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Scarichiamo i padroni
Libromondo, n. 21, novembre 2015 Scarichiamo i padroni
In Italia vi sono dei lavoratori che lavorano anche 12-13 ore al giorno, non percepiscono tredicesima né quattordicesima, né assicurazione sanitaria e contributi previdenziali. Sono gli operai extracomunitari che provengono dalla Tunisia, dal Pakistan, dal Marocco… Essi lavorano nell’immensa area industriale e logistica di Bologna e di altre città emiliane. La loro paga mensile oscilla dai 700 agli 800 euro e, talvolta, queste cifre ricevono delle detrazioni arbitrarie. Ad ogni protesta per questa situazione la minaccia è sempre quella del licenziamento o dell’espulsione dall’Italia. Questa è la situazione che emerge dai racconti di Usman, Simone, Rachid, Rachid T, Hakim. Hicham, Hafid, Fudal, Cavit e dei responsabili di centri sociali e dei Cobas che si stanno occupando del problema, data l’inefficienza dei Sindacati Ufficiali, secondo le dichiarazioni degli operai intervistati. C’è in atto un movimento di lotta che parte da Bologna, teso a raggiungimento di condizioni di lavoro degne di un Paese civile. La maggior parte delle aziende datrici di lavoro sono cooperative spesso irregolari che non assicurano tutte le condizioni di lavoro previste dalla legge. Questo libro è stato concepito dall’Autore Fulvio Massarelli, ricercatore indipendente, come un contributo alla soluzione del problema.
di Giuseppe Alessandro

www.milanox.eu, 13 ottobre 2014 Fulvio Massarelli. Scarichiamo i padroni
I facchini sono un esercito di lavoratori che presta la propria opera in non luoghi (magazzini, interporti, centri smistamento) che si trovano nelle periferie delle nostre grandi città. Sono per lo più stranieri, lavorano giorno e notte fino a 14 ore, anche di fila, per cooperative che li assumono come soci-lavoratori. Essendo migranti, sono spesso scollegati dalla realtà sociale in cui sopravvivono a malapena e di cui non conoscono le leggi. Sono a tutti gli effetti degli schiavi contemporanei: ricattabili perché quasi tutti immigrati (90%) e senza sindacato che li difenda (prima della nascita del S.I. Cobas qualche anno fa nessun sindacato si preoccupava di loro).
Il libro inchiesta di Fluvio Massarelli, già autore de La collera della casbah e di La forza di piazza Syntagma, si chiama Scarichiamo i padroni e riecheggia uno degli slogan nati dalla protesta, radicalissima e vincente, messa in atto dai più sfruttati tra gli operai contemporanei dal 2010 ad oggi. Un libro importantissimo, soprattutto in questo momento in cui, grazie alla retorica della crisi, i padroni (mascherati spesso da “democraticissime” cooperative) e i sindacati (spesso collusi con il padronato più sfruttatore) chiedono sacrifici anche a chi la cinghia non può più stringerla (come si fa a tagliare uno stipendio a cottimo di 700 euro al mese, pagato anche 3 euro l’ora?). E a chi non ci sta offrono minacce, ritorsioni, licenziamenti, cariche, arresti e pestaggi.
Più o meno quello che succedeva nelle fabbriche italiane circa cent’anni fa.
Tramite interviste ai protagonisti delle proteste e ai loro solidali, Massarelli descrive con dovizia le drammatiche condizioni di lavoro del proletariato contemporaneo, migrante e non, e ci spiega le strategie messe in campo dai coraggiosi facchini per scaricare i padroni, rialzare la testa e riconquistare la propria dignità di esseri umani.
L’appendice del libro raccoglie i documenti delle lotte di questi anni a Bologna: volantini, appelli, articoli. Un libro fondamentale, che mette in chiaro le gravissime responsabilità di giganti del business come Granarolo, Ikea, Tnt, Bartolini, Esselunga, Pam e delle cooperative che servono i loro sporchi interessi.
di Pablito el Drito
Le monde diplomatique, 22 settembre 2014 Pacchi roventi
A essere sinceri, riesce difficile parlare del libro di Fulvio Massarelli, Scarichiamo i padroni. Lo sciopero dei facchini a Bologna. E soprattutto riesce difficile inquadrarlo in una sola dimensione narrativa. Difficoltà del recensore, sia chiaro; perché il lavoro di Massarelli, ricercatore indipendente e redattore del network antagonista “InfoAut”, punta proprio a tenere dentro le analogie che hanno contraddistinto le lotte e le vertenze della Tnt e dell’Ikea di Piacenza, con le battaglie bolognesi contro Legacoop e Granarolo. Un esperimento narrativo che mette sul tavolo numerosi spunti di riflessione, costruiti dopo aver stretto legami di solidarietà e reciproco rispetto ai picchetti notturni, alle manifestazioni, tra manganellate, denunce e anche tante soddisfazioni. Sì, perché le vertenze che si sono aperte nelle diverse aziende del comparto logistico italiano, sono oggi non solo tra i nodi di lotta più avanzati presenti sul territorio nazionale, ma anche quelle che hanno riscosso maggiori consensi e vittorie di merito. Situazioni di schiavismo legalizzato (turni anche di 12 ore, retribuzione sotto le soglie minime sindacali, nessun diritto di concertazione e assunzione appaltata a cooperative che agiscono da caporale) che hanno rafforzato i legami di solidarietà tra i lavoratori, per lo più migranti del Maghreb e dell’Africa subsahariana, che hanno poi incontrato non solo la determinazione del sindacato S.I. Cobas ma anche l’appoggio politico e militante delle strutture antagoniste bolognesi. «Le vicende piacentine sono state una sorta di enzima che ha innescato un processo di lotte anche nel bolognese», spiega Massarelli, attivista del Laboratorio Crash di Bologna a cui l’autore ha lasciato uno spazio di commento nell’appendice finale. «A Bologna, la vertenza Granarolo è stato il detonatore che ha permesso a studenti, disoccupati, migranti e precari a vario titolo di incontrarsi, organizzarsi e sperimentarsi su un terreno di lotta tutt’altro che scontato. La forza di quest’esperienza è stata quella di non coagularsi intorno a un’unica soggettività, a un unico protagonismo, ma fondere le differenze per stabilizzare la lotta, anche se il segmento migrante di classe che abbiamo conosciuto è senz’altro tra i più disponibili a battagliare per i propri diritti». Le pagine del libro offrono infatti numerose testimonianze dirette dei lavoratori che hanno partecipato alla lotta. «Sei straniero e tutti pensano che vieni a rubare il lavoro agli italiani. Anche nel magazzino il contratto era di otto ore al giorno, ma ne lavoravo minimo tredici, perché ti obbligavano 48 a fare gli straordinari. In busta prendevo 7 euro l’ora e in un mese ne facevo più di duecento ore, per guadagnare, quando andava bene, la miseria di 800 euro. “Per il lavoro che fai questi soldi bastano e avanzano. Se non ti va bene licenziati” dicevano a chi si lamentava», racconta Rachid, marocchino, in Italia da 17 anni. «Ero convinto che qui si vivesse bene, ma in Italia le condizioni di lavoro sono peggio del Bangladesh. Fare il facchino è un lavoro duro: caricare e scaricare camion e container senza sosta», racconta Monzoor Alam, bengalese 29enne. «In magazzino, il mio tempo lo passo nelle celle frigorifere, senza nemmeno i vestiti adatti, perché la cooperativa non ci dà scarpe, giacche e pantaloni è [...] Per un facchino ammalarsi è normale, in magazzino c’è sempre qualcuno che ogni giorno si fa male: scendi dal muletto, inciampi; perdi il ritmo e ti cade un pacco addosso. Se rimani a casa, l’infortunio non è pagato». Testimonianze che hanno anche il merito di riportare alla luce le angosce e i drammi del lavoro materiale, ancora vittima di parametri di sfruttamento fordisti e di una diffusa pregiudiziale politica che ne aveva diffuso con frettoloso anticipo l’annuncio di scomparsa. Il settore logistico è invece un impero strategico per il capitale mondiale: la mobilità delle merci, la filiera produttiva di trasporto di beni primari. Anche per questo, forse, la lotta dei facchini è stata repressa con durezza non solo dai manganelli ma anche della magistratura. Centinaia di denunce che però, a fine luglio, hanno dato i frutti attesi. «Oltre ad aver ottenuto miglioramenti salariali e delle condizioni materiali di lavoro, Legacoop e Cogefrin (consorzio di cooperative di facchinaggio) hanno firmato un protocollo in Prefettura dove, tra le altre cose, si impone il ritiro delle denunce e la richiesta di risarcimento che sfiorava i due milioni di euro. Tuttavia non cantiamo vittoria, queste firme non bastano. Bisogna continuare a vigilare», insiste l’autore, che sulla centralità di queste lotte aggiunge: «Per troppo tempo siamo stati abituati a vedere contrapposte le realtà del lavoro materiale e immateriale. Io dico di ripartire con umiltà dai cantieri d’inchiesta, di evitare sterili e infruttuose contrapposizioni. Riprendiamo gli esempi di Montaldi e Arquati, carichiamoci di sete di conoscenza e facciamo inchiesta. Questo può essere il modo giusto per ripartire». Di sicuro, dopo altri esperimenti editoriali fatti alle latitudini di movimento, anche il lavoro di Massarelli sembra andare nella giusta direzione di rimettere al centro del discorso politico la contraddizione capitale/ lavoro, con la consapevolezza di non essere più solo avanguardie autosufficienti ma al contrario frammenti di un senso comune, di classe, da ricostruire e riportare alla ribalta.
di Samir Hassan

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