www.rollingstone.it, 22 dicembre 2023Scrivere il nostro tempo prima che lui scriva noi, al premio Dubito 2023
L’undicesima edizione del premio Dubito si è conclusa sabato con la finale al Cox18 di Milano. Un racconto della serata tra punk milanesi, cantautori statunitensi, poeti cileni e giovani performer
Oltrepassata l’imponente parete decorata dal murale di Blu, accediamo al cortile aperto che ci accoglie al Cox18, spazio occupato dal 1976 e punto di riferimento della controcultura milanese, a pochi passi dai Navigli. Proseguendo a destra, nella sala che si sta riempiendo di persone, sentiamo i bassi potenti e le parole di un rapper che canta in italiano, con un testo che parla di controllo digitale e di antifascismo. Il pezzo è Disturbati Army, brano dei Disturbati dalla CUiete, e la voce che sentiamo è quella di Alberto Dubito. Quando è stato pubblicato il disco che lo conteneva, nel novembre del 2012, Alberto non c’era più. Aveva deciso di andarsene, qualche mese prima, lasciando una lettera di addio alla sua famiglia e alcuni hard disk con poesie e testi di canzoni. Lasciando tutti, famigliari, i tanti amici, il compagno di band Davide Tantulli, Sospè, attoniti, a interrogarsi per anni, a cercare di darsi una spiegazione. Costretti a sapere che non sarebbe mai arrivata.
Ma l’energia rabbiosa di Alberto, la sua ironia, i testi profondamente poetici e politici di un duo di ragazzini che a vent’anni aveva già realizzato album, singoli, videoclip, una collaborazione con un programma TV di La7 (e tutto questo in un periodo in cui della musica rap non interessava a nessuno), in qualche modo si era propagata, aveva assunto forme che nessuno si sarebbe aspettato.
Di quello che è accaduto a Treviso, la città di Alberto, la mia città, ho già scritto tempo fa in un lungo articolo per Vice, che oggi fa parte anche di un libro. La rabbia dei suoi amici, che al rifiuto dell’amministrazione leghista di concedere uno spazio per una commemorazione pubblica di un ragazzo amato perché rapper, poeta, leader del movimento studentesco, si trasforma nella spinta a prenderselo, questo spazio, con decine di occupazioni temporanee in diversi edifici abbandonati in città, fino alla nascita del centro sociale Django, spazio in cui convergono movimenti ambientalisti e femministi, ma anche chi si occupa di diritti dei migranti e gruppi artistici.
La famiglia di Alberto – il papà, la mamma e il fratello Lorenzo – decidono parallelamente di ricordare Alberto istituendo un premio che porti il suo nome. Un concorso dedicato alla poetry slam, cioè una gara tra autrici e autori che recitano in versi, in una forma poco ortodossa che include anche il rap e la poesia accompagnata dalla musica. A dare forma all’iniziativa vengono in aiuto il poeta Lello Voce, professore di Alberto alle scuole superiori, che lo aveva indirizzato a partecipare a competizioni di questo tipo (e in cui, come si può immaginare ascoltando le sue canzoni, Alberto Dubito era imbattibile), e la casa editrice milanese Agenzia X, con cui i due fratelli erano in contatto da tempo e che pubblicherà poi una raccolta con tutti i testi di Alberto e dei Disturbati, Erravamo giovani stranieri.
Il Premio Dubito, che da undici edizioni si svolge in due serate, la prima a Treviso ogni 24 aprile (data in cui Alberto è morto) e poi a Milano, a dicembre, dove si tiene la finale, ha di fatto creato un piccolo movimento italiano legato alla poetry slam, coinvolgendo ogni anno giovanissimi partecipanti che nei versi recitati trovano una forma di espressione ricca e fluida, sperimentando con i testi e mescolando generi musicali molto diversi. Eels Shous, Voltus, Gabriele Stera, Astolfo 13, Monosportiva Galli Dal Pan, Kyotolp, sono i nomi di alcuni dei vincitori di questi anni. La famiglia di Alberto, fin dalla prima edizione, ha deciso di donare anche un premio in denaro a supporto dei progetti più meritevoli.
Sarà una serata lunga. Sul palco, per primo, sale lo scrittore Hermann Esselunga, «il più grande poeta della grande distribuzione», con il surreale dialogo tra un nichilista e un capitalista, in un mix molto divertente tra italiano e inglese. Subito dopo, in un collettivo improvvisato, lo storico del movimento operaio Sergio Bologna, che oggi ha 86 anni, reciterà un pezzo trap, in omaggio a Toni Negri e a Mario Tronti, punti di riferimento del pensiero operaista, entrambi scomparsi quest’anno. Il testo, scritto al volo alla notizia della morte di Toni Negri, parte dalla vicenda degli oltre 400 licenziamenti degli operai della GKN via mail o con messaggi su WhatsApp.
La stessa app di messaggistica torna poco dopo, con l’intervento di Laila Sit Aboha, che fa parte del collettivo dei Giovani palestinesi d’Italia. Tutti fanno silenzio mentre lei legge le sconvolgenti testimonianze che la popolazione sotto assedio a Gaza invia impotente attraverso il proprio smartphone. «La casa è piena come una scatola di sardine». «Stanno uccidendo intere famiglie». «Da ieri si fanno operazioni senza anestesia». «Intorno a me sono morte tante persone». «I bambini sono invecchiati molto la scorsa settimana». «Non posso credere a quello che sto vedendo». «Se dovessi morire, tu devi vivere. Per raccontare la mia storia». «Scrivono i nomi dei figli sulle gambe, per rendere possibile l’identificazione. Le nostre gambe racconteranno la nostra storia». In poche parole, ci appare davanti agli occhi la brutalità inimmaginabile che un intero popolo sta subendo. Subito dopo, sale sul palco Dalal Suleiman, attivista di origine palestinese, che reciterà alcune sue poesie accompagnata dalle musiche di Canio Loguercio. Il suo è appello a non perdere la speranza: «Noi insegniamo la vita anche dopo che loro ci hanno occupato l’ultimo cielo».
«Mi piace qui, mi ricorda il CBGB», dice sorridendo Eric Andersen, sedendosi con in mano la chitarra acustica, a fianco della moglie che lo accompagna nella sua breve esibizione, la cantante olandese Inge Andersen. Sarà perché al Cox18, come nei migliori locali di qualche tempo fa, tutti fumano dentro. Andersen, 80 anni portati splendidamente, è un nome importantissimo tra i cantautori statunitensi, protagonista della scena folk del Greenwich Village, amico e autore di brani cantati da Bob Dylan, Johnny Cash, Grateful Dead. In un set breve e intensissimo riesce a far calare in pochi istanti la magia sul pubblico presente. La sua presenza qui è dovuta a un’altra intuizione dello staff del premio, che parallelamente ha istituito, in collaborazione con l’università Ca’ Foscari, una sezione internazionale, con un riconoscimento alla carriera conferito finora all’autore afroamericano Ishmael Reed, al poeta cileno in lotta contro la dittatura di Pinochet Raul Zurita, e allo sperimentatore Giovanni Fontana.
Ed eccoci, finalmente, alle esibizioni del premio Dubito. A presentare gli artisti ci sono Matteo Di Genova, vincitore del premio nel 2017, e Wissal Houbabi, artista italo-marocchina finalista nel 2019, che dal palco invita a unirsi al suo urlo «Palestina libera».
Quest’anno io faccio parte della giuria del premio, insieme a una trentina di giornalisti, critici musicali, musicisti, poetesse e autori, ex vincitori del premio. Sono 99 i partecipanti che si sono iscritti alla competizione, dai background più vari, espressi dai diversi percorsi dei nomi arrivati fino alla finale. Dopo una preselezione che ha scremato 14 artisti, abbiamo votato i 5 finalisti di questa sera sulla base di tre soli brani più l’intenzione artistica. Siamo tutti curiosi di sapere se i voti che abbiamo dato finora rispecchino il valore di chi si trova oggi a esibirsi dal vivo. Per sapere il vincitore, sarà il pubblico a votare: attraverso la sala girano dei bigliettini con i nomi dei finalisti, chi è qui può esprimere la sua preferenza. Vediamo.
Parte Emina, rapper milanese che è anche danzatrice hip hop. Il groove non è niente male, con quell’andamento morbido ispirato dal mondo r’n’b. Dopo di lei c’è il duo formato da Tirgan e Fantini, un progetto di spoken word più teatrale, una performance in cui i due interagiscono alternando canto e versi recitati, in una strana preghiera che chiede «Padre nostro, proteggici dal posto di blocco».
Tocca a Matteo Gorelli, ragazzo toscano che vive a Milano, che si è focalizzato sulla scrittura dopo essere stato arrestato. «Io rappresento il gabbio, rappresento tutti gli esclusi»: la sua energia è viscerale, arriva dal profondo, il dolore che riesce a mettere in parole e versi è autentico e intenso, come nel brano in cui chiama ripetutamente «Mamma». Sul palco è magnetico, ricettivo, sa interagire con il pubblico. A volte è un po’ strabordante, provoca. Ma il suo talento è davvero notevole.
Il set dei BumBumFritz è divertente, con quei loro testi surreali e raffinati, l’incontro tra un attore e musicista che dipingono un mondo assurdo quando vero. E poi, a chiudere le esibizioni, c’è Thybaud Monterisi, autore italo-belga che nella fase di selezione era stato il mio preferito, l’unico a cui avevo dato il massimo dei voti: basi electronoise potentissime e testi ricercati, in un connubio perfetto tra musica e parole.
Bene, ora tocca alla giuria popolare. Nell’attesa di conoscere i vincitori del premio Dubito di quest’anno, il DJ e scrittore Pablito el Drito si occupa della musica, con una serie di pezzi che vanno dai Run DMC alla techno. In un frenetico caos si raccolgono i voti, fino a che Marco Philopat, la mente dietro Agenzia X, e Lello Voce salgono sul palco, chiamando a raccolta i finalisti. A vincere sarà Matteo Gorelli, la cui potenza evidentemente ha colpito i molti presenti. Invitato a cantare l’ultimo brano, ci sarà un po’ di scompiglio, qualche provocazione che va troppo in là, fino a che verrà portato giù dal palco. Nei giorni successivi ci saranno le scuse di Matteo Gorelli, che ha comunque vinto meritatamente per la sua poetica e il mondo che è riuscito a trasmettere in pochi brani.
A un certo punto, durante la serata, viene trasmesso il videoclip di un pezzo dei Disturbati Dalla CUiete, Non c’è più tempo. È un testo potentissimo, accelerato, che si è rivelato tristemente profetico, dove Alberto Dubito scrive «Se muoio giovane spero sia dal ridere, ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi», e dove c’è quel verso «Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me», che esprime tutta l’urgenza che ha riversato nella musica, nella poesia, nella sua vita che è stata un’incessante e incontenibile ricerca di senso e di legami.
Una cosa bella è che molti dei suoi brani saranno reinterpretati in un disco che uscirà nel 2024, cui sta lavorando Davide Sospè, l’altra meta dei Disturbati Dalla CUiete, con un collettivo che si chiama Disturbati Altri, di cui fanno parte molti dei progetti vincitori del premio Dubito di questi anni.
La serata prosegue ancora, ormai è notte. Federico Dragogna, chitarrista dei Ministri, canterà alcuni suoi pezzi acustici, mentre Gaja Ikeagwuana e Laura Amponsah presenteranno una intensissima performance ispirata a Audrey Lorde, la poetessa e attivista nera, femminista e lesbica.
Io nel frattempo mi chiedo quanti, qui dentro, abbiano conosciuto di persona Alberto. Pochissimi, quasi nessuno. Chissà cos’avrebbe pensato di tutto questo, degli spazi occupati, di un premio che porta il suo nome. Qualunque fossero le sue intenzioni, il messaggio è arrivato, si è trasformato, ha preso tante strade inaspettate. C’è vita qui, e dalle periferie arrugginite ha percorso più di mille miglia, per raggiungere punk milanesi, cantautori statunitensi, poeti cileni, giovani performer che provano a raccontarsi attraverso la poesia. Quanta forza possono avere le parole giuste.
di Marco De VidiOltrepassata l’imponente parete decorata dal murale di Blu, accediamo al cortile aperto che ci accoglie al Cox18, spazio occupato dal 1976 e punto di riferimento della controcultura milanese, a pochi passi dai Navigli. Proseguendo a destra, nella sala che si sta riempiendo di persone, sentiamo i bassi potenti e le parole di un rapper che canta in italiano, con un testo che parla di controllo digitale e di antifascismo. Il pezzo è Disturbati Army, brano dei Disturbati dalla CUiete, e la voce che sentiamo è quella di Alberto Dubito. Quando è stato pubblicato il disco che lo conteneva, nel novembre del 2012, Alberto non c’era più. Aveva deciso di andarsene, qualche mese prima, lasciando una lettera di addio alla sua famiglia e alcuni hard disk con poesie e testi di canzoni. Lasciando tutti, famigliari, i tanti amici, il compagno di band Davide Tantulli, Sospè, attoniti, a interrogarsi per anni, a cercare di darsi una spiegazione. Costretti a sapere che non sarebbe mai arrivata.
Ma l’energia rabbiosa di Alberto, la sua ironia, i testi profondamente poetici e politici di un duo di ragazzini che a vent’anni aveva già realizzato album, singoli, videoclip, una collaborazione con un programma TV di La7 (e tutto questo in un periodo in cui della musica rap non interessava a nessuno), in qualche modo si era propagata, aveva assunto forme che nessuno si sarebbe aspettato.
Di quello che è accaduto a Treviso, la città di Alberto, la mia città, ho già scritto tempo fa in un lungo articolo per Vice, che oggi fa parte anche di un libro. La rabbia dei suoi amici, che al rifiuto dell’amministrazione leghista di concedere uno spazio per una commemorazione pubblica di un ragazzo amato perché rapper, poeta, leader del movimento studentesco, si trasforma nella spinta a prenderselo, questo spazio, con decine di occupazioni temporanee in diversi edifici abbandonati in città, fino alla nascita del centro sociale Django, spazio in cui convergono movimenti ambientalisti e femministi, ma anche chi si occupa di diritti dei migranti e gruppi artistici.
La famiglia di Alberto – il papà, la mamma e il fratello Lorenzo – decidono parallelamente di ricordare Alberto istituendo un premio che porti il suo nome. Un concorso dedicato alla poetry slam, cioè una gara tra autrici e autori che recitano in versi, in una forma poco ortodossa che include anche il rap e la poesia accompagnata dalla musica. A dare forma all’iniziativa vengono in aiuto il poeta Lello Voce, professore di Alberto alle scuole superiori, che lo aveva indirizzato a partecipare a competizioni di questo tipo (e in cui, come si può immaginare ascoltando le sue canzoni, Alberto Dubito era imbattibile), e la casa editrice milanese Agenzia X, con cui i due fratelli erano in contatto da tempo e che pubblicherà poi una raccolta con tutti i testi di Alberto e dei Disturbati, Erravamo giovani stranieri.
Il Premio Dubito, che da undici edizioni si svolge in due serate, la prima a Treviso ogni 24 aprile (data in cui Alberto è morto) e poi a Milano, a dicembre, dove si tiene la finale, ha di fatto creato un piccolo movimento italiano legato alla poetry slam, coinvolgendo ogni anno giovanissimi partecipanti che nei versi recitati trovano una forma di espressione ricca e fluida, sperimentando con i testi e mescolando generi musicali molto diversi. Eels Shous, Voltus, Gabriele Stera, Astolfo 13, Monosportiva Galli Dal Pan, Kyotolp, sono i nomi di alcuni dei vincitori di questi anni. La famiglia di Alberto, fin dalla prima edizione, ha deciso di donare anche un premio in denaro a supporto dei progetti più meritevoli.
Sarà una serata lunga. Sul palco, per primo, sale lo scrittore Hermann Esselunga, «il più grande poeta della grande distribuzione», con il surreale dialogo tra un nichilista e un capitalista, in un mix molto divertente tra italiano e inglese. Subito dopo, in un collettivo improvvisato, lo storico del movimento operaio Sergio Bologna, che oggi ha 86 anni, reciterà un pezzo trap, in omaggio a Toni Negri e a Mario Tronti, punti di riferimento del pensiero operaista, entrambi scomparsi quest’anno. Il testo, scritto al volo alla notizia della morte di Toni Negri, parte dalla vicenda degli oltre 400 licenziamenti degli operai della GKN via mail o con messaggi su WhatsApp.
La stessa app di messaggistica torna poco dopo, con l’intervento di Laila Sit Aboha, che fa parte del collettivo dei Giovani palestinesi d’Italia. Tutti fanno silenzio mentre lei legge le sconvolgenti testimonianze che la popolazione sotto assedio a Gaza invia impotente attraverso il proprio smartphone. «La casa è piena come una scatola di sardine». «Stanno uccidendo intere famiglie». «Da ieri si fanno operazioni senza anestesia». «Intorno a me sono morte tante persone». «I bambini sono invecchiati molto la scorsa settimana». «Non posso credere a quello che sto vedendo». «Se dovessi morire, tu devi vivere. Per raccontare la mia storia». «Scrivono i nomi dei figli sulle gambe, per rendere possibile l’identificazione. Le nostre gambe racconteranno la nostra storia». In poche parole, ci appare davanti agli occhi la brutalità inimmaginabile che un intero popolo sta subendo. Subito dopo, sale sul palco Dalal Suleiman, attivista di origine palestinese, che reciterà alcune sue poesie accompagnata dalle musiche di Canio Loguercio. Il suo è appello a non perdere la speranza: «Noi insegniamo la vita anche dopo che loro ci hanno occupato l’ultimo cielo».
«Mi piace qui, mi ricorda il CBGB», dice sorridendo Eric Andersen, sedendosi con in mano la chitarra acustica, a fianco della moglie che lo accompagna nella sua breve esibizione, la cantante olandese Inge Andersen. Sarà perché al Cox18, come nei migliori locali di qualche tempo fa, tutti fumano dentro. Andersen, 80 anni portati splendidamente, è un nome importantissimo tra i cantautori statunitensi, protagonista della scena folk del Greenwich Village, amico e autore di brani cantati da Bob Dylan, Johnny Cash, Grateful Dead. In un set breve e intensissimo riesce a far calare in pochi istanti la magia sul pubblico presente. La sua presenza qui è dovuta a un’altra intuizione dello staff del premio, che parallelamente ha istituito, in collaborazione con l’università Ca’ Foscari, una sezione internazionale, con un riconoscimento alla carriera conferito finora all’autore afroamericano Ishmael Reed, al poeta cileno in lotta contro la dittatura di Pinochet Raul Zurita, e allo sperimentatore Giovanni Fontana.
Ed eccoci, finalmente, alle esibizioni del premio Dubito. A presentare gli artisti ci sono Matteo Di Genova, vincitore del premio nel 2017, e Wissal Houbabi, artista italo-marocchina finalista nel 2019, che dal palco invita a unirsi al suo urlo «Palestina libera».
Quest’anno io faccio parte della giuria del premio, insieme a una trentina di giornalisti, critici musicali, musicisti, poetesse e autori, ex vincitori del premio. Sono 99 i partecipanti che si sono iscritti alla competizione, dai background più vari, espressi dai diversi percorsi dei nomi arrivati fino alla finale. Dopo una preselezione che ha scremato 14 artisti, abbiamo votato i 5 finalisti di questa sera sulla base di tre soli brani più l’intenzione artistica. Siamo tutti curiosi di sapere se i voti che abbiamo dato finora rispecchino il valore di chi si trova oggi a esibirsi dal vivo. Per sapere il vincitore, sarà il pubblico a votare: attraverso la sala girano dei bigliettini con i nomi dei finalisti, chi è qui può esprimere la sua preferenza. Vediamo.
Parte Emina, rapper milanese che è anche danzatrice hip hop. Il groove non è niente male, con quell’andamento morbido ispirato dal mondo r’n’b. Dopo di lei c’è il duo formato da Tirgan e Fantini, un progetto di spoken word più teatrale, una performance in cui i due interagiscono alternando canto e versi recitati, in una strana preghiera che chiede «Padre nostro, proteggici dal posto di blocco».
Tocca a Matteo Gorelli, ragazzo toscano che vive a Milano, che si è focalizzato sulla scrittura dopo essere stato arrestato. «Io rappresento il gabbio, rappresento tutti gli esclusi»: la sua energia è viscerale, arriva dal profondo, il dolore che riesce a mettere in parole e versi è autentico e intenso, come nel brano in cui chiama ripetutamente «Mamma». Sul palco è magnetico, ricettivo, sa interagire con il pubblico. A volte è un po’ strabordante, provoca. Ma il suo talento è davvero notevole.
Il set dei BumBumFritz è divertente, con quei loro testi surreali e raffinati, l’incontro tra un attore e musicista che dipingono un mondo assurdo quando vero. E poi, a chiudere le esibizioni, c’è Thybaud Monterisi, autore italo-belga che nella fase di selezione era stato il mio preferito, l’unico a cui avevo dato il massimo dei voti: basi electronoise potentissime e testi ricercati, in un connubio perfetto tra musica e parole.
Bene, ora tocca alla giuria popolare. Nell’attesa di conoscere i vincitori del premio Dubito di quest’anno, il DJ e scrittore Pablito el Drito si occupa della musica, con una serie di pezzi che vanno dai Run DMC alla techno. In un frenetico caos si raccolgono i voti, fino a che Marco Philopat, la mente dietro Agenzia X, e Lello Voce salgono sul palco, chiamando a raccolta i finalisti. A vincere sarà Matteo Gorelli, la cui potenza evidentemente ha colpito i molti presenti. Invitato a cantare l’ultimo brano, ci sarà un po’ di scompiglio, qualche provocazione che va troppo in là, fino a che verrà portato giù dal palco. Nei giorni successivi ci saranno le scuse di Matteo Gorelli, che ha comunque vinto meritatamente per la sua poetica e il mondo che è riuscito a trasmettere in pochi brani.
A un certo punto, durante la serata, viene trasmesso il videoclip di un pezzo dei Disturbati Dalla CUiete, Non c’è più tempo. È un testo potentissimo, accelerato, che si è rivelato tristemente profetico, dove Alberto Dubito scrive «Se muoio giovane spero sia dal ridere, ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi», e dove c’è quel verso «Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me», che esprime tutta l’urgenza che ha riversato nella musica, nella poesia, nella sua vita che è stata un’incessante e incontenibile ricerca di senso e di legami.
Una cosa bella è che molti dei suoi brani saranno reinterpretati in un disco che uscirà nel 2024, cui sta lavorando Davide Sospè, l’altra meta dei Disturbati Dalla CUiete, con un collettivo che si chiama Disturbati Altri, di cui fanno parte molti dei progetti vincitori del premio Dubito di questi anni.
La serata prosegue ancora, ormai è notte. Federico Dragogna, chitarrista dei Ministri, canterà alcuni suoi pezzi acustici, mentre Gaja Ikeagwuana e Laura Amponsah presenteranno una intensissima performance ispirata a Audrey Lorde, la poetessa e attivista nera, femminista e lesbica.
Io nel frattempo mi chiedo quanti, qui dentro, abbiano conosciuto di persona Alberto. Pochissimi, quasi nessuno. Chissà cos’avrebbe pensato di tutto questo, degli spazi occupati, di un premio che porta il suo nome. Qualunque fossero le sue intenzioni, il messaggio è arrivato, si è trasformato, ha preso tante strade inaspettate. C’è vita qui, e dalle periferie arrugginite ha percorso più di mille miglia, per raggiungere punk milanesi, cantautori statunitensi, poeti cileni, giovani performer che provano a raccontarsi attraverso la poesia. Quanta forza possono avere le parole giuste.
Moodmagazine 21, aprile 2021Alberto Dubito, il giovane errante delle periferie arrugginite
C’è differenza tra “sbaglio” ed “errore”. E se oggi chiudo il pensiero con un punto fermo è perché tempo fa l’avrei fatto con uno di domanda. Parliamoci chiaro, non esistono particolari situazioni limite di uso improprio di uno dei due termini ma è bello sapere di poter andare a fondo delle parole, di conoscerle meglio. Di fatto, a pensarci bene, sono le impalcature che sostengono quelle “grandi costruzioni” di tutti i giorni: le frasi. E ancora di più conversazioni e discorsi, vere e proprie metropoli di pensiero (gioie e paranoie incluse). Se si prova a seguire con lo sguardo il loro profilo, partendo dalla singola lettera, sar. come disegnare il contorno di edifici e palazzi: una sorta di personalissimo skyline.
Così, intrigata dall’orizzonte profilato da “sbaglio” ed “errore”, ci sono voluta entrare. Se il primo è qualcosa di fugace, il secondo è quell’ingranaggio che potrebbe cambiare il corso delle cose. Sebbene “sbagliare” derivi da “abbagliare” – dal latino balium, quindi splendente – la “s” sottrattiva è proprio quella svista che rende diverse due parole che si comportano di fatto come sinonimi (niente sensi di colpa, n.d.r.). Se lo sbaglio è quindi una distrazione inconsapevole e inconscia l’errore può comportare un cambio di rotta: cosa che, non sempre è da considerarsi un male.
“Errore” è figlio di “errare”, dal latino errāre: un verbo dagli intrecci di senso figurato e morale che ho capito grazie ad una persona, o piuttosto tra le sue pagine di prosa, poesia, fotografie e canzoni.
Lui era Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin: era perché Alberto si è spento nel 2012, ma la sua penna brucia ancora e più forte della sua perdita. Erravamo giovani stranieri – edito da Agenzia X nello stesso anno della sua scomparsa – è una raccolta della produzione di Dubito, ovvero immagini. Che fossero spray, marker, il “click” di un’analogica o penne consumate fino all’ultimo: Alberto era un abilissimo regista del pensiero e architetto dello sguardo. Attento osservatore, ha saputo creare delle immagini con qualsiasi strumento avesse per le mani: le parole ad esempio.
Erravamo giovani stranieri è un diario di bordo e di grido di battaglia, forse anche di aiuto. È la cronaca di una generazione di giovani erranti: viaggiatori senza una meta perché in cerca di una, (s)commettitori di errori che portano a cambi di direzione improvvisi, meditati e alle volte anche maledetti. Ci sono però anche erranti che non trovano via d’uscita, come quelli delle sue “periferie arrugginite”: protagoniste in loop di queste pagine e dei testi dei Distubarti dalla CUiete – il duo rap di cui era testo-voce con Dr. Sospè – Davide Tantulli – ai piatti.
Sono passati nove anni da La FrustrAzione del Lunedì (Le altre storie delle Periferie Arrugginite) ma quel disco suona sempre attuale. Sarà la chiarezza dei testi, saranno le basi sperimentali, sarà l’incisività della voce del flusso di coscienza di Alberto Dubito. La forza di questo album, e quella di Santa Bronx – riedizione de La FrustrAzione del Lunedì con poetry comics di Claudio Calla, edita da Squilibri – sta nel laboratorio di suoni incredibile creato da Dr. Sospè e nella la comunicazione incisiva e pungente di un poeta di strada e “militante” della slam poetry. Si tratta di gare di poesia dirette da un MC – Master Of Ceremony. Costola dell’hip hop? Potrebbe darsi, sicuramente per origini e struttura: una sorta di jam di freestyle, nata in un jazz club di Chicago da Marc Smith nel 1984, ma con un contatto diretto con il pubblico, invitato a vivere la performance e a far sentire la propria voce. Ed è questo quello che faceva bruciare Alberto di amore e rabbia. Un realismo sociale urlato al mic per destare dal sonno vite immobili e tempi ciclici delle sue periferie trevigiane, metafora di qualcosa di molto più profondo della descrizione di uno scenario urbano. Santa Bronx – in riferimento a Santa Bona, quartiere operaio dell’hinterland di Treviso dove Alberto è nato e cresciuto, è l’alter ego della disillusione generazionale di chi è cresciuto negli anni a doppio zero. Ciò che nell’introduzione al volume Lello Voce definisce come “tempo […] periferico, freneticamente immobile, smisurato e inafferrabile […]. Un tempo che non è più ciclico, né lineare, ma che piuttosto si limita ad avvolgersi su se stesso, come un loop rimasto incantato sul disco rigido della nostra esistenza […].”
E ai Disturbati Dalla CUiete questo non stava bene, proprio per niente: difatti il loro rap era contaminazione pura. Alle rime real, alle volte criptiche ma sempre inspiegabilmente trasparenti di Dubito si contrappongono gli spazi sonori di Dr. Sospè. Suona così un crossover di generi che aprono dei veri e propri portali verso universi altri: la via d’uscita da una condizione immobile, da un mulinello che né ti porta a fondo ma nemmeno ti lascia risalire.
Cara Città
la tua stazione dorme più ore di me a notte e un po’ la invidio,
al buio le telecamere hanno sostituito dio
canto solo per dirti quanto grigio c’hai impresso
tra i vicoli stanchi e le vie intitolate alle vite sbagliate,
più in là l’aperta campagna con la stessa mentalità chiusa
che tu sia maledetta non ci chiederemo mai scusa
(traccia 10 – Cara città mash up!)
I Disturbati Dalla CUiete sono stati terreno fertile non solo per artisti di poesia con musica – dalla scena rap al cantautorato, passando per la spoken music – ma anche della poesia ad alta voce come la slam poetry e la spoken word. In memoria di Alberto Dubito e del suo essere artisticamente un fiume in piena, nel 2013 nasce il Premio Alberto Dubito – di poesia e con poesia e musica: un bando aperto a giovani poeti, performer, cantautori e rapper (under35) per incentivarne la produzione artistica. Un’idea nata dai coordinatori Marco Philopat – scrittore e giornalista – e Lello Voce – poeta e performer, con la collaborazione di Paolo Cerruto – poeta, per stimolare e valorizzare la poesia come espressione a più punti di vista. Credo che la voce di Alberto Dubito debba essere ascoltata per ancora molto tempo. Questo pezzo è il mio omaggio alla sua anima giovane ed errante, e non potevo farlo in altro modo se non con le parole.
Tre quartine/ per dire chi non siamo
do inchiostro al foglio/ lui si prende la mia mano
la periferia è il disordine/ che vuole, Dista
chilometri dal cuore/ ma è il centro del dolore
(traccia 7 – Periferie Arrugginite)
di Camilla CastellaniCosì, intrigata dall’orizzonte profilato da “sbaglio” ed “errore”, ci sono voluta entrare. Se il primo è qualcosa di fugace, il secondo è quell’ingranaggio che potrebbe cambiare il corso delle cose. Sebbene “sbagliare” derivi da “abbagliare” – dal latino balium, quindi splendente – la “s” sottrattiva è proprio quella svista che rende diverse due parole che si comportano di fatto come sinonimi (niente sensi di colpa, n.d.r.). Se lo sbaglio è quindi una distrazione inconsapevole e inconscia l’errore può comportare un cambio di rotta: cosa che, non sempre è da considerarsi un male.
“Errore” è figlio di “errare”, dal latino errāre: un verbo dagli intrecci di senso figurato e morale che ho capito grazie ad una persona, o piuttosto tra le sue pagine di prosa, poesia, fotografie e canzoni.
Lui era Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin: era perché Alberto si è spento nel 2012, ma la sua penna brucia ancora e più forte della sua perdita. Erravamo giovani stranieri – edito da Agenzia X nello stesso anno della sua scomparsa – è una raccolta della produzione di Dubito, ovvero immagini. Che fossero spray, marker, il “click” di un’analogica o penne consumate fino all’ultimo: Alberto era un abilissimo regista del pensiero e architetto dello sguardo. Attento osservatore, ha saputo creare delle immagini con qualsiasi strumento avesse per le mani: le parole ad esempio.
Erravamo giovani stranieri è un diario di bordo e di grido di battaglia, forse anche di aiuto. È la cronaca di una generazione di giovani erranti: viaggiatori senza una meta perché in cerca di una, (s)commettitori di errori che portano a cambi di direzione improvvisi, meditati e alle volte anche maledetti. Ci sono però anche erranti che non trovano via d’uscita, come quelli delle sue “periferie arrugginite”: protagoniste in loop di queste pagine e dei testi dei Distubarti dalla CUiete – il duo rap di cui era testo-voce con Dr. Sospè – Davide Tantulli – ai piatti.
Sono passati nove anni da La FrustrAzione del Lunedì (Le altre storie delle Periferie Arrugginite) ma quel disco suona sempre attuale. Sarà la chiarezza dei testi, saranno le basi sperimentali, sarà l’incisività della voce del flusso di coscienza di Alberto Dubito. La forza di questo album, e quella di Santa Bronx – riedizione de La FrustrAzione del Lunedì con poetry comics di Claudio Calla, edita da Squilibri – sta nel laboratorio di suoni incredibile creato da Dr. Sospè e nella la comunicazione incisiva e pungente di un poeta di strada e “militante” della slam poetry. Si tratta di gare di poesia dirette da un MC – Master Of Ceremony. Costola dell’hip hop? Potrebbe darsi, sicuramente per origini e struttura: una sorta di jam di freestyle, nata in un jazz club di Chicago da Marc Smith nel 1984, ma con un contatto diretto con il pubblico, invitato a vivere la performance e a far sentire la propria voce. Ed è questo quello che faceva bruciare Alberto di amore e rabbia. Un realismo sociale urlato al mic per destare dal sonno vite immobili e tempi ciclici delle sue periferie trevigiane, metafora di qualcosa di molto più profondo della descrizione di uno scenario urbano. Santa Bronx – in riferimento a Santa Bona, quartiere operaio dell’hinterland di Treviso dove Alberto è nato e cresciuto, è l’alter ego della disillusione generazionale di chi è cresciuto negli anni a doppio zero. Ciò che nell’introduzione al volume Lello Voce definisce come “tempo […] periferico, freneticamente immobile, smisurato e inafferrabile […]. Un tempo che non è più ciclico, né lineare, ma che piuttosto si limita ad avvolgersi su se stesso, come un loop rimasto incantato sul disco rigido della nostra esistenza […].”
E ai Disturbati Dalla CUiete questo non stava bene, proprio per niente: difatti il loro rap era contaminazione pura. Alle rime real, alle volte criptiche ma sempre inspiegabilmente trasparenti di Dubito si contrappongono gli spazi sonori di Dr. Sospè. Suona così un crossover di generi che aprono dei veri e propri portali verso universi altri: la via d’uscita da una condizione immobile, da un mulinello che né ti porta a fondo ma nemmeno ti lascia risalire.
Cara Città
la tua stazione dorme più ore di me a notte e un po’ la invidio,
al buio le telecamere hanno sostituito dio
canto solo per dirti quanto grigio c’hai impresso
tra i vicoli stanchi e le vie intitolate alle vite sbagliate,
più in là l’aperta campagna con la stessa mentalità chiusa
che tu sia maledetta non ci chiederemo mai scusa
(traccia 10 – Cara città mash up!)
I Disturbati Dalla CUiete sono stati terreno fertile non solo per artisti di poesia con musica – dalla scena rap al cantautorato, passando per la spoken music – ma anche della poesia ad alta voce come la slam poetry e la spoken word. In memoria di Alberto Dubito e del suo essere artisticamente un fiume in piena, nel 2013 nasce il Premio Alberto Dubito – di poesia e con poesia e musica: un bando aperto a giovani poeti, performer, cantautori e rapper (under35) per incentivarne la produzione artistica. Un’idea nata dai coordinatori Marco Philopat – scrittore e giornalista – e Lello Voce – poeta e performer, con la collaborazione di Paolo Cerruto – poeta, per stimolare e valorizzare la poesia come espressione a più punti di vista. Credo che la voce di Alberto Dubito debba essere ascoltata per ancora molto tempo. Questo pezzo è il mio omaggio alla sua anima giovane ed errante, e non potevo farlo in altro modo se non con le parole.
Tre quartine/ per dire chi non siamo
do inchiostro al foglio/ lui si prende la mia mano
la periferia è il disordine/ che vuole, Dista
chilometri dal cuore/ ma è il centro del dolore
(traccia 7 – Periferie Arrugginite)
www.altrementiblog.it, 12 aprile 2015 E se muoio giovane, spero sia dal ridere
Avere a che fare con Alberto Dubito e volerne parlare è piuttosto difficile.
La sua poesia è sconosciuta ai più nonostante Alberto fosse uno studente della Statale di Milano, e scriverne riempie di un senso di inadeguatezza dovuto probabilmente alla sempiterna impossibilità di raccontare compiutamente un’opera poetica.
I suoi testi, come li definisce Giorgio Fontana, sono il caleidoscopio di vertigini e disagi dei vent’anni, e la potenza e l’intimità dei suoi versi mostrano un talento poetico precoce e vivacissimo.
Alberto Dubito (al secolo Alberto Feltrin) è nato nel 1991 a Treviso, e vi è morto nel 2012 volando giù dalla sua finestra in Via San Pelaio.
La sua opera comprende poesie, prose, canzoni e immagini, e racchiude la potenza e l’angoscia della vita nelle periferie arrugginite di Treviso, dipingendone la monotonia e i controsensi, la rabbia e la tristezza di non trovare evasione in nessun’altro luogo.
Benché la sua tragica fine possa mostrare il contrario, il messaggio più profondo della sua letteratura è un violento invito a non arrendersi, l’urgente necessità di esserci e mantenersi vivi.
La sua poetica è lontana dalla rassegnazione, è una preghiera a tratti sussurrata e a tratti urlata alla resistenza, un’invocazione alla lotta contro il grigio del cielo che pare pronto a caderci in testa da un istante all’altro.
La tragicità dei suoi scritti è dettata dalla presa di coscienza della solitudine dell’individuo e della vacuità asfissiante della sua civiltà, che offre idoli prefabbricati di felicità vuote.
Non è più possibile rassegnarsi al gioco della quotidianità in una realtà che si sgretola sotto i piedi e che costringe in infiniti palazzoni tutti uguali; si resta paralizzati dal dubbio che queste esistenze in serie portino solo più a fondo nelle spirali di inquietudini che sono città e periferie dipinte da Dubito.
La poesia diviene allora l’unico mezzo possibile con cui attraversare questa spirale per portarne al di fuori la propria invocazione a resistere.
La produzione di Alberto è raccolta nel libro: Erravamo giovani stranieri, pubblicato da Agenzia X e leggibile e scaricabile su www.albertodubito.it; alla sua opera è dedicato il Premio Alberto Dubito di Poesia e Poesia con Musica per giovani poeti emergenti, e le sue parole, a tre anni dalla scomparsa, continuano a vivere grazie all’attività di alcune realtà collettive milanesi (Agenzia X, Slam X e il collettivo TempidiVersi).
(Chiamo il mio cane fantasia, vive nella mia anarchia
sbrana i tuoi atteggiamenti da ricca fiammiferaia povera
aspira l’aria nera del quartiere e butta fuori
butta fuori anidride senza colori)
Ciò che maggiormente impressiona nella lettura dei suoi versi è l’utilizzo della lingua con cui Alberto si racconta: una parola vivacemente musicale lontanissima dai fronzoli e dall’artificiosità di molti contemporanei, incastrata in soluzioni metriche diversissime e capace di altalenare tra citazioni classiche e imprecazioni moderne, sintesi caotica di influenze diverse che sa mostrare con sorprendente spontaneità le possibilità del linguaggio poetico di oggi.
Sin dai primi versi l’ipocrita lettore viene smascherato per poi essere condotto nel percorso intimo e incerto degli ultimi cinque anni della vita di Dubito, alle cui parole sono accompagnati luoghi, immagini e prose, fino ai testi dell’album postumo dei Disturbati dalla Cuiete, gruppo hip hop sperimentale di cui Alberto era voce.
La lettura dei suoi testi riempie di inquietudine e di rabbia, la semplicità e la spontaneità della sua parola lo rendono uno dei più vivi e sconcertanti autori che abbia avuto sottomano.
Dubito è capace di scrivere il nostro tempo e alcuni dei nostri luoghi come mai mi è capitato di leggerli, e per questo merita una lettura attenta e ad alta voce, soprattutto da parte di chi ha la fortuna di errare ancora da giovane straniero.
Roma col bene che ti voglio, sciogli luglio
Il rumore del treno sulle mie poche ore di sonno…
andiamo a rimini tristi e facciamoci rubare tutto,
anche le otturazioni ai denti.
e viviamo per sempre poveri e sorridenti
– Siamo quelli che bevono vodka calda fuori dalle discoteche
in riva al mare,
distesi sugli zaini pieni di roba sporca e salata –
A firenze mi perdo in un ex manicomio per trovare una dancehall,
e finiamo in campo marte a dormire tra i crateri
Scolo il mio luglio disteso sotto l’ombra di giordano bruno
mentre fumo l’agosto che verrà.
leggo sade e mi convinco della pazzia umana,
leggo su un muro al belzebook, nel quartiere di san lorenzo che
la mia gente non ha certo un nome
non si trova sui libri di storia
a volte è perduta
a volte è arrabbiata
o allegra o sola
o (solamente) ubriaca
E mi schifo scoprendo essere una citazione ai modenacityecc.
E magari mi trasferisco a caput mundi,
per scrivere dialoghi in fiction del cazzo e campare di scrittura
disadattata.
e Magari mi trasferisco in un palazzone occupato vicino all’ESC
e torno a vivere Malamente di poesia triste e patetica
Torno a dormire in spiaggia come quando avevo quindic’anni,
a svegliarsi con la bocca impastata della domenica mattina, (di
mercoledì)
e la lingua costellata di granelli di sabbia,
e solo ettari di acqua salata da bere.
con un cielo che sembra un enorme coperchio per questo
mondo sotto pressione
Torno a fare festa sulla spiaggia, a pestare la sabbia a piedi nudi.
e a salire sopra al bus navetta mentre la macchina dei carabinieri
accosta per noi
a noi che abbiamo le mutande piene
E stormi di gabbiani che ridono sinistri
tra le orge di palazzoni nel centro di roma.
e pattuglie a ogni angolo
Ti dico che mi manca lo scirocco dei tuoi sospiri…
Giorgio De AmbrogioLa sua poesia è sconosciuta ai più nonostante Alberto fosse uno studente della Statale di Milano, e scriverne riempie di un senso di inadeguatezza dovuto probabilmente alla sempiterna impossibilità di raccontare compiutamente un’opera poetica.
I suoi testi, come li definisce Giorgio Fontana, sono il caleidoscopio di vertigini e disagi dei vent’anni, e la potenza e l’intimità dei suoi versi mostrano un talento poetico precoce e vivacissimo.
Alberto Dubito (al secolo Alberto Feltrin) è nato nel 1991 a Treviso, e vi è morto nel 2012 volando giù dalla sua finestra in Via San Pelaio.
La sua opera comprende poesie, prose, canzoni e immagini, e racchiude la potenza e l’angoscia della vita nelle periferie arrugginite di Treviso, dipingendone la monotonia e i controsensi, la rabbia e la tristezza di non trovare evasione in nessun’altro luogo.
Benché la sua tragica fine possa mostrare il contrario, il messaggio più profondo della sua letteratura è un violento invito a non arrendersi, l’urgente necessità di esserci e mantenersi vivi.
La sua poetica è lontana dalla rassegnazione, è una preghiera a tratti sussurrata e a tratti urlata alla resistenza, un’invocazione alla lotta contro il grigio del cielo che pare pronto a caderci in testa da un istante all’altro.
La tragicità dei suoi scritti è dettata dalla presa di coscienza della solitudine dell’individuo e della vacuità asfissiante della sua civiltà, che offre idoli prefabbricati di felicità vuote.
Non è più possibile rassegnarsi al gioco della quotidianità in una realtà che si sgretola sotto i piedi e che costringe in infiniti palazzoni tutti uguali; si resta paralizzati dal dubbio che queste esistenze in serie portino solo più a fondo nelle spirali di inquietudini che sono città e periferie dipinte da Dubito.
La poesia diviene allora l’unico mezzo possibile con cui attraversare questa spirale per portarne al di fuori la propria invocazione a resistere.
La produzione di Alberto è raccolta nel libro: Erravamo giovani stranieri, pubblicato da Agenzia X e leggibile e scaricabile su www.albertodubito.it; alla sua opera è dedicato il Premio Alberto Dubito di Poesia e Poesia con Musica per giovani poeti emergenti, e le sue parole, a tre anni dalla scomparsa, continuano a vivere grazie all’attività di alcune realtà collettive milanesi (Agenzia X, Slam X e il collettivo TempidiVersi).
(Chiamo il mio cane fantasia, vive nella mia anarchia
sbrana i tuoi atteggiamenti da ricca fiammiferaia povera
aspira l’aria nera del quartiere e butta fuori
butta fuori anidride senza colori)
Ciò che maggiormente impressiona nella lettura dei suoi versi è l’utilizzo della lingua con cui Alberto si racconta: una parola vivacemente musicale lontanissima dai fronzoli e dall’artificiosità di molti contemporanei, incastrata in soluzioni metriche diversissime e capace di altalenare tra citazioni classiche e imprecazioni moderne, sintesi caotica di influenze diverse che sa mostrare con sorprendente spontaneità le possibilità del linguaggio poetico di oggi.
Sin dai primi versi l’ipocrita lettore viene smascherato per poi essere condotto nel percorso intimo e incerto degli ultimi cinque anni della vita di Dubito, alle cui parole sono accompagnati luoghi, immagini e prose, fino ai testi dell’album postumo dei Disturbati dalla Cuiete, gruppo hip hop sperimentale di cui Alberto era voce.
La lettura dei suoi testi riempie di inquietudine e di rabbia, la semplicità e la spontaneità della sua parola lo rendono uno dei più vivi e sconcertanti autori che abbia avuto sottomano.
Dubito è capace di scrivere il nostro tempo e alcuni dei nostri luoghi come mai mi è capitato di leggerli, e per questo merita una lettura attenta e ad alta voce, soprattutto da parte di chi ha la fortuna di errare ancora da giovane straniero.
Roma col bene che ti voglio, sciogli luglio
Il rumore del treno sulle mie poche ore di sonno…
andiamo a rimini tristi e facciamoci rubare tutto,
anche le otturazioni ai denti.
e viviamo per sempre poveri e sorridenti
– Siamo quelli che bevono vodka calda fuori dalle discoteche
in riva al mare,
distesi sugli zaini pieni di roba sporca e salata –
A firenze mi perdo in un ex manicomio per trovare una dancehall,
e finiamo in campo marte a dormire tra i crateri
Scolo il mio luglio disteso sotto l’ombra di giordano bruno
mentre fumo l’agosto che verrà.
leggo sade e mi convinco della pazzia umana,
leggo su un muro al belzebook, nel quartiere di san lorenzo che
la mia gente non ha certo un nome
non si trova sui libri di storia
a volte è perduta
a volte è arrabbiata
o allegra o sola
o (solamente) ubriaca
E mi schifo scoprendo essere una citazione ai modenacityecc.
E magari mi trasferisco a caput mundi,
per scrivere dialoghi in fiction del cazzo e campare di scrittura
disadattata.
e Magari mi trasferisco in un palazzone occupato vicino all’ESC
e torno a vivere Malamente di poesia triste e patetica
Torno a dormire in spiaggia come quando avevo quindic’anni,
a svegliarsi con la bocca impastata della domenica mattina, (di
mercoledì)
e la lingua costellata di granelli di sabbia,
e solo ettari di acqua salata da bere.
con un cielo che sembra un enorme coperchio per questo
mondo sotto pressione
Torno a fare festa sulla spiaggia, a pestare la sabbia a piedi nudi.
e a salire sopra al bus navetta mentre la macchina dei carabinieri
accosta per noi
a noi che abbiamo le mutande piene
E stormi di gabbiani che ridono sinistri
tra le orge di palazzoni nel centro di roma.
e pattuglie a ogni angolo
Ti dico che mi manca lo scirocco dei tuoi sospiri…
www.ragusaoggi.it, 5 gennaio 2014 Tempi diVersi. Un omaggio alla poesia di Alberto Dubito
"Ci muoviamo a tempo di lancette , ma dovremmo fermarci a leggere versi. L’orologio trova la sua attendibilità in una società che intende il tempo esclusivamente come durata, determinando un’ansia che la poesia non conosce, ed è capace di stemperare. Per questo attacchiamo poesie sui pali degli orologi pubblici, per provare a placare la frenesia urbana, e comunicare"
Tempi diVersi è un collettivo poetico e artistico che abbraccia chi voglia valorizzare la parola e apprezzi l’interferenza di una poesia che sa far dimenticare lo scorrere del tempo; vogliono strappare spazi ai non luoghi e momenti al non tempo di quest’epoca; vogliono condividere, animare e creare nuove aspettative per ciò che riguarda la poesia e l’arte di strada come veicoli basilari per la sopravvivenza culturale della città, confidando in tempi diversi. Quest’iniziativa, nata nel gennaio 2013, non voleva essere il solito concorso di poesia con vinti e vincitori, pubblicazioni e letture dal palco, bensì una raccolta di testi da diffondere per la città, di modo da rendere la poesia viva e fruibile, come spesso non è sulle antologie scolastiche o negli elitari circoli poetici.
Rendere la poesia la protagonista assoluta.
Magia e scalpitanti emozioni, due giorni fa, presso il caffè letteraio Hemingway, a Modica.
A dar voce all’incontro è stato il giovane milanese Paolo Cerruto (vincitore del Premio Ferranti 2009 e del Premio Subway 2010), che ha letto i pensieri trascritti in un libro del giovane Alberto Dubito, che ha abbandonato la vita, l’anno scorso, troppo presto.
Alberto è stato poeta, musicista, fotografo, street artist.
Erravamo giovani stranier è una raccolta di poesie e prosa, tra canzoni ed immagini, scritta da lui stesso.
In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna, spesso in modi imprevisti, all’introspezione ed all’empatia. I suoi personaggi erranti popolano un’immaginario che sovrappone periferie dell’animo e realismo sociale, dipingendo affreschi visionari dai molteplici piani di lettura.
Ad accompagnare questi splendidi versi, sono state le note di sottofondo di Andrea Agosta, poeta e cantautore modicano che ci ha deliziati l’udito accarezzando dolcemente le corde della propria chitarra. E di Giovanni Arezzo, in arte Soulcè, che insieme ad Adriano Padua, hanno dato voce ad alcune delle loro sensazionali creazioni, coinvolgendo il pubblico presente a ritmo di versi.
Un’atmosfera piacevole, rilassante, emozionante e coinvolgente che solo la poesia è in grado di creare.
È il modo più aulico e sublime col quale si possa comunicare e comunicarsi. È in ogni dove, dal Sud al Nord del mondo, passato e presente. E questi giovani ragazzi, ce lo insegnano ed ogni giorno ce la mettono tutta. Potete dare un’occhiata alla loro pagina facebook per tenervi aggiornati, apprezzando "Tempi diVersi". Condividendo parole, insieme, facendovi finalmente sentire, utilizzando un mezzo che perdurerà nel tempo: la poesia, sconfinata come la bellezza che non si può arginare in confini, sarebbe limitante e riduttivo.
di Federica FarnisiTempi diVersi è un collettivo poetico e artistico che abbraccia chi voglia valorizzare la parola e apprezzi l’interferenza di una poesia che sa far dimenticare lo scorrere del tempo; vogliono strappare spazi ai non luoghi e momenti al non tempo di quest’epoca; vogliono condividere, animare e creare nuove aspettative per ciò che riguarda la poesia e l’arte di strada come veicoli basilari per la sopravvivenza culturale della città, confidando in tempi diversi. Quest’iniziativa, nata nel gennaio 2013, non voleva essere il solito concorso di poesia con vinti e vincitori, pubblicazioni e letture dal palco, bensì una raccolta di testi da diffondere per la città, di modo da rendere la poesia viva e fruibile, come spesso non è sulle antologie scolastiche o negli elitari circoli poetici.
Rendere la poesia la protagonista assoluta.
Magia e scalpitanti emozioni, due giorni fa, presso il caffè letteraio Hemingway, a Modica.
A dar voce all’incontro è stato il giovane milanese Paolo Cerruto (vincitore del Premio Ferranti 2009 e del Premio Subway 2010), che ha letto i pensieri trascritti in un libro del giovane Alberto Dubito, che ha abbandonato la vita, l’anno scorso, troppo presto.
Alberto è stato poeta, musicista, fotografo, street artist.
Erravamo giovani stranier è una raccolta di poesie e prosa, tra canzoni ed immagini, scritta da lui stesso.
In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna, spesso in modi imprevisti, all’introspezione ed all’empatia. I suoi personaggi erranti popolano un’immaginario che sovrappone periferie dell’animo e realismo sociale, dipingendo affreschi visionari dai molteplici piani di lettura.
Ad accompagnare questi splendidi versi, sono state le note di sottofondo di Andrea Agosta, poeta e cantautore modicano che ci ha deliziati l’udito accarezzando dolcemente le corde della propria chitarra. E di Giovanni Arezzo, in arte Soulcè, che insieme ad Adriano Padua, hanno dato voce ad alcune delle loro sensazionali creazioni, coinvolgendo il pubblico presente a ritmo di versi.
Un’atmosfera piacevole, rilassante, emozionante e coinvolgente che solo la poesia è in grado di creare.
È il modo più aulico e sublime col quale si possa comunicare e comunicarsi. È in ogni dove, dal Sud al Nord del mondo, passato e presente. E questi giovani ragazzi, ce lo insegnano ed ogni giorno ce la mettono tutta. Potete dare un’occhiata alla loro pagina facebook per tenervi aggiornati, apprezzando "Tempi diVersi". Condividendo parole, insieme, facendovi finalmente sentire, utilizzando un mezzo che perdurerà nel tempo: la poesia, sconfinata come la bellezza che non si può arginare in confini, sarebbe limitante e riduttivo.
www.rollingstonemagazine.it, 21 settembre 2013 Premio Dubito: ecco l’erede per la spoken music di Alberto
Di Alberto Dubito vi avevamo parlato giusto un anno fa, recensendo il disco e appassionandoci alla sua vicenda umana e, soprattutto, artistica. Ora ne osserviamo i frutti, perché, se un artista così giovane riesce ad avere tanti trasversali consensi, pure dopo la sua lacerante e drammatica dipartita, continuerà la sua opera nella memoria. Banale forse, ma così è. Quindi il Premio Dubito in collaborazione con Agenzia X, a favore di artisti emergenti sotto i trent’anni, impegnati in poesia con musica, in quel qualcosa che vive fra rap e poesia, la spoken music.
Si sono ritrovati sabato scorso a Treviso, sotto un ex capannone della Telecom occupato, così come avrebbe voluto Alberto Feltrin, in arte Dubito. In giuria Nanni Balestrino, Aldo Nove, Vasco Brondi, Marco Philopat, Frank Nemola, Lello Voce, Andrea Scarabelli, Emanuele Trevi, gli Assalti Frontali, Erica Boschiero, Kento, Davide Sospè, l’altra metà dei DDCU (i Disturbati dalla CUiete, il gruppo di Alberto), Luigi Nacci e molti altri, a confermare l’impegno di chi, questa memoria, vuole farla crescere artisticamente, magari partendo da chi ha amato l’opera di Dubito.
Il vincitore è stato Gabriele Stera, come recita la bio: “Nasce il 02/04/1993 a Trieste, scrive da quando ne ha memoria, all’età di 13 anni inizia a produrre musica elettronica e ad appassionarsi al beatmaking. Ascolta, legge e pensa molto. A 19 anni comincia a fondere parole e musica per la prima volta. A 20 continua”. Il minimo, il giusto che si sappia di lui.
di Luca PakarovSi sono ritrovati sabato scorso a Treviso, sotto un ex capannone della Telecom occupato, così come avrebbe voluto Alberto Feltrin, in arte Dubito. In giuria Nanni Balestrino, Aldo Nove, Vasco Brondi, Marco Philopat, Frank Nemola, Lello Voce, Andrea Scarabelli, Emanuele Trevi, gli Assalti Frontali, Erica Boschiero, Kento, Davide Sospè, l’altra metà dei DDCU (i Disturbati dalla CUiete, il gruppo di Alberto), Luigi Nacci e molti altri, a confermare l’impegno di chi, questa memoria, vuole farla crescere artisticamente, magari partendo da chi ha amato l’opera di Dubito.
Il vincitore è stato Gabriele Stera, come recita la bio: “Nasce il 02/04/1993 a Trieste, scrive da quando ne ha memoria, all’età di 13 anni inizia a produrre musica elettronica e ad appassionarsi al beatmaking. Ascolta, legge e pensa molto. A 19 anni comincia a fondere parole e musica per la prima volta. A 20 continua”. Il minimo, il giusto che si sappia di lui.
L'Indice dei libri del mese, settembre 2013 Alberto Dubito, Erravamo giovani stranieri. Poesie, prose, canzoni, immagini
Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin, è stato cantante, autore e poeta metropolitano prima di suicidarsi alla giovanissima età di ventun anni, nel 2012; Erravamo giovani stranieri, pubblicato da Agenzia X, casa editrice per cui Alberto ha lavorato, è un omaggio alla sua memoria e la testimonianza della natura violenta e genuina della sua ispirazione artistica. Si propone come un compendio, una raccolta variegata di tutto quanto Dubito ha prodotto nella sua brevissima carriera: dalle canzoni composte e realizzate con il gruppo musicale dei Disturbati Dalla CUiete, alle poesie e alle prose affidate a diari e quaderni, in attesa forse di una sistemazione che desse loro la forma di libro. La maggior parte dei testi sono brevi illuminazioni, in cui la parola non riesce a distendersi nella ragionata misura della prosa, ma viene investita dalla foga incendiaria di uno spirito tanto rabbioso quanto ingenuo, che trova espressione nel ritmo sincopato del verso (che deve più ai canoni musicali del rap che alle norme della “tradizionale” versificazione irregolare). Dalle prime poesie, scritte ancora tra i banchi di scuola, fino alle ultime, composte a Roma, Londra, Parigi e Milano (ma tornando sempre nella Treviso natale), non cambia l’orizzonte, quello di un “io contro tutti” fatto di risentimento, rabbia e frustrazione. Al centro è il tema del disagio, il senso di esclusione e di differenza, tanto del soggetto che parla quanto della sua generazione, quella dei “fortunati & fottuti / sempre in bilico tra la fine di un mondo vecchio / e l’inizio del nuovo”. Una generazione che è stata usurpata del proprio futuro e anche delle parole per dirlo; la generazione di chi dovrà fare tutto da sé, senza aspettare che un padre o una madre arrivino a risolvere le cose (“Siamo solo figli di noi ma di noi / non sappiamo più che fare”). Dubito dà voce al rifiuto di chi accetta anche la sconfitta pur di non compromettersi con una società ipocrita e decadente, che chiude ognuno in una solitudine dalla quale neanche l’amore può dare asilo. E contro questo mondo che opprime e corrode l’unica azione possibile è “darsi fuoco”, mostrarsi straniero, bruciare nello scandalo senza pentimento, nell’oscura convinzione che per ridestare il mondo da questa inerzia sia necessario, come diceva Rimbaud, andare fino in fondo: “E se moriremo, moriremo guariti come Zanzotto. Solo che lui è ancora vivo. E anche noi”.
di Giacomo Racciswww.carmillaonline.com, 7 luglio 2013 Memorie tra le rime: il premio Dubito
Qualche anno fa sono rimasto letteralmente scioccato per la morte di un ragazzo, un giovane antifascista di Treviso che aveva subito delle persecuzioni da parte di alcune frange naziskin del nordest e che, entrato in una spirale depressiva, si era tolto la vita. Conoscevo la famiglia di quel ragazzo, Giuliano Bruno Mignani, perché il nonno materno è un importante scrittore argentino cui sono amico e traduttore, Osvaldo Bayer. Un libro di Bayer, il Severino Di Giovanni, è stato pubblicato dalla casa editrice Agenzia x, con cui avevo un accordo sulla stesura di un mio romanzo che avrebbe raccontato un’altra storia finita male. Mentre limavo alcune asperità del mio titolo, in vista di una futura pubblicazione, ho ricevuto un giorno una telefonata dall’editore, estremamente abbattuto. Mi informava che si era appena suicidato un loro giovanissimo collaboratore, Alberto Feltrin, detto “Dubito”, un ragazzo che stava raccogliendo per la pubblicazione una serie di rime rap molto potenti. Il nome non mi diceva nulla ma la sua città d’origine mi ha colpito: era di nuovo Treviso, la stessa città dove era cresciuto Giuliano, e ho subito pensato che nel tessuto sociale del nordest ci fosse qualcosa di estremamente inquietante. Non mi era però venuto in mente che Alberto Feltrin e Giuliano Bruno erano due coetanei, entrambi inquieti e vicini ai movimenti antagonisti, che vivevano in una piccola città e che pertanto dovevano conoscersi.
Il caso ha voluto che fosse proprio la figlia dello scrittore Osvaldo Bayer a segnalarmi questo nesso. Poche ore dopo la morte di Feltrin Ana mi ha scritto, sconvolta, dicendo che un compagno di scuola di Giuliano si era buttato dal terzo piano della propria abitazione. Era Alberto “Dubito”, che aveva deciso di andarsene proprio come Giuliano. Le coincidenze non erano finite. Le due famiglie si conoscevano e Ana era rimasta sorpresa venendo a sapere che la casa editrice che aveva pubblicato un libro di suo padre (un libro che in Argentina era stato bruciato nelle pubbliche piazze durante la dittatura militare, mentre l’autore riparava in esilio in Europa), stava per mandare in stampa le poesie postume di Alberto Feltrin.
Le coincidenze non finiscono lì e la storia ha un seguito. Ana va a trovare i genitori di Alberto e questi le dicono che il progetto grafico del Severino è stato fatto proprio da Alberto “Dubito”. “Dubito” aveva realizzato la A dell’anarchia che poi la grafica aveva posto dietro la foto segnaletica di Severino Di Giovanni. Era stato proprio il padre di Alberto a ricordarselo e a dirlo a Ana. A quel punto, molto stupito, visto che il progetto del libro l’avevo seguito anch’io nelle vesti di traduttore, telefono all’editore e lui stesso mi conferma l’episodio. Intanto la casa editrice manda in stampa le rime di Feltrin. Il risultato è Erravamo giovani stranieri e siccome non spetta all’oste dire quanto è buono il vino, vi dico solo: “leggetevelo”. Intanto però i mesi passano e io mi ritrovo, pochi giorni fa, a partecipare a un reading a Padova, uno “slam” in cui scrittori e musicisti salgono sul palco e la lettura di brani di libri si alterna a musica e rime rap. A metà serata Agenzia x lancia dai microfoni un annuncio: i familiari di Alberto Feltrin hanno bandito un concorso letterario per giovani rimatori, con un premio in denaro e la pubblicazione del libro da parte della casa editrice Agenzia X. I dettagli li trovate qui. Un modo per onorare la memoria di un giovane redattore, di un poeta e di un attivista con troppe poche lune alle spalle. Un modo per far la pace con le ferite, per continuare a sentir risuonare quelle rime, per sentire ancora la sua voce.
Le coincidenze di questa strana e perturbante storia, che mescola editoria e morte, libri e memorie di vita fino a profondità quasi inquietanti, non sono finite. A Padova, al festival di Sherwood, al banchetto dei libri di Agenzia X c’è un ragazzo. Ci mettiamo a parlare. Lorenzo ha un’aurea molto positiva, intellettuale sì, ma senza fronzoli, senza maniere, diretto come una rima rap. Parliamo di precariato, di studi, di letture e di editoria. Qualcuno mi indica un suo libro sulla musica delle periferie londinesi, pubblicato proprio da Agenzia x. E aggiunge che lui è il fratello di Alberto “Dubito”. Lorenzo mi dice che sta per finire gli studi a Londra e che dopo farà un po’ di lavoro redazionale proprio con Agenzia x. Su di lui ci sono delle leggende: pare che legga così tanto che non ha mai trovato il tempo e la voglia di vedere un film. Gli chiedo dove studia a Londra e rimango stupito quando apprendo che frequenta un’università che ospita anche i seminari di David Graeber, l’antropologo americano anticapitalista di cui ho tradotto molti libri in italiano. Un cerchio tra editoria e vita che mi dà alla testa. E forse la colpa non è tutta solo della birra che ci siamo bevuti, onorando a nostro modo la memoria di Alberto Feltrin e di tutti quelli che in questa piccola storia di cinquemila battute non ci sono più ma ci parlano attraverso le righe date in stampa da una piccola editrice antagonista.
di Alberto PrunettiIl caso ha voluto che fosse proprio la figlia dello scrittore Osvaldo Bayer a segnalarmi questo nesso. Poche ore dopo la morte di Feltrin Ana mi ha scritto, sconvolta, dicendo che un compagno di scuola di Giuliano si era buttato dal terzo piano della propria abitazione. Era Alberto “Dubito”, che aveva deciso di andarsene proprio come Giuliano. Le coincidenze non erano finite. Le due famiglie si conoscevano e Ana era rimasta sorpresa venendo a sapere che la casa editrice che aveva pubblicato un libro di suo padre (un libro che in Argentina era stato bruciato nelle pubbliche piazze durante la dittatura militare, mentre l’autore riparava in esilio in Europa), stava per mandare in stampa le poesie postume di Alberto Feltrin.
Le coincidenze non finiscono lì e la storia ha un seguito. Ana va a trovare i genitori di Alberto e questi le dicono che il progetto grafico del Severino è stato fatto proprio da Alberto “Dubito”. “Dubito” aveva realizzato la A dell’anarchia che poi la grafica aveva posto dietro la foto segnaletica di Severino Di Giovanni. Era stato proprio il padre di Alberto a ricordarselo e a dirlo a Ana. A quel punto, molto stupito, visto che il progetto del libro l’avevo seguito anch’io nelle vesti di traduttore, telefono all’editore e lui stesso mi conferma l’episodio. Intanto la casa editrice manda in stampa le rime di Feltrin. Il risultato è Erravamo giovani stranieri e siccome non spetta all’oste dire quanto è buono il vino, vi dico solo: “leggetevelo”. Intanto però i mesi passano e io mi ritrovo, pochi giorni fa, a partecipare a un reading a Padova, uno “slam” in cui scrittori e musicisti salgono sul palco e la lettura di brani di libri si alterna a musica e rime rap. A metà serata Agenzia x lancia dai microfoni un annuncio: i familiari di Alberto Feltrin hanno bandito un concorso letterario per giovani rimatori, con un premio in denaro e la pubblicazione del libro da parte della casa editrice Agenzia X. I dettagli li trovate qui. Un modo per onorare la memoria di un giovane redattore, di un poeta e di un attivista con troppe poche lune alle spalle. Un modo per far la pace con le ferite, per continuare a sentir risuonare quelle rime, per sentire ancora la sua voce.
Le coincidenze di questa strana e perturbante storia, che mescola editoria e morte, libri e memorie di vita fino a profondità quasi inquietanti, non sono finite. A Padova, al festival di Sherwood, al banchetto dei libri di Agenzia X c’è un ragazzo. Ci mettiamo a parlare. Lorenzo ha un’aurea molto positiva, intellettuale sì, ma senza fronzoli, senza maniere, diretto come una rima rap. Parliamo di precariato, di studi, di letture e di editoria. Qualcuno mi indica un suo libro sulla musica delle periferie londinesi, pubblicato proprio da Agenzia x. E aggiunge che lui è il fratello di Alberto “Dubito”. Lorenzo mi dice che sta per finire gli studi a Londra e che dopo farà un po’ di lavoro redazionale proprio con Agenzia x. Su di lui ci sono delle leggende: pare che legga così tanto che non ha mai trovato il tempo e la voglia di vedere un film. Gli chiedo dove studia a Londra e rimango stupito quando apprendo che frequenta un’università che ospita anche i seminari di David Graeber, l’antropologo americano anticapitalista di cui ho tradotto molti libri in italiano. Un cerchio tra editoria e vita che mi dà alla testa. E forse la colpa non è tutta solo della birra che ci siamo bevuti, onorando a nostro modo la memoria di Alberto Feltrin e di tutti quelli che in questa piccola storia di cinquemila battute non ci sono più ma ci parlano attraverso le righe date in stampa da una piccola editrice antagonista.
www.satisfiction.me, 3 luglio 2013 Di un giovane poeta chiamato Dubito e del suo respiro…
Ho conosciuto Alberto Feltrin, detto Dubito, quando ancora andava a scuola, nello stesso Liceo Artistico dove insegno io. Più che conoscerci ci siamo riconosciuti. Avevamo gli stessi difetti: fumavamo troppo, avevamo un insano e maniacale amore per la poesia e per la musica, sul palco tendevamo a urlare, a star sopra le righe, a far dell’arte, innanzi tutto, una faccenda di intensità, energia, corpo. Alberto scriveva e rappava. Lo faceva addirittura troppo bene per l’età che aveva. E lo strumento della sua arte era il respiro. Quando Alberto scandiva i suoi testi aspri e disincantati, quando mitragliava sillabe a 130,140,150 bpm, chiunque ascoltasse si rendeva conto come l’arte più importante, quella che pratichiamo tutti inconsciamente, sia proprio respirare. Cioè vivere.
Alberto era parte, con Davide Tantulli detto DJ Sospè, dei Disturbati dalla CUiete, una posse trevigiana che stava bruciando le tappe e dopo un paio di CD fatti in proprio aveva appena terminato di registrare il suo primo vero CD, con Bonnot degli Assalti Frontali. E faceva politica Alberto, occupava spazi, combatteva a suon di rime contro il malgoverno e il torpore desolante della capitale della Lega, Treviso. Faceva foto e disegnava, Alberto, girava video-clip di poesia e musica. Era sempre in prima linea, nel posto più scomodo, sempre per scelta, mai per caso. Lui era Dubito, non solo di nome, ma di fatto. Era andato a Milano e lavorava con Agenzia X, i concerti diventavano sempre più frequenti, vinceva Poetry Slam in giro per l’Italia, era ogni giorno più bravo, più esperto, più sicuro, più consapevole.
Poi Alberto se ne è andato. A 21 anni. Non vale neanche la pena di spiegare come. Né io so perché. Se n’è andato. Tutto qua. A noi sono rimasti la sua voce registrata, i suoi testi, il suo respiro. Troppo poco per chi, come me, lo considerava un fratello minore, per tutti quelli che lo hanno conosciuto e lo hanno amato. Ma una ricchezza grande per tutti noi, un piccolo tesoro di versi e ritmi, di immagini lancinanti, suoni rabbiosi e sogni che grazie ad Agenzia X sono diventati uno splendido libro Erravamo giovani stranieri e grazie alla testardaggine di DJ Sospè e di Bonnot un disco, La frustrAzione del lunedì e altre storie dalle periferie arrugginite dove c’è anche il pezzo che Alberto aveva scritto con me, Vuoti a perdere. Alla sua città sono rimasti tutti i giovani amici di Alberto e un movimento ZTL-Wake up, che proprio da uno dei suoi testi prende nome (Cara città, wake up! urlava Alberto), che è stato parte grande della cacciata di Gentilini e della Lega, anche se durante le feste e i balli post-elettorali non mi pare di aver sentito poi troppo pronunciare il suo nome, ma si sa che la smemoratezza è una delle qualità fondamentali di ogni buon politico, specie se democrat e liberal.
Ora la famiglia di Alberto, per ricordarlo e per far sì che altri possano percorrere le strade che Alberto aveva battuto, lancia un Premio di poesia e di poesia con musica, riservato a giovani di meno di 30 anni, il primo di questo genere in Italia. A coordinarlo siamo io e Marco Philopat di Agenzia X e in giuria ci sono tantissimi artisti, persone che l’hanno conosciuto di persona come Marco, Andrea Scarabelli, gli Assalti Frontali, Frank Nemola, della band di Vasco, Luigi Nacci altri che l’hanno incontrato solo dopo e ne sono rimasti affascinati, Emanuele Trevi, Aldo Nove, Vasco Brondi, Francesco Kento Carlo, Nanni Balestrini e tanti altri. Una Giuria davvero fantastica.
Se ve ne parlo è perché sarebbe bello che la sua Prima edizione fosse un gran successo e fossero tanti i concorrenti e di gran qualità. Ciò di cui c’è bisogno è un passa-parola, anzi, visto che è di Alberto che si parla, di un passa-respiro. Conto su di voi.
http://www.premiodubito.it
di Lello VoceAlberto era parte, con Davide Tantulli detto DJ Sospè, dei Disturbati dalla CUiete, una posse trevigiana che stava bruciando le tappe e dopo un paio di CD fatti in proprio aveva appena terminato di registrare il suo primo vero CD, con Bonnot degli Assalti Frontali. E faceva politica Alberto, occupava spazi, combatteva a suon di rime contro il malgoverno e il torpore desolante della capitale della Lega, Treviso. Faceva foto e disegnava, Alberto, girava video-clip di poesia e musica. Era sempre in prima linea, nel posto più scomodo, sempre per scelta, mai per caso. Lui era Dubito, non solo di nome, ma di fatto. Era andato a Milano e lavorava con Agenzia X, i concerti diventavano sempre più frequenti, vinceva Poetry Slam in giro per l’Italia, era ogni giorno più bravo, più esperto, più sicuro, più consapevole.
Poi Alberto se ne è andato. A 21 anni. Non vale neanche la pena di spiegare come. Né io so perché. Se n’è andato. Tutto qua. A noi sono rimasti la sua voce registrata, i suoi testi, il suo respiro. Troppo poco per chi, come me, lo considerava un fratello minore, per tutti quelli che lo hanno conosciuto e lo hanno amato. Ma una ricchezza grande per tutti noi, un piccolo tesoro di versi e ritmi, di immagini lancinanti, suoni rabbiosi e sogni che grazie ad Agenzia X sono diventati uno splendido libro Erravamo giovani stranieri e grazie alla testardaggine di DJ Sospè e di Bonnot un disco, La frustrAzione del lunedì e altre storie dalle periferie arrugginite dove c’è anche il pezzo che Alberto aveva scritto con me, Vuoti a perdere. Alla sua città sono rimasti tutti i giovani amici di Alberto e un movimento ZTL-Wake up, che proprio da uno dei suoi testi prende nome (Cara città, wake up! urlava Alberto), che è stato parte grande della cacciata di Gentilini e della Lega, anche se durante le feste e i balli post-elettorali non mi pare di aver sentito poi troppo pronunciare il suo nome, ma si sa che la smemoratezza è una delle qualità fondamentali di ogni buon politico, specie se democrat e liberal.
Ora la famiglia di Alberto, per ricordarlo e per far sì che altri possano percorrere le strade che Alberto aveva battuto, lancia un Premio di poesia e di poesia con musica, riservato a giovani di meno di 30 anni, il primo di questo genere in Italia. A coordinarlo siamo io e Marco Philopat di Agenzia X e in giuria ci sono tantissimi artisti, persone che l’hanno conosciuto di persona come Marco, Andrea Scarabelli, gli Assalti Frontali, Frank Nemola, della band di Vasco, Luigi Nacci altri che l’hanno incontrato solo dopo e ne sono rimasti affascinati, Emanuele Trevi, Aldo Nove, Vasco Brondi, Francesco Kento Carlo, Nanni Balestrini e tanti altri. Una Giuria davvero fantastica.
Se ve ne parlo è perché sarebbe bello che la sua Prima edizione fosse un gran successo e fossero tanti i concorrenti e di gran qualità. Ciò di cui c’è bisogno è un passa-parola, anzi, visto che è di Alberto che si parla, di un passa-respiro. Conto su di voi.
http://www.premiodubito.it
www.finzionimagazine.it, 3 maggio 2013Erravamo Giovani Stranieri | Alberto Dubito
È essere all'inizio ma avere vent'anni.
essere alla fine ma avere vent'anniQuindici parole per rappresentare il lascito di Alberto Feltrin in arte Dubito, giovane paroliere e collaboratore di Agenzia X, che ne pubblica parole, foto (panorami urbani e vuoti industriali) e disegni come memoria e testimonianza dopo la sua scomparsa.
Erravamo giovani stranieri, raccolta di frammenti vitali con i contributi commossi e doverosi di Andrea Scarabelli, Marco Philopat e Lello Voce, cristallizza un'età, i vent'anni, in cui la visione distante e offuscata dalla paura - a maggior ragione in tempi come questi, i tempi della Crisi e dell'incertezza, del tempo passato e di quello che non arriva – governa il movimento, il pensiero, la prospettiva.
Inevitabili stralci acerbi si accompagnano ad una viscerale forza e a un disincanto feroce ma poetico, che nei versi, così come nei testi del gruppo a cui apparteneva (i Disturbati dalla CUiete, il cui disco La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite) sarà pubblicato prossimamente), trova la sua espressione calzante, fatta di rabbia ma anche di estremo candore.
Nel libro, aleggia la presenza del futuro, un tempo immateriale e vacuo, a cui non aspirare: "Facile per te, randagio senza meta, che al futuro non deve pensare" scrive Alberto, richiamando ad una strada impercorribile o forse mai eretta. La strada che percorre lui, è un'altra.
di Stefano Fantiessere alla fine ma avere vent'anniQuindici parole per rappresentare il lascito di Alberto Feltrin in arte Dubito, giovane paroliere e collaboratore di Agenzia X, che ne pubblica parole, foto (panorami urbani e vuoti industriali) e disegni come memoria e testimonianza dopo la sua scomparsa.
Erravamo giovani stranieri, raccolta di frammenti vitali con i contributi commossi e doverosi di Andrea Scarabelli, Marco Philopat e Lello Voce, cristallizza un'età, i vent'anni, in cui la visione distante e offuscata dalla paura - a maggior ragione in tempi come questi, i tempi della Crisi e dell'incertezza, del tempo passato e di quello che non arriva – governa il movimento, il pensiero, la prospettiva.
Inevitabili stralci acerbi si accompagnano ad una viscerale forza e a un disincanto feroce ma poetico, che nei versi, così come nei testi del gruppo a cui apparteneva (i Disturbati dalla CUiete, il cui disco La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite) sarà pubblicato prossimamente), trova la sua espressione calzante, fatta di rabbia ma anche di estremo candore.
Nel libro, aleggia la presenza del futuro, un tempo immateriale e vacuo, a cui non aspirare: "Facile per te, randagio senza meta, che al futuro non deve pensare" scrive Alberto, richiamando ad una strada impercorribile o forse mai eretta. La strada che percorre lui, è un'altra.
www.letterefilosofia.it, 7 aprile 2013Erravamo giovani stranieri: poesie, prose, canzoni, immagini di Alberto Dubito
Non è sempre facile leggere raccolte di scritti tra loro disomogenei come poesie, prose e testi musicali, corredati a loro volta da fotografie e didascalie: si rischia molte volte la “noia da catalogo” e secondo la legge di Murphy l’attenzione scema proprio nel momento in cui l’opera ha il meglio da dire. Nel caso di Erravamo giovani stranieri. Poesie, prose, canzoni, immagini (Agenzia X, euro 13, pp. 160), però, i temi ricorrono diventando ossessioni e le frasi ripetute che acquistano il gusto del refrain appena dopo le prime pagine hanno aiutato i curatori del libro a imporre coerenza alla cernita del poeta e rapper trevigiano Alberto Dubito (1991-2012), pseudonimo di Alberto Feltrin e voce del “gruppo rap sperimentale” Disturbati dalla CUiete.
Dubito parla al lettore della vita in una città di provincia, delle magagne d’amore di una «generazione satellite» che si muove tra le manifestazioni di Roma, Milano e le vacanze a Londra con l’urgenza e la voce grossa di poeta che utilizza il linguaggio dell’invettiva sopra una base musicale, altrimenti detto rap. Il lettore che ascolta viene sempre messo in mezzo e interpellato: «a te, ipocrita lettore/ mon frère, / (o stimato conoscente) / Rivolte a te forse sono le frasi tra trattini, le anacenosi».
Allitterazioni, giri di parole che diventano «vivi in dissonanze» si indirizzano così anche verso la pratica del poetry slam: gare di poesia di fronte ad una giuria del pubblico, dove spetta solo all’autore, in meno di tre minuti, il compito di impressionare la platea recitando i propri versi, e di cui l’autore aveva vinto incontri. Non è un caso, quindi, che oltre al riecheggiare nel libro dei testi dei Uochi Toki e Le luci della centrale elettrica, Andrea Zanzotto e Arthur Rimbaud, il primo dei maestri di Dubito sia proprio Lello Voce, poeta membro del Gruppo 93 e animatore di molte manifestazioni dello Slam! italiano, che lo ricorda con un componimento messo ad esergo insieme ad un altra poesia di Marco Philopat – il testimone maggiore del punk italiano con il suo romanzo sperimentale Costretti a sanguinare – e ad una lettera di Andrea Scarabelli, amico e curatore del testo.
La piccola opera di Dubito, oltre ad avere il merito di mostrare al lettore la fucina in cui nascevano i testi del rapper, anche se ricostruita a posteriori e a tratti stilisticamente ingenua, rimane una testimonianza estrema del decennio appena passato, posto a futura memoria di chi c’è cresciuto e l’ha visto finire con sentimenti ambigui. Stupisce qui riconoscere la scelta di rifiutare ogni tipo di cinismo da parte del poeta, il quale invece invita a «resistere», che si sia in gruppo, come nei movimenti studenteschi a cui ha partecipato attivamente e di cui parla in molte poesie, o da soli, nelle stanze e nelle relazioni di ogni giorno. Nonostante la scelta imponderabile di uccidersi ad aprile del 2012 getti una luce diversa su testi della raccolta, la rabbia di Dubito si è esprime sempre attraverso uno humor nero che rifiuta e canzona la stanchezza emotiva di questo inizio secolo: «ci volevano fatti e cinici», e invece. Dopotutto, il testo più citato è infatti Roman (1870) di Rimbaud, dove nel verso più famoso il veggente di Charleville ripete qualcosa di ancora valido: «non si può essere seri a diciassette anni».
Dubito parla al lettore della vita in una città di provincia, delle magagne d’amore di una «generazione satellite» che si muove tra le manifestazioni di Roma, Milano e le vacanze a Londra con l’urgenza e la voce grossa di poeta che utilizza il linguaggio dell’invettiva sopra una base musicale, altrimenti detto rap. Il lettore che ascolta viene sempre messo in mezzo e interpellato: «a te, ipocrita lettore/ mon frère, / (o stimato conoscente) / Rivolte a te forse sono le frasi tra trattini, le anacenosi».
Allitterazioni, giri di parole che diventano «vivi in dissonanze» si indirizzano così anche verso la pratica del poetry slam: gare di poesia di fronte ad una giuria del pubblico, dove spetta solo all’autore, in meno di tre minuti, il compito di impressionare la platea recitando i propri versi, e di cui l’autore aveva vinto incontri. Non è un caso, quindi, che oltre al riecheggiare nel libro dei testi dei Uochi Toki e Le luci della centrale elettrica, Andrea Zanzotto e Arthur Rimbaud, il primo dei maestri di Dubito sia proprio Lello Voce, poeta membro del Gruppo 93 e animatore di molte manifestazioni dello Slam! italiano, che lo ricorda con un componimento messo ad esergo insieme ad un altra poesia di Marco Philopat – il testimone maggiore del punk italiano con il suo romanzo sperimentale Costretti a sanguinare – e ad una lettera di Andrea Scarabelli, amico e curatore del testo.
La piccola opera di Dubito, oltre ad avere il merito di mostrare al lettore la fucina in cui nascevano i testi del rapper, anche se ricostruita a posteriori e a tratti stilisticamente ingenua, rimane una testimonianza estrema del decennio appena passato, posto a futura memoria di chi c’è cresciuto e l’ha visto finire con sentimenti ambigui. Stupisce qui riconoscere la scelta di rifiutare ogni tipo di cinismo da parte del poeta, il quale invece invita a «resistere», che si sia in gruppo, come nei movimenti studenteschi a cui ha partecipato attivamente e di cui parla in molte poesie, o da soli, nelle stanze e nelle relazioni di ogni giorno. Nonostante la scelta imponderabile di uccidersi ad aprile del 2012 getti una luce diversa su testi della raccolta, la rabbia di Dubito si è esprime sempre attraverso uno humor nero che rifiuta e canzona la stanchezza emotiva di questo inizio secolo: «ci volevano fatti e cinici», e invece. Dopotutto, il testo più citato è infatti Roman (1870) di Rimbaud, dove nel verso più famoso il veggente di Charleville ripete qualcosa di ancora valido: «non si può essere seri a diciassette anni».
Il piccolo, 2 marzo 2013Alberto Feltrin, un talento fatto di parole e musica
Ricordo del giovane poeta alla casa delle Culture di Trieste con Lello Voce e Marco PhilopatPer chi lo conosceva da vicino, un modo per stringersi insieme nel suo ricordo. Per gli altri, una scoperta folgorante e viscerale di qualcuno che con le parole ci sapeva davvero fare. L’occasione, regalata da Casa delle Culture, è stata quella di immergersi nell’intreccio potente di musica, versi e immagini di Alberto “Dubito” Feltrin. Fertile, eclettico, osservatore lucido dell’oggi, talento precoce dagli stili espressivi più disparati – poeta, rapper, writer, fotografo - “Abe”, così lo chiamano gli amici, ha deciso di lasciare il mondo l’aprile scorso a soli 21 anni. Erravamo giovani stranieri è il libro fatto di poesie, canzoni, fotografie che celebra questo breve quanto incisivo passaggio su questa terra, in un percorso artistico innervato di energia e ribellione, tra spoken word e rap “con l'elmetto” scandito a 135 bpm e oltre, velocissimo, il tutto elaborato in uno stile personale unico di grande forza emotiva.
«Abbiamo conosciuto Alberto tramite il fratello, “agente x” che ha pubblicato con noi tre libri - spiega Marco Philopat di Agenzia X. curatore del libro. È stato lui a introdurci Abe, che da Treviso sarebbe arrivato a studiare a Milano. Quando vengono da noi, i più giovani li mettiamo a fare l’ufficio stampa, un lavoro pallosissimo!». Per Alberto va diversamente: già in poche settimane la sua capacità di «giocare con le parole» è sotto gli occhi di tutti. Viene subito messo in redazione: sul campo, alle prese con testi complessi, li risolve brillantemente, in tempi brevi e mantenendo indipendenza per nutrire le altre sue passioni, in particolar modo la musica e il suo gruppo, Disturbati dalla CUiete.
Uno quelli che non stanno a guardare, Alberto, ma che si fanno protagonisti del cambiamento. Con l’impellenza soprattutto di riappropriarsi degli spazi, di quelle “periferie arrugginite” che qualcuno vuol render ghetto, specie nella sua Treviso.
«Era diventato uno di noi - continua Philopat. Quando è successo il fatto siamo andati a vedere la sua produzione, abbondantissima nonostante riguardasse pochissimi anni, trovando testi interessanti per la poesia moderna: l’abbiamo condensata e ora sta avendo un riscontro di critica sorprendente».
«Era il respiro la sua forma d’arte preferita - sottolinea il poeta Lello Voce -: non avevo mai trovato una persona così giovane che “respirasse” così bene. Un homo po-eticus capace di essere poeta e al contempo di proporre un’etica, cercando di rinnovare il linguaggio. Cercava sempre l’attrito, perché è da lì che nasce il senso» continua Voce, che considera Alberto uno dei più singolari artisti di questo periodo. Un talento precoce e indiscutibile la cui perdita non può che lasciare basiti.
di Federica Gregori«Abbiamo conosciuto Alberto tramite il fratello, “agente x” che ha pubblicato con noi tre libri - spiega Marco Philopat di Agenzia X. curatore del libro. È stato lui a introdurci Abe, che da Treviso sarebbe arrivato a studiare a Milano. Quando vengono da noi, i più giovani li mettiamo a fare l’ufficio stampa, un lavoro pallosissimo!». Per Alberto va diversamente: già in poche settimane la sua capacità di «giocare con le parole» è sotto gli occhi di tutti. Viene subito messo in redazione: sul campo, alle prese con testi complessi, li risolve brillantemente, in tempi brevi e mantenendo indipendenza per nutrire le altre sue passioni, in particolar modo la musica e il suo gruppo, Disturbati dalla CUiete.
Uno quelli che non stanno a guardare, Alberto, ma che si fanno protagonisti del cambiamento. Con l’impellenza soprattutto di riappropriarsi degli spazi, di quelle “periferie arrugginite” che qualcuno vuol render ghetto, specie nella sua Treviso.
«Era diventato uno di noi - continua Philopat. Quando è successo il fatto siamo andati a vedere la sua produzione, abbondantissima nonostante riguardasse pochissimi anni, trovando testi interessanti per la poesia moderna: l’abbiamo condensata e ora sta avendo un riscontro di critica sorprendente».
«Era il respiro la sua forma d’arte preferita - sottolinea il poeta Lello Voce -: non avevo mai trovato una persona così giovane che “respirasse” così bene. Un homo po-eticus capace di essere poeta e al contempo di proporre un’etica, cercando di rinnovare il linguaggio. Cercava sempre l’attrito, perché è da lì che nasce il senso» continua Voce, che considera Alberto uno dei più singolari artisti di questo periodo. Un talento precoce e indiscutibile la cui perdita non può che lasciare basiti.
www.globalproject.info, 2 febbraio 2013Erravamo giovani stranieri
Venerdì 1 febbraio al C.S.O. Pedro si è svolta la presentazione del libro Erravamo giovani stranieri, raccolta di poesie e testi di Alberto “Abe” Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin.
È stata l’occasione per discutere del libro con Andrea Scarabelli, editor di Agenzia X e curatore tra gli altri della raccolta, dell’attività letteraria di Abe, poeta e giovanissimo mc dei “Disturbati della CUiete” che al Pedro avevamo conosciuto perché si era esibito in apertura del concerto di Ensi, un paio d’anni fa.
A quasi un anno dalla sua prematura scomparsa, la poesia e le passioni trasmesse dalle parole di Abe posseggono ancora tutta la loro attualità nella descrizione di Treviso, sua città d’origine, fra la sua atavica stasi e una sempre più dirompente voglia di cambiamento.
L’enfasi con cui Abe interpretava la sete di cultura e di spazi in una città addormentata da vent’anni di amministrazione leghista è la stessa che muove gli attivisti di ZTL Wake Up!, l’esperienza di riappropriazione di luoghi degradati e restituiti alla cittadinanza che da qualche mese ha luogo a Treviso, e a cui lo stesso Alberto ha contribuito a dare vita.
Dopo il violento sgombero di lunedì dello spazio dell’ex Telecom, occupato il 27 dicembre e attraversato nell’ultimo mese da centinaia di giovani e non, scegliamo di essere al fianco dei fratelli e delle sorelle di quella Treviso diversa e degna, partecipando alla scadenza del corteo promosso dal collettivo, per reclamare la voglia di praticare qui e ora, insieme, un’alternativa fatta di condivisione, socialità, cultura e vera democrazia.
Per ribadire che la libertà, la possibilità di rompere con chi desidera solo l’obbedienza e comprime ogni giorno di più i diritti, si costruisce attraverso pratiche come quella che ZTL ci insegna.
Parlare di una vita interrotta troppo presto come quella di Abe è difficilissimo; ma crediamo di non sbagliare nel credere che la forza del suo messaggio stia nel suo grido, che non ci stanchiamo di ripetere con lui: “Non dargliela vinta!”.
di Global projectÈ stata l’occasione per discutere del libro con Andrea Scarabelli, editor di Agenzia X e curatore tra gli altri della raccolta, dell’attività letteraria di Abe, poeta e giovanissimo mc dei “Disturbati della CUiete” che al Pedro avevamo conosciuto perché si era esibito in apertura del concerto di Ensi, un paio d’anni fa.
A quasi un anno dalla sua prematura scomparsa, la poesia e le passioni trasmesse dalle parole di Abe posseggono ancora tutta la loro attualità nella descrizione di Treviso, sua città d’origine, fra la sua atavica stasi e una sempre più dirompente voglia di cambiamento.
L’enfasi con cui Abe interpretava la sete di cultura e di spazi in una città addormentata da vent’anni di amministrazione leghista è la stessa che muove gli attivisti di ZTL Wake Up!, l’esperienza di riappropriazione di luoghi degradati e restituiti alla cittadinanza che da qualche mese ha luogo a Treviso, e a cui lo stesso Alberto ha contribuito a dare vita.
Dopo il violento sgombero di lunedì dello spazio dell’ex Telecom, occupato il 27 dicembre e attraversato nell’ultimo mese da centinaia di giovani e non, scegliamo di essere al fianco dei fratelli e delle sorelle di quella Treviso diversa e degna, partecipando alla scadenza del corteo promosso dal collettivo, per reclamare la voglia di praticare qui e ora, insieme, un’alternativa fatta di condivisione, socialità, cultura e vera democrazia.
Per ribadire che la libertà, la possibilità di rompere con chi desidera solo l’obbedienza e comprime ogni giorno di più i diritti, si costruisce attraverso pratiche come quella che ZTL ci insegna.
Parlare di una vita interrotta troppo presto come quella di Abe è difficilissimo; ma crediamo di non sbagliare nel credere che la forza del suo messaggio stia nel suo grido, che non ci stanchiamo di ripetere con lui: “Non dargliela vinta!”.
Rolling Stone, febbraio 2013Disturbati dalle CUiete
Disturbati dalle CUiete, La FrustrAzione del Lunedì (e altre storie delle Periferie Arrugginite)
La recensione di questo album comporta un grande dolore. Alberto Dubito Feltrin, slam poet, rapper, ragazzo adorabile a cui era impossibile non voler bene, non è più tra noi. Ma questo è un disco di formidabile impatto. “Ogni genere sta stretto, non è rap non è electro”, canta Alberto mentre parte Disturbati Army, e da qui in poi le mirabolanti rime di Dubito si affratellano alle basi inventive di Davide Tantulli/Dr. Sospè. E c’è quella CUiete che fa “fatal quiete” foscoliana… Fatevi un favore ascoltate questo disco.
di Manlio BenigniLa recensione di questo album comporta un grande dolore. Alberto Dubito Feltrin, slam poet, rapper, ragazzo adorabile a cui era impossibile non voler bene, non è più tra noi. Ma questo è un disco di formidabile impatto. “Ogni genere sta stretto, non è rap non è electro”, canta Alberto mentre parte Disturbati Army, e da qui in poi le mirabolanti rime di Dubito si affratellano alle basi inventive di Davide Tantulli/Dr. Sospè. E c’è quella CUiete che fa “fatal quiete” foscoliana… Fatevi un favore ascoltate questo disco.
twitter @peppe_fiore, 17 gennaio 2013Erravamo giovani stranieri, un invito a resistere da leggere e rileggere
thx @AgenziaX per http://www.agenziax.it/?pid=65&sid=30 un invito a resistere da leggere e rileggere
di Peppe Fiorewww.patrialetteratura.com, 8 gennaio 2013Erravamo giovani stranieri di Alberto Dubito
A volte, raramente, ci si imbatte in versi scritti per necessità, nemmeno, per semplice spontaneità. Sono i versi che ogni poeta appena maturo non rende noti, ma tiene nascosti, dimenticati, in qualche cassapanca, cassetto o cartellina, bollati di troppa ingenuità giovanile, per varie ragioni che si comprendono solo crescendo, considerati impubblicabili.
Versi del genere rifuggono da qualunque tipo di definizione, non sono sociali, non esistenziali, né politici, ma semplicemente pezzi di gioventù. Quasi sempre portano in sé ambizioni e velleità irrealizzabili, senza confini, ammantate di una gioiosa mitomania che li nutre, e, giunto il momento di una inevitabile maturità, necessariamente, li distrugge.
Erravamo giovani stranieri. Poesie, prose, canzoni e immagini di Alberto Dubito è qualcosa del genere. Un libro segreto e impubblicabile, sfacciato, che sta nelle mani del lettore come un cubo di Rubik dai contorni impossibili. Agenzia X, piccola casa editrice di Milano, porta all’attenzione del pubblico questa prima prova di un poeta vero, consacrata da una sorta di eternità minima in virtù della prematura scomparsa dell’autore. Purtroppo Alberto non scriverà altro, ma la traccia di ciò che ha tolto alla sua fretta estrema è il frammento dell’opera di un poeta naturale.Estate, ricordo le nostre sere di bici rotte e dirottatePassioni durature come ghiaccio
dentro i pugni in tascaLe mie promesse da marinaio
che salpano ogni primo gennaio.
(come non concepivo
differenza tra Sol# e Lab)Piove scetticismo. Piove e non cambia
ma affonda, l’istmo giàIncline al suicidio da marciapiede,
l’istmo è un accento che non casca.
(piuttorso precipita
sulla U di “meglio se non scopiano più”)Estate, ricordi le nostre serate in bici rotte e dirottate
le sigarette mal girate e ridere fieri di inutili cazzate
dipingerò la mia parete con la passione che non avete…Ma non si consideri Alberto Dubito solo come uno dei tanti poeti giovani, tanto che “fino a diciott’anni, siamo tutti poeti”. La poesia di Dubito è sì portatrice di una sconvolgente carica di rabbia giovanile, verrebbe da dire adolescenziale, le sue indignazioni sono assolute, fuori dalla storia e dal tempo (E poi dovevamo nascere prima./ o dopo. Così per cagare il cazzo fino in fondo) e investono tutto e tutti, Dio, gli amici, gli amori, eppure c’è in questi versi una vena acerba ma già riconoscibilissima di ironia, di sdegno consapevole e dolente, una capacità narrativa che già così potrebbe fare invidia a qualche maturo professionista del verso e addirittura a qualche leggenda d’oltreoceano:MhaFuori dal bar in centro si concentrava
un melting pot di cultura americana importata
un signore sulla cinquantina conciato da imprenditore
chiacchierava di punk-pop con un raver sotto acidoI film di serie B ormai mi sembrano riprese
di vita quotidiana, reality, 1984.
l’imprenditore torna a casa e sodomizza
la moglie poi l’ammazza e si suicidaPassando in bici stamattina l’ho visto
nelle locandine fuori dalle edicole pentagonali
non che mi sia stupito
c’è da chiedersi perché?E non può essere considerata, questa, nemmeno come un’esperienza individuale, tragica, conclusa. È invece un’esperienza collettiva che si innesta su quella più ampia della poesia a noi contemporanea, viva e partecipata in luoghi dimenticati, la strada, la piazza, la periferia. La storia e le storie di Alberto Dubito ci raccontano anche questo, la partecipazione. Artista di strada, cantante, performer, Alberto ha vissuto la poesia non nella solitudine di uno studio, ma in serate piene di gente di tutte le età e di divertimento, insomma in delle feste, parola che pronunciata vicino a poesia sembrerebbe in antitesi, e non lo è.
La cosa davvero sconvolgente dei versi di Erravamo giovani stranieri è l’inesauribilità d’energia che questi versi poco lavorati sanno trasmettere. Pure nelle imprecisioni di una metrica del tutto inventata, mimata sui ritmi del rap, appoggiata alla rima ma ricchissima di altri espedienti retorici, molto più di un comune verso di liriche, la voce riesce a divincolarsi dai legami con le parole e a farsi sentire nitida e chiara, urlata. La cosa davvero sconvolgente è che questa piccola raccolta può essere definita in molti modi, ma non certo come lirica, non è il soffio intimo di un esausto io, consumatissima prima persona della nostra poesia attuale, ma piuttosto l’urlo stonato di un noi fuori tempo massimo ed estemporaneo, illuso e perdente, ma nuovo, forte.
Queste poesie non sono liriche. Sono piuttosto canzoni, prose in versi, spot pubblicitari, dialoghi di fiction, ma non provengono dalla tradizione, non la conoscono, eppure arrivano ad altezze in cui l’ossigeno ricomincia ad alimentare i polmoni in debito.
Sotto zero
Il problema dei tuoi vuoti
è che tu nei miei non nuoti
Alberto Dubito (pseudonimo di Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012) è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore del gruppo rap sperimentale Disturbati Dalla Cuiete.
di Fabrizio MiliucciVersi del genere rifuggono da qualunque tipo di definizione, non sono sociali, non esistenziali, né politici, ma semplicemente pezzi di gioventù. Quasi sempre portano in sé ambizioni e velleità irrealizzabili, senza confini, ammantate di una gioiosa mitomania che li nutre, e, giunto il momento di una inevitabile maturità, necessariamente, li distrugge.
Erravamo giovani stranieri. Poesie, prose, canzoni e immagini di Alberto Dubito è qualcosa del genere. Un libro segreto e impubblicabile, sfacciato, che sta nelle mani del lettore come un cubo di Rubik dai contorni impossibili. Agenzia X, piccola casa editrice di Milano, porta all’attenzione del pubblico questa prima prova di un poeta vero, consacrata da una sorta di eternità minima in virtù della prematura scomparsa dell’autore. Purtroppo Alberto non scriverà altro, ma la traccia di ciò che ha tolto alla sua fretta estrema è il frammento dell’opera di un poeta naturale.Estate, ricordo le nostre sere di bici rotte e dirottatePassioni durature come ghiaccio
dentro i pugni in tascaLe mie promesse da marinaio
che salpano ogni primo gennaio.
(come non concepivo
differenza tra Sol# e Lab)Piove scetticismo. Piove e non cambia
ma affonda, l’istmo giàIncline al suicidio da marciapiede,
l’istmo è un accento che non casca.
(piuttorso precipita
sulla U di “meglio se non scopiano più”)Estate, ricordi le nostre serate in bici rotte e dirottate
le sigarette mal girate e ridere fieri di inutili cazzate
dipingerò la mia parete con la passione che non avete…Ma non si consideri Alberto Dubito solo come uno dei tanti poeti giovani, tanto che “fino a diciott’anni, siamo tutti poeti”. La poesia di Dubito è sì portatrice di una sconvolgente carica di rabbia giovanile, verrebbe da dire adolescenziale, le sue indignazioni sono assolute, fuori dalla storia e dal tempo (E poi dovevamo nascere prima./ o dopo. Così per cagare il cazzo fino in fondo) e investono tutto e tutti, Dio, gli amici, gli amori, eppure c’è in questi versi una vena acerba ma già riconoscibilissima di ironia, di sdegno consapevole e dolente, una capacità narrativa che già così potrebbe fare invidia a qualche maturo professionista del verso e addirittura a qualche leggenda d’oltreoceano:MhaFuori dal bar in centro si concentrava
un melting pot di cultura americana importata
un signore sulla cinquantina conciato da imprenditore
chiacchierava di punk-pop con un raver sotto acidoI film di serie B ormai mi sembrano riprese
di vita quotidiana, reality, 1984.
l’imprenditore torna a casa e sodomizza
la moglie poi l’ammazza e si suicidaPassando in bici stamattina l’ho visto
nelle locandine fuori dalle edicole pentagonali
non che mi sia stupito
c’è da chiedersi perché?E non può essere considerata, questa, nemmeno come un’esperienza individuale, tragica, conclusa. È invece un’esperienza collettiva che si innesta su quella più ampia della poesia a noi contemporanea, viva e partecipata in luoghi dimenticati, la strada, la piazza, la periferia. La storia e le storie di Alberto Dubito ci raccontano anche questo, la partecipazione. Artista di strada, cantante, performer, Alberto ha vissuto la poesia non nella solitudine di uno studio, ma in serate piene di gente di tutte le età e di divertimento, insomma in delle feste, parola che pronunciata vicino a poesia sembrerebbe in antitesi, e non lo è.
La cosa davvero sconvolgente dei versi di Erravamo giovani stranieri è l’inesauribilità d’energia che questi versi poco lavorati sanno trasmettere. Pure nelle imprecisioni di una metrica del tutto inventata, mimata sui ritmi del rap, appoggiata alla rima ma ricchissima di altri espedienti retorici, molto più di un comune verso di liriche, la voce riesce a divincolarsi dai legami con le parole e a farsi sentire nitida e chiara, urlata. La cosa davvero sconvolgente è che questa piccola raccolta può essere definita in molti modi, ma non certo come lirica, non è il soffio intimo di un esausto io, consumatissima prima persona della nostra poesia attuale, ma piuttosto l’urlo stonato di un noi fuori tempo massimo ed estemporaneo, illuso e perdente, ma nuovo, forte.
Queste poesie non sono liriche. Sono piuttosto canzoni, prose in versi, spot pubblicitari, dialoghi di fiction, ma non provengono dalla tradizione, non la conoscono, eppure arrivano ad altezze in cui l’ossigeno ricomincia ad alimentare i polmoni in debito.
Sotto zero
Il problema dei tuoi vuoti
è che tu nei miei non nuoti
Alberto Dubito (pseudonimo di Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012) è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore del gruppo rap sperimentale Disturbati Dalla Cuiete.
http://doppiozero.com, 4 gennaio 2013Erravamo giovani stranieri di Alberto Dubito
Leggendo la raccolta di lyrics Erravamo giovani stranieri, (Agenzia X, pagg.160, Milano 2012, euro 13,00), di Alberto Dubito (Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012, per tutti Abe) si ha esattamente l’impressione di avere in mano del materiale di lavorazione di uno spirito temerario e delicatissimo, particolarmente ricettivo della realtà del proprio tempo, colto nel suo elaborarsi. “cara Cara,/ corrosi ci siamo corrosi/ rincorsi ci siamo rincorsi/ ricordi ci siamo corrosi/ ci siamo corrosi i ricordi...”, comincia così la pazzesca rincorsa rabbiosa di Abe, e, in fondo, questo è molto naturale trattandosi di un giovanissimo al culmine della propria esistenza, alla quale con un durissimo cut egli stesso ha deciso di porre fine nello scorso aprile. Abe è un pesce, anzi un pesciolino che si chiede che cosa sia l’acqua, per citare un’immagine cara a David Foster Wallace, un altro prezioso “pesce” del nostro tempo, e non trova aiuto nel mondo che lo circonda, e allora prova a scomporlo questo mondo, a farlo a pezzi, e a osservarlo per dritto rovescio e sghembo, usando le parole, che sa maneggiare con precoce destrezza. Per fare ciò egli preme sulla vita forzandone gli argini, creando la condizione limite in cui ha vissuto, e questo penso sia un aspetto essenziale per intendere bene gli esiti del suo lavoro. Gli strumenti che sceglie di usare sono molti e diversificati, e le “discipline” di cui ciascuno è portatore lo conducono in molte direzioni diverse, poesia, prose, “canzoni”, immagini fotografiche e graffiti; è un libro ricolmo di energia che va da ogni parte, appunto, una enorme pulsione che suffraga ciò che sempre più si avverte nell’aria e cioè la necessità di smembrare e ricomporre, disintermediare e reintermediare (Bogdan Pautàs, Twitteratura?, in doppiozero) o, come dice Abe, di “trovare una metrica ai momenti”.
Nel suo nastro continuo Abe analizza i giorni e la geografia in cui vive, e l’asse del tempo è a perpendicolo con quello dello spazio, ma sono assi di un tempo e di uno spazio che non sono semplicemente “reali”: percorrendo Treviso, la sua città, lui cammina, come Doroty nel regno di Oz, in una realtà dilatata, nella quale i frammenti di questa periferia hanno le sembianze di tutte le periferie, sono aree che lui attraversa e “aumenta”, perché la sua è una realtà aumentata, nella quale ogni porzione è caricata di tutte le responsabilità dell’intero mondo, in una operazione affatto simile a quella della Augmented Reality: Abe propone una realtà virtuale a cui aggiunge informazioni prese dall’esterno e le elabora con il suo proprio “computer” tramite dei personali “software” dedicati, e questa operazione produce un qualcosa che non è più e semplicemente questo mondo, ma è una nuova entità plastica, una neo-realtà, per così dire. Una linea ferroviaria di Treviso è di Londra, di Berlino, di Roma, di Milano e lui lo sa perché da writer le ha dipinte, da film-maker le ha riprese e mostrate, ci ha posto i propri sigilli grafici, le ha modificate e trasformate, aumentandole. Con le sue poesie territoriali Abe ha incrementato il mondo. In quegli stessi territori, insieme al suo gruppo Disturbati Dalla CUiete, è transitato con un altro suo strumento, la spoken poetry, la poesia oralizzata (che non è semplice poesia orale ma “l’oratura di un testo scritto”, secondo il suo mentore Lello Voce). Qui la forza dell’azione letteraria è ancora più incisiva, quel lavoro di scomposizione a fini socio-politici del mondo è più aggressivo e radicale: “Signora Solitudine, Lady Soggettività, Miss Confusione e Cara Dannazione./ andrò in comunità per disintossicarmi dalla rima”. Non posso non pensare al Calvino della lezione americana sulla Rapidità (1988!): “In un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano di appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione del linguaggio proprio scritto.”
Nel libro di Abe trovo tutta la lucidità dell’aggressività più genuina che chi, a qualunque titolo, frequenta il magma studentesco, di ogni ordine e grado, può toccare con mano in dosi fluviali. Si facciano in questa o quella classe i nomi di Wiz Khalifa, Kidcudi, Rancore, Er Costa, Salmo, Drake (nomi di punta del rap attuale) e otterremo un moto di istantanea adesione: pronunci questi nomi e ti guardano con occhio schietto e fiducioso accompagnato dal più sincero dei sorrisi di simpatia. Sono “Disturbati Dalla Cuiete”, ma presi dal rassicurante grido rabbioso di qualcuno che, codificando acredine incessantemente, vuole produrre una sua propria strada. Solo in questo, più che nelle acerbità linguistiche, trovo che il libro di Dubito, in particolare nei testi destinati allo spoken, sia più legato al dato generazionale. È un libro della sua generazione, pieno di “Mera voglia di Meraviglia” con cui, dice, “Attraverserò L’euraNsia a piedi,/ se la batteria del lettore regge.”
Io non so che consistenza culturale in senso lato possa avere questo materiale, non so se contribuisca a quell’estetica dell’ibridazione che pare ormai essere un concreto orizzonte di lavoro. Sicuramente bene ha fatto Agenzia X a mandare in libreria questi testi – curati molto bene e con grande coraggio da Lorenzo Fe, fratello di Abe –, per quanto la loro spendibilità stia un po’ stretta nel supporto cartaceo, e infatti mi pare che sia in arrivo anche una versione e-book e un ultimo CD di Disturbati Dalla Cuiete, La FrustrAzione del Lunedì e Altre Storie delle Periferie Arrugginite, che completeranno l’“azione” di Abe. Dal web 2.0 in poi, dal momento cioè in cui ciò che è in rete è in me perché io sono in rete, francamente, ogni pratica pare consentita, poiché la “produzione di web a mezzo di web”, per dirla à la Sraffa, è di fatto il dato più significativo nell’evoluzione del panorama culturale odierno (e forse quello che si annuncia in “Che Fare”, il grande concorso di idee lanciato da doppiozero, ne è la conferma). Se è vero, allora questo piccolo libro della realtà aumentata, e Abe che, nel dubbio non solo onomastico, lo ha scritto, sono un tassello, una esperienza che mostra, indica, segnala. Sbagliato chiedergli illustrazioni e didascalie di qualche cosa che sta succedendo, questo libro non è una sociologietta, è di più, è un piccolo modello del fare, del nuovo fare, che ancora si fatica a vedere, a riconoscere e capire, un qualcosa che sta operando, e crescendo.Per ora siamo con Abe:HO SCELTO/ LA PRIMA FILA
sui binari del foglio/ deraglio all’ultima quartina
nella periferia dell’impero/ reti di pensiero
e quando ridi CAZZO/ fallo per davvero!
di Mauro PortelloNel suo nastro continuo Abe analizza i giorni e la geografia in cui vive, e l’asse del tempo è a perpendicolo con quello dello spazio, ma sono assi di un tempo e di uno spazio che non sono semplicemente “reali”: percorrendo Treviso, la sua città, lui cammina, come Doroty nel regno di Oz, in una realtà dilatata, nella quale i frammenti di questa periferia hanno le sembianze di tutte le periferie, sono aree che lui attraversa e “aumenta”, perché la sua è una realtà aumentata, nella quale ogni porzione è caricata di tutte le responsabilità dell’intero mondo, in una operazione affatto simile a quella della Augmented Reality: Abe propone una realtà virtuale a cui aggiunge informazioni prese dall’esterno e le elabora con il suo proprio “computer” tramite dei personali “software” dedicati, e questa operazione produce un qualcosa che non è più e semplicemente questo mondo, ma è una nuova entità plastica, una neo-realtà, per così dire. Una linea ferroviaria di Treviso è di Londra, di Berlino, di Roma, di Milano e lui lo sa perché da writer le ha dipinte, da film-maker le ha riprese e mostrate, ci ha posto i propri sigilli grafici, le ha modificate e trasformate, aumentandole. Con le sue poesie territoriali Abe ha incrementato il mondo. In quegli stessi territori, insieme al suo gruppo Disturbati Dalla CUiete, è transitato con un altro suo strumento, la spoken poetry, la poesia oralizzata (che non è semplice poesia orale ma “l’oratura di un testo scritto”, secondo il suo mentore Lello Voce). Qui la forza dell’azione letteraria è ancora più incisiva, quel lavoro di scomposizione a fini socio-politici del mondo è più aggressivo e radicale: “Signora Solitudine, Lady Soggettività, Miss Confusione e Cara Dannazione./ andrò in comunità per disintossicarmi dalla rima”. Non posso non pensare al Calvino della lezione americana sulla Rapidità (1988!): “In un’epoca in cui altri media velocissimi e di estesissimo raggio trionfano, e rischiano di appiattire ogni comunicazione in una crosta uniforme e omogenea, la funzione della letteratura è la comunicazione tra ciò che è diverso in quanto è diverso, non ottundendone bensì esaltandone la differenza, secondo la vocazione del linguaggio proprio scritto.”
Nel libro di Abe trovo tutta la lucidità dell’aggressività più genuina che chi, a qualunque titolo, frequenta il magma studentesco, di ogni ordine e grado, può toccare con mano in dosi fluviali. Si facciano in questa o quella classe i nomi di Wiz Khalifa, Kidcudi, Rancore, Er Costa, Salmo, Drake (nomi di punta del rap attuale) e otterremo un moto di istantanea adesione: pronunci questi nomi e ti guardano con occhio schietto e fiducioso accompagnato dal più sincero dei sorrisi di simpatia. Sono “Disturbati Dalla Cuiete”, ma presi dal rassicurante grido rabbioso di qualcuno che, codificando acredine incessantemente, vuole produrre una sua propria strada. Solo in questo, più che nelle acerbità linguistiche, trovo che il libro di Dubito, in particolare nei testi destinati allo spoken, sia più legato al dato generazionale. È un libro della sua generazione, pieno di “Mera voglia di Meraviglia” con cui, dice, “Attraverserò L’euraNsia a piedi,/ se la batteria del lettore regge.”
Io non so che consistenza culturale in senso lato possa avere questo materiale, non so se contribuisca a quell’estetica dell’ibridazione che pare ormai essere un concreto orizzonte di lavoro. Sicuramente bene ha fatto Agenzia X a mandare in libreria questi testi – curati molto bene e con grande coraggio da Lorenzo Fe, fratello di Abe –, per quanto la loro spendibilità stia un po’ stretta nel supporto cartaceo, e infatti mi pare che sia in arrivo anche una versione e-book e un ultimo CD di Disturbati Dalla Cuiete, La FrustrAzione del Lunedì e Altre Storie delle Periferie Arrugginite, che completeranno l’“azione” di Abe. Dal web 2.0 in poi, dal momento cioè in cui ciò che è in rete è in me perché io sono in rete, francamente, ogni pratica pare consentita, poiché la “produzione di web a mezzo di web”, per dirla à la Sraffa, è di fatto il dato più significativo nell’evoluzione del panorama culturale odierno (e forse quello che si annuncia in “Che Fare”, il grande concorso di idee lanciato da doppiozero, ne è la conferma). Se è vero, allora questo piccolo libro della realtà aumentata, e Abe che, nel dubbio non solo onomastico, lo ha scritto, sono un tassello, una esperienza che mostra, indica, segnala. Sbagliato chiedergli illustrazioni e didascalie di qualche cosa che sta succedendo, questo libro non è una sociologietta, è di più, è un piccolo modello del fare, del nuovo fare, che ancora si fatica a vedere, a riconoscere e capire, un qualcosa che sta operando, e crescendo.Per ora siamo con Abe:HO SCELTO/ LA PRIMA FILA
sui binari del foglio/ deraglio all’ultima quartina
nella periferia dell’impero/ reti di pensiero
e quando ridi CAZZO/ fallo per davvero!
www.conaltrimezzi.com, 21 dicembre 2012Alberto Dubito, Erravamo giovani stranieri
Sono in buona fede. In ottima fede. La fede più profonda che queste membra e questa mente abbiano mai conosciuto: la letteratura. Quindi, dimentichiamoci per un minuto che Alberto Dubito era un mio amico. Dimentichiamoci per sessanta secondi che l’autore è prematuramente scomparso a soli vent’anni. Dimentichiamoci per un sessantesimo di ora che questo Poeta (la maiuscola s’impone) collaborava con Agenzia X, l’editore che ha pubblicato quest’opera. E dimentichiamocene perché tutto ciò non ha influenza sull’ottimo giudizio che ho di questo libro. Erravamo giovani stranieri è una raccolta di alcune tra le numerose poesie e prose che Alberto ha lasciato ai posteri, nonché di alcuni suoi lavori fotografici e di testi di molte sue canzoni (Dubito era il cantante del duo Disturbati dalla CUiete). È la fine di un mondo, poiché l’autore non avrà modo di scrivere altro, e questo lascia un vuoto nel mondo della poesia che però, grazie al suo straordinario talento, è un vuoto a metà.
Alberto aveva un’anima votata all’umanità, alla ricerca di un benessere sociale che non ha trovato ma in cui ha conservato sempre, quasi ossessivamente, la speranza. Perché senza speranza, si sa, c’è la disperazione, ed è proprio questa che viene sviscerata nei suoi versi. Una poesia, quella di Alberto Dubito, che è capace come poche altre di adempiere al suo compito: generare se stessa. Liriche indigeste, amare, ma che si fanno spazio tra “le vie intitolate alle persone sbagliate”, tra le “piazze con la pressione bassa e l’espressione grigia, sfollate con gli idranti e l’acqua ragia”. Parole scelte con lucidità emotiva, con razionalità pressante e viva: tutto questo è parte della poetica di questo giovanissimo talento che ha lasciato, della sua esistenza, un’assenza scavata quanto una traccia. Da questa raccolta di opere non traspaiono angoscia o disagio, ma rabbia, urla represse contro il “cemento armato di pazienza” che, nelle periferie arrugginite dell’autore, sembra essere il vincitore per resa nemica. Eppure, la poesia di Alberto non si è arresa, e non si arrenderà mai.
Il 21 dicembre io leggerò questo libro per la terza volta perché, se sarà davvero la fine, voglio andarmene allietato dai versi di questo incredibile Poeta.
di Nicolas Alejandro CunialAlberto aveva un’anima votata all’umanità, alla ricerca di un benessere sociale che non ha trovato ma in cui ha conservato sempre, quasi ossessivamente, la speranza. Perché senza speranza, si sa, c’è la disperazione, ed è proprio questa che viene sviscerata nei suoi versi. Una poesia, quella di Alberto Dubito, che è capace come poche altre di adempiere al suo compito: generare se stessa. Liriche indigeste, amare, ma che si fanno spazio tra “le vie intitolate alle persone sbagliate”, tra le “piazze con la pressione bassa e l’espressione grigia, sfollate con gli idranti e l’acqua ragia”. Parole scelte con lucidità emotiva, con razionalità pressante e viva: tutto questo è parte della poetica di questo giovanissimo talento che ha lasciato, della sua esistenza, un’assenza scavata quanto una traccia. Da questa raccolta di opere non traspaiono angoscia o disagio, ma rabbia, urla represse contro il “cemento armato di pazienza” che, nelle periferie arrugginite dell’autore, sembra essere il vincitore per resa nemica. Eppure, la poesia di Alberto non si è arresa, e non si arrenderà mai.
Il 21 dicembre io leggerò questo libro per la terza volta perché, se sarà davvero la fine, voglio andarmene allietato dai versi di questo incredibile Poeta.
www.milanox.eu, 17 dicembre 2012Erravamo giovani stranieri
Recensire un libro di un amico scomparso a soli 20 anni è una grande fatica dal punto di vista emotivo.
Ma vista la qualità e l’etrerogeneità degli scritti, disegni, foto che Alberto ci ha lasciato sarebbe un delitto sottrarsi a questo compito.
Perchè Alberto Dubito nella sua intensa ma breve vita è stato poeta, scrittore, graffitaro, fotografo, cantante del gruppo crossover Disturbati dalla CUIete e agitatore culturale nella crew editoriale di Agenzia X.
Erravamo giovani stranieri, libro curato con molto amore dal collettivo dopo la sua scomparsa, è un prezioso lascito ai posteri. È una raccolta di testi vari (poesie, prose, canzoni), ma anche di foto e disegni.
Testimonia non solo il grande talento narrativo di Alberto, ma anche lo sforzo di raccontare/raccontarsi usando tutti i linguaggi a sua disposizione.
Nei suoi testi c’è una ricerca di una poetica viva, lucida e incazzata.
C’è emozione/significato, ma anche suono/ritmo.
La sua sfida è stata quella di liberare la parola, distillare emozioni ed impegno civile in metriche stilose, sotto cui sembra che rimbombino sempre basi hiphop pesanti come bombe.
Vi lascio con il testo di una sua canzone, sotto c’è il link al videose muoio giovane spero sia dal ridere,
ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi;
di quanto bruciamo meglio e di quando resto sveglio e metto la mia vita in 4 scatoloni mettendoci meno di 2 ore e poi e poi non mi vedrai più per mille miglia, fratello mio, io riparto da dove gli altri non hanno più visto la partenza e la data di scadenza, che era cinque minuti fa. http://www.youtube.com/watch?v=ANhlxMAcpXg
di Pablito el DritoMa vista la qualità e l’etrerogeneità degli scritti, disegni, foto che Alberto ci ha lasciato sarebbe un delitto sottrarsi a questo compito.
Perchè Alberto Dubito nella sua intensa ma breve vita è stato poeta, scrittore, graffitaro, fotografo, cantante del gruppo crossover Disturbati dalla CUIete e agitatore culturale nella crew editoriale di Agenzia X.
Erravamo giovani stranieri, libro curato con molto amore dal collettivo dopo la sua scomparsa, è un prezioso lascito ai posteri. È una raccolta di testi vari (poesie, prose, canzoni), ma anche di foto e disegni.
Testimonia non solo il grande talento narrativo di Alberto, ma anche lo sforzo di raccontare/raccontarsi usando tutti i linguaggi a sua disposizione.
Nei suoi testi c’è una ricerca di una poetica viva, lucida e incazzata.
C’è emozione/significato, ma anche suono/ritmo.
La sua sfida è stata quella di liberare la parola, distillare emozioni ed impegno civile in metriche stilose, sotto cui sembra che rimbombino sempre basi hiphop pesanti come bombe.
Vi lascio con il testo di una sua canzone, sotto c’è il link al videose muoio giovane spero sia dal ridere,
ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi;
di quanto bruciamo meglio e di quando resto sveglio e metto la mia vita in 4 scatoloni mettendoci meno di 2 ore e poi e poi non mi vedrai più per mille miglia, fratello mio, io riparto da dove gli altri non hanno più visto la partenza e la data di scadenza, che era cinque minuti fa. http://www.youtube.com/watch?v=ANhlxMAcpXg
www.ciroma.org, 17 dicembre 2012DISCO DELLA SETTIMANA: Disturbati dalla CUiete – La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arruginite)
Musica che non sta al guinzaglio: questa è la prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arruginite) dei Disturbati dalla CUiete. I versi a cappella della traccia d’apertura, Disturbati Army, fanno invece capire il peso sociale, la ribellione in rime e la difficile catalogazione musicale di questo duo che, ti scaraventa con la mente (e non solo) nella prima fila di un corteo a far sentire la tua voce, perché in fondo siamo una generazione di pentole a pressione.
I Disturbati dalla CUiete, in sintesi portavoce di un’intera generazione di persone a cui non piace urlare in silenzio, sono composti da Alberto Dubito (voce e testi), premutaramente scomparso lo scorso 25 aprile 2012 e da Dr. Sospè (macchine digitali e strumentali).
Dopo lo sforzo di Agenzia X nel pubblicare in così poco tempo la raccolta di poesie, prose e testi di Alberto (Erravamo giovani stranieri), Dr. Sospè con la supervisione di Walter Bonnot Buonanno, produttore e dj Made in Italy (Assalti Frontali, Ap2p, Undergroundarea) danno alla luce (e acquistabile in tutti gli store digitali), questo nuovo capitolo sonoro composto da undici tracce. Un rap resistente intriso di urla, disagio e ribellione che dà voce e respiro al movimento.
Da Disturbaty Army che, può essere considerata la traccia manifesto de La Frustrazione del lunedì, al racconto malinconico e placido di Storie Abbandonate, passando a musicalità più agitate con liriche intrise di sociale e quotidiano come La torre di pisa che, con il suo ritornello quasi pop ti si incastra nel cervello come una giornata di pioggia d’inverno, fino a parlare di storie di periferia e del desiderio di riappropriarsi delle proprie città in Cara città Wake Up.
Il disco è arricchito da due featuring d’eccezione, uno in Vuoti a Perdere con Lello Voce, poeta, scrittore e giornalista e l’altro in FrustruAzione con M1, pilastro dell’hip hop con i Dead Prez e membro degli Ap2p con il già citato Bonnot.
Con FrustrAzione, il disco tocca probabilmente il suo apice. Un beat che sa di Assalti Frontali ma al quadrato, un’attitudine veloce e viscerale in stile punk che spacca prima la cassa toracica e poi la cassa dell’impianto stereo; M1 poi impreziosisce il tutto, creando semplicemente nuove trame sonore.
L’urgenza di mettere in rime e in musica questi messaggi, fa di quest’album una creatura dalle molteplici forme e colori; sicuramente, sia per contenuti che per musicalità, un disco che suona completamente diverso rispetto a quello che c’è attualmente sul mercato, anche se questo prodotto andrà ben aldilà di queste logiche. L’importante, è di trasmettere a chi lo ascolta, un briciolo di speranza, veicolando la rabbia e la genialità racchiuse in Alberto.
A costo di essere ripetitivo, non trovo migliore frase se non quella usata già nella recensione di Erravamo giovani stranieri e rubata da un’intervista al poeta Lello Voce: “Abe era un poeta e i poeti non muoiono mai.”ARTISTA: Disturbati dalla CUiete
TITOLO: La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferia arruginite)
LABEL: Bonnot MusicTRACKLIST:
1. Disturbati army
2. Storie abbandonate
3. Come la torre di pisa
4. La crisi dei giorni si
5. Cara citta wake up!
6. Stazioni nelle stazioni
7. Vuoti a perdere feat. Lello Voce
8. Vent’anni contro
9. Frustrazione feat. M1
10. Le Periferie Arruginite
11. Le Periferie Arruginite 2.0.12LINK UTILI:
www.facebook.com/Disturbati
www.albertodubito.it/
di Francesco a.k.a. chinaI Disturbati dalla CUiete, in sintesi portavoce di un’intera generazione di persone a cui non piace urlare in silenzio, sono composti da Alberto Dubito (voce e testi), premutaramente scomparso lo scorso 25 aprile 2012 e da Dr. Sospè (macchine digitali e strumentali).
Dopo lo sforzo di Agenzia X nel pubblicare in così poco tempo la raccolta di poesie, prose e testi di Alberto (Erravamo giovani stranieri), Dr. Sospè con la supervisione di Walter Bonnot Buonanno, produttore e dj Made in Italy (Assalti Frontali, Ap2p, Undergroundarea) danno alla luce (e acquistabile in tutti gli store digitali), questo nuovo capitolo sonoro composto da undici tracce. Un rap resistente intriso di urla, disagio e ribellione che dà voce e respiro al movimento.
Da Disturbaty Army che, può essere considerata la traccia manifesto de La Frustrazione del lunedì, al racconto malinconico e placido di Storie Abbandonate, passando a musicalità più agitate con liriche intrise di sociale e quotidiano come La torre di pisa che, con il suo ritornello quasi pop ti si incastra nel cervello come una giornata di pioggia d’inverno, fino a parlare di storie di periferia e del desiderio di riappropriarsi delle proprie città in Cara città Wake Up.
Il disco è arricchito da due featuring d’eccezione, uno in Vuoti a Perdere con Lello Voce, poeta, scrittore e giornalista e l’altro in FrustruAzione con M1, pilastro dell’hip hop con i Dead Prez e membro degli Ap2p con il già citato Bonnot.
Con FrustrAzione, il disco tocca probabilmente il suo apice. Un beat che sa di Assalti Frontali ma al quadrato, un’attitudine veloce e viscerale in stile punk che spacca prima la cassa toracica e poi la cassa dell’impianto stereo; M1 poi impreziosisce il tutto, creando semplicemente nuove trame sonore.
L’urgenza di mettere in rime e in musica questi messaggi, fa di quest’album una creatura dalle molteplici forme e colori; sicuramente, sia per contenuti che per musicalità, un disco che suona completamente diverso rispetto a quello che c’è attualmente sul mercato, anche se questo prodotto andrà ben aldilà di queste logiche. L’importante, è di trasmettere a chi lo ascolta, un briciolo di speranza, veicolando la rabbia e la genialità racchiuse in Alberto.
A costo di essere ripetitivo, non trovo migliore frase se non quella usata già nella recensione di Erravamo giovani stranieri e rubata da un’intervista al poeta Lello Voce: “Abe era un poeta e i poeti non muoiono mai.”ARTISTA: Disturbati dalla CUiete
TITOLO: La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferia arruginite)
LABEL: Bonnot MusicTRACKLIST:
1. Disturbati army
2. Storie abbandonate
3. Come la torre di pisa
4. La crisi dei giorni si
5. Cara citta wake up!
6. Stazioni nelle stazioni
7. Vuoti a perdere feat. Lello Voce
8. Vent’anni contro
9. Frustrazione feat. M1
10. Le Periferie Arruginite
11. Le Periferie Arruginite 2.0.12LINK UTILI:
www.facebook.com/Disturbati
www.albertodubito.it/
www.ciroma.org, 12 dicembre 2012Alberto Dubito. Erravamo giovani stranieri
A te, ipocrita lettore
mon frère,
(o stimato conoscente)
Rivolte a te forse sono le frasi tra trattini, le anacenosi.Le poche frasi che compongono l’intro di questo libro, fan già capire lo spirito di Alberto, un corpo che, sfortunatamente, il 25 aprile 2012 ha lasciato questo mondo. A dirla tutta questo scritto, catalogabile soltanto nella forma come libro, è qualcosa di più. Nel mio immaginario, si fa spazio una betoniera che impasta una rabbia malinconia fuori dal normale e un desiderio di ribellione che sa di puro, vero e tangibile.
Le parole sembrano tremare davanti a questo schermo perchè non è assolutamente facile parlare delle opere di un poeta e cantante andato via troppo presto e che ha lasciato un immenso forziere di parole radicate ed intrise in un disagio palpabile, con un significato che sconvolge i tuoi ideali, i tuoi pensieri e le tue certezze.
Un libro da leggere tutto d’un fiato, senza neanche pensarci, che invade con i suoi mille significati e le mille sfaccettature ogni singolo anfratto del tuo corpo. Non c’è spazio al realismo, le parole che fluttuano nel tuo cervello si incastrano, cambiano continuamente forma e colore e ti portano davanti agli occhi istantanee indelebili. Talvolta è come rituffarsi in prima fila in un corteo con il cordone della polizia a far capire chi comanda, altre volte è come sentire il freddo umido e pungente di una periferia o come trasmettere in etere, parole e musica da una gelida stanzetta di qualche emittente libera ed indipendente.
Spesso è semplicemente la consapevolezza dei suoi personaggi erranti che prende forma.Il problema dei vuoti è che tu nei miei non nuotiErravamo giovani stranieri, opera divisa in tre parti inframezzate da una manciata di istantanee con didiscalie evocative (poesie – prose – canzoni) e arricchita da altrettanti scritti ad opera di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli, ha come filo conduttore la musica. Alberto infatti rimane l’anima dei Disturbati dalla CUIete, un gruppo contaminato dalla sperimentazione della sua poesia in rime e dalle atmosfere intrise di rap e derivati urbani.
Di recente uscita, supervisionato dal produttore e dj Walter Bonnot Buonanno, impreziosito dai feat di Lello Voce e da M1 dei Dead Prez, è La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arruginite). Ascoltare questo disco, per altro fuori in tutti gli store digitali, è il miglior modo per capire fino in fondo la completezza, la rabbia e la genialità delle parole che erano racchiuse in Alberto Dubito. Le parole che compongono i vari testi, una su tutte Generazione di pentole a pressione, sintetizzano al meglio le parole dette sopra e si incastrano magistralmente con la ritmica dei beat, dando vita a nuovi linguaggi espressivi, anche se questa è un’altra storia.
Lo sforzo di Agenzia X nel far uscire così presto questa raccolta di testi ed immagini, è stato quello, seppur con l’animo intriso di tristezza e dolore, di ripercorrere meticolosamente i testi di Alberto con la solita ed eccelsa convinzione che l’accompagna da sempre; offrire al pubblico questi scritti come segno di condivisione artistica, di affetto e di memoria, il miglior esercizio della mente umana. “Abe era un poeta e i poeti non muoiono mai.” Lello Voce
di Francesco a.k.a. chinamon frère,
(o stimato conoscente)
Rivolte a te forse sono le frasi tra trattini, le anacenosi.Le poche frasi che compongono l’intro di questo libro, fan già capire lo spirito di Alberto, un corpo che, sfortunatamente, il 25 aprile 2012 ha lasciato questo mondo. A dirla tutta questo scritto, catalogabile soltanto nella forma come libro, è qualcosa di più. Nel mio immaginario, si fa spazio una betoniera che impasta una rabbia malinconia fuori dal normale e un desiderio di ribellione che sa di puro, vero e tangibile.
Le parole sembrano tremare davanti a questo schermo perchè non è assolutamente facile parlare delle opere di un poeta e cantante andato via troppo presto e che ha lasciato un immenso forziere di parole radicate ed intrise in un disagio palpabile, con un significato che sconvolge i tuoi ideali, i tuoi pensieri e le tue certezze.
Un libro da leggere tutto d’un fiato, senza neanche pensarci, che invade con i suoi mille significati e le mille sfaccettature ogni singolo anfratto del tuo corpo. Non c’è spazio al realismo, le parole che fluttuano nel tuo cervello si incastrano, cambiano continuamente forma e colore e ti portano davanti agli occhi istantanee indelebili. Talvolta è come rituffarsi in prima fila in un corteo con il cordone della polizia a far capire chi comanda, altre volte è come sentire il freddo umido e pungente di una periferia o come trasmettere in etere, parole e musica da una gelida stanzetta di qualche emittente libera ed indipendente.
Spesso è semplicemente la consapevolezza dei suoi personaggi erranti che prende forma.Il problema dei vuoti è che tu nei miei non nuotiErravamo giovani stranieri, opera divisa in tre parti inframezzate da una manciata di istantanee con didiscalie evocative (poesie – prose – canzoni) e arricchita da altrettanti scritti ad opera di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli, ha come filo conduttore la musica. Alberto infatti rimane l’anima dei Disturbati dalla CUIete, un gruppo contaminato dalla sperimentazione della sua poesia in rime e dalle atmosfere intrise di rap e derivati urbani.
Di recente uscita, supervisionato dal produttore e dj Walter Bonnot Buonanno, impreziosito dai feat di Lello Voce e da M1 dei Dead Prez, è La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arruginite). Ascoltare questo disco, per altro fuori in tutti gli store digitali, è il miglior modo per capire fino in fondo la completezza, la rabbia e la genialità delle parole che erano racchiuse in Alberto Dubito. Le parole che compongono i vari testi, una su tutte Generazione di pentole a pressione, sintetizzano al meglio le parole dette sopra e si incastrano magistralmente con la ritmica dei beat, dando vita a nuovi linguaggi espressivi, anche se questa è un’altra storia.
Lo sforzo di Agenzia X nel far uscire così presto questa raccolta di testi ed immagini, è stato quello, seppur con l’animo intriso di tristezza e dolore, di ripercorrere meticolosamente i testi di Alberto con la solita ed eccelsa convinzione che l’accompagna da sempre; offrire al pubblico questi scritti come segno di condivisione artistica, di affetto e di memoria, il miglior esercizio della mente umana. “Abe era un poeta e i poeti non muoiono mai.” Lello Voce
Rumore, dicembre 2012Il disco dei Disturbati dalla CUiete
Disturbati dalla CUiete
La frustrazione del lunedì e altre storie delle periferie arrugginite
Bonnot Music
voto: 7L’urgenza in rima di un duo della profonda provincia italiana che concepisce il rap come creatura bastarda. Rap che suona dunque rock ed electro, cita Zanzotto, con metriche e flow da slam poetry, ma anche ritornelli pop (su tutti Come la torre di Pisa). Voce e testi di Alberto Dubito (da poco prematuramente scomparso), produzioni di Dr. Sospè e supervisione di Bonnot per un rap che dà voce alle urla del movimento, quello giovanile più acuto, che fa sembrare viva e resistente anche Treviso. E per quanto si parli di minoranza, l’impressione è concreta e questo album ne è forte testimonianza. Emblematica la presenza di due ospiti come M1 (Dead Prez) e Lello Voce. “Voce, chi?!”. Ecco, la scena rap italiana reagirà come al solito stranita di fronte a un disco così diverso? La speranza è che non si chiuda come la provincia qui evocata.
di Luca GricinellaLa frustrazione del lunedì e altre storie delle periferie arrugginite
Bonnot Music
voto: 7L’urgenza in rima di un duo della profonda provincia italiana che concepisce il rap come creatura bastarda. Rap che suona dunque rock ed electro, cita Zanzotto, con metriche e flow da slam poetry, ma anche ritornelli pop (su tutti Come la torre di Pisa). Voce e testi di Alberto Dubito (da poco prematuramente scomparso), produzioni di Dr. Sospè e supervisione di Bonnot per un rap che dà voce alle urla del movimento, quello giovanile più acuto, che fa sembrare viva e resistente anche Treviso. E per quanto si parli di minoranza, l’impressione è concreta e questo album ne è forte testimonianza. Emblematica la presenza di due ospiti come M1 (Dead Prez) e Lello Voce. “Voce, chi?!”. Ecco, la scena rap italiana reagirà come al solito stranita di fronte a un disco così diverso? La speranza è che non si chiuda come la provincia qui evocata.
http://percorsipoeticiabrannu.blogspot.it, 30 novembre 2012Non c’è più tempo!
Alcune sere fa sono andato al centro sociale autogestito Cox 18 che si trova a Milano nella zona dei Navigli. Lì ho avuto modo di conoscere e ascoltare, purtroppo solo in video, alcune performance della band Disturbati dalla CUiete che fa capo al leader e cantante Alberto Dubito. Questo ragazzo si è spento a soli 21 anni e oggi viene ricordato oltre che come leader e cantante del suo gruppo, soprattutto come poeta contemporaneo. I suoi testi, in particolare quello della canzone qui postata, descrivono egregiamente le realtà metropolitane di oggi, dove il tempo sembra divorare l’uomo e l’uomo sembra divorare il tempo, in una dinamica di reciproco cannibalismo.Non c’è più tempo!Premo il retro della bic
come a far uscire l’ossigeno dalla siringa,
drogo la cellulosa,
giro la clessidra.Dalle periferie arrugginite
fino al centro storico di ogni uomo,
le mie mille miglia interrotte
dalla seconda guerra mondiale d’ideali
e cento mila nessuni e senza un duomo dentro
reduci dal primo conflitto, circa quarant anni fa.Assumi per veri i cinque sensi
ridi mano nella mano delle città
dove credi che la retina renda tutto contemporaneo
e quest epoca non mostra più pupille ove riflettersi.Mille miglia per far fronte alla peste del mio secolo,
è tempo di capire che non c’è tempo,
raddoppiare le sillabe nel verso,
queste sono le mie mille miglia
laddove hanno fatto deragliare il soggetto,
bombardando i ponti che portavano le parole al concetto,
eccetto te eccetto me, mon frere, citando Baudelaire,
per noi, con mostri ben più grandi:
la noia della noia e il buon livello medio di sopravvivenza
che c’è costato le palpebre
e negl’occhi non ci guardiamo più caro duemila:e se io muoio giovane spero sia dal ridere,
ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi;
di quanto bruciamo meglio
e di quando resto sveglio
e metto la mia vita in 4 scatoloni mettendoci meno di 2 ore
e poi e poi non mi vedrai più per mille miglia, fratello mio,
io riparto da dove gli altri non hanno più visto la partenza
e la data di scadenza che era cinque minuti fa.Lancio bombe carta nel cestino,
e contro questo posto che baratta filtri per i sogni in cambio dei sogni stessi,
e finisci per vedere solo i bisogni
e fumare la tua anidride carbonica
spoglio di interessi.Sai devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me,
come dare forma al mio secolo
prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua.
Devo scriverlo perché quello che non scrivo
mi limita fino a quando non diventa limite di carta
e se non mi limita è perché correndo tra le città teatro
io brucio dentro,
mentre fuori nevica e non rifiuto il futuro:
sai, non conviene.
Ma preferisco bruciare bene e bruciare in fretta,
quindi, mon frère, seguimi per mille miglia e dammi retta,
ti prego dammi retta.Dalle periferie arrugginite fino al centro storico,
di fretta, scorrono vie bar, viali, grattacieli, palazzoni, binari,
piccole zone industriali e campi, piazze, scazzi e ancora palazzi
parchetti, volanti, sirene e lampeggianti,
e non distanti da noi lungo fossi i lampioni
i passanti e diecimila situazioni poco importanti
in coda ai semafori,
e impalcature precarie per i nostri futuri prossimi.
Qua sa tutto di plastica bruciata, mon frère,
e non c’è più tempo!Alberto Dubito (cantante e poeta)
come a far uscire l’ossigeno dalla siringa,
drogo la cellulosa,
giro la clessidra.Dalle periferie arrugginite
fino al centro storico di ogni uomo,
le mie mille miglia interrotte
dalla seconda guerra mondiale d’ideali
e cento mila nessuni e senza un duomo dentro
reduci dal primo conflitto, circa quarant anni fa.Assumi per veri i cinque sensi
ridi mano nella mano delle città
dove credi che la retina renda tutto contemporaneo
e quest epoca non mostra più pupille ove riflettersi.Mille miglia per far fronte alla peste del mio secolo,
è tempo di capire che non c’è tempo,
raddoppiare le sillabe nel verso,
queste sono le mie mille miglia
laddove hanno fatto deragliare il soggetto,
bombardando i ponti che portavano le parole al concetto,
eccetto te eccetto me, mon frere, citando Baudelaire,
per noi, con mostri ben più grandi:
la noia della noia e il buon livello medio di sopravvivenza
che c’è costato le palpebre
e negl’occhi non ci guardiamo più caro duemila:e se io muoio giovane spero sia dal ridere,
ti dicevo, di quanto brucio più in fretta di voi;
di quanto bruciamo meglio
e di quando resto sveglio
e metto la mia vita in 4 scatoloni mettendoci meno di 2 ore
e poi e poi non mi vedrai più per mille miglia, fratello mio,
io riparto da dove gli altri non hanno più visto la partenza
e la data di scadenza che era cinque minuti fa.Lancio bombe carta nel cestino,
e contro questo posto che baratta filtri per i sogni in cambio dei sogni stessi,
e finisci per vedere solo i bisogni
e fumare la tua anidride carbonica
spoglio di interessi.Sai devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me,
come dare forma al mio secolo
prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua.
Devo scriverlo perché quello che non scrivo
mi limita fino a quando non diventa limite di carta
e se non mi limita è perché correndo tra le città teatro
io brucio dentro,
mentre fuori nevica e non rifiuto il futuro:
sai, non conviene.
Ma preferisco bruciare bene e bruciare in fretta,
quindi, mon frère, seguimi per mille miglia e dammi retta,
ti prego dammi retta.Dalle periferie arrugginite fino al centro storico,
di fretta, scorrono vie bar, viali, grattacieli, palazzoni, binari,
piccole zone industriali e campi, piazze, scazzi e ancora palazzi
parchetti, volanti, sirene e lampeggianti,
e non distanti da noi lungo fossi i lampioni
i passanti e diecimila situazioni poco importanti
in coda ai semafori,
e impalcature precarie per i nostri futuri prossimi.
Qua sa tutto di plastica bruciata, mon frère,
e non c’è più tempo!Alberto Dubito (cantante e poeta)
www.ilsole24ore.com, 23 novembre 2012Essere vigili davanti al mondo. La parola inquieta di Alberto Dubito
Davvero non è facile parlare dell’opera del poeta e cantante Alberto “Dubito” Feltrin, scomparso a soli ventun anni nell’aprile di quest’anno. Così come non è stato facile per i curatori – lo si legge bene nella nota introduttiva – raccogliere una selezione di immagini e parole da un lascito già molto vasto.
Chi decide di porre fine alla sua vita così giovane riverbera ogni sua parola di una luce molto difficile da eludere: ne testimonia la radicalità, l’importanza assoluta. Anche per questo occorre leggere con attenzione questo libro: senza chiudere gli occhi di fronte agli alti e bassi o a certe, ovvie immaturità: ma lasciandosi trasportare dal talento multiforme che lo pervade. La poesia di Dubito sfida il disagio e non si piega al genere del racconto generazionale: cerca il conflitto con la realtà senza limitarsi a fotografarla. Gioie, abbandoni, pomeriggi passati a fumare, viaggi improvvisi, scheletri di grattacieli contro la luce d’inverno, amori “che sfiorano i 40hz”: tutto il caleidoscopio di vertigine e disagio dei vent’anni che domanda innanzitutto una risposta.
La sua lingua è intimamente musicale, e anche per questo trova una collocazione perfetta nell’album del suo gruppo – i Disturbati della Cuiete – dal titolo La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite), e a breve disponibile su diversi siti di download digitale. Un disco maturo e sorprendente, che colpisce per la varietà dell’ispirazione: un hip-hop contaminato, sperimentale, a tratti visceralmente punk. Ascoltarlo è il modo migliore per dare completezza all’intero lavoro di Alberto Dubito: un poeta che di fronte allo stordimento dell’epoca, pretende resistenza. (Pensando alla sua terribile fine potrà sembrare contraddittorio: ma non lo è. Come per i suoi fratelli ideali – penso a Stig Dagerman, ad esempio – l’eredità che ci lascia è un’eredità di coraggio).
Ma più di tutto, che sia cantata o scritta, è importante sottolineare quanto la sua parola sia priva di cinismo e pervasa invece da un’urgenza autentica, che non si preoccupa di apparire ingenua, perché vuole innanzitutto ferire il lettore. Impedirgli di restare indifferente o persino soddisfatto: è appunto la quiete che disturba, e questa è lirica inquieta. Erravamo giovani stranieri e le canzoni dei Disturbati ci pongono dunque il problema nudo: che ne facciamo di questo tempo? Davvero siamo destinati ad arrenderci? O siamo ancora in grado di sentire il dolore e la meraviglia, fuori da ogni anestesia? La risposta è insieme elementare e definitiva: “e no, non dirmi che ormai ho vent’anni e delle belle lettere / dovrei disfarmi, perché non rimango nulla e rimango qua / tra gli sfatti che a patti son sceso fin troppo.”
In una recente intervista, Adam Zagajewski suggeriva che forse il compito della poesia è essere vigili davanti al mondo che ci assedia. Se così è, si tratta di un compito che l’opera di Alberto Dubito assolve pienamente.
di Giorgio FontanaChi decide di porre fine alla sua vita così giovane riverbera ogni sua parola di una luce molto difficile da eludere: ne testimonia la radicalità, l’importanza assoluta. Anche per questo occorre leggere con attenzione questo libro: senza chiudere gli occhi di fronte agli alti e bassi o a certe, ovvie immaturità: ma lasciandosi trasportare dal talento multiforme che lo pervade. La poesia di Dubito sfida il disagio e non si piega al genere del racconto generazionale: cerca il conflitto con la realtà senza limitarsi a fotografarla. Gioie, abbandoni, pomeriggi passati a fumare, viaggi improvvisi, scheletri di grattacieli contro la luce d’inverno, amori “che sfiorano i 40hz”: tutto il caleidoscopio di vertigine e disagio dei vent’anni che domanda innanzitutto una risposta.
La sua lingua è intimamente musicale, e anche per questo trova una collocazione perfetta nell’album del suo gruppo – i Disturbati della Cuiete – dal titolo La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite), e a breve disponibile su diversi siti di download digitale. Un disco maturo e sorprendente, che colpisce per la varietà dell’ispirazione: un hip-hop contaminato, sperimentale, a tratti visceralmente punk. Ascoltarlo è il modo migliore per dare completezza all’intero lavoro di Alberto Dubito: un poeta che di fronte allo stordimento dell’epoca, pretende resistenza. (Pensando alla sua terribile fine potrà sembrare contraddittorio: ma non lo è. Come per i suoi fratelli ideali – penso a Stig Dagerman, ad esempio – l’eredità che ci lascia è un’eredità di coraggio).
Ma più di tutto, che sia cantata o scritta, è importante sottolineare quanto la sua parola sia priva di cinismo e pervasa invece da un’urgenza autentica, che non si preoccupa di apparire ingenua, perché vuole innanzitutto ferire il lettore. Impedirgli di restare indifferente o persino soddisfatto: è appunto la quiete che disturba, e questa è lirica inquieta. Erravamo giovani stranieri e le canzoni dei Disturbati ci pongono dunque il problema nudo: che ne facciamo di questo tempo? Davvero siamo destinati ad arrenderci? O siamo ancora in grado di sentire il dolore e la meraviglia, fuori da ogni anestesia? La risposta è insieme elementare e definitiva: “e no, non dirmi che ormai ho vent’anni e delle belle lettere / dovrei disfarmi, perché non rimango nulla e rimango qua / tra gli sfatti che a patti son sceso fin troppo.”
In una recente intervista, Adam Zagajewski suggeriva che forse il compito della poesia è essere vigili davanti al mondo che ci assedia. Se così è, si tratta di un compito che l’opera di Alberto Dubito assolve pienamente.
http://flatlandia.radiondadurto.org, 19 novembre 2012Erravamo giovani stranieri a Radio onda d'urto
Andrea Scarabelli di Agenzia X ci parla di Erravamo giovani stranieri, libro che presenta una scelta di poesie e prose, canzoni e immagini di Alberto Dubito, giovane artista che ci ha lasciato troppo presto. Andrea ci parla anche di Slam X che si è svolto il 16 e 17 novembre a Cox 18. Questa edizione del festival era dedicata proprio ad Alberto. Ascolta l’intervista
di Radio onda d'urtoRadio popolare, 16 novembre 2012Erravamo giovani stranieri a Jalla! Jalla!
In chiusura, la quarta edizione di Slam X, festival totalmente autogestito e indipendente che Agenzia X ha organizzato anche quest’anno con le forze che ha e con quelle che gli amici mettono a disposizione. Un festival di cultura militante, anche per la partecipazione disinteressata degli artisti. In ricordo, in questa quarta edizione, di Alberto Dubito. Ne parliamo con Andrea Scarabelli, prima della sfida a colpi di rima tra il nostro Ivan e il poeta Guido Catalano, tra i protagonisti della kermesse.Ascolta la trasmissione
Jalla! Jalla! 16-11 Terza parte al minuto 10.04
di Radio PopolareJalla! Jalla! 16-11 Terza parte al minuto 10.04
www.rollingstonemagazine.it, 9 novembre 2012Alberto Dubito: barman, metti l’amaro in conto al mondo!
Fra i libri che mi sono visto recapitare ultimamente ce n’è stato uno in particolare con cui ho avuto un rapporto di amore e odio. Amore, perché ho ritrovato quelle cose che tanti anni fa avrei voluto dire ma non ne ero capace; odio, perché nelle mani, il libro, ha iniziato a prender fuoco quando mi sono accorto che, a suo tempo, ebbi paura di affondarci le mani, in quelle cose. È un po’ come quando vuoi bene al tuo vicino di banco o al tuo collega, ma pian piano cominci ad invidiarlo perché ha quel dannato talento che tu non hai e allora non puoi far altro che intralciargli la strada, denigrarlo, sperando che quel suo fluido magico transiti anche da te. Invano. Mentre prendevo appunti, scarabocchiavo e spiegazzavo le pagine, mi dicevo: “A vent’anni non si può scrivere così, dov’è la fregatura?”. Il risultato è che leggevo con un disperato bisogno che finisse perché l’ho trovato, per i motivi appena detti, fastidioso ed immodesto. “A vent’anni non si può scrivere così”. E, quando provi questo finissimo rancore represso, è meglio riposare, cambiare discorso, occuparsi di altro. A meno che non ti paghino per scrivere.
Erravamo giovani stranieri di Alberto Dubito (pseudonimo di Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012) è stato pubblicato a ottobre da Agenzia X e, al principio, lo scoglio maggiore è stato non sentirsi troppo in soggezione davanti le vicende dell’autore, scomparso solo a vent’anni, per poter restare con le parole, le immagini e la musica, e non con la sua storia. Voglio dire che le biografie degli autori ti lasciano contuso, affascinato o deluso, ma c’è sempre qualcosa di non o troppo detto, che sfugge e trascende il giorno dopo giorno. In questo caso invece è sufficiente addentrarsi appena nelle poesie per capire che Dubito crea un’esplosiva, urgente, biografia dell’anima (parolina un tantino desueta) con cui mappa l’impossibile, impraticabile e inestricabile, esistenza degli anni 00, sempre però raccontata ed urlata da dietro l’oblò di una straziante solitudine che in un certo senso, per contrappasso, ricorda quella degli angeli de Il cielo sopra Berlino di Wenders.E il cielo è sempre più grigio caro rino
un altro giro di parole, un altro blues
un altro giro di gin, capovolgo il cielo col mare
e pioverà a dirotto per anni, noi che per amare
abbiamo smesso di dirlo. Periferia, ruggine, il vuoto, binari, la mancanza di un appiglio, sirene, odio, televisione, rivolta, vomito, occhi di donna: c’è tutto il fluttuare di immagini di un libro generazionale, intriso però di quella incosciente consapevolezza (perdonate l’ossimoro) che ti condanna sin dal principio a duellare di fioretto con l’autore, e col mondo. C’è tutta quella inadeguatezza verso il silenzio negato ai più giovani – gli iperstimolati/bombardati da suoni, immagini, fica e reti wireless – che a fatica trovano la formula magica per far nascere le parole dal silenzio e al silenzio farle tornare. C’è la libertà vuota, inutile, non sublimata eppure viva mentre passeggia spaesata sull’asfalto della città. C’è la passione e la bellezza che dalle viscere passa direttamente alla musica, senza il filtro esclusivo della tecnica.
Sarebbe bene, mentre lo si legge, ripensare alla propria di biografia, a come si è diventati quello che oggi siamo, nessuna analisi sociologica, sia chiaro, ma almeno verificare se tuttora palpita alcunché di quegli anni giovanili che, superati i trenta (parlo della mia generazione), sembrano tranciati via dalle questioni pratiche. Soprattutto oggi che la letteratura è cinica e comunque troppo adulta, e quando trovi emozioni e sentimenti o sono demenziali capogiri di innamorati sfigati o trite analisi psicologiche catalogabili nelle patologie del DSM. Con Dubito si può ritornare meditabondi a quei mondi sconosciuti ed emozionanti che erano i viaggi in treno, le manifestazioni o l’accidia di quando si trascorrevano giornate stesi sul letto a fumare.Quando vivo, vivo [qua dentro]
quando scrivo, scrivo [(qua dentro)]
quando penso, penso ancora più dentro
non da poeta sognatore
ma da figlio realista della stessa realtà materiale. L’autore si afferma non tanto nella tecnica poetica (anche per suo preciso volere) ma nello stomaco, quando senti che quel groviglio di serpenti anestetizzati iniziano a dibattersi. Anche se l’ho spiegato con una metafora di merda è così. E, ripeto, mi sorprende che uno stronzetto di 20 anni si sia permesso di fare questo; anzi mi fa incazzare quando vengo a sapere che ha deciso di non scrivere più niente.
Poesie, prose, foto, canzoni sono di un ragazzo compresso nel suo tempo, forse spremuto dal suo tempo, con un’immaturità stranamente elegante, compiuta, intimamente diretta come lo è il disco La frustrAzione del Lunedì e altre Storie delle Periferie (in vendita dal 15 novembre) del suo gruppo rap Disturbati dalla CUiete, di cui è voce e autore dei testi. Per certi aspetti, le parole (azzardo) potrebbero ricordare Massimo Volume in quanto Dubito, nel disco, pure quando lo si ascolta incazzato, rimane un gentile, un gentile metropolitano con pantaloni larghi e sneakers scure che usa mannaia e bisturi, estrae fegato e reni e richiude. E al risveglio non c’è nessuno a tenerti la mano.Fisso il soffitto/ se questo non ricambìa
inSonnia e guai/ rive-di lei perso nel via vai
grattacieli nel subconscio/ (verticalizzi pensieri)
e dici tutto a posto/ senza pensarlo maiQuello che più sorprende non è tanto il tono postindustriale (sarà perché fatico parecchio con le Luci della eccetera eccetera e tanti altri) quanto nella sua capacità di non impantanarsi mai nella Noia Esistenziale, già battezzata un milione di volte e sempre in agguato, glassa velenosa e stantia degli ultimi trent’anni. È quasi offensivo nel 2012 trovarsi di fronte a chi non si vergogna dei propri sentimenti che, pure se pesanti e duri, finiscono nelle pagine snelli e vibranti. Il primo effetto meraviglioso di queste poesie infatti è che, mentre leggevo, mi ritrovavo a pensare ai fatti miei, non ai miei gatti o ai denti cariati, ma ad un certo modo di sentire – e distruggere –, alla positiva paura delle sinapsi del cuore, come se le strofe fossero rampe di lancio verso un’atmosfera rarefatta dove rollavo per qualche minuto fino di nuovo all’atterraggio, sulle righe successive, e quando chiudevo Erravamo giovani stranieri, ripresomi dai cambi di pressione, era come se il mondo che m’era attorno fosse quello sterile e gelido di Huxley.Quando
anche i miti cadono
io sopra tutti ballerò
anche gl’eroi piangono per questo dubitoC’è da giurarci che Rimbaud soffrì come un cane per non essere compreso, e fece le sue scelte. L’ispirazione è come un filone d’oro, quando la trovi cerchi di seguirla e, se hai coraggio, non torni in superficie finché non finisci il lavoro. Ogni tanto, al buio, con la lanterna della ragione la perdi, viene da mollare, altre volte continui a scavare. Chi è disceso ed è sopravvissuto a se stesso e ha conosciuto l’intensità della paura, poi si siede sulle rive del fiume a setacciare pepite d’oro, ricco, prima d’ogni altra cosa, di un’esperienza umana e tremenda. E rimane lì, al sole, a raccontare storie bellissime. Poche e rare volte invece, come probabilmente è capitato a Dubito, il filone arriva fino al centro della terra, davanti alle invitanti porte dell’inferno e impossibile risulta tornare indietro. Come dice il poeta, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.È essere all’inizio ma avere vent’anni.
essere alla fine ma avere vent’anni.Ps. Avevo contattato uno dei curatori dell’opera e suo amico, Andrea Scarabelli, per rivolgergli qualche domanda ma poi ci ho ripensato, per timore di perdermi in quanto detto sopra. O meglio, paura di trovare la strada. Ho la certezza che, di un libro del genere, più coordinate si hanno e peggio è. Sicuro mi sono contraddetto e ho l’impressione di essermi lasciato troppo andare a fregnacce, probabilmente qualcosa di quanto ho scritto non significa niente, ma il punto è che proprio questo caos è il mio Alberto Dubito, l’autore di cui ho letto le parole ed ascoltato la musica, e va bene così, con la centrifuga introspettiva che ha scatenato. A vous...In esclusiva il teaser dell’ultimo disco di Disturbati dalla CUiete qui
di Luca PakarovErravamo giovani stranieri di Alberto Dubito (pseudonimo di Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012) è stato pubblicato a ottobre da Agenzia X e, al principio, lo scoglio maggiore è stato non sentirsi troppo in soggezione davanti le vicende dell’autore, scomparso solo a vent’anni, per poter restare con le parole, le immagini e la musica, e non con la sua storia. Voglio dire che le biografie degli autori ti lasciano contuso, affascinato o deluso, ma c’è sempre qualcosa di non o troppo detto, che sfugge e trascende il giorno dopo giorno. In questo caso invece è sufficiente addentrarsi appena nelle poesie per capire che Dubito crea un’esplosiva, urgente, biografia dell’anima (parolina un tantino desueta) con cui mappa l’impossibile, impraticabile e inestricabile, esistenza degli anni 00, sempre però raccontata ed urlata da dietro l’oblò di una straziante solitudine che in un certo senso, per contrappasso, ricorda quella degli angeli de Il cielo sopra Berlino di Wenders.E il cielo è sempre più grigio caro rino
un altro giro di parole, un altro blues
un altro giro di gin, capovolgo il cielo col mare
e pioverà a dirotto per anni, noi che per amare
abbiamo smesso di dirlo. Periferia, ruggine, il vuoto, binari, la mancanza di un appiglio, sirene, odio, televisione, rivolta, vomito, occhi di donna: c’è tutto il fluttuare di immagini di un libro generazionale, intriso però di quella incosciente consapevolezza (perdonate l’ossimoro) che ti condanna sin dal principio a duellare di fioretto con l’autore, e col mondo. C’è tutta quella inadeguatezza verso il silenzio negato ai più giovani – gli iperstimolati/bombardati da suoni, immagini, fica e reti wireless – che a fatica trovano la formula magica per far nascere le parole dal silenzio e al silenzio farle tornare. C’è la libertà vuota, inutile, non sublimata eppure viva mentre passeggia spaesata sull’asfalto della città. C’è la passione e la bellezza che dalle viscere passa direttamente alla musica, senza il filtro esclusivo della tecnica.
Sarebbe bene, mentre lo si legge, ripensare alla propria di biografia, a come si è diventati quello che oggi siamo, nessuna analisi sociologica, sia chiaro, ma almeno verificare se tuttora palpita alcunché di quegli anni giovanili che, superati i trenta (parlo della mia generazione), sembrano tranciati via dalle questioni pratiche. Soprattutto oggi che la letteratura è cinica e comunque troppo adulta, e quando trovi emozioni e sentimenti o sono demenziali capogiri di innamorati sfigati o trite analisi psicologiche catalogabili nelle patologie del DSM. Con Dubito si può ritornare meditabondi a quei mondi sconosciuti ed emozionanti che erano i viaggi in treno, le manifestazioni o l’accidia di quando si trascorrevano giornate stesi sul letto a fumare.Quando vivo, vivo [qua dentro]
quando scrivo, scrivo [(qua dentro)]
quando penso, penso ancora più dentro
non da poeta sognatore
ma da figlio realista della stessa realtà materiale. L’autore si afferma non tanto nella tecnica poetica (anche per suo preciso volere) ma nello stomaco, quando senti che quel groviglio di serpenti anestetizzati iniziano a dibattersi. Anche se l’ho spiegato con una metafora di merda è così. E, ripeto, mi sorprende che uno stronzetto di 20 anni si sia permesso di fare questo; anzi mi fa incazzare quando vengo a sapere che ha deciso di non scrivere più niente.
Poesie, prose, foto, canzoni sono di un ragazzo compresso nel suo tempo, forse spremuto dal suo tempo, con un’immaturità stranamente elegante, compiuta, intimamente diretta come lo è il disco La frustrAzione del Lunedì e altre Storie delle Periferie (in vendita dal 15 novembre) del suo gruppo rap Disturbati dalla CUiete, di cui è voce e autore dei testi. Per certi aspetti, le parole (azzardo) potrebbero ricordare Massimo Volume in quanto Dubito, nel disco, pure quando lo si ascolta incazzato, rimane un gentile, un gentile metropolitano con pantaloni larghi e sneakers scure che usa mannaia e bisturi, estrae fegato e reni e richiude. E al risveglio non c’è nessuno a tenerti la mano.Fisso il soffitto/ se questo non ricambìa
inSonnia e guai/ rive-di lei perso nel via vai
grattacieli nel subconscio/ (verticalizzi pensieri)
e dici tutto a posto/ senza pensarlo maiQuello che più sorprende non è tanto il tono postindustriale (sarà perché fatico parecchio con le Luci della eccetera eccetera e tanti altri) quanto nella sua capacità di non impantanarsi mai nella Noia Esistenziale, già battezzata un milione di volte e sempre in agguato, glassa velenosa e stantia degli ultimi trent’anni. È quasi offensivo nel 2012 trovarsi di fronte a chi non si vergogna dei propri sentimenti che, pure se pesanti e duri, finiscono nelle pagine snelli e vibranti. Il primo effetto meraviglioso di queste poesie infatti è che, mentre leggevo, mi ritrovavo a pensare ai fatti miei, non ai miei gatti o ai denti cariati, ma ad un certo modo di sentire – e distruggere –, alla positiva paura delle sinapsi del cuore, come se le strofe fossero rampe di lancio verso un’atmosfera rarefatta dove rollavo per qualche minuto fino di nuovo all’atterraggio, sulle righe successive, e quando chiudevo Erravamo giovani stranieri, ripresomi dai cambi di pressione, era come se il mondo che m’era attorno fosse quello sterile e gelido di Huxley.Quando
anche i miti cadono
io sopra tutti ballerò
anche gl’eroi piangono per questo dubitoC’è da giurarci che Rimbaud soffrì come un cane per non essere compreso, e fece le sue scelte. L’ispirazione è come un filone d’oro, quando la trovi cerchi di seguirla e, se hai coraggio, non torni in superficie finché non finisci il lavoro. Ogni tanto, al buio, con la lanterna della ragione la perdi, viene da mollare, altre volte continui a scavare. Chi è disceso ed è sopravvissuto a se stesso e ha conosciuto l’intensità della paura, poi si siede sulle rive del fiume a setacciare pepite d’oro, ricco, prima d’ogni altra cosa, di un’esperienza umana e tremenda. E rimane lì, al sole, a raccontare storie bellissime. Poche e rare volte invece, come probabilmente è capitato a Dubito, il filone arriva fino al centro della terra, davanti alle invitanti porte dell’inferno e impossibile risulta tornare indietro. Come dice il poeta, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.È essere all’inizio ma avere vent’anni.
essere alla fine ma avere vent’anni.Ps. Avevo contattato uno dei curatori dell’opera e suo amico, Andrea Scarabelli, per rivolgergli qualche domanda ma poi ci ho ripensato, per timore di perdermi in quanto detto sopra. O meglio, paura di trovare la strada. Ho la certezza che, di un libro del genere, più coordinate si hanno e peggio è. Sicuro mi sono contraddetto e ho l’impressione di essermi lasciato troppo andare a fregnacce, probabilmente qualcosa di quanto ho scritto non significa niente, ma il punto è che proprio questo caos è il mio Alberto Dubito, l’autore di cui ho letto le parole ed ascoltato la musica, e va bene così, con la centrifuga introspettiva che ha scatenato. A vous...In esclusiva il teaser dell’ultimo disco di Disturbati dalla CUiete qui
La Tribuna di Treviso, 7 novembre 2012Un ragazzo, i suoi versi e la sua musica. È il talento l’eredità di 'Abe' Feltrin
Abe aveva urgenza. Urgenza di raccontare la sua ribellione al sistema, di mettere in versi le proprie tensioni esistenziali, di descrivere con la musica e con la fotografia come i suoi occhi guardavano a quei contenitori grigi e vuoti che sono le città. In primo luogo l’amataodiata Treviso, dove era nato.
E proprio questa fretta è il tratto distintivo dell’immensa produzione artistica di Alberto “Dubito” Feltrin, poeta, musicista, fotografo e street artist scomparso lo scorso aprile a soli 21 anni. Parte della sua produzione è contenuta nel libro Erravamo giovani stranieri, realizzato grazie al lavoro meticoloso dello staff della casa editrice milanese “Agenzia X”, con cui Alberto collaborava. Lavoro a dir poco complesso. E non solo per l’emozione di rileggere e analizzare i testi scritti da un amico che non c’è più, ma anche per la mole immensa di materiale lasciato da Alberto a testimonianza della sua vivacità di pensiero e di produzione.
Il volume presenta una selezione di testi di poesie, di prose e di canzoni che Abe, così lo chiamavano gli amici, aveva scritto in pochissimi anni e con un ritmo incredibile. «Si è voluto realizzare questo volume e si è voluto farlo subito anche per cogliere il momento in cui il dolore ci mantiene ancora tutti uniti, prima che la diaspora dei cammini divergenti riprenda il suo corso», scrive nella commovente prefazione lo staff della casa editrice, «Dato che Alberto aveva “militato” nei ranghi dell’Agenzia X in tempi ancora molto recenti, la scelta di pubblicare questo volume nel nostro catalogo è stata immediata. Alberto era un amico, un compagno, un fratello. Erravamo giovani stranieri viene offerto alla valutazione del pubblico come gesto di condivisione dell’arte, dell’affetto, della memoria».
Parole che accompagnano immediatamente il lettore nel mondo di Alberto. Ci sono le foto, alcune scattate da lui, altre che lo ritraggono. Ci sono le poesie, scritte fra il 2007 e il 2012, in parte nella sua casa a San Pelaio a Treviso, in parte a Londra, Roma e Milano. Fra le pagine emergono i versi di Respiro, poesia che Abe aveva composto per una competizione di Poetry Slam, da declamare, se così si può dire, in quattro respiri: ogni strofa, infatti, va recitata trattenendo il fiato. Ci sono le prose e ci sono i testi delle canzoni dei Disturbati dalla CUiete, il gruppo di cui Abe è stato paroliere.
«Sai, devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me, come dare forma al mio secolo prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua/devo scriverlo perché quello che non scrivo mi limita fino a quando non diventa limite di carta e se non mi limito è perché correndo fra le città teatro io brucio dentro, mentre fuori nevica e non rifiuto il futuro, sai, non conviene. Ma preferisco bruciare bene e bruciare in fretta, quindi mon frère, seguimi per mille miglia e dammi retta, ti prego dammi retta...», scriveva e cantava Abe nel 2010, nella canzone Non c’è più tempo.
A metà novembre, uscirà un disco postumo. Il titolo: La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite). I testi di questo album, scritti da Abe, sono riportati nel volume, insieme ai contributi non critici, ma amichevoli, dell’amico e maestro Lello Voce, dello scrittore underground Marco Philopat, di Andrea Scarabelli, editor di Agenzia X.
Quel che resta, ed è molto, di un’esistenza bruciata troppo in fretta, di una sensibilità certamente troppo esposta rispetto a tempi che sembrano non voler lasciare spazio a chi espone la propria pelle al vento della vita, e accetta il rischio di esserne portato via.
E proprio questa fretta è il tratto distintivo dell’immensa produzione artistica di Alberto “Dubito” Feltrin, poeta, musicista, fotografo e street artist scomparso lo scorso aprile a soli 21 anni. Parte della sua produzione è contenuta nel libro Erravamo giovani stranieri, realizzato grazie al lavoro meticoloso dello staff della casa editrice milanese “Agenzia X”, con cui Alberto collaborava. Lavoro a dir poco complesso. E non solo per l’emozione di rileggere e analizzare i testi scritti da un amico che non c’è più, ma anche per la mole immensa di materiale lasciato da Alberto a testimonianza della sua vivacità di pensiero e di produzione.
Il volume presenta una selezione di testi di poesie, di prose e di canzoni che Abe, così lo chiamavano gli amici, aveva scritto in pochissimi anni e con un ritmo incredibile. «Si è voluto realizzare questo volume e si è voluto farlo subito anche per cogliere il momento in cui il dolore ci mantiene ancora tutti uniti, prima che la diaspora dei cammini divergenti riprenda il suo corso», scrive nella commovente prefazione lo staff della casa editrice, «Dato che Alberto aveva “militato” nei ranghi dell’Agenzia X in tempi ancora molto recenti, la scelta di pubblicare questo volume nel nostro catalogo è stata immediata. Alberto era un amico, un compagno, un fratello. Erravamo giovani stranieri viene offerto alla valutazione del pubblico come gesto di condivisione dell’arte, dell’affetto, della memoria».
Parole che accompagnano immediatamente il lettore nel mondo di Alberto. Ci sono le foto, alcune scattate da lui, altre che lo ritraggono. Ci sono le poesie, scritte fra il 2007 e il 2012, in parte nella sua casa a San Pelaio a Treviso, in parte a Londra, Roma e Milano. Fra le pagine emergono i versi di Respiro, poesia che Abe aveva composto per una competizione di Poetry Slam, da declamare, se così si può dire, in quattro respiri: ogni strofa, infatti, va recitata trattenendo il fiato. Ci sono le prose e ci sono i testi delle canzoni dei Disturbati dalla CUiete, il gruppo di cui Abe è stato paroliere.
«Sai, devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me, come dare forma al mio secolo prima di adagiarmi inconsciamente sulla sua/devo scriverlo perché quello che non scrivo mi limita fino a quando non diventa limite di carta e se non mi limito è perché correndo fra le città teatro io brucio dentro, mentre fuori nevica e non rifiuto il futuro, sai, non conviene. Ma preferisco bruciare bene e bruciare in fretta, quindi mon frère, seguimi per mille miglia e dammi retta, ti prego dammi retta...», scriveva e cantava Abe nel 2010, nella canzone Non c’è più tempo.
A metà novembre, uscirà un disco postumo. Il titolo: La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite). I testi di questo album, scritti da Abe, sono riportati nel volume, insieme ai contributi non critici, ma amichevoli, dell’amico e maestro Lello Voce, dello scrittore underground Marco Philopat, di Andrea Scarabelli, editor di Agenzia X.
Quel che resta, ed è molto, di un’esistenza bruciata troppo in fretta, di una sensibilità certamente troppo esposta rispetto a tempi che sembrano non voler lasciare spazio a chi espone la propria pelle al vento della vita, e accetta il rischio di esserne portato via.
Rumore, novembre 2012Il libro del mese: Erravamo giovani stranieri
Cronache in rima di una generazione a cavallo tra due secoli, disorientata e in movimento, affezionata al passato, in conflitto con il presente e timorosa del futuro. “La mia generazione satellite persa nell’infinito iperuranio”, la definisce Alberto Dubito (Treviso 1991-2012), il cui (cog)nome d’arte ben sintetizza l’approccio alla realtà che affiora in questa selezione di scritti. Le sue poesie spesso nascono da viaggi, trasferte, avventure, e raccontano la perdita, il conflitto e dunque il dolore che possono generare gli incontri. I versi sono calati in un presente da cui Dubito sembra non riuscire a prendere le distanze e rendono i vizi false distrazioni (“andrò in comunità per disintossicarmi dalla rima”). I pensieri del giovane autore si fanno strada in uno scenario urbano postindustriale che trova la sua collocazione ideale nei testi dei Disturbati Dalla Cuiete – gruppo rap sperimentale di cui Alberto era voce – ma nelle poesie va oltre, deflagra, perché crea una temeraria commistione di linguaggi. Questa selezione di poesie, prose, canzoni e immagini delinea uno spaccato di anni zero in cui la generazione più giovane non sta né ferma né zitta ma viene repressa con una violenza che dal 68 di Genova in poi, a intervalli regolari, sembra la norma. Dubito ha vinto vari poetry slam dunque su alcuni versi si trovano annotazioni per la “messa in scena”, la performance, ulteriore indizio della smania di non limitarsi a osservare gli eventi e ragionare di fronte a un monitor. La pubblicazione del volume a pochi mesi dalla scomparsa di Alberto è un “gesto di condivisione dell’arte, dell’affetto, della memoria” voluto da Agenzia X, dove il Nostro ha “militato” fìno all’ultimo. Chiudono il libro i contributi di Marco Philopat, Andrea Scarabelli e Lello Voce.
di Luca GricinellaLa lettura del Corriere della Sera, 4 novembre 2012Spero che il cielo non cada. Esco
Alberto “Dubito” Feltrin passava dalla poesia al racconto, dal rap al rock, dalla fotografia al disegno per l’urgenza vitale che non permette di fermarsi a lungo su una sola cosa. Conosceva bene le regole del “fare” artistico, ma sapeva altrettanto bene, con una consapevolezza acuta, che i canoni e le convenzioni possono ingabbiare l’energia e spegnerla. La sua indifferenza/impazienza nei confronti dei generi della cultura tradizionale e della controcultura (“cultura distorta d’oltre oceano”, così Alberto chiama l’hip hop che pure ama) è il sintomo di un conflitto tra forma e necessità espressiva. E questo conflitto è, in Alberto Dubito, prima di tutto vitalità. Sicché più di tante altre “opere” la sua è stata difficile da raccogliere e presentare in un libro, a maggior ragione per lo staff di Agenzia X, editrice milanese con cui Alberto collaborava. Ma ora il libro è qui, anche come collegamento virtuale a tutto ciò che ne resta fuori (le canzoni soprattutto), a testimoniare il suo enorme talento. Erravamo giovani stranieri raccoglie poesie, prose, canzoni e immagini, scegliendo solo una parte dei materiali che costituiscono il “vastissimo lascito” di Alberto.
Alberto Feltrin è morto, a vent’anni, lo scorso aprile. Aveva fretta di determinarsi, decidersi; azione e scrittura nel suo pensiero coincidevano: “Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me”. Forse anche per la necessità di dire tutto nel minor tempo possibile Alberto aveva trovato nel rap un buon compromesso formale: suoi sono i testi, sue le metafore inventive, sua la voce potente dalla dizione netta che fa nascere parole da parole nei brani dei Disturbati dalla CUiete (scritto così), il cui disco La frustrazione del lunedì è previsto in uscita a metà novembre. Un ritmo accelerato e compresso si sente anche nelle sue poesie, che Alberto usava come bacino di immagini da riversare nelle canzoni, in un travaso continuo.
Più “quiete” le prose, alcune attente a captare sintomi di malinconia esistenziale, postumi di una bohème innocente: “Sono le 18.23 di un giorno di giugno piuttosto soleggiato. Potrebbe essere martedì, o mercoledì. In realtà, per quanto mi riguarda, potrebbe anche essere venerdì o lunedì. Ma trovo più probabili le prime due ipotesi (...). Esco sperando il cielo non cada”. Sono questi i momenti in cui subentrano riflessioni stralunate sull’amore, sulla sempre difficile sintonia dei pensieri reciproci, mentre sono finissime, rapide, delicate le notazioni sul corpo femminile. È la parte più intima di Alberto Dubito, non opposta ma complementare a quella che esplode nell’urlo della ribellione civile e politica, perché tutto in lui è umanamente radicato nel profondo. Dubito aveva la precocità e la cultura necessarie a capire che lo smarrimento esistenziale dipende anche dal degrado che si produce in tenitori urbanisticamente sfibrati: “Siamo cresciuti in disordine come queste periferie torbide”.
La placida Treviso anestetizzata dal denaro e assorbita nel culto dell’“ordine” era la sua ossessione. Cercava di risvegliare la coscienza civile della città, le energie dei giovani in semiveglia. E intanto nelle “periferie arrugginite”, tra i capannoni abbandonati, nella dispersione dei binari poco fuori città sentiva la poesia malinconica del postindustriale, e il richiamo ad agire. Manifestava per il cambiamento, traducendo le sensazioni della piazza in una scrittura istantanea e approfondita: la pagina sugli incidenti del 14 dicembre 2010 a Roma è un’analisi poetica “in situazione” dei fatti di quel giorno. Di che pasta fosse fatta certa Italia (“pasta pizzo manganello”), Alberto l’aveva capito. Vivendo e scrivendo cercava di scuotere la sua città, legato per odio e per amore al luogo iniziale.
di Matteo GiancottiAlberto Feltrin è morto, a vent’anni, lo scorso aprile. Aveva fretta di determinarsi, decidersi; azione e scrittura nel suo pensiero coincidevano: “Devo scrivere il mio tempo prima che lui scriva me”. Forse anche per la necessità di dire tutto nel minor tempo possibile Alberto aveva trovato nel rap un buon compromesso formale: suoi sono i testi, sue le metafore inventive, sua la voce potente dalla dizione netta che fa nascere parole da parole nei brani dei Disturbati dalla CUiete (scritto così), il cui disco La frustrazione del lunedì è previsto in uscita a metà novembre. Un ritmo accelerato e compresso si sente anche nelle sue poesie, che Alberto usava come bacino di immagini da riversare nelle canzoni, in un travaso continuo.
Più “quiete” le prose, alcune attente a captare sintomi di malinconia esistenziale, postumi di una bohème innocente: “Sono le 18.23 di un giorno di giugno piuttosto soleggiato. Potrebbe essere martedì, o mercoledì. In realtà, per quanto mi riguarda, potrebbe anche essere venerdì o lunedì. Ma trovo più probabili le prime due ipotesi (...). Esco sperando il cielo non cada”. Sono questi i momenti in cui subentrano riflessioni stralunate sull’amore, sulla sempre difficile sintonia dei pensieri reciproci, mentre sono finissime, rapide, delicate le notazioni sul corpo femminile. È la parte più intima di Alberto Dubito, non opposta ma complementare a quella che esplode nell’urlo della ribellione civile e politica, perché tutto in lui è umanamente radicato nel profondo. Dubito aveva la precocità e la cultura necessarie a capire che lo smarrimento esistenziale dipende anche dal degrado che si produce in tenitori urbanisticamente sfibrati: “Siamo cresciuti in disordine come queste periferie torbide”.
La placida Treviso anestetizzata dal denaro e assorbita nel culto dell’“ordine” era la sua ossessione. Cercava di risvegliare la coscienza civile della città, le energie dei giovani in semiveglia. E intanto nelle “periferie arrugginite”, tra i capannoni abbandonati, nella dispersione dei binari poco fuori città sentiva la poesia malinconica del postindustriale, e il richiamo ad agire. Manifestava per il cambiamento, traducendo le sensazioni della piazza in una scrittura istantanea e approfondita: la pagina sugli incidenti del 14 dicembre 2010 a Roma è un’analisi poetica “in situazione” dei fatti di quel giorno. Di che pasta fosse fatta certa Italia (“pasta pizzo manganello”), Alberto l’aveva capito. Vivendo e scrivendo cercava di scuotere la sua città, legato per odio e per amore al luogo iniziale.
http://bugiardino.comunita.unita.it, 5 ottobre 2012Erravamo giovani stranieri
Il libro: Una scelta tra poesie e prose, tra canzoni e immagini di Alberto Dubito, giovane artista dotato di un talento profondo e precoce che gli ha consentito di lasciare una mole impressionante di scritti in pochissimi anni. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, a tratti disperato, eppure tagliente e acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia, grazie a un’irriverente abilità nel giocare con le parole. In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna, spesso in modi imprevisti, all’introspezione e all’empatia. I suoi personaggi erranti popolano un immaginario che sovrappone periferie dell’animo e realismo sociale, dipingendo affreschi visionari dai molteplici piani di lettura. Lo stile espressivo contamina suoni, immagini e parole; la scrittura è fortemente influenzata dal rap. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
ISTRUZIONI PER L’USO
Categoria farmacologica: Anticorrosivo contro le convenzioni e le ovvietà
Composizione ed eccipienti: Poesie, immagini, altri scritti, luoghi dell’anima e della mente, non-luoghi, non-sensi, l’indecifrabile, città errabonde e periferie arrugginite. Immensità del vicolo. Generazioni storte, a metà tra i millenni. Brani lirici, caustici, versi corrosivi e forti che spazzano via il superfluo. Quello che rimane non lo dimenticherete.
Indicazioni terapeutiche: Aiuta a passare attraverso il nulla dell’esistenza.
Consigliato a tutti, benefico per: Per chi si arrovella a cercare sotto il proprio letto / la verità assoluta, ammazza a colpi di rivoltella / la verità assoluta: se c’è, nessuno la vedrà (p.17)
Controindicazioni: Non assumere in concomitanza di eccessiva amarezza, anche se – per assurdo – potrebbe scuoterla.
Posologia, da leggersi preferibilmente: Calati in città, per andare lontano.
Effetti indesiderati: Potrebbe provocare uno shock da lucidità.
Avvertenze: È infiammabile, ma soprattutto brucia: conservare lontano da fonti di calore.
Gocce: «Quando cammini
(Quando cammini)
Il passo è
per metà
volontà
ma
l’altra metà
è
forza di gravità»***«E non sono i vostri lacrimogeni a farci piangere
Ma questa continua voglia di niente, e di poeti di merda che
scrivono d’amore e delle balene arenate mille miglia lontano da
qua, e delle loro esperienze tanto sensibili che delle loro sillabe
intense non mi rimane Mai un Cazzo.
Che tanto Non saranno i vostri manganelli a romperci le ossa
Ma tutto il lavoro in nero non pagato, e i morti sul lavoro trasparente
Come l’acqua al cloro che ci permettiamo».***Su genitori e generazioni
E poi Dovevamo nascere prima.
o dopo. così per cagare il cazzo fino in fondo.
siamo cresciuti a cavallo tra ’sti due cazzo di secoli.
abbiamo imparato a contare e sbagliare in lire.
abbiamo pagato in euro il primo pacchetto di sigarette.
abbiamo seguito il tumore espandersi in streaming.
chi ha quindici anni adesso è cresciuto con la parola Crisi.
noi, che siamo partiti dritti come treni, sui binari degli anni
mille, ora siamo un po’ disorientati.
tipo dei minotauri
È essere all’inizio ma avere vent’anni.
essere alla fine ma avere vent’anni
L’autore: Alberto Dubito (pseudonimo di Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012) è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore dei testi del gruppo rap sperimentale Disturbati Dalla CUiete, di cui sarà presto pubblicato l’ultimo album La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite).
di Marilù OlivaISTRUZIONI PER L’USO
Categoria farmacologica: Anticorrosivo contro le convenzioni e le ovvietà
Composizione ed eccipienti: Poesie, immagini, altri scritti, luoghi dell’anima e della mente, non-luoghi, non-sensi, l’indecifrabile, città errabonde e periferie arrugginite. Immensità del vicolo. Generazioni storte, a metà tra i millenni. Brani lirici, caustici, versi corrosivi e forti che spazzano via il superfluo. Quello che rimane non lo dimenticherete.
Indicazioni terapeutiche: Aiuta a passare attraverso il nulla dell’esistenza.
Consigliato a tutti, benefico per: Per chi si arrovella a cercare sotto il proprio letto / la verità assoluta, ammazza a colpi di rivoltella / la verità assoluta: se c’è, nessuno la vedrà (p.17)
Controindicazioni: Non assumere in concomitanza di eccessiva amarezza, anche se – per assurdo – potrebbe scuoterla.
Posologia, da leggersi preferibilmente: Calati in città, per andare lontano.
Effetti indesiderati: Potrebbe provocare uno shock da lucidità.
Avvertenze: È infiammabile, ma soprattutto brucia: conservare lontano da fonti di calore.
Gocce: «Quando cammini
(Quando cammini)
Il passo è
per metà
volontà
ma
l’altra metà
è
forza di gravità»***«E non sono i vostri lacrimogeni a farci piangere
Ma questa continua voglia di niente, e di poeti di merda che
scrivono d’amore e delle balene arenate mille miglia lontano da
qua, e delle loro esperienze tanto sensibili che delle loro sillabe
intense non mi rimane Mai un Cazzo.
Che tanto Non saranno i vostri manganelli a romperci le ossa
Ma tutto il lavoro in nero non pagato, e i morti sul lavoro trasparente
Come l’acqua al cloro che ci permettiamo».***Su genitori e generazioni
E poi Dovevamo nascere prima.
o dopo. così per cagare il cazzo fino in fondo.
siamo cresciuti a cavallo tra ’sti due cazzo di secoli.
abbiamo imparato a contare e sbagliare in lire.
abbiamo pagato in euro il primo pacchetto di sigarette.
abbiamo seguito il tumore espandersi in streaming.
chi ha quindici anni adesso è cresciuto con la parola Crisi.
noi, che siamo partiti dritti come treni, sui binari degli anni
mille, ora siamo un po’ disorientati.
tipo dei minotauri
È essere all’inizio ma avere vent’anni.
essere alla fine ma avere vent’anni
L’autore: Alberto Dubito (pseudonimo di Alberto Feltrin, Treviso 1991-2012) è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore dei testi del gruppo rap sperimentale Disturbati Dalla CUiete, di cui sarà presto pubblicato l’ultimo album La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite).
www.b-boyzradio.com, 1 ottobre 2012Erravamo giovani stranieri
Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin (Treviso 1991-2012), è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. In tempi recenti ha “militato” nei ranghi di Agenzia X. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore dei testi del gruppo rap sperimentale Disturbati dalla CUiete, di cui sarà presto pubblicato l’ultimo album La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite). Il talento gli ha consentito di lasciare una buona mole di scritti in pochissimi anni.
Erravamo giovani stranieri è una raccolta selezionata di poesie, prose, canzoni e fotografie.
In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna all’introspezione e all’empatia. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, eppure acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia.
La scrittura è fortemente influenzata dal rap, che contamina suoni, immagini e parole. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Il volume contiene i contributi di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli.
di Double CErravamo giovani stranieri è una raccolta selezionata di poesie, prose, canzoni e fotografie.
In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna all’introspezione e all’empatia. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, eppure acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia.
La scrittura è fortemente influenzata dal rap, che contamina suoni, immagini e parole. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Il volume contiene i contributi di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli.
www.ilsuonodellastrada.it, 1 ottobre 2012Erravamo giovani stranieri
Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin (Treviso 1991-2012), è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. In tempi recenti ha “militato” nei ranghi di Agenzia X. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore dei testi del gruppo rap sperimentale Disturbati dalla CUiete, di cui sarà presto pubblicato l’ultimo album La frustrazione del lunedì (e altre storie delle periferie arrugginite). Il talento gli ha consentito di lasciare una buona mole di scritti in pochissimi anni.
Erravamo giovani stranieri è una raccolta selezionata di poesie, prose, canzoni e fotografie.
In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna all’introspezione e all’empatia. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, eppure acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia.
La scrittura è fortemente influenzata dal rap, che contamina suoni, immagini e parole. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Il volume contiene i contributi di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli.
Erravamo giovani stranieri è una raccolta selezionata di poesie, prose, canzoni e fotografie.
In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna all’introspezione e all’empatia. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, eppure acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia.
La scrittura è fortemente influenzata dal rap, che contamina suoni, immagini e parole. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Il volume contiene i contributi di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli.
http://rapmaniacz.blogspot.it, 28 settembre 2012Erravamo giovani stranieri
Agenzia X, un laboratorio editoriale sempre molto attento alle tematiche che coinvolgono l’interazione tra società, cultura e hip hop, ha appena pubblicato due titoli molto interessanti che vi invitiamo a leggere quanto prima. Eccoli.Erravamo giovani stranieri. Poesie, prose, canzoni, immagini di Alberto DubitoErravamo giovani stranieri presenta una scelta tra poesie e prose, tra canzoni e immagini di Alberto Dubito, giovane artista che ci ha lasciato troppo presto. Alberto era dotato di un talento profondo e precoce che gli ha consentito di lasciare una mole impressionante di scritti in pochissimi anni. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, a tratti disperato, eppure tagliente e acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia, grazie a un’irriverente abilità nel giocare con le parole. In queste pagine, la ribellione esistenziale e politica si alterna, spesso in modi imprevisti, all’introspezione e all’empatia. I suoi personaggi erranti popolano un immaginario che sovrappone periferie dell’animo e realismo sociale, dipingendo affreschi visionari dai molteplici piani di lettura. Lo stile espressivo contamina suoni, immagini e parole; la scrittura è fortemente influenzata dal Rap. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Louder Than a Bomb. La golden age dell’hip hop di u.net
Louder Than a Bomb è un viaggio attraverso le origini e l’esplosione della golden age dell’hip hop, il periodo in cui da cultura underground radicata nell’ambiente urbano divenne un fenomeno mainstream, con largo seguito nelle aree suburbane. Il volume raccoglie una serie di racconti orali dei protagonisti e alcuni brevi saggi introdotti da una cronologia su politica, moda, sport e cinema dell’America nera degli anni ottanta, ed è completato da una panoramica sulla scena londinese che mette in risalto il primo impatto dell’hip hop in Europa. u.net, con il suo stile narrativo sincopato, costruisce un collage di immagini, digressioni, salti temporali, agganci e aperture per presentare i diversi argomenti, come in un cut & paste di una produzione Rap. Il suo obiettivo è sempre quello di fornire al lettore gli strumenti utili a comprendere un movimento culturale in rapporto alla complessità del periodo storico.
di BraLouder Than a Bomb. La golden age dell’hip hop di u.net
Louder Than a Bomb è un viaggio attraverso le origini e l’esplosione della golden age dell’hip hop, il periodo in cui da cultura underground radicata nell’ambiente urbano divenne un fenomeno mainstream, con largo seguito nelle aree suburbane. Il volume raccoglie una serie di racconti orali dei protagonisti e alcuni brevi saggi introdotti da una cronologia su politica, moda, sport e cinema dell’America nera degli anni ottanta, ed è completato da una panoramica sulla scena londinese che mette in risalto il primo impatto dell’hip hop in Europa. u.net, con il suo stile narrativo sincopato, costruisce un collage di immagini, digressioni, salti temporali, agganci e aperture per presentare i diversi argomenti, come in un cut & paste di una produzione Rap. Il suo obiettivo è sempre quello di fornire al lettore gli strumenti utili a comprendere un movimento culturale in rapporto alla complessità del periodo storico.
www.moodmagazine.org, 20 settembre 2012Erravamo giovani stranieri
Alberto Dubito, pseudonimo di Alberto Feltrin (Treviso 1991-2012), è stato poeta, musicista, fotografo, street artist. In tempi recenti ha “militato” nei ranghi di Agenzia X. Ha vinto vari poetry slam, ma è conosciuto soprattutto come voce e autore dei testi del gruppo rap sperimentale Disturbati dalla CUiete. Il talento gli ha consentito di lasciare una buona mole di scritti in pochissimi anni.
Erravamo giovani stranieri è una raccolta selezionata di poesie, prose, canzoni e fotografie. In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna all’introspezione e all’empatia. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, eppure acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia.
La scrittura è fortemente influenzata dal rap, che contamina suoni, immagini e parole. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Il volume contiene i contributi di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli.
Erravamo giovani stranieri è una raccolta selezionata di poesie, prose, canzoni e fotografie. In queste pagine la ribellione esistenziale e politica si alterna all’introspezione e all’empatia. Ne emerge un quadro dell’Italia contemporanea cupo, eppure acuto, attraversato da spiazzanti lampi d’ironia.
La scrittura è fortemente influenzata dal rap, che contamina suoni, immagini e parole. Il raddoppio delle sillabe sul verso, le sovrapposizioni continue su ritmo veloce trasmettono al lettore una vera e propria colonna sonora testuale, che non ha nulla da invidiare alla forza evocativa della musica.
Il volume contiene i contributi di Lello Voce, Marco Philopat e Andrea Scarabelli.