il libro contiene una lunga intervista dove Claudio Fasoli ripercorre la sua vita artistica, dagli anni della formazione jazzistica tra Venezia, Padova e la dinamica scena bolognese dai ’60 ai ’70 con la partecipazione all’esaltante progetto dei Perigeo, principale gruppo jazz elettrico italiano; dagli anni ’80 sulle strade delle collaborazioni internazionali (tra cui Lee Konitz, Mick Goodrick, Kenny Wheeler, Giorgio Gaslini, Enrico Rava), alle sperimentazioni del 2000 con Mario Brunello, nelle rivisitazioni delle Suite di Bach e i progetti dei Quartetti. Scandiscono i capitoli degli intermezzi che ricordano incontri importanti: Art Blakey, Milese Davis, Wheeler-Parker-Prati, Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Elvin Jones e i Weather Report.
Il capitolo sul “jazz e la sua essenza” fa da trait-d’union con la sezione dedicata agli scritti di Fasoli, giustamente intitolata La cognizione della musica, dove risulta evidente la riflessione teorica che sottende alla sua musica. I contributi interpretativi del filosofo Massi,o Donà, del musicista-musicologo Carlo Boccadoro, di Franco Caroni, fondatore di Siena Jazz e di molti musicisti e critici – assieme alle ricche sezioni fotografica e discografica – arricchiscono questo viaggio bel jazz e nella musica libera.
Corriere della Sera, 18 dicembre 2016 Note blu
Dagli anni Settanta il jazz italiano ha trovato una propria declinazione estetica che lo ha reso sempre più identificabile nel panorama contemporaneo. Ma i suoi protagonisti non sono ancora studiati abbastanza. Ben venga dunque il libro di Claudio Fasoli Inner sounds. Nell’orbita del jazz e della musica libera curato da Francesco Martinelli e Marc Tibaldi: un racconto spesso in prima persona che attraversa la carriera e le idee sofisticate del sassofonista veneziano.
di Claudio Sessa