www.smemoranda.it, 30 giugno 2011Da leggere: Il barbecue dei panda
Il barbecue dei panda, di Giovanni Robertini, edito Agenzia X, è una sorta di bestiario dei nostri tempi, in cui vengono descritti, uno a uno, i personaggi che compongono l’équipe del lavoro culturale: lo stagista, l’artista, l’intellettuale di destra, l’intellettuale cool, il dj, il giornalista, l’autrice tv e tanti altri. L’aspetto più divertente è che ogni singolo personaggio viene descritto e correlato agli altri con un collante quanto più azzeccato: il party di chiusura di una casa editrice. Uno di quegli eventi a cui nessun creativo può mancare.
Quindi, chiamamola pure descrizione fenomenologica del party cool. La narrazione ricorda, un po’, sì, il bestiario contemporaneo, che vede le voci più autorevoli in Borges o Buzzati, ma sembra anche una variazione su tema. E si conclude con un racconto sui Panda, mangiatori di bambù, allegoria dell’intero settore impiegatizio culturale, all’interno del quale la “guida“ spirituale, cioè, sì, una sorta di Bibbia, sono i testi di David Forster Wallace.
La lettura è piacevole e terribilmente urbana: per gli affezionati alla misura del capitoletto - quelli che non riesco a smettere di leggere se non ho concluso l’unità narrativa - è la lettura ideale per i viaggi in metropolitana.
Le descrizioni sono ben scritte, e sembra l’occhio dell’entomologo a curarne la stesura, cioè un occhio esterno, finché lo scrittore, che naturalmente partecipa al party, non si rivela per quello che è: l’osservatore e lo scrittore stesso del libro.
È proprio in quel momento che comincia il racconto sui panda, che si snoda attorno al suicidio di Wally, uno dei panda leopardiani che si fa tante, troppe domande, soprattutto sull’alimentazione, finché non decide di suicidarsi perché non riesce ad affrontare l’idea di doversi cibare della carne, di dover rinunciare al bambù per nutrirsi dell’hamburger. C’è sicuramente un’allegoria dietro al suicidio di Wally e si potrebbe osare qualunque cosa, purché lo si faccia in chiave assurda e postmoderna: vogliamo pensare a Wally come a una figura cristologica? Vogliamo pensarlo come a un’illusione, delusa nel suicidio? Vogliamo pensare che sia l’ultimo vero addetto al lavoro culturale, che rifiuta di svendersi, che rifiuta l’estetica del party e del marketing e del fastfood, che rifiuta la massa e si toglie la vita?
Ma sì, tutto è possibile.
Qualche estratto:Lo stagista “La rivoluzione è una roba da fichetti, la lotta è da tamarri e l’utopia è una commessa in centro”.L’artista: “L’artista vive a Berlino - ma potrebbe essere a New York - e tende spesso a sottolineare la mancanza di motivi che lo spingono a tornare nella terra natia. (…) È un autodidatta che si è costruito solide basi teoriche ordinando su Amazon il kit, formato pacco regalo, dell’artista contemporaneo”.Il tamarro consapevole: “È uno dei pochi che non ha subito il ruolo che la società gli ha imposto, l’ha scelto e non senza fatica”.
L’intellettuale di destra: “Il nostro ha installato l’applicazione ’Il Revisionista’ che gli cancella automaticamente da sms e mail parole che per distrazione può aver digitato, come ’rivoluzione’, ’lotta’ e ’utopia’”.
La modella: “Sa benissimo che rivelarsi come intellettuale metterebbe in difficoltà il suo ruolo di modella, pregiudicando così quella strana forma di casting che è la vita”.
Il dj: “Dopo la manodopera specializzata e gli addetti alla ristorazione, il terzo flusso migratorio più consistente dall’Italia alla Germania è rappresentato dai dj.”
La giornalista: “Il suo prossimo obiettivo professionale è essere arrestata per reato d’opinione, o almeno per vilipendio, ma non sarà facile, c’è troppa concorrenza”
La cameriera: “Il nostro filosofo, quello che al party non verrà, la conosce bene, essendo un frequentatore assiduo di locali di tendenza. Proprio in questi giorni è uscito in libreria il suo ultimo saggio breve dal titolo Cameriera per eccesso, ovvero come l’eccesso di stimoli che la contemporaneità offre costringa a procrastinare il futuro fino a un’idea di futuro assoluto non realizzato che la cameriera incarna alla perfezione. Segue lunga intervista alla nostra e inserto fotografico con decine di scarti osé.”
L’autrice televisiva: “È stata, nell’arco di un mese, neohippie, glam, dark lady, fetish e finiana”.
Il ricercatore universitario: “ Gli hanno detto che l’Italia è un paese per vecchi, e si è adeguato: è invecchiato.”
Il critico musicale: “ Musica è uguale a giovinezza. Un’equazione che si porta dietro il ricordo di scopate sull’era, pompini dietro l’angolo, promiscuità sudaticce.”
Lo scrittore: “Sarebbe giusto chiamarlo ’il giovane scrittore’, come fanno tutti. Anche se ha quasi quarant’anni, non ha ancora pubblicato quasi nulla a parte qualche racconto pubblicato quasi nulla a parte qualche racconto pubblicato su internet con cui si è guadagnato l’imperituro grado di giovane scrittore”.
di Olga MascoloQuindi, chiamamola pure descrizione fenomenologica del party cool. La narrazione ricorda, un po’, sì, il bestiario contemporaneo, che vede le voci più autorevoli in Borges o Buzzati, ma sembra anche una variazione su tema. E si conclude con un racconto sui Panda, mangiatori di bambù, allegoria dell’intero settore impiegatizio culturale, all’interno del quale la “guida“ spirituale, cioè, sì, una sorta di Bibbia, sono i testi di David Forster Wallace.
La lettura è piacevole e terribilmente urbana: per gli affezionati alla misura del capitoletto - quelli che non riesco a smettere di leggere se non ho concluso l’unità narrativa - è la lettura ideale per i viaggi in metropolitana.
Le descrizioni sono ben scritte, e sembra l’occhio dell’entomologo a curarne la stesura, cioè un occhio esterno, finché lo scrittore, che naturalmente partecipa al party, non si rivela per quello che è: l’osservatore e lo scrittore stesso del libro.
È proprio in quel momento che comincia il racconto sui panda, che si snoda attorno al suicidio di Wally, uno dei panda leopardiani che si fa tante, troppe domande, soprattutto sull’alimentazione, finché non decide di suicidarsi perché non riesce ad affrontare l’idea di doversi cibare della carne, di dover rinunciare al bambù per nutrirsi dell’hamburger. C’è sicuramente un’allegoria dietro al suicidio di Wally e si potrebbe osare qualunque cosa, purché lo si faccia in chiave assurda e postmoderna: vogliamo pensare a Wally come a una figura cristologica? Vogliamo pensarlo come a un’illusione, delusa nel suicidio? Vogliamo pensare che sia l’ultimo vero addetto al lavoro culturale, che rifiuta di svendersi, che rifiuta l’estetica del party e del marketing e del fastfood, che rifiuta la massa e si toglie la vita?
Ma sì, tutto è possibile.
Qualche estratto:Lo stagista “La rivoluzione è una roba da fichetti, la lotta è da tamarri e l’utopia è una commessa in centro”.L’artista: “L’artista vive a Berlino - ma potrebbe essere a New York - e tende spesso a sottolineare la mancanza di motivi che lo spingono a tornare nella terra natia. (…) È un autodidatta che si è costruito solide basi teoriche ordinando su Amazon il kit, formato pacco regalo, dell’artista contemporaneo”.Il tamarro consapevole: “È uno dei pochi che non ha subito il ruolo che la società gli ha imposto, l’ha scelto e non senza fatica”.
L’intellettuale di destra: “Il nostro ha installato l’applicazione ’Il Revisionista’ che gli cancella automaticamente da sms e mail parole che per distrazione può aver digitato, come ’rivoluzione’, ’lotta’ e ’utopia’”.
La modella: “Sa benissimo che rivelarsi come intellettuale metterebbe in difficoltà il suo ruolo di modella, pregiudicando così quella strana forma di casting che è la vita”.
Il dj: “Dopo la manodopera specializzata e gli addetti alla ristorazione, il terzo flusso migratorio più consistente dall’Italia alla Germania è rappresentato dai dj.”
La giornalista: “Il suo prossimo obiettivo professionale è essere arrestata per reato d’opinione, o almeno per vilipendio, ma non sarà facile, c’è troppa concorrenza”
La cameriera: “Il nostro filosofo, quello che al party non verrà, la conosce bene, essendo un frequentatore assiduo di locali di tendenza. Proprio in questi giorni è uscito in libreria il suo ultimo saggio breve dal titolo Cameriera per eccesso, ovvero come l’eccesso di stimoli che la contemporaneità offre costringa a procrastinare il futuro fino a un’idea di futuro assoluto non realizzato che la cameriera incarna alla perfezione. Segue lunga intervista alla nostra e inserto fotografico con decine di scarti osé.”
L’autrice televisiva: “È stata, nell’arco di un mese, neohippie, glam, dark lady, fetish e finiana”.
Il ricercatore universitario: “ Gli hanno detto che l’Italia è un paese per vecchi, e si è adeguato: è invecchiato.”
Il critico musicale: “ Musica è uguale a giovinezza. Un’equazione che si porta dietro il ricordo di scopate sull’era, pompini dietro l’angolo, promiscuità sudaticce.”
Lo scrittore: “Sarebbe giusto chiamarlo ’il giovane scrittore’, come fanno tutti. Anche se ha quasi quarant’anni, non ha ancora pubblicato quasi nulla a parte qualche racconto pubblicato quasi nulla a parte qualche racconto pubblicato su internet con cui si è guadagnato l’imperituro grado di giovane scrittore”.
Rolling Stone, gennaio 2011Il barbecue dei panda
Quando vi invitano a “l’ultimo party del lavoro culturale”, per celebrare il fallimento di una casa editrice, state certi che come l’autore conoscerete tutti gli invitati: dall’intellettuale cool all’organizzatore di eventi, dal dj alla giornalista, dal fotografo alla cameriera. Sono solo alcuni dei tipi umani che il milanese Giovanni Robertini ha scelto per sezionarli senza pietà in caustici ritratti accompagnati dalle illustrazioni zoomorfe di Ana Kras. L’unico che se la gode è il tamarro consapevole, un leone. Sono “specie in via d’estinzione”? Dipende, tanto che i panda, nel racconto di chiusura, tentano il cambio di natura: dal bambù alle grigliate di carne. Una rivoluzione nello zoo tagliente disperato del precariato culturale. Anzi: generazionale.
di Alessandro BerettaRadio popolare, 23 novembre 2010Intervista a Giovanni Robertini
Paranoici, solitari, acrobati sulla corda del reddito, sbilanciati da sbalzi d’umore maniaco-depressivi, incapaci di alzare lo sguardo all’orizzonte. I moderni creativi assomigliano ormai a timidi panda. Non fanno più sesso e rischiano il suicidio di massa. Si sono nutriti di film, libri e dischi, diventati con il tempo sempre meno saporiti, proprio come il piatto unico degli orsetti tristi: il bambù. Sono dei panda. E sono i protagonisti del romanzo di Giovanni Robertini Il barbecue dei panda, per Agenzia X, 12 euro, illustrato da Ana Kras. Ne parliamo in studio con l’autore. Per ascoltare la trasmissione clicca qui
di Jalla jallawww.carmillaonline.com, 2 novembre 2010Il barbecue dei panda
0.
Come in un magnifico videogioco
si moltiplicano le congiure.
Fuori c’è odore di crolli di borsa.
Nelle toilette delle donne le popstar uggiolano misericordia.
I ratti sono i primi ad abbandonare
la discoteca in fiamme.
Le autorità competenti assicurano
che la popolazione non corre alcun rischio.
H.M. Enzensberger, Tutto sotto controllo (estratti)
1. C’è una festa, ed è una festa a cui andranno tutti. Intorno, come sempre, la routine della metropoli italiana: ronde di picchiatori che aggrediscono i malvestiti, incursioni punitive in casa di chi non esce la sera, nuove forme di socialismo basate sul culto del corpo, un piano per la gentrification coatta di un campo rom, esauriti ormai i quartierini a sei passi dal centro. Gli invitati, come sempre, sono scrittori, dj, giornalisti e modelle, ognuno col cartellino di riconoscimento, comprato o innato o impiantato chirurgicamente. L’aria è tesa, ma stemperata dal fatto che, tutti lo sanno, due rivoluzioni sono all’orizzonte: le nuove collezioni, autunno-inverno e primavera-estate. C’è una festa, ed è una festa a cui andranno tutti. Si festeggia, come sempre, la chiusura di una casa editrice.
2. Intorno a questa festa è organizzato Il barbecue dei panda, di Giovanni Robertini, uscito da poco per Agenzia X, e accompagnato da splendide illustrazioni di Ana Kras. Il libro si presenta come una serie di profili, di tutti gli invitati, contenenti biografie, schizzi, frammenti narrativi. C’è lo stagista non pagato e l’artista che ha comprato il kit con i libri Guy Debord, Gilles Deleuze, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman già sottolineati sulle frasi ad effetto; lo scrittore giovane a quarant’anni e l’intellettuale di destra che affida al correttore dell’iPhone la cancellazione della parola “utopia”; c’è l’autrice tv che progetta la sua vita come un palinsesto che da dark lady la trasforma in finiana e il ricercatore, specializzato in storia dei movimenti, ritrovatosi improvvisamente senza un oggetto di studio. Il libro, scritto dal giovane autore presente anche alla festa, è un ricordo che l’editore vuole dare ai suoi amici prima di chiudere la casa editrice e aprirvi un sushi bar. Il profilo del giovane scrittore è l’ultimo, e in esso, improvvisamente, l’autore passa alla prima persona. “Lo scrittore sono io”, scrive, “e sono incazzato. Solo al pensiero di un nuovo personaggio mi viene la nausea. Non so”, scrive poi, “se è perché mi annoiano, mi assomigliano troppo o mi urtano.”
3. Anche questa recensione passa alla prima persona. Io non riesco, con precisione, a mettere a fuoco cosa mi abbia colpito così tanto di questo libro, ma lo ha fatto, in modo quasi doloroso. All’inizio è facile scambiare Il barbecue dei panda per una raccolta di profili facili, ironici e sarcastici, che prende amabilmente in giro il demi-monde intellettuale di Milano e dintorni, tutte le figure un po’ tristi e un po’ comuni che si incontrano, o anche solo si immaginano sbirciando qua e là: quello che è passato a destra perché paga, quello che usa l’anticipo sul libro per una giacca di Jil Sander, quello che piange un movimento morto chissà quanto tempo fa. Eppure c’è qualcosa, a un certo punto della lettura, che sfonda il sarcasmo e il gioco dei rimandi, che arriva a colpire molto più a fondo, che arriva a farti vedere che la satira, qui, è solo una copertura. E se quello che c’è sotto è coperto, è perché fa paura.
4. Ho provato qualcosa di simile leggendo La letteratura nazista in America, di Roberto Bolaño. Benché in modo molto diverso, anche quel libro è una serie di profili: le biografie di una sequela di scrittori fittizi di estrema destra, xenofobi, nazisti, vissuti in Nord o Sud America nel ventesimo secolo. Leggendolo, ci si perde nel fantastico, nel grottesco, nel borgesiano, e la storia politica soggiacente sembra quasi sparire: il “nazista” pare essere più una caratterizzazione di colore che non un termine inzuppato nel sangue, e la frequente apparizione di torturatori argentini o cileni si riduce, incredibilmente, a una presenza pittoresca ma neutrale. Alla fine, nelle ultime pagine, inizia ad apparire nello sfondo una voce che dice “io” (poi avrà anche un nome, Bolaño, ma all’inizio no), che collega agli eventi i suoi ricordi personali. Improvvisamente si disperde la nebbia, prima densissima, del “gioco letterario”, la fantasticità perde ogni rilevanza: quegli scrittori sono finti, ma le storie sono vere. Le morti, le torture, sono vere. Qualcuno c’era, davvero, e ha visto amici e compagni morire o sparire o tornare dopo assenze lunghissime, emaciati e distanti, poco inclini a parlare. Sotto la forma del gioco letterario, di questo scrive Bolaño.
5. Anche Il barbecue dei panda, per quanto meno tragico, nasconde una storia dolorosa: la storia della sterilizzazione di una classe intellettuale. Eccoli lì: ognuno con un’identità precostituita che insegue come un traguardo irraggiungibile, ognuno perso in calcoli strategici o d’immagine che non rubano spazio alle idee, ma le sostituiscono completamente. Concetti come lotta di classe, rivoluzione, utopia sono parole d’ordine più o meno utili a seconda del proprio posizionamento tattico, del proprio look. Certo, c’è da ridere, leggendo quei profili C’è da ridere, ma poi improvvisamente lo scrittore dice “c’ero anch’io”. E ti rendi conto che, forse, c’eri anche tu, e che come loro sei stato sterilizzato, e che come loro non hai fatto niente a riguardo. Anzi, questo non è vero: sei andato a una festa.
6. Ci sono anche degli intellettuali “positivi”, alla festa, ma sono proprio quelli che al lavoro culturale hanno rinunciato in partenza: sono il tamarro che è la versione riuscita dell’intellettuale di destra, o spacciatore che legge Pascal e teorizza vie di fuga dalla società dei consumi, il palestrato che vuole rifondare il socialismo, la modella che per leggere Spinoza senza che nessuno la veda è costretta a chiudersi in bagno e fingere di vomitare. Paiono gli unici portatori sani di cultura, quelli che, non costretti a fare leva sul proprio lavoro intellettuale per farsi strada lavorativamente, riescono a dedicarvisi in un modo, per qualche senso del termine, “puro”.
E proprio alla modella lettrice di Spinoza è affidata, per dir così, la morale de Il barbecue dei panda. È una morale illustrata in un racconto, che lo scrittore riesce a infilare, all’insaputa dell’editore, alla fine del manoscritto, sapendo che tanto nessuno in casa editrice lo leggerà. Il racconto si intitola, naturalmente, Il barbecue dei panda. Le parole della modella, invece, sono queste: “In quanto esseri pensanti, al mondo d’oggi siamo come i dinosauri: per anni abbiamo cercato di mettere in pratica un modello di vita sostenibile, masticando foglie, e purtroppo non ha funzionato. Ora siamo costretti a distruggere l’etica bio-eco-wellness-eccetera che abbiamo creato e, se non vogliamo estinguerci del tutto, dobbiamo tornare carnivori e predatori.”
7. Uno dei pochi personaggi felici, realizzati e attivamente colti del libro è il tamarro consapevole. Il suo profilo si chiude con una serie di domande: “Perché quello che viene chiamato intellettuale oggi si accorge delle brutture del mondo solo quando la prima classe del Freccia Rossa Roma-Milano è piena e gli tocca viaggiare in seconda? Perché l’intellettuale di cui sopra non riesce ad ammettere che gli altri, quelli diversi da lui, gli stanno sul cazzo? Perché se un tamarro critica il sistema, dicendo le stesse cose dell’intellettuale di cui sopra ma con altre parole, non viene ascoltato? Perché mentre i tamarri sognano, gli altri soffrono d’insonnia?” Il racconto finale, in cui una comunità di panda, minacciata dall’estinzione, decide infine di fare un banchetto a base di hamburger, si chiude così: “Con lo stomaco satollo e le zampe all’aria, sdraiati nell’unico prato della foresta dove il bambù non copriva la magnifica visione delle stelle, i panda uno a uno chiusero gli occhi, che erano rivolti al cielo, e s’addormentarono col sorriso sulle labbra, mentre il fuoco del barbecue lentamente si spegneva. E quella notte, per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, i panda sognarono.”
di Vincenzo LatronicoH.M. Enzensberger, Tutto sotto controllo (estratti)
1. C’è una festa, ed è una festa a cui andranno tutti. Intorno, come sempre, la routine della metropoli italiana: ronde di picchiatori che aggrediscono i malvestiti, incursioni punitive in casa di chi non esce la sera, nuove forme di socialismo basate sul culto del corpo, un piano per la gentrification coatta di un campo rom, esauriti ormai i quartierini a sei passi dal centro. Gli invitati, come sempre, sono scrittori, dj, giornalisti e modelle, ognuno col cartellino di riconoscimento, comprato o innato o impiantato chirurgicamente. L’aria è tesa, ma stemperata dal fatto che, tutti lo sanno, due rivoluzioni sono all’orizzonte: le nuove collezioni, autunno-inverno e primavera-estate. C’è una festa, ed è una festa a cui andranno tutti. Si festeggia, come sempre, la chiusura di una casa editrice.
2. Intorno a questa festa è organizzato Il barbecue dei panda, di Giovanni Robertini, uscito da poco per Agenzia X, e accompagnato da splendide illustrazioni di Ana Kras. Il libro si presenta come una serie di profili, di tutti gli invitati, contenenti biografie, schizzi, frammenti narrativi. C’è lo stagista non pagato e l’artista che ha comprato il kit con i libri Guy Debord, Gilles Deleuze, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman già sottolineati sulle frasi ad effetto; lo scrittore giovane a quarant’anni e l’intellettuale di destra che affida al correttore dell’iPhone la cancellazione della parola “utopia”; c’è l’autrice tv che progetta la sua vita come un palinsesto che da dark lady la trasforma in finiana e il ricercatore, specializzato in storia dei movimenti, ritrovatosi improvvisamente senza un oggetto di studio. Il libro, scritto dal giovane autore presente anche alla festa, è un ricordo che l’editore vuole dare ai suoi amici prima di chiudere la casa editrice e aprirvi un sushi bar. Il profilo del giovane scrittore è l’ultimo, e in esso, improvvisamente, l’autore passa alla prima persona. “Lo scrittore sono io”, scrive, “e sono incazzato. Solo al pensiero di un nuovo personaggio mi viene la nausea. Non so”, scrive poi, “se è perché mi annoiano, mi assomigliano troppo o mi urtano.”
3. Anche questa recensione passa alla prima persona. Io non riesco, con precisione, a mettere a fuoco cosa mi abbia colpito così tanto di questo libro, ma lo ha fatto, in modo quasi doloroso. All’inizio è facile scambiare Il barbecue dei panda per una raccolta di profili facili, ironici e sarcastici, che prende amabilmente in giro il demi-monde intellettuale di Milano e dintorni, tutte le figure un po’ tristi e un po’ comuni che si incontrano, o anche solo si immaginano sbirciando qua e là: quello che è passato a destra perché paga, quello che usa l’anticipo sul libro per una giacca di Jil Sander, quello che piange un movimento morto chissà quanto tempo fa. Eppure c’è qualcosa, a un certo punto della lettura, che sfonda il sarcasmo e il gioco dei rimandi, che arriva a colpire molto più a fondo, che arriva a farti vedere che la satira, qui, è solo una copertura. E se quello che c’è sotto è coperto, è perché fa paura.
4. Ho provato qualcosa di simile leggendo La letteratura nazista in America, di Roberto Bolaño. Benché in modo molto diverso, anche quel libro è una serie di profili: le biografie di una sequela di scrittori fittizi di estrema destra, xenofobi, nazisti, vissuti in Nord o Sud America nel ventesimo secolo. Leggendolo, ci si perde nel fantastico, nel grottesco, nel borgesiano, e la storia politica soggiacente sembra quasi sparire: il “nazista” pare essere più una caratterizzazione di colore che non un termine inzuppato nel sangue, e la frequente apparizione di torturatori argentini o cileni si riduce, incredibilmente, a una presenza pittoresca ma neutrale. Alla fine, nelle ultime pagine, inizia ad apparire nello sfondo una voce che dice “io” (poi avrà anche un nome, Bolaño, ma all’inizio no), che collega agli eventi i suoi ricordi personali. Improvvisamente si disperde la nebbia, prima densissima, del “gioco letterario”, la fantasticità perde ogni rilevanza: quegli scrittori sono finti, ma le storie sono vere. Le morti, le torture, sono vere. Qualcuno c’era, davvero, e ha visto amici e compagni morire o sparire o tornare dopo assenze lunghissime, emaciati e distanti, poco inclini a parlare. Sotto la forma del gioco letterario, di questo scrive Bolaño.
5. Anche Il barbecue dei panda, per quanto meno tragico, nasconde una storia dolorosa: la storia della sterilizzazione di una classe intellettuale. Eccoli lì: ognuno con un’identità precostituita che insegue come un traguardo irraggiungibile, ognuno perso in calcoli strategici o d’immagine che non rubano spazio alle idee, ma le sostituiscono completamente. Concetti come lotta di classe, rivoluzione, utopia sono parole d’ordine più o meno utili a seconda del proprio posizionamento tattico, del proprio look. Certo, c’è da ridere, leggendo quei profili C’è da ridere, ma poi improvvisamente lo scrittore dice “c’ero anch’io”. E ti rendi conto che, forse, c’eri anche tu, e che come loro sei stato sterilizzato, e che come loro non hai fatto niente a riguardo. Anzi, questo non è vero: sei andato a una festa.
6. Ci sono anche degli intellettuali “positivi”, alla festa, ma sono proprio quelli che al lavoro culturale hanno rinunciato in partenza: sono il tamarro che è la versione riuscita dell’intellettuale di destra, o spacciatore che legge Pascal e teorizza vie di fuga dalla società dei consumi, il palestrato che vuole rifondare il socialismo, la modella che per leggere Spinoza senza che nessuno la veda è costretta a chiudersi in bagno e fingere di vomitare. Paiono gli unici portatori sani di cultura, quelli che, non costretti a fare leva sul proprio lavoro intellettuale per farsi strada lavorativamente, riescono a dedicarvisi in un modo, per qualche senso del termine, “puro”.
E proprio alla modella lettrice di Spinoza è affidata, per dir così, la morale de Il barbecue dei panda. È una morale illustrata in un racconto, che lo scrittore riesce a infilare, all’insaputa dell’editore, alla fine del manoscritto, sapendo che tanto nessuno in casa editrice lo leggerà. Il racconto si intitola, naturalmente, Il barbecue dei panda. Le parole della modella, invece, sono queste: “In quanto esseri pensanti, al mondo d’oggi siamo come i dinosauri: per anni abbiamo cercato di mettere in pratica un modello di vita sostenibile, masticando foglie, e purtroppo non ha funzionato. Ora siamo costretti a distruggere l’etica bio-eco-wellness-eccetera che abbiamo creato e, se non vogliamo estinguerci del tutto, dobbiamo tornare carnivori e predatori.”
7. Uno dei pochi personaggi felici, realizzati e attivamente colti del libro è il tamarro consapevole. Il suo profilo si chiude con una serie di domande: “Perché quello che viene chiamato intellettuale oggi si accorge delle brutture del mondo solo quando la prima classe del Freccia Rossa Roma-Milano è piena e gli tocca viaggiare in seconda? Perché l’intellettuale di cui sopra non riesce ad ammettere che gli altri, quelli diversi da lui, gli stanno sul cazzo? Perché se un tamarro critica il sistema, dicendo le stesse cose dell’intellettuale di cui sopra ma con altre parole, non viene ascoltato? Perché mentre i tamarri sognano, gli altri soffrono d’insonnia?” Il racconto finale, in cui una comunità di panda, minacciata dall’estinzione, decide infine di fare un banchetto a base di hamburger, si chiude così: “Con lo stomaco satollo e le zampe all’aria, sdraiati nell’unico prato della foresta dove il bambù non copriva la magnifica visione delle stelle, i panda uno a uno chiusero gli occhi, che erano rivolti al cielo, e s’addormentarono col sorriso sulle labbra, mentre il fuoco del barbecue lentamente si spegneva. E quella notte, per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, i panda sognarono.”
Milano X, n. 17, 22-28 ottobre 2010Il barbecue dei panda
Paranoici, solitari, acrobati sulla corda del reddito, sbilanciati da sbalzi d’umore maniaco-depressivi, incapaci di alzare lo sguardo all’orizzonte. I moderni creativi assomigliano ormai a timidi panda. Non fanno più sesso e rischiano il suicidio di massa. Si sono nutriti di film, libri e dischi, diventati con il tempo sempre meno saporiti, proprio come il piatto unico degli orsetti tristi: il bambù.
Uno di loro viene incaricato di descriverli tra grottesca finzione e ironico realismo. L’occasione è la festa di chiusura di una casa editrice, a cui parteciperanno gli esemplari tipici di quel mondo.Eccovi qualche esempio:
- La modella a cui piace la saggistica ma è costretta a leggere Spinoza al cesso del ristorante giapponese con la scusa di dover andare a mettersi due dita in gola per vomitare.
- Il designer che non vende solo sedie, ma stili di vita: occorre sbarazzarsi della sedia vecchia per poter pensare di essere felici, perché ogni sgabello, ogni pouf è un nuovo inizio.
- Il dj con la sua ultima e definitiva composizione che si intitola “Facevo il dj, ora voglio tornare a vivere dai miei” ed è un evidente plagio di 4’33’’ di John Cage. Ma “la sindrome svuota-pista” sembra ora arrivata a una fase acuta, senza ritorno.
- l’organizzatore di eventi che sprizza Ansia ed eccitazione, che sono la sua benzina per incendiare il prossimo evento, perché risplenda di luce propria e ci abbagli per qualche ora.
- l’autrice televisiva che per sopravvivere deve affidarsi alle sempre nuove identità create ad hoc dai giornali di moda a cui è abbonata. È stata, nell’arco di un mese, neohippie, glam, dark lady, fetish e finiana.
- l’immancabile pusher che è stato anche il testimonial di una campagna sociale organizzata dal Comune della sua città: dopo il successo dello scorso anno dell’iniziativa “Una psicologo per tutti”, ora le strade sono invase dai cartelloni con la sua faccia e lo slogan “Una medicina per tutti”.Gli addetti al lavoro culturale non sono più quelli descritti negli anni cinquanta da Luciano Bianciardi. Al giorno d’oggi nessuno si pone domande sul proprio ruolo nel mondo della comunicazione. L’idealismo politico e la solidarietà per gli oppressi sono argomenti che non interessano minimamente. E forse i nuovi operatori culturali non diventeranno mai quelli delineati nell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, piccoli e insignificanti esseri umani che appaiono solamente in feste, vernissage, anteprime e cocktail letterari per chiedere lavoro inginocchiandosi al personaggio celebre del momento.
Di certo chi di loro ha una seppur vaga sfumatura di senso critico si sta perdendo nella foresta del presente dove le informazioni sono troppo fitte e la luce troppo scarsa per immaginare una via fuga.
Sono una una razza in estinzione, sono i nuovi Panda.
Giovanni Robertini e la giovane illustratrice di Belgrado, Ana Kras ce li ritraggono con intelligenza e ironia, per offrirci poi le chiavi di un’assurda risoluzione.
La metafora dei panda prenderà infatti il sopravvento fino a trasformarsi in una favola sulla fine del lavoro culturale dove l’inaspettato happy end è la ricetta per un barbecue a base di futuro da azzannare.
Uno di loro viene incaricato di descriverli tra grottesca finzione e ironico realismo. L’occasione è la festa di chiusura di una casa editrice, a cui parteciperanno gli esemplari tipici di quel mondo.Eccovi qualche esempio:
- La modella a cui piace la saggistica ma è costretta a leggere Spinoza al cesso del ristorante giapponese con la scusa di dover andare a mettersi due dita in gola per vomitare.
- Il designer che non vende solo sedie, ma stili di vita: occorre sbarazzarsi della sedia vecchia per poter pensare di essere felici, perché ogni sgabello, ogni pouf è un nuovo inizio.
- Il dj con la sua ultima e definitiva composizione che si intitola “Facevo il dj, ora voglio tornare a vivere dai miei” ed è un evidente plagio di 4’33’’ di John Cage. Ma “la sindrome svuota-pista” sembra ora arrivata a una fase acuta, senza ritorno.
- l’organizzatore di eventi che sprizza Ansia ed eccitazione, che sono la sua benzina per incendiare il prossimo evento, perché risplenda di luce propria e ci abbagli per qualche ora.
- l’autrice televisiva che per sopravvivere deve affidarsi alle sempre nuove identità create ad hoc dai giornali di moda a cui è abbonata. È stata, nell’arco di un mese, neohippie, glam, dark lady, fetish e finiana.
- l’immancabile pusher che è stato anche il testimonial di una campagna sociale organizzata dal Comune della sua città: dopo il successo dello scorso anno dell’iniziativa “Una psicologo per tutti”, ora le strade sono invase dai cartelloni con la sua faccia e lo slogan “Una medicina per tutti”.Gli addetti al lavoro culturale non sono più quelli descritti negli anni cinquanta da Luciano Bianciardi. Al giorno d’oggi nessuno si pone domande sul proprio ruolo nel mondo della comunicazione. L’idealismo politico e la solidarietà per gli oppressi sono argomenti che non interessano minimamente. E forse i nuovi operatori culturali non diventeranno mai quelli delineati nell’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, piccoli e insignificanti esseri umani che appaiono solamente in feste, vernissage, anteprime e cocktail letterari per chiedere lavoro inginocchiandosi al personaggio celebre del momento.
Di certo chi di loro ha una seppur vaga sfumatura di senso critico si sta perdendo nella foresta del presente dove le informazioni sono troppo fitte e la luce troppo scarsa per immaginare una via fuga.
Sono una una razza in estinzione, sono i nuovi Panda.
Giovanni Robertini e la giovane illustratrice di Belgrado, Ana Kras ce li ritraggono con intelligenza e ironia, per offrirci poi le chiavi di un’assurda risoluzione.
La metafora dei panda prenderà infatti il sopravvento fino a trasformarsi in una favola sulla fine del lavoro culturale dove l’inaspettato happy end è la ricetta per un barbecue a base di futuro da azzannare.
http://linkmagazine.blogspot.com, 15 ottobre 2010Specie in via d’estinzione
Industria culturale. Il termine fa pensare a un filosofo tedesco con il ditino alzato, a sottolineare le malefatte dei mezzi di comunicazione di massa. Ma anche a un sottobosco popolato di figure umane dalle grandi ambizioni (spesso frustrate) e dai modi di fare barocchi, che si barcamenano tra tipi diversi di “lavoro culturale”. Il tutto condito dall’ansia di emergere. Ed è su questo secondo versante che si schiera Il barbecue del panda, edito da Agenzia X, scritto da Giovanni Robertini - che, tra le altre cose, fa l’autore tv - e illustrato da Ana Kras. Qui vi facciamo leggere uno dei ritratti, dedicato a chi scrive testi per il piccolo schermo. Ad anticipare non solo il volume (già in libreria), ma alcune cosette che prima o poi - teaser! - finiranno su Link.
L’autrice tvNon sa cosa mettersi alla festa. Il dubbio che la moda femminile sia a un punto di stallo, e che non riesca a proporre un immaginario nuovo, la attanaglia.
Ma una pausa di riflessione dai dettami delle riviste di tendenza sarebbe fatale: non è concepibile astenersi, o restare indietro, schiacciata dalle collezioni dell’anno scorso. Se quest’anno torna il viola, viola sia.
Il nostro caro filosofo, assente dalla festa per il solito brutto problema intestinale, direbbe che l’autrice è senza dubbio vittima della questione identitaria legata alla sua professione.
Provate voi a passare senza soluzione di continuità da un talk show sulle esequie di Padre Pio a un reality sulle cubiste delle Riviera, attraverso televendite di materassi ortopedici e inchieste sulla mafia in Cina.
Veloce e affamata, come le dita sui tasti di un telecomando, la ragazza non ha tempo per apprendere e affezionarsi a un programma, che già è costretta a passare al successivo.
Vittima della cultura della discontinuità e dell’oblio, per sopravvivere deve affidarsi alle sempre nuove identità create ad hoc dai giornali di moda a cui è abbonata. È stata, nell’arco di un mese, neo hippie, glam, dark lady, fetish e finiana.
Anche i progetti di vita sono strutturati come il palinsesto della televisione che l’ha messo sotto contratto, rigorosamente “a progetto”. Questa stagione si sposa, la prossima – tornano gli anni Sessanta – la dà a tutti. Fino a luglio è vegana, da settembre sarà trotzkista, e con l’anno nuovo chissà. Come l’editore della festa di stasera, l’autrice si annoia con facilità di tutto e la sua soglia di attenzione è pari a quella del pesce rosso che ha preso quando ha deciso che non voleva più stare da sola in casa.
Sulla sua inseparabile moleskine annota e consulta gli appuntamenti, mai uno uguale all’altro: lunedì lezione di tempura, martedì in prima serata sesso a tre, mercoledì omeopata, giovedì in seconda serata crack, venerdì nulla. Nulla? Nulla non esiste, al massimo ci può essere un break pubblicitario di tre minuti. “Niente” – che in termine tecnico è chiamato “nero” – è inconcepibile.
Per questo la nostra autrice vive malissimo i periodi di riposo, tra una produzione e l’altra, in cui l’horror vacui diventa depressione. Sono settimane di ansiolitici, shopping compulsivo e abbandono traumatico del fidanzato di turno. Ha appena lasciato il montatore del programma di gossip per mettersi col montatore della fiction sul doping, a detta sua “molto più maschio”.
Di notte sogna il vero amore, il programma perfetto e il montatore ideale. Perché la nostra ha un cuore che usa, oltre che per le maratone televisive di beneficenza, anche per un progetto parallelo, un libro di fiabe per bambini. Quei bambini che sono i figli che forse vorrebbe avere, e che il palinsesto non prevede neanche per la prossima stagione: anche nell’ultimo contratto, firmato un mese fa, c’è come clausola sottolineata in rosso e evidenziata in giallo la garanzia dell’utero per i primi tre anni di assunzione.
La prima fiaba l’ha fatta leggere solo al montatore del talk show sulle esequie di Padre Pio, che ha molto apprezzato. Stasera ne parlerà con un attore, già interessato a trasformarla in una sceneggiatura per un film. È la storia di una società di orsetti di peluche che vivono in una realtà molto simile all’umana contemporanea civiltà, devastata dall’odio e dalla guerra.
A un certo punto, da una coppia di questi pupazzi nascerà un essere umano, che col tempo insegnerà a tutti gli orsetti a essere più buoni, liberandosi fisicamente dal loro rivestimento di peluche fino a tornare gli uomini che erano una volta, prima della guerra.
L’autrice tvNon sa cosa mettersi alla festa. Il dubbio che la moda femminile sia a un punto di stallo, e che non riesca a proporre un immaginario nuovo, la attanaglia.
Ma una pausa di riflessione dai dettami delle riviste di tendenza sarebbe fatale: non è concepibile astenersi, o restare indietro, schiacciata dalle collezioni dell’anno scorso. Se quest’anno torna il viola, viola sia.
Il nostro caro filosofo, assente dalla festa per il solito brutto problema intestinale, direbbe che l’autrice è senza dubbio vittima della questione identitaria legata alla sua professione.
Provate voi a passare senza soluzione di continuità da un talk show sulle esequie di Padre Pio a un reality sulle cubiste delle Riviera, attraverso televendite di materassi ortopedici e inchieste sulla mafia in Cina.
Veloce e affamata, come le dita sui tasti di un telecomando, la ragazza non ha tempo per apprendere e affezionarsi a un programma, che già è costretta a passare al successivo.
Vittima della cultura della discontinuità e dell’oblio, per sopravvivere deve affidarsi alle sempre nuove identità create ad hoc dai giornali di moda a cui è abbonata. È stata, nell’arco di un mese, neo hippie, glam, dark lady, fetish e finiana.
Anche i progetti di vita sono strutturati come il palinsesto della televisione che l’ha messo sotto contratto, rigorosamente “a progetto”. Questa stagione si sposa, la prossima – tornano gli anni Sessanta – la dà a tutti. Fino a luglio è vegana, da settembre sarà trotzkista, e con l’anno nuovo chissà. Come l’editore della festa di stasera, l’autrice si annoia con facilità di tutto e la sua soglia di attenzione è pari a quella del pesce rosso che ha preso quando ha deciso che non voleva più stare da sola in casa.
Sulla sua inseparabile moleskine annota e consulta gli appuntamenti, mai uno uguale all’altro: lunedì lezione di tempura, martedì in prima serata sesso a tre, mercoledì omeopata, giovedì in seconda serata crack, venerdì nulla. Nulla? Nulla non esiste, al massimo ci può essere un break pubblicitario di tre minuti. “Niente” – che in termine tecnico è chiamato “nero” – è inconcepibile.
Per questo la nostra autrice vive malissimo i periodi di riposo, tra una produzione e l’altra, in cui l’horror vacui diventa depressione. Sono settimane di ansiolitici, shopping compulsivo e abbandono traumatico del fidanzato di turno. Ha appena lasciato il montatore del programma di gossip per mettersi col montatore della fiction sul doping, a detta sua “molto più maschio”.
Di notte sogna il vero amore, il programma perfetto e il montatore ideale. Perché la nostra ha un cuore che usa, oltre che per le maratone televisive di beneficenza, anche per un progetto parallelo, un libro di fiabe per bambini. Quei bambini che sono i figli che forse vorrebbe avere, e che il palinsesto non prevede neanche per la prossima stagione: anche nell’ultimo contratto, firmato un mese fa, c’è come clausola sottolineata in rosso e evidenziata in giallo la garanzia dell’utero per i primi tre anni di assunzione.
La prima fiaba l’ha fatta leggere solo al montatore del talk show sulle esequie di Padre Pio, che ha molto apprezzato. Stasera ne parlerà con un attore, già interessato a trasformarla in una sceneggiatura per un film. È la storia di una società di orsetti di peluche che vivono in una realtà molto simile all’umana contemporanea civiltà, devastata dall’odio e dalla guerra.
A un certo punto, da una coppia di questi pupazzi nascerà un essere umano, che col tempo insegnerà a tutti gli orsetti a essere più buoni, liberandosi fisicamente dal loro rivestimento di peluche fino a tornare gli uomini che erano una volta, prima della guerra.
Donna moderna, 13 ottobre 2010Il barbecue dei panda
Il barbecue dei panda di Giovanni Robertini (Agenzia X) è uno di quei piccoli libri non facili da recuperare, ma davvero divertenti e soprattutto preziosi per capire come stanno le cose tra i giovani: le loro aspirazioni, la loro mancanza (e disperato bisogno) di futuro. Oggi tutti vogliono fare lavori creativi ma, scrive Robertini: “I moderni creativi assomigliano ormai a timidi panda. Non fanno più sesso e rischiano il suicidio di massa. Si sono nutriti di film, libri e dischi, diventati con il tempo sempre meno saporiti, proprio come il piatto unico degli orsetti tristi: il bambù”. Ogni capitolo descrive un tipo metropolitano: il designer, il dj, l’organizzatore di eventi, l’autrice televisiva, gli intellettuali (quello di sinistra e quello di destra), la modella. Le illustrazioni di Ana Kras, giovane artista di Belgrado, rendono il piatto ancor più saporito. Dodici euro ben investiti.
di Daria Bignardihttp://caterpillar.blog.rai.it, 12 ottobre 2010Il libro della settimana
L’ultimo party del lavoro culturale di Giovanni Robertini. La carne! Il problema non siamo noi panda, ma quello che mangiamo. Abbiamo da sempre sgranocchiato insipido bambù fino a rinchiuderci nella foresta del presente, dove la vegetazione è troppo fitta e la luce troppo scarsa per immaginare un futuro.
Ora il bambù sta per finire e ci sta trascinando verso l’estinzione: glielo impediremo, vero?
Ora il bambù sta per finire e ci sta trascinando verso l’estinzione: glielo impediremo, vero?
Flair, ottobre 2010Giungle urbane
Si continua a chiamarli giovani creativi, ma chi sono, dove vivono, cosa fanno? Non ci sono certezze, solo ipotesi. Come quella di Giovanni Robertini che nel suo libro Il barbecue dei panda (Agenzia X) ce li presenta come esseri precari e in via d’estinzione. Un manuale che ci racconta “ultimo party del lavoro culturale” (da sottotitolo): ovvero una giungla di animali disegnati dalla giovane illustratrice Ana Kras, accompagnati da spietati ritratti sociologici. C’è l’elefante nei panni del ricercatore universitario in perenne attesa di una cattedra, la zebra in quelli della giornalista “che si rilassa solo dal parrucchiere” il coccodrillo in quelli dell’artista che ha ordinato in rete il kit per essere contemporaneo... Ma chi è, secondo la legge del più forte, il re della foresta? Il leone, come da tradizione, che qui incarna il narcisista consapevole: l’unico che sembra godersi la vita.
di Alessandro Beretta