www.anconatoday.it, 13 febbraio 2020 Vietato partecipare, la vicenda di Fabio Vettorel raccontata da sua madre Jamila Baroni
Giovedì 13 febbraio, ad Ancona, presso la libreria Fogola in corso Mazzini 170, alle ore 18,30, Amnesty International Marche presenta il libro Vietato partecipare – Amburgo G20. Storia di un processo insieme all’autrice Jamila Baroni che dialogherà con Arianna Burdo di Amnesty International.
Estate 2017. Fabio, diciotto anni appena compiuti, sale su un aereo con direzione Amburgo. Si appresta a partecipare, assieme ad altre centomila persone provenienti da tutta Europa, alle manifestazioni contro il vertice dei capi di stato dei paesi più industrializzati al mondo, il G20. All’alba del 7 luglio viene arrestato mentre, insieme ad un’amica, cerca di aiutare una ragazza ferita da una carica della polizia. È accusato di far parte di un gruppo di “violenti contestatori”, il cui unico obiettivo è distruggere la città. Nessun reato specifico fonda l’impianto accusatorio, ciò che gli viene imputato è una “compartecipazione morale”. Fin da subito risulta evidente la sproporzione tra le accuse mosse a Fabio e quanto da lui fatto. Il suo viaggio si trasforma in un’odissea: prigioni, ricorsi, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, minacce di una lunga reclusione alternate a speranze di libertà. Un’odissea non ancora del tutto finita poiché il processo, sospeso a febbraio 2018, dovrà riprendere nei prossimi mesi.
Una cronaca dettagliata e coinvolgente, emblematica della sempre più diffusa ostilità verso chi decide di manifestare per un mondo diverso. Christian Raimo nella prefazione scrive: «La storia di Fabio non è soltanto la sua storia, ma quella di un continente come quello europeo condizionato da un potere autoritario che di fronte alle mobilitazioni, ricorre sempre più spesso a stati di eccezione, a limitazioni delle libertà, a repressioni spesso sanguinarie». Casi di persecuzione giudiziaria con prove solamente indiziarie o del tutto assenti non sono purtroppo rari, né in Germania né in Italia. Di qui l’idea del titolo del libro, Vietato partecipare, che per l’autrice racconta non solo la vicenda di suo figlio, ma l’attualità. “La repressione delle manifestazioni è una pratica che vediamo applicata a tanti contesti del mondo”.
Questo evento si inserisce all’interno della Campagna Spazi di libertà di Amnesty International che ha l’intento di contrastare il processo, in atto in Italia e nel mondo, di erosione delle libertà civili e politiche acquisite.
Estate 2017. Fabio, diciotto anni appena compiuti, sale su un aereo con direzione Amburgo. Si appresta a partecipare, assieme ad altre centomila persone provenienti da tutta Europa, alle manifestazioni contro il vertice dei capi di stato dei paesi più industrializzati al mondo, il G20. All’alba del 7 luglio viene arrestato mentre, insieme ad un’amica, cerca di aiutare una ragazza ferita da una carica della polizia. È accusato di far parte di un gruppo di “violenti contestatori”, il cui unico obiettivo è distruggere la città. Nessun reato specifico fonda l’impianto accusatorio, ciò che gli viene imputato è una “compartecipazione morale”. Fin da subito risulta evidente la sproporzione tra le accuse mosse a Fabio e quanto da lui fatto. Il suo viaggio si trasforma in un’odissea: prigioni, ricorsi, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, minacce di una lunga reclusione alternate a speranze di libertà. Un’odissea non ancora del tutto finita poiché il processo, sospeso a febbraio 2018, dovrà riprendere nei prossimi mesi.
Una cronaca dettagliata e coinvolgente, emblematica della sempre più diffusa ostilità verso chi decide di manifestare per un mondo diverso. Christian Raimo nella prefazione scrive: «La storia di Fabio non è soltanto la sua storia, ma quella di un continente come quello europeo condizionato da un potere autoritario che di fronte alle mobilitazioni, ricorre sempre più spesso a stati di eccezione, a limitazioni delle libertà, a repressioni spesso sanguinarie». Casi di persecuzione giudiziaria con prove solamente indiziarie o del tutto assenti non sono purtroppo rari, né in Germania né in Italia. Di qui l’idea del titolo del libro, Vietato partecipare, che per l’autrice racconta non solo la vicenda di suo figlio, ma l’attualità. “La repressione delle manifestazioni è una pratica che vediamo applicata a tanti contesti del mondo”.
Questo evento si inserisce all’interno della Campagna Spazi di libertà di Amnesty International che ha l’intento di contrastare il processo, in atto in Italia e nel mondo, di erosione delle libertà civili e politiche acquisite.
commonware.org, 12 febbraio 2020 Nei tribunali di Amburgo vive ancora lo spirito di Joseph K, parola di madre
«No,» disse il sacerdote, «ma temo che finirà male. Sei ritenuto colpevole. Forse il tuo processo non andrà neppure oltre un tribunale di grado inferiore. Almeno per il momento, la tua colpevolezza si dà per dimostrata.» «Ma io non sono colpevole,» disse K., «è un errore. E poi, in generale, come può un uomo essere colpevole? E qui siamo pure tutti uomini, gli uni quanto gli altri.» «È giusto» disse il sacerdote, «ma è proprio così che parlano i colpevoli.» (F. Kafka – Il Processo)Nel recensire Vietato partecipare confesso di aver dovuto innanzitutto superare una difficoltà. La vicenda raccontata nel libro, meritoriamente editato da Agenzia X nel 2019, mi ha infatti molto coinvolto sul piano personale. Per questo facevo fatica a stabilire una distanza emotiva di sicurezza dai fatti raccontati. Per “distanza emotiva di sicurezza” intendo quella necessaria a dare un giudizio il più possibile oggettivo e preciso su un libro su una vicenda personale come quella piombata sulle giovani spalle di Fabio Vettorel, da Feltre, arrestato senza prove durante il G20 di Amburgo del luglio 2017; diciottenne rimasto ingiustamente in carcere per oltre centoquaranta giorni. Il distacco emotivo è indispensabile poi per generalizzare la vicenda e anche per rompere, ex-post e di nuovo, l’isolamento del carcere e della repressione. Ho finalmente superato ogni tentennamento ispirandomi proprio allo sforzo, enormemente più gravoso, sostenuto da Jamila Baroni, l’autrice e madre del protagonista.
Jamila compie un lucido sforzo di astrazione per tutte le 258 pagine del libro. Questo straordinario esercizio emotivo è la prima evidente peculiarità dell’opera. Vietato partecipare così rimanda al “Nuovo Giornalismo”, quella corrente letteraria che negli anni ‘60 ridefinì il “romanzo-verità”. Come nelle opere di Rom Wolfe e Truman Capote, infatti, nel romanzo di Jamila, il lettore viene accompagnato nei luoghi dei fatti, come se li vedesse da dietro una telecamera. Il racconto così non è, o non solo, una denuncia ma soprattutto un romanzo politico. Romanzo con sguardo “clinico” sui diversi dispositivi di criminalizzazione del dissenso, come meritoriamente sottolinea Cristian Raimo nella prefazione. Non si sceglie mai la scorciatoia di un pathos autoreferenziale, anzi. L’autrice governa sapientemente tutti i diversi piani narrativi: cronaca giudiziaria, diario personale, vademecum legale, a volte persino guida turistica di Amburgo o lucida analisi del sistema repressivo e politico tedesco. E, sorprendentemente, non sacrifica mai la densità emotiva che la prima persona narrante richiede.
Uno scritto così organico da offrire un’immediatezza politica anche nei riferimenti letterari più o meno espliciti (Murakami, Sepulveda e Camus per esempio). La qualità letteraria è infatti proprio nella manichea rappresentazione dalla vicenda che, pagina dopo pagina, fa emergere una raffinata e caustica ironia. Così si rende grottesco il potere, che siano poliziotti o giudici. È più o meno l’ironia anti autoritaria di cui parlava Foster Wallace quando ragionava sul Kafka del Processo: “La comicità di Kafka dipende da una sorta di letterarizzazione radicale di verità solitamente trattate come metafore”. Anche quando attraversata da sentimenti angosciati e rabbiosi, la prosa della madre dell’imputato è segnata proprio dall’“ironia che nasce dal tragico” kafkiana; quella che si nutre dei dettagli minuziosi delle contraddizioni e delle ambiguità di un potere via via sempre meno divino e sempre più simile alla “scimmia umanizzata” di cui parlava l’autore praghese.
La resa è poi talmente archetipica, che si potrebbe persino dubitare che non ci siano elementi romanzati. Posso però personalmente garantire che è tutto vero, tutto reale, anche, e soprattutto, negli aspetti più surreali. Nel leggere la cronaca del Processo al giovane Fabio Vettorel – Joseph K., torna così alla mente György Lukács, quando sul Kafka del Castello, ammetteva: “Ho sempre sostenuto che Kafka fosse uno scrittore astratto e piccolo borghese. Ora ho capito che è un grande scrittore realista”.
Un’altra scelta stilistica e immediatamente politica, è la forma narrativa del diario. Il lettore così segue l’alternarsi straziante di speranze, paure, sorprese e delusioni, condividendo la rabbia, il senso di ingiustizia e l’odio verso un potere sadico e incomprensibile. E se condivisa è l’angoscia per ciò che non si conosce, c’è anche tra le righe del romanzo la condivisione delle strategie, delle riflessioni, delle tattiche di resistenza alla repressione.
A interrompere il racconto del diario, con crudele detournament letterario, vengono anche riportate, in linguaggio da “fredda burocrazia” teutonica, le decisioni del “potere” giudiziario, i fatti. Si ancora così il punto di vista soggettivo ad una solida oggettività di cronaca.
Jamila, per ragioni pratiche, ha deciso di omettere ogni riferimento a nomi e cognomi non “giornalisticamente” necessari. Questa premura è necessaria per tutelare le persone coprotagoniste di una vicenda giudiziaria ancora aperta. Questo però semplifica la ricostruzione.
E, sempre osservando l’opera letteraria, lo stile asciutto con cui la madre dell’imputato scrive ci offre delle significative ridondanze di vocabolario. Come fa notare sempre Raimo, sette volte si usa la parola “paura” e dieci volte la parola “rabbia”, cinque volte ritorna la parola “affetto” e mai la parola “amore”. Da qui è evidente la cifra mai inutilmente retorica, al contempo intima e distaccata, del testo.
“Wir sind Zecken, Asoziale Zecken, Wirschlafen unter Bruecken, Oder in der Bahnmission”
“Noi siamo zecche, zecche antisociali, noi dormiamo sotto i ponti o alla missione della Stazione”
(Inno dei tifosi del St. Pauli, autonomi, punk dei quartieri di Amburgo zona Rossa durante il G20)
Fin qui si è giudicato letterariamente Vietato partecipare. Dobbiamo ora segnalare alcuni temi di merito che il libro pone; per farlo però è qui necessario sintetizzare i fatti in questione.
Il racconto inizia dai primi giorni del luglio 2017, quando ad Amburgo il programmato G20 fallì rovinosamente per le proteste di piazza. Ma della fallimentare gestione dell’Ordine Pubblico, dopo una lunga catena di “eseguivamo solo gli ordini”, si dette responsabilità ad un numero esiguo di manifestanti, spesso stranieri, veri e propri capri espiatori. L’SPD al potere in città decise fossero loro, “turisti del riot”, quelli cui far pagare la figuraccia fatta di fronte al mondo. A questa rappresaglia rabbiosa collaborò sin da subito l’intera catena di comando di tutti i poteri della Repubblica Federale Tedesca. E, tra i capri espiatori scelti, sei erano italiani. Tra loro, unico a non essere rilasciato entro qualche settimana, fu un ragazzo di appena 18 anni: Fabio Vettorel. Da lì la sua vicenda è via via diventata la più incredibile. Senza considerare la sua giovane età, a Fabio si applicò senza ragione alcuna la custodia per i maggiorenni. Venne accusato fondamentalmente di essersi trovato nel luogo sbagliato al momento sbagliato, e non di altro ma per lui poteva essere sospesa ogni forma di garanzia del diritto. La colpa di Fabio? Essere stato arrestato in contiguità di un corteo del blocco nero. Sfortunatamente per i suoi aguzzini, Fabio oltre ad essere un giovane di indole particolarmente pacifica, nel corso del calvario giudiziario che ha vissuto, ha dimostrato sempre una ferma consapevolezza politica e una lucidità straordinaria. Così, col passare delle settimane, dopo una lunga serie di scandali giudiziari e di abusi, la sua storia è diventata un problema molto imbarazzante per la giustizia tedesca. Anche per la pressione di società civile e giornalisti. In una grottesca sequenza di sadiche forzature e riparazioni tardive, la ritirata del potere tedesco si è fatta infine rumorosa, rovinosa e surreale. Così, dopo lunghi mesi di galera, spesso in isolamento, Fabio è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione di 10.000 euro. La sua vicenda giudiziaria, tuttavia, non è ancora conclusa e il processo va avanti, anche se pigramente.
Meritoriamente Jamila Baroni richiama spesso come oltre che alla vicenda di Fabio ci siano ancora oggi a pagare per tutte e tutti giovani, decine di attivisti, vittime di una furiosa rappresaglia con cui la bestia ferita tedesca ha reagito all’umiliazione del G20 di Amburgo.
“Una collettività esiste come res publica, come cosa pubblica, ed è messa in discussione quando in essa si forma uno spazio estraneo alla cosa pubblica, che contraddice efficacemente quest’ultima.” (Carl Schmitt – Teoria del partigiano)
Ci sono, a mio parere, almeno quattro questioni particolarmente significative che vengono sollevate dalla repressione intorno al G20 di Amburgo, in generale, e dalla vicenda raccontata in Vietato partecipare, in particolare.
La prima ha a che fare con l’utilizzo dello “Stato d’Eccezione”, vale a dire di un vero e proprio “Diritto di Guerra”, per restringere gli spazi del dissenso politico e trasformare il corpus normativo in senso sempre più autoritario. E’ un richiamo diretto alla dottrina politica del “Lenin della borghesia”, l’innominabile demiurgo del diritto tedesco, il giurista Carl Schmitt.
Cosa si condanna, infatti, in estrema sintesi a Fabio Vettorel? Quello di aver osato prendere parte ad una protesta, ad una presa di parola collettiva, contendendo allo Stato il “Monopolio della Violenza Legittima” (espressione schmittiana indicativamente usata all’indomani delle giornate di Amburgo dalla Cancelliera Merkel). Da questo punto di vista, partendo dall’analisi rigorosa del diritto come campo di battaglia, è preziosa la postfazione al testo dell’avvocatessa Margherita D’Andrea. L’attivista dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici e dell’International Associaation of Democratic Lawyers (Iadl) inizia la sua analisi in modo impietoso e crudele; elencando i luoghi e i casi dove fino al caso di Fabio aveva esercitato il proprio attivismo: Kuwait, Marocco, Turchia, Saahra Occidentale, Yemen. Infine nella democratica, liberale e opulenta Repubblica Federale Tedesca, nel cuore d’Europa. La meticolosa ricostruzione giudiziaria fatta da Jamila Baroni demolisce pezzo pezzo la retorica con cui l’Occidente si fa portatore di un modello di democrazia liberale, lo “stile di vita europeo” caro a Ursula Von Der Leyen, che è quantomeno contraddittorio. L’avvocatessa dei Giuristi Democratici, delinea chiaramente e sinteticamente gli elementi su cui viene incardinata in senso politico il caso contro Fabio Vettorel. E gli assi sono i medesimi con cui, ormai 19 anni fa, al G8 di Genova una generazione di attiviste e attivisti diventarono il nemico pubblico numero uno in quello che Amnesty International definì “la più grande sospensione della democrazia in occidente nella storia recente”. A Fabio veniva contestato qualcosa di simile al reato di “compartecipazione psichica” con un corteo. In altre parole ciò che gli si imputava era di trovarsi lì, a Rondenbarg, per partecipare appunto; non quindi di aver commesso un qualche atto violento, ma di essere complice di un tumulto che ha rovesciato l’austero ordine neobismarkiano. Una sorta di reato d’opinione potenzialmente commesso da tutte e tutti e che se comprovato, nel sistema a precedenti normativi tedesco, avrebbe impedito future manifestazioni ai vertici internazionali. Un dispositivo autoritario, non a caso introdotto in Italia dalle leggi del ventennio fascista. E lo “Stato d’Eccezione” di Amburgo si richiamava al corpus normativo sperimentato negli anni precedenti negli stadi, contro gli hooligans. Gli stadi, in Germania, come in Italia, e in Inghilterra prima, erano stati infatti il laboratorio per sperimentare la sospensione delle libertà costituzionali e per definire il “perfetto antagonista”. C’è qui il drammatico capovolgimento di priorità tra la libertà d’opinione e dissenso e l’ossessione per il mantenimento dell’Ordine Pubblico. Un tentativo volto a stravolgere le Costituzioni nate dal dramma del nazifascismo. Se infatti tradizionalmente la democrazia si misurava nella sua capacità di tutelare il dissenso, sulle spalle di Fabio si è tentato di far passare una definizione di “democratura” a tutela della “pace sociale” dal dissenso. La funzione del processo a Fabio Vettorel era quello di traslare al dissenso politico l’arsenale usato per reprimere i tifosi di calcio, criminalizzando le manifestazioni politiche e sperimentando tecniche di zoning metropolitano (le Gefharengebiet, zone urbane militarizzate, reintrodotte prima del G20, per la prima volta dagli anni ‘30 proprio ad Amburgo e Berlino). Si richiama cioè la costruzione del nemico politico così’ come Brecht la raccontava nel nazionalsocialismo o come proprio Carl Schmitt la codificò nella nota famosa Teoria del Partigiano.
Altra questione posta dal romanzo è quella dell’indipendenza del potere giudiziario. La disillusione verso la giustizia non è traumatica ma progressiva. Il lettore accompagna Jamila in un percorso in cui arbitrio dopo arbitrio, cattiveria dopo cattiveria, ingiustizia dopo ingiustizia, il potere giudiziario diventa assoluto, e per questo spaventoso. E proprio come in un’opera di Beckett o Duerrenmatt il diabolico e cupo piano repressivo solo alla fine sbaglia rovinosamente tutto. In centoquarantatrè giorni di ingiusta detenzione giudici, poliziotti e direzione carceraria tentano di isolare, minacciare, spaventare Fabio, il suo legale, gli attivisti e l’autrice. Tentativi che, leggendo il libro, sembrano infrangersi contro la ferma consapevolezza del diciottenne di Feltre e l’intelligente tenacia di Jamila. Proprio la madre dell’imputato vuole capire, collezionando e sistematizzando informazioni, sentenze, regolamenti, articoli di giornali, verbali di polizia, video delle manifestazioni. In una fase storica in cui, dopo anni di giustizialismo, in Italia almeno, si confida nei tribunali come dispensatori persino di giustizia sociale, la vicenda di Fabio Vettorel come le strategie di contropotere messe in campo per non lasciarlo solo sono una cassetta degli attrezzi minima di sopravvivenza per chiunque tenga alla propria libertà di dissenso.
“Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica. Se si dà fuoco a una macchina, il fatto costituisce reato. Se invece si bruciano centinaia di macchine, diventa un’azione politica. La protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più.” (Ulrike Meinhof)
Una terza questione, meno evidente se non se ne ha esperienza diretta, ha a che fare con il paternalismo del Leviatano tedesco. Ogni accenno autoritario nel sistema giudiziario come in quello educativo, nel workfare o nel lavoro si motiva sempre con una sorta di missione pedagogica. Missione di cui il potere, l’autorità (“amt” in tedesco) è esecutore esclusivo. A tal proposito particolarmente odiosa per Jamila, leggiamo, è la ragione con cui si giustificò il primo rifiuto di libertà su condizionale per il giovane di Feltre. Essendo minorenne, non essendoci rischio di reiterare il reato né di fuga, il diritto tedesco prevedeva infatti Fabio venisse scarcerato in attesa del processo, salvo in un caso molto singolare. L’eccezione, puntualmente utilizzata dalla pubblica accusa, fu che si riscontravano in Fabio “evidenti gravi mancanze educative”, deduzione senza colloqui o perizie di alcun tipo. Questo atteggiamento particolarmente odioso è la cifra dello Stato Etico neo-bismarkiano, fondamento di ogni tensione coercitiva che l’autorità esercita sull’individuo. Il potere, il giudice, l’autorità è particolarmente severa, non prevede perdono, come da austera cultura protestante, e giustifica la propria violenza in nome di una volontà superiore. L’autoritarismo tedesco è crudele ma si auto giustifica con la volontà di colmare una qualche mancanza pedagogica, un’anomalia, una devianza per tutelare la pace dell’intera società.
Soprattutto nel secondo dopoguerra diversi intellettuali, registi, artisti denunciarono il nesso tra autoritarismo dello Stato tedesco e paternalismo pedagogico. Una dialettica aspra, ancora oggi molto presente nel dibattito pubblico. Il primo a denunciare una sorta di “pedagogia da caserma” negli istituti correttivi per minorenni del dopoguerra fu il pedagogo sociale Manfred Kappeler. La sua opera sulla libertà vigilata, le case correttive, l’uso di lavoro gratuito in chiave “rieducativa” e le campagne contro la criminalizzazione dell’uso delle droghe nel ventennio ‘60 e ‘70 turbarono la società tedesca, perché decostruivano giudizi come quella espresso su Fabio Vettorel dalla pubblica accusa nel processo. Nel 1970, inoltre, Ulriche Meinhof, appena poco prima di diventare la cattiva coscienza della borghesia ordoliberale, scrisse la sceneggiatura di un film, “Bambulè- Cura, cura per chi?”. Un’opera in cui si denunciavano gli abusi e l’autoritarismo nelle case protette in cui venivano rinchiuse, detenute, a Berlino Ovest, per essere “rieducate”, giovani processate per piccoli reati, spesso senza prove e con processi farsa. E ancora lo stesso tema ritornerà poi nell’opera teatrale e cinematografica di Rainer Fassbinder come pure di Reinhard Hauff tra gli anni ‘70 e ‘80.
Stato d’Eccezione, arbitrio dei tribunali e paternalismo autoritario si affiancano, nella testimonianza di Jamila, ad un ultimo elemento: la burocratizzazione esasperata e pretestuosa dei dispositivi di controllo. Il diario della madre di Fabio si fa inchiesta dentro il kafkiano “Castello” della repressione. Così facendo lascia, alla fine della lettura, l’impressione di aver assistito ad una tragedia del “Teatro dell’Assurdo”. Addirittura i personaggi sono elencati all’inizio del testo, a mo’ di Libretto di un’Opera a conferma della sensazione. E la scrittura delinea due grandi gruppi di protagonisti nella tragedia messa in scena. Oltre l’autrice-narratrice e Fabio-Joseph K., protagonisti buoni, ci sono “loro”, cattivi e spietati. Sono i diversi ingranaggi della macchina repressiva. Sono giudici, procuratori, testimoni dell’accusa, poliziotti, carcerieri e politici. Sono gli unici i cui nomi vengono espressamente indicati dall’autrice in un j’accuse, una sorta di processo al processo, che chiama a rispondere almeno di fronte ai lettori di Vietato partecipare i carnefici.
Giudici, disumani, grigi, senza anima; burocrati che ricordano l’Himmler del docufilm “L’uomo per bene” cioè un boia che al termine della propria giornata, dispensata morte a destra e manca, proprio come un onesto lavoratore tornava a casa, persino stanco, senza coscienza, senza senso di colpa. E proprio così, a conclusione di ogni capitolo i giudici, con una morale sovrapposta alla legge, “alle 18:15 terminano il loro compito”, in modo “veloce”, “efficiente”, “soddisfacente”.
Oltre ai protagonisti e ai tanti antagonisti calcano il palco, poi, anche altri personaggi dell’Assurdo; coprotagonisti mai nominati di un’indistinta moltitudine solidale, un’umanità che sorregge l’autrice e Fabio con piccoli gesti complici e umani. Sono l’inaspettata forza che si prende cura di chi il potere vuole isolare e far dimenticare. Il racconto della gioia e della sorpresa con cui Fabio reagisce alla quantità di lettere che gli arriva in carcere, quantità che mette in crisi la direzione della prigione, è uno dei passaggi più toccanti del libro. Oltre loro poi ci sono gli avvocati, spesso più sgomenti che impreparati di fronte alle inedite anomalie processuali e infine i media, non solo strumento del potere ma anche fondamentale contropotere il cui ruolo diventa via via grimaldello per sabotare il piano repressivo. E dal balletto dell’Assurdo viene fuori un vero e proprio programma politico. Quello che ha la solidarietà come orizzonte concreto e che si legge per come questi coprotagonisti agiscono, si relazionano all’autrice, praticano, vicinanza, cura e complicità.
Una moltitudine rivoluzionaria perché sensibile.
“Le celle e le carceri sono progettate per spezzare gli esseri umani, per trasformare la popolazione in esemplari di uno zoo - obbedienti ai loro guardiani, ma pericolosi l’uno per l’altro.” (Angela Davis)
A oggi, febbraio 2020, per i fatti del G20 di Amburgo sono state emesse diverse condanne, spesso i processi sono stati contestati per le evidenti lacune procedurali. Lo stesso processo contro Fabio Vettorel prosegue, sebbene in modo stanco e farraginoso, riprendendo proprio in questi giorni.
Sono tutti processi in cui emergono inquietanti forzature autoritarie, scandali, annunci e smentite, omissioni e contraddizioni; ma in cui agiscono anche azioni di supporto emotivo, politico, economico, psicologico per tutte e tutti coloro che ancora oggi nella città anseatica stanno pagando la rabbia del Leviatano ordoliberale. E anche perché non è una vicenda conclusa, leggere Vietato partecipare di Jamila Baroni è un atto militante, di solidarietà, di presenza, di condivisione di un punto di vista alternativo ed ostile al governo austero del capitalismo europeo.
Un libro che è un’opera preziosa, una generosa condivisione di una vicenda personale affinché sia utile a tutte e tutti, affinché nessuno si senta sola o solo, oggi più che mai con la repressione che travolge sempre più esistenze. Un invito a non cedere alla violenza dei tribunali e delle polizie di cui essere grati a Jamila e a suo figlio Fabio.
In definitiva una lettura per chiunque consideri l’abolizione del carcere e la promozione della libertà come termine di relazione sociale fondamentale e non solo come enunciato astratto, orizzonte utopistico. Per chi pensa l’abolizionismo sia una concretissima, materiale, condizione necessaria alla costruzione di una società più equa e giusta. Magari una traccia di lavoro su cui rifondare una comunità militante e antagonista oggi anche in Italia, devastata da giustizialismi e da carceri sempre più simili a Lazzaretti dove confinare la marginalità sociale. Anche perché, attraverso uno stile curato e una scrittura mai noiosa, in Vietato partecipare, si leggono sia i tratti caratteristici della governance autoritaria all’opera oggi in Catalogna come in Francia, in Grecia come in Italia, sia le possibili forme creative e gioiose di organizzazione di intelligenze e sensibilità che non vogliono dover scegliere tra l’adeguarsi all’ingiustizia e la privazione della libertà.
di Nicola CarellaJamila compie un lucido sforzo di astrazione per tutte le 258 pagine del libro. Questo straordinario esercizio emotivo è la prima evidente peculiarità dell’opera. Vietato partecipare così rimanda al “Nuovo Giornalismo”, quella corrente letteraria che negli anni ‘60 ridefinì il “romanzo-verità”. Come nelle opere di Rom Wolfe e Truman Capote, infatti, nel romanzo di Jamila, il lettore viene accompagnato nei luoghi dei fatti, come se li vedesse da dietro una telecamera. Il racconto così non è, o non solo, una denuncia ma soprattutto un romanzo politico. Romanzo con sguardo “clinico” sui diversi dispositivi di criminalizzazione del dissenso, come meritoriamente sottolinea Cristian Raimo nella prefazione. Non si sceglie mai la scorciatoia di un pathos autoreferenziale, anzi. L’autrice governa sapientemente tutti i diversi piani narrativi: cronaca giudiziaria, diario personale, vademecum legale, a volte persino guida turistica di Amburgo o lucida analisi del sistema repressivo e politico tedesco. E, sorprendentemente, non sacrifica mai la densità emotiva che la prima persona narrante richiede.
Uno scritto così organico da offrire un’immediatezza politica anche nei riferimenti letterari più o meno espliciti (Murakami, Sepulveda e Camus per esempio). La qualità letteraria è infatti proprio nella manichea rappresentazione dalla vicenda che, pagina dopo pagina, fa emergere una raffinata e caustica ironia. Così si rende grottesco il potere, che siano poliziotti o giudici. È più o meno l’ironia anti autoritaria di cui parlava Foster Wallace quando ragionava sul Kafka del Processo: “La comicità di Kafka dipende da una sorta di letterarizzazione radicale di verità solitamente trattate come metafore”. Anche quando attraversata da sentimenti angosciati e rabbiosi, la prosa della madre dell’imputato è segnata proprio dall’“ironia che nasce dal tragico” kafkiana; quella che si nutre dei dettagli minuziosi delle contraddizioni e delle ambiguità di un potere via via sempre meno divino e sempre più simile alla “scimmia umanizzata” di cui parlava l’autore praghese.
La resa è poi talmente archetipica, che si potrebbe persino dubitare che non ci siano elementi romanzati. Posso però personalmente garantire che è tutto vero, tutto reale, anche, e soprattutto, negli aspetti più surreali. Nel leggere la cronaca del Processo al giovane Fabio Vettorel – Joseph K., torna così alla mente György Lukács, quando sul Kafka del Castello, ammetteva: “Ho sempre sostenuto che Kafka fosse uno scrittore astratto e piccolo borghese. Ora ho capito che è un grande scrittore realista”.
Un’altra scelta stilistica e immediatamente politica, è la forma narrativa del diario. Il lettore così segue l’alternarsi straziante di speranze, paure, sorprese e delusioni, condividendo la rabbia, il senso di ingiustizia e l’odio verso un potere sadico e incomprensibile. E se condivisa è l’angoscia per ciò che non si conosce, c’è anche tra le righe del romanzo la condivisione delle strategie, delle riflessioni, delle tattiche di resistenza alla repressione.
A interrompere il racconto del diario, con crudele detournament letterario, vengono anche riportate, in linguaggio da “fredda burocrazia” teutonica, le decisioni del “potere” giudiziario, i fatti. Si ancora così il punto di vista soggettivo ad una solida oggettività di cronaca.
Jamila, per ragioni pratiche, ha deciso di omettere ogni riferimento a nomi e cognomi non “giornalisticamente” necessari. Questa premura è necessaria per tutelare le persone coprotagoniste di una vicenda giudiziaria ancora aperta. Questo però semplifica la ricostruzione.
E, sempre osservando l’opera letteraria, lo stile asciutto con cui la madre dell’imputato scrive ci offre delle significative ridondanze di vocabolario. Come fa notare sempre Raimo, sette volte si usa la parola “paura” e dieci volte la parola “rabbia”, cinque volte ritorna la parola “affetto” e mai la parola “amore”. Da qui è evidente la cifra mai inutilmente retorica, al contempo intima e distaccata, del testo.
“Wir sind Zecken, Asoziale Zecken, Wirschlafen unter Bruecken, Oder in der Bahnmission”
“Noi siamo zecche, zecche antisociali, noi dormiamo sotto i ponti o alla missione della Stazione”
(Inno dei tifosi del St. Pauli, autonomi, punk dei quartieri di Amburgo zona Rossa durante il G20)
Fin qui si è giudicato letterariamente Vietato partecipare. Dobbiamo ora segnalare alcuni temi di merito che il libro pone; per farlo però è qui necessario sintetizzare i fatti in questione.
Il racconto inizia dai primi giorni del luglio 2017, quando ad Amburgo il programmato G20 fallì rovinosamente per le proteste di piazza. Ma della fallimentare gestione dell’Ordine Pubblico, dopo una lunga catena di “eseguivamo solo gli ordini”, si dette responsabilità ad un numero esiguo di manifestanti, spesso stranieri, veri e propri capri espiatori. L’SPD al potere in città decise fossero loro, “turisti del riot”, quelli cui far pagare la figuraccia fatta di fronte al mondo. A questa rappresaglia rabbiosa collaborò sin da subito l’intera catena di comando di tutti i poteri della Repubblica Federale Tedesca. E, tra i capri espiatori scelti, sei erano italiani. Tra loro, unico a non essere rilasciato entro qualche settimana, fu un ragazzo di appena 18 anni: Fabio Vettorel. Da lì la sua vicenda è via via diventata la più incredibile. Senza considerare la sua giovane età, a Fabio si applicò senza ragione alcuna la custodia per i maggiorenni. Venne accusato fondamentalmente di essersi trovato nel luogo sbagliato al momento sbagliato, e non di altro ma per lui poteva essere sospesa ogni forma di garanzia del diritto. La colpa di Fabio? Essere stato arrestato in contiguità di un corteo del blocco nero. Sfortunatamente per i suoi aguzzini, Fabio oltre ad essere un giovane di indole particolarmente pacifica, nel corso del calvario giudiziario che ha vissuto, ha dimostrato sempre una ferma consapevolezza politica e una lucidità straordinaria. Così, col passare delle settimane, dopo una lunga serie di scandali giudiziari e di abusi, la sua storia è diventata un problema molto imbarazzante per la giustizia tedesca. Anche per la pressione di società civile e giornalisti. In una grottesca sequenza di sadiche forzature e riparazioni tardive, la ritirata del potere tedesco si è fatta infine rumorosa, rovinosa e surreale. Così, dopo lunghi mesi di galera, spesso in isolamento, Fabio è stato rilasciato dietro pagamento di una cauzione di 10.000 euro. La sua vicenda giudiziaria, tuttavia, non è ancora conclusa e il processo va avanti, anche se pigramente.
Meritoriamente Jamila Baroni richiama spesso come oltre che alla vicenda di Fabio ci siano ancora oggi a pagare per tutte e tutti giovani, decine di attivisti, vittime di una furiosa rappresaglia con cui la bestia ferita tedesca ha reagito all’umiliazione del G20 di Amburgo.
“Una collettività esiste come res publica, come cosa pubblica, ed è messa in discussione quando in essa si forma uno spazio estraneo alla cosa pubblica, che contraddice efficacemente quest’ultima.” (Carl Schmitt – Teoria del partigiano)
Ci sono, a mio parere, almeno quattro questioni particolarmente significative che vengono sollevate dalla repressione intorno al G20 di Amburgo, in generale, e dalla vicenda raccontata in Vietato partecipare, in particolare.
La prima ha a che fare con l’utilizzo dello “Stato d’Eccezione”, vale a dire di un vero e proprio “Diritto di Guerra”, per restringere gli spazi del dissenso politico e trasformare il corpus normativo in senso sempre più autoritario. E’ un richiamo diretto alla dottrina politica del “Lenin della borghesia”, l’innominabile demiurgo del diritto tedesco, il giurista Carl Schmitt.
Cosa si condanna, infatti, in estrema sintesi a Fabio Vettorel? Quello di aver osato prendere parte ad una protesta, ad una presa di parola collettiva, contendendo allo Stato il “Monopolio della Violenza Legittima” (espressione schmittiana indicativamente usata all’indomani delle giornate di Amburgo dalla Cancelliera Merkel). Da questo punto di vista, partendo dall’analisi rigorosa del diritto come campo di battaglia, è preziosa la postfazione al testo dell’avvocatessa Margherita D’Andrea. L’attivista dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici e dell’International Associaation of Democratic Lawyers (Iadl) inizia la sua analisi in modo impietoso e crudele; elencando i luoghi e i casi dove fino al caso di Fabio aveva esercitato il proprio attivismo: Kuwait, Marocco, Turchia, Saahra Occidentale, Yemen. Infine nella democratica, liberale e opulenta Repubblica Federale Tedesca, nel cuore d’Europa. La meticolosa ricostruzione giudiziaria fatta da Jamila Baroni demolisce pezzo pezzo la retorica con cui l’Occidente si fa portatore di un modello di democrazia liberale, lo “stile di vita europeo” caro a Ursula Von Der Leyen, che è quantomeno contraddittorio. L’avvocatessa dei Giuristi Democratici, delinea chiaramente e sinteticamente gli elementi su cui viene incardinata in senso politico il caso contro Fabio Vettorel. E gli assi sono i medesimi con cui, ormai 19 anni fa, al G8 di Genova una generazione di attiviste e attivisti diventarono il nemico pubblico numero uno in quello che Amnesty International definì “la più grande sospensione della democrazia in occidente nella storia recente”. A Fabio veniva contestato qualcosa di simile al reato di “compartecipazione psichica” con un corteo. In altre parole ciò che gli si imputava era di trovarsi lì, a Rondenbarg, per partecipare appunto; non quindi di aver commesso un qualche atto violento, ma di essere complice di un tumulto che ha rovesciato l’austero ordine neobismarkiano. Una sorta di reato d’opinione potenzialmente commesso da tutte e tutti e che se comprovato, nel sistema a precedenti normativi tedesco, avrebbe impedito future manifestazioni ai vertici internazionali. Un dispositivo autoritario, non a caso introdotto in Italia dalle leggi del ventennio fascista. E lo “Stato d’Eccezione” di Amburgo si richiamava al corpus normativo sperimentato negli anni precedenti negli stadi, contro gli hooligans. Gli stadi, in Germania, come in Italia, e in Inghilterra prima, erano stati infatti il laboratorio per sperimentare la sospensione delle libertà costituzionali e per definire il “perfetto antagonista”. C’è qui il drammatico capovolgimento di priorità tra la libertà d’opinione e dissenso e l’ossessione per il mantenimento dell’Ordine Pubblico. Un tentativo volto a stravolgere le Costituzioni nate dal dramma del nazifascismo. Se infatti tradizionalmente la democrazia si misurava nella sua capacità di tutelare il dissenso, sulle spalle di Fabio si è tentato di far passare una definizione di “democratura” a tutela della “pace sociale” dal dissenso. La funzione del processo a Fabio Vettorel era quello di traslare al dissenso politico l’arsenale usato per reprimere i tifosi di calcio, criminalizzando le manifestazioni politiche e sperimentando tecniche di zoning metropolitano (le Gefharengebiet, zone urbane militarizzate, reintrodotte prima del G20, per la prima volta dagli anni ‘30 proprio ad Amburgo e Berlino). Si richiama cioè la costruzione del nemico politico così’ come Brecht la raccontava nel nazionalsocialismo o come proprio Carl Schmitt la codificò nella nota famosa Teoria del Partigiano.
Altra questione posta dal romanzo è quella dell’indipendenza del potere giudiziario. La disillusione verso la giustizia non è traumatica ma progressiva. Il lettore accompagna Jamila in un percorso in cui arbitrio dopo arbitrio, cattiveria dopo cattiveria, ingiustizia dopo ingiustizia, il potere giudiziario diventa assoluto, e per questo spaventoso. E proprio come in un’opera di Beckett o Duerrenmatt il diabolico e cupo piano repressivo solo alla fine sbaglia rovinosamente tutto. In centoquarantatrè giorni di ingiusta detenzione giudici, poliziotti e direzione carceraria tentano di isolare, minacciare, spaventare Fabio, il suo legale, gli attivisti e l’autrice. Tentativi che, leggendo il libro, sembrano infrangersi contro la ferma consapevolezza del diciottenne di Feltre e l’intelligente tenacia di Jamila. Proprio la madre dell’imputato vuole capire, collezionando e sistematizzando informazioni, sentenze, regolamenti, articoli di giornali, verbali di polizia, video delle manifestazioni. In una fase storica in cui, dopo anni di giustizialismo, in Italia almeno, si confida nei tribunali come dispensatori persino di giustizia sociale, la vicenda di Fabio Vettorel come le strategie di contropotere messe in campo per non lasciarlo solo sono una cassetta degli attrezzi minima di sopravvivenza per chiunque tenga alla propria libertà di dissenso.
“Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica. Se si dà fuoco a una macchina, il fatto costituisce reato. Se invece si bruciano centinaia di macchine, diventa un’azione politica. La protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più.” (Ulrike Meinhof)
Una terza questione, meno evidente se non se ne ha esperienza diretta, ha a che fare con il paternalismo del Leviatano tedesco. Ogni accenno autoritario nel sistema giudiziario come in quello educativo, nel workfare o nel lavoro si motiva sempre con una sorta di missione pedagogica. Missione di cui il potere, l’autorità (“amt” in tedesco) è esecutore esclusivo. A tal proposito particolarmente odiosa per Jamila, leggiamo, è la ragione con cui si giustificò il primo rifiuto di libertà su condizionale per il giovane di Feltre. Essendo minorenne, non essendoci rischio di reiterare il reato né di fuga, il diritto tedesco prevedeva infatti Fabio venisse scarcerato in attesa del processo, salvo in un caso molto singolare. L’eccezione, puntualmente utilizzata dalla pubblica accusa, fu che si riscontravano in Fabio “evidenti gravi mancanze educative”, deduzione senza colloqui o perizie di alcun tipo. Questo atteggiamento particolarmente odioso è la cifra dello Stato Etico neo-bismarkiano, fondamento di ogni tensione coercitiva che l’autorità esercita sull’individuo. Il potere, il giudice, l’autorità è particolarmente severa, non prevede perdono, come da austera cultura protestante, e giustifica la propria violenza in nome di una volontà superiore. L’autoritarismo tedesco è crudele ma si auto giustifica con la volontà di colmare una qualche mancanza pedagogica, un’anomalia, una devianza per tutelare la pace dell’intera società.
Soprattutto nel secondo dopoguerra diversi intellettuali, registi, artisti denunciarono il nesso tra autoritarismo dello Stato tedesco e paternalismo pedagogico. Una dialettica aspra, ancora oggi molto presente nel dibattito pubblico. Il primo a denunciare una sorta di “pedagogia da caserma” negli istituti correttivi per minorenni del dopoguerra fu il pedagogo sociale Manfred Kappeler. La sua opera sulla libertà vigilata, le case correttive, l’uso di lavoro gratuito in chiave “rieducativa” e le campagne contro la criminalizzazione dell’uso delle droghe nel ventennio ‘60 e ‘70 turbarono la società tedesca, perché decostruivano giudizi come quella espresso su Fabio Vettorel dalla pubblica accusa nel processo. Nel 1970, inoltre, Ulriche Meinhof, appena poco prima di diventare la cattiva coscienza della borghesia ordoliberale, scrisse la sceneggiatura di un film, “Bambulè- Cura, cura per chi?”. Un’opera in cui si denunciavano gli abusi e l’autoritarismo nelle case protette in cui venivano rinchiuse, detenute, a Berlino Ovest, per essere “rieducate”, giovani processate per piccoli reati, spesso senza prove e con processi farsa. E ancora lo stesso tema ritornerà poi nell’opera teatrale e cinematografica di Rainer Fassbinder come pure di Reinhard Hauff tra gli anni ‘70 e ‘80.
Stato d’Eccezione, arbitrio dei tribunali e paternalismo autoritario si affiancano, nella testimonianza di Jamila, ad un ultimo elemento: la burocratizzazione esasperata e pretestuosa dei dispositivi di controllo. Il diario della madre di Fabio si fa inchiesta dentro il kafkiano “Castello” della repressione. Così facendo lascia, alla fine della lettura, l’impressione di aver assistito ad una tragedia del “Teatro dell’Assurdo”. Addirittura i personaggi sono elencati all’inizio del testo, a mo’ di Libretto di un’Opera a conferma della sensazione. E la scrittura delinea due grandi gruppi di protagonisti nella tragedia messa in scena. Oltre l’autrice-narratrice e Fabio-Joseph K., protagonisti buoni, ci sono “loro”, cattivi e spietati. Sono i diversi ingranaggi della macchina repressiva. Sono giudici, procuratori, testimoni dell’accusa, poliziotti, carcerieri e politici. Sono gli unici i cui nomi vengono espressamente indicati dall’autrice in un j’accuse, una sorta di processo al processo, che chiama a rispondere almeno di fronte ai lettori di Vietato partecipare i carnefici.
Giudici, disumani, grigi, senza anima; burocrati che ricordano l’Himmler del docufilm “L’uomo per bene” cioè un boia che al termine della propria giornata, dispensata morte a destra e manca, proprio come un onesto lavoratore tornava a casa, persino stanco, senza coscienza, senza senso di colpa. E proprio così, a conclusione di ogni capitolo i giudici, con una morale sovrapposta alla legge, “alle 18:15 terminano il loro compito”, in modo “veloce”, “efficiente”, “soddisfacente”.
Oltre ai protagonisti e ai tanti antagonisti calcano il palco, poi, anche altri personaggi dell’Assurdo; coprotagonisti mai nominati di un’indistinta moltitudine solidale, un’umanità che sorregge l’autrice e Fabio con piccoli gesti complici e umani. Sono l’inaspettata forza che si prende cura di chi il potere vuole isolare e far dimenticare. Il racconto della gioia e della sorpresa con cui Fabio reagisce alla quantità di lettere che gli arriva in carcere, quantità che mette in crisi la direzione della prigione, è uno dei passaggi più toccanti del libro. Oltre loro poi ci sono gli avvocati, spesso più sgomenti che impreparati di fronte alle inedite anomalie processuali e infine i media, non solo strumento del potere ma anche fondamentale contropotere il cui ruolo diventa via via grimaldello per sabotare il piano repressivo. E dal balletto dell’Assurdo viene fuori un vero e proprio programma politico. Quello che ha la solidarietà come orizzonte concreto e che si legge per come questi coprotagonisti agiscono, si relazionano all’autrice, praticano, vicinanza, cura e complicità.
Una moltitudine rivoluzionaria perché sensibile.
“Le celle e le carceri sono progettate per spezzare gli esseri umani, per trasformare la popolazione in esemplari di uno zoo - obbedienti ai loro guardiani, ma pericolosi l’uno per l’altro.” (Angela Davis)
A oggi, febbraio 2020, per i fatti del G20 di Amburgo sono state emesse diverse condanne, spesso i processi sono stati contestati per le evidenti lacune procedurali. Lo stesso processo contro Fabio Vettorel prosegue, sebbene in modo stanco e farraginoso, riprendendo proprio in questi giorni.
Sono tutti processi in cui emergono inquietanti forzature autoritarie, scandali, annunci e smentite, omissioni e contraddizioni; ma in cui agiscono anche azioni di supporto emotivo, politico, economico, psicologico per tutte e tutti coloro che ancora oggi nella città anseatica stanno pagando la rabbia del Leviatano ordoliberale. E anche perché non è una vicenda conclusa, leggere Vietato partecipare di Jamila Baroni è un atto militante, di solidarietà, di presenza, di condivisione di un punto di vista alternativo ed ostile al governo austero del capitalismo europeo.
Un libro che è un’opera preziosa, una generosa condivisione di una vicenda personale affinché sia utile a tutte e tutti, affinché nessuno si senta sola o solo, oggi più che mai con la repressione che travolge sempre più esistenze. Un invito a non cedere alla violenza dei tribunali e delle polizie di cui essere grati a Jamila e a suo figlio Fabio.
In definitiva una lettura per chiunque consideri l’abolizione del carcere e la promozione della libertà come termine di relazione sociale fondamentale e non solo come enunciato astratto, orizzonte utopistico. Per chi pensa l’abolizionismo sia una concretissima, materiale, condizione necessaria alla costruzione di una società più equa e giusta. Magari una traccia di lavoro su cui rifondare una comunità militante e antagonista oggi anche in Italia, devastata da giustizialismi e da carceri sempre più simili a Lazzaretti dove confinare la marginalità sociale. Anche perché, attraverso uno stile curato e una scrittura mai noiosa, in Vietato partecipare, si leggono sia i tratti caratteristici della governance autoritaria all’opera oggi in Catalogna come in Francia, in Grecia come in Italia, sia le possibili forme creative e gioiose di organizzazione di intelligenze e sensibilità che non vogliono dover scegliere tra l’adeguarsi all’ingiustizia e la privazione della libertà.
www.altarimini.it, 12 febbraio 2020 La storia di un processo post G20 molto controverso e dibattuto
La storia di Fabio Vettorel, 20enne feltrino arrestato ad Amburgo nell’estate del 2017 durante le proteste contro il G20 e trattenuto in carcere per 4 mesi e mezzo senza prove né condanna, sta facendo il giro d’Italia grazie al libro scritto dalla madre Jamila Baroni Vietato partecipare. Amburgo G20. Storia di un processo pubblicato da Agenzia X, un’ampia riflessione sul significato delle parole “repressione” ed “espressione” avallata da episodi di cronaca giudiziaria, che più si estende sulla libera manifestazione del pensiero, anche in senso contrario.
Proprio Baroni sarà a Rimini venerdì 14 febbraio per parlare della vicenda che ancora vincola lei e suo figlio, ospite di Casa Madiba dalle 19 dove presenterà il libro assieme alla giornalista feltrina Francesca Valente, che ha seguito da vicino la vicenda per il quotidiano bellunese “Il Corriere delle Alpi”. Dalle 18.30 accoglienza con aperitivo a buffet per sostenere le spese legali degli/delle attivisti/e, a cura del progetto sociale della "Cucina & Pizzeria sociale Il Varco". L’inizio della presentazione godrà anche della compagnia anche di Elia De Caro, avvocato penalista e attivista di Antigone Emilia-Romagna, associazione che si occupa di sorvegliare lo stato di salute delle carceri italiane, ma soprattutto delle persone che vi risiedono. Al termine della presentazione musica con Vora, Sena e Bobby live e a seguire Gli Esperimenti in concerto.
Le recenti riforme legislative (come quella dibattutissima sulla Prescrizione) e l’approvazione dei decreti Salvini coinvolgono davvero solo alcune soggettività, o sono piuttosto fatti normativi che delineano e tracciano le basi di società più escludente, conservatrice ed iniqua? A partire dalle vicende personali di Fabio Vettorel e Nicoletta Dosio, attivista NoTav arrestata a fine 2019, si toccheranno temi quali l’amnistia sociale e i numerosi procedimenti a carico degli attivisti e delle attiviste di Casa Madiba per le battaglie sociali condotte in questi anni. Nodale sarà il tema della repressione del dissenso, agita nei confronti dei movimenti sociali e delle pratiche di conflitto, offrendo questa come occasione di confronto e riflessione nuova e trasversale.
Proprio Baroni sarà a Rimini venerdì 14 febbraio per parlare della vicenda che ancora vincola lei e suo figlio, ospite di Casa Madiba dalle 19 dove presenterà il libro assieme alla giornalista feltrina Francesca Valente, che ha seguito da vicino la vicenda per il quotidiano bellunese “Il Corriere delle Alpi”. Dalle 18.30 accoglienza con aperitivo a buffet per sostenere le spese legali degli/delle attivisti/e, a cura del progetto sociale della "Cucina & Pizzeria sociale Il Varco". L’inizio della presentazione godrà anche della compagnia anche di Elia De Caro, avvocato penalista e attivista di Antigone Emilia-Romagna, associazione che si occupa di sorvegliare lo stato di salute delle carceri italiane, ma soprattutto delle persone che vi risiedono. Al termine della presentazione musica con Vora, Sena e Bobby live e a seguire Gli Esperimenti in concerto.
Le recenti riforme legislative (come quella dibattutissima sulla Prescrizione) e l’approvazione dei decreti Salvini coinvolgono davvero solo alcune soggettività, o sono piuttosto fatti normativi che delineano e tracciano le basi di società più escludente, conservatrice ed iniqua? A partire dalle vicende personali di Fabio Vettorel e Nicoletta Dosio, attivista NoTav arrestata a fine 2019, si toccheranno temi quali l’amnistia sociale e i numerosi procedimenti a carico degli attivisti e delle attiviste di Casa Madiba per le battaglie sociali condotte in questi anni. Nodale sarà il tema della repressione del dissenso, agita nei confronti dei movimenti sociali e delle pratiche di conflitto, offrendo questa come occasione di confronto e riflessione nuova e trasversale.
www.radioradicale.it, 3 febbraio 2020 Vietato partecipare
Intervista a Jamila Baroni sul suo libro Vietato partecipare. Amburgo G20. Storia di un processo con l’autrice Jamila Baroni, madre di Fabio V., arrestato a Amburgo durante le manifestazioni contro il G20 del luglio 2017. Ascolta qui
a cura di Andrea BillauRadio Onda Rossa, 23 gennaio 2020 Vietato partecipare
Ascolta qui l’intervista a Jamila Baroni
www.radiocittafujiko.it, 16 gennaio 2020 Vietato partecipare, in un libro la persecuzione contro Fabio Vettorel
Il 7 luglio del 2017 Fabio Vettorel, un diciottenne italiano incensurato, si trovava ad Amburgo dove si svolgeva il G20. Fabio partecipava ad una manifestazione di protesta contro il vertice dei grandi del mondo e, quando la polizia ha fermato brutalmente i manifestanti, insieme ad un’amica ha soccorso una ragazza ferita durante una carica della polizia. In quel momento le forze dell’ordine lo fermano, lo pongono in arresto e comincia un’odissea fatta di detenzione e persecuzione giudiziaria che non è ancora del tutto finita.
Fabio Vettorel: la persecuzione raccontata dalla madre
A due anni e mezzo dall’inizio, Jamila Baroni, madre di Fabio, ha raccontato in un libro l’assurda vicenda che ha sconvolto la sua famiglia. Vietato partecipare. Amburgo G20. Storia di un processo è il titolo del libro, edito da Agenzia X, che contiene anche una prefazione del giornalista Christian Raimo e una postazione dell’avvocata Margherita D’Andrea, che ha seguito il processo al giovane come osservatrice esterna e fornisce un inquadramento giuridico della vicenda.
Ai nostri microfoni, Baroni racconta come ha vissuto l’arresto del figlio. “Fabio è rimasto in carcere per più di cinque mesi di custodia cautelare – spiega l’autrice – Il capo di imputazione iniziale era di disturbo della pace cittadina, ma quando è iniziato il processo hanno aggiunto altri reati, come assalto, tentate lesioni e resistenza a pubblico ufficiale”. In realtà, Fabio non ha compiuto alcun gesto di questo tipo, ma l’accusa tedesca gli contesta una “compartecipazione morale” per quanto accaduto.
L’odissea di Fabio è stata piena di prigioni, ricorsi, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, minacce di lunga reclusione alternate a speranze di libertà.
“Io ho dovuto trasferirmi per otto mesi ad Amburgo – racconta ancora la madre – Le autorità hanno cercato di fare di tutto per accusare Fabio, dicendo che era un violento, un delinquente, che aveva carenze educative. Mio figlio ha dovuto affrontare tre gradi di giudizio ed è uscito dal carcere solo a novembre, dopo due mesi di processo.”
L’accanimento giudiziario non è finito
Dalla fine di febbraio del 2018 Fabio non è più soggetto a misure restrittive, ma la sua vicenda giudiziaria non è ancora del tutto conclusa. “Il processo è stato sospeso ed è da rifare per un errore procedurale che hanno commesso loro – sottolinea Baroni – A settembre del 2019, però, la procura ha deciso di fare un maxi-processo, con un centinaio di imputati, a tutti coloro che sono stati arrestati durante le manifestazioni contro il G20 ad Amburgo. L’accusa ha chiesto che Fabio venga aggiunto a questo processo e stiamo aspettando di vedere se il giudice accetterà la richiesta della procura”.
Casi di persecuzione giudiziaria con prove solamente indiziarie o del tutto assenti non sono purtroppo rari, né in Germania né in Italia. Di qui l’idea del titolo del libro, Vietato partecipare, che per l’autrice racconta non solo la vicenda di suo figlio, ma l’attualità. “La repressione delle manifestazioni è una pratica che vediamo applicata a tanti contesti del mondo”.
La solidarietà e la speranza
Il morale di Fabio, ora che è libero e di nuovo in Italia, è buono, riferisce la madre, ma lo spettro di ripiombare nell’incubo continua ad aleggiare.
Di sicuro un ruolo importante lo ha giocato la grandissima solidarietà che sia la famiglia che Fabio stesso hanno ricevuto durante la sua assurda detenzione. Quando era in carcere, il ragazzo ha ricevuto centinaia di lettere e ci sono state manifestazioni, incontri, raccolte di firme tanto in Italia quanto in Germania.
Jamila Baroni presenterà il suo libro a Bologna il prossimo 24 gennaio, durante un incontro al Circolo Anarchico “Berneri”.
Ascolta QUI l'intervista a Jamila Baroni
di Alessandro CanellaFabio Vettorel: la persecuzione raccontata dalla madre
A due anni e mezzo dall’inizio, Jamila Baroni, madre di Fabio, ha raccontato in un libro l’assurda vicenda che ha sconvolto la sua famiglia. Vietato partecipare. Amburgo G20. Storia di un processo è il titolo del libro, edito da Agenzia X, che contiene anche una prefazione del giornalista Christian Raimo e una postazione dell’avvocata Margherita D’Andrea, che ha seguito il processo al giovane come osservatrice esterna e fornisce un inquadramento giuridico della vicenda.
Ai nostri microfoni, Baroni racconta come ha vissuto l’arresto del figlio. “Fabio è rimasto in carcere per più di cinque mesi di custodia cautelare – spiega l’autrice – Il capo di imputazione iniziale era di disturbo della pace cittadina, ma quando è iniziato il processo hanno aggiunto altri reati, come assalto, tentate lesioni e resistenza a pubblico ufficiale”. In realtà, Fabio non ha compiuto alcun gesto di questo tipo, ma l’accusa tedesca gli contesta una “compartecipazione morale” per quanto accaduto.
L’odissea di Fabio è stata piena di prigioni, ricorsi, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, minacce di lunga reclusione alternate a speranze di libertà.
“Io ho dovuto trasferirmi per otto mesi ad Amburgo – racconta ancora la madre – Le autorità hanno cercato di fare di tutto per accusare Fabio, dicendo che era un violento, un delinquente, che aveva carenze educative. Mio figlio ha dovuto affrontare tre gradi di giudizio ed è uscito dal carcere solo a novembre, dopo due mesi di processo.”
L’accanimento giudiziario non è finito
Dalla fine di febbraio del 2018 Fabio non è più soggetto a misure restrittive, ma la sua vicenda giudiziaria non è ancora del tutto conclusa. “Il processo è stato sospeso ed è da rifare per un errore procedurale che hanno commesso loro – sottolinea Baroni – A settembre del 2019, però, la procura ha deciso di fare un maxi-processo, con un centinaio di imputati, a tutti coloro che sono stati arrestati durante le manifestazioni contro il G20 ad Amburgo. L’accusa ha chiesto che Fabio venga aggiunto a questo processo e stiamo aspettando di vedere se il giudice accetterà la richiesta della procura”.
Casi di persecuzione giudiziaria con prove solamente indiziarie o del tutto assenti non sono purtroppo rari, né in Germania né in Italia. Di qui l’idea del titolo del libro, Vietato partecipare, che per l’autrice racconta non solo la vicenda di suo figlio, ma l’attualità. “La repressione delle manifestazioni è una pratica che vediamo applicata a tanti contesti del mondo”.
La solidarietà e la speranza
Il morale di Fabio, ora che è libero e di nuovo in Italia, è buono, riferisce la madre, ma lo spettro di ripiombare nell’incubo continua ad aleggiare.
Di sicuro un ruolo importante lo ha giocato la grandissima solidarietà che sia la famiglia che Fabio stesso hanno ricevuto durante la sua assurda detenzione. Quando era in carcere, il ragazzo ha ricevuto centinaia di lettere e ci sono state manifestazioni, incontri, raccolte di firme tanto in Italia quanto in Germania.
Jamila Baroni presenterà il suo libro a Bologna il prossimo 24 gennaio, durante un incontro al Circolo Anarchico “Berneri”.
Ascolta QUI l'intervista a Jamila Baroni
Il Tempo, 5 gennaio 2020 L’assurdo processo al dissenso
Estate 2017. Fabio, diciotto anni appena compiuti, sale su un aereo con direzione Amburgo. Si appresta a partecipare, assieme ad altre centomila persone provenienti da tutta Europa, alle manifestazioni contro il vertice dei capi di Stato dei Paesi più industrializzati al mondo, il G20. All’alba del 7 luglio viene arrestato mentre cerca di aiutare una ragazza ferita da una carica della polizia. accusato di far parte di un gruppo di «violenti contestatori», il cui unico obiettivo è distruggere la città. Nessun reato specifico fonda l'impianto accusatorio, ciò che gli viene imputato è una «compartecipazione morale». Il suo viaggio si trasforma in un'odissea: prigioni, ricorsi, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, minacce di una lunga reclusione alternate a speranze di libertà. Una cronaca dettagliata e coinvolgente, emblematica della sempre più diffusa ostilità verso chi decide di manifestare per un mondo diverso. Tutto questo Vietato partecipare. Amburgo G20. Storia di un processo, appassionante volume scritto da Jamila Baroni, la madre del Fabio Vettorel protagonista, che ha trascorso molto tempo cercando di ottenere libertà e giustizia per suo figlio. Il libro vanta una prefazione di Christian Raimo. Che scrive: «La storia di Fabio non è soltanto la sua storia, ma quella di un continente come quello europeo condizionato da un potere autoritario che di fronte alle mobilitazioni, ricorre sempre più spesso a stati di eccezione, a limitazioni delle libertà, a repressioni spesso sanguinarie». La postfazione, incentrata sui Nuovi paradigmi di controllo del dissenso nelle proteste di piazza, è firmata invece da Margherita D'Andrea, avvocatessa, osservatrice internazionale per la European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights e Associazione Nazionale Giuristi Democratici».
di CAR. SOL.Il manifesto, 5 dicembre 2019 Fabio Vettorel, il lacerante divieto a «partecipare»
Un ragazzo appena maggiorenne di Feltre parte dall’Italia il 6 luglio 2017 per andare a manifestare contro il G20 di Amburgo, in Germania. Tornerà a casa solo a fine febbraio del 2018. Vietato partecipare, di Jamila Baroni (Agenzia X, pp. 240, euro 15, prefazione di Christian Raimo) è la cronaca millimetrica di un buco nero, quello in cui Fabio Vettorel e i suoi famigliari sono stati risucchiati per sette lunghi mesi. Fermato mentre soccorreva una ragazza durante una carica della polizia tedesca il 7 luglio di due anni fa, Vettorel è piombato in un labirinto giudiziario che gli è costato cinque mesi di detenzione, altri due di misure cautelari e un processo ancora aperto.
La tesi su cui si basa l’accusa è quella della «compartecipazione psichica» ad atti volti a disturbare la «quiete sociale». Questo libro è un reportage politico ed emotivo dal quale emergono i contorni di una pagina nera di repressione in Europa, in cui si ricompongono, come frammenti di un vetro rotto, omertà poliziesche, errori giudiziari e opportunismo politico. L’autrice, Jamila Baroni, ne fa una ricostruzione accurata e gremita di personaggi, ognuno descritto con rapide e incisive pennellate: amici, avvocati, secondini, giudici, giornalisti, militanti, passanti. Sullo sfondo appare Amburgo, le strade illuminate, il vento gelido, le stanze disadorne dei penitenziari e le aule di tribunale.
Baroni è madre dell’imputato e pur tuttavia questo legame non si frappone mai tra chi legge e le informazioni contenute nel testo. Costituisce invece il punto d’osservazione, vicinissimo e profondo, per un fitto resoconto in cui la carica emotiva rimane ai bordi delle pagine, motore terribile di un impegno necessario. I capitoli sono titolati con una data o una finestra temporale. Il tempo, infatti, è sostanza rovente del volume. Un tempo che doveva essere breve e accidentale e che invece si dilata beffardo, scandito dai rintocchi delle udienze, dall’ossigeno delle telefonate, dai vortici dell’impotenza.
Un tempo rovesciato e aggredito dalla volontà di annotare ogni particolare di quei mesi e giorni, che da vuoti contenitori di un’attesa si trasformano in gesti pieni, di tessitura politica. Jamila Baroni ha seguito assiduamente, e messo in relazione con metodo, le udienze, gli atti processuali, i verbali della polizia, gli articoli di giornale, le dichiarazioni pubbliche e le chiaccherate informali. Il suo sguardo è lucido, meticoloso e allo stesso tempo affamato di comprensione, come se solo ricostruendo un quadro complessivo, oltre la vicenda individuale, sia possibile rendere giustizia a suo figlio.
Vietato partecipare è un’inchiesta originale sul funzionamento del sistema giudiziario tedesco e una riflessione sul diritto alla protesta. Ma nel materiale, raccolto e interpretato, vibra la commozione delle esistenze lacerate, quella dell’autrice, di suo figlio e di una folla di altre ombre rimaste senza voce. Il libro ha anche il merito di restituire valore a una parola, a dispetto dell’uso edulcorato che spesso ne viene fatto. «Partecipare» è una scelta, per la quale si è disposti a pagare un caro prezzo.
di Shendi VeliLa tesi su cui si basa l’accusa è quella della «compartecipazione psichica» ad atti volti a disturbare la «quiete sociale». Questo libro è un reportage politico ed emotivo dal quale emergono i contorni di una pagina nera di repressione in Europa, in cui si ricompongono, come frammenti di un vetro rotto, omertà poliziesche, errori giudiziari e opportunismo politico. L’autrice, Jamila Baroni, ne fa una ricostruzione accurata e gremita di personaggi, ognuno descritto con rapide e incisive pennellate: amici, avvocati, secondini, giudici, giornalisti, militanti, passanti. Sullo sfondo appare Amburgo, le strade illuminate, il vento gelido, le stanze disadorne dei penitenziari e le aule di tribunale.
Baroni è madre dell’imputato e pur tuttavia questo legame non si frappone mai tra chi legge e le informazioni contenute nel testo. Costituisce invece il punto d’osservazione, vicinissimo e profondo, per un fitto resoconto in cui la carica emotiva rimane ai bordi delle pagine, motore terribile di un impegno necessario. I capitoli sono titolati con una data o una finestra temporale. Il tempo, infatti, è sostanza rovente del volume. Un tempo che doveva essere breve e accidentale e che invece si dilata beffardo, scandito dai rintocchi delle udienze, dall’ossigeno delle telefonate, dai vortici dell’impotenza.
Un tempo rovesciato e aggredito dalla volontà di annotare ogni particolare di quei mesi e giorni, che da vuoti contenitori di un’attesa si trasformano in gesti pieni, di tessitura politica. Jamila Baroni ha seguito assiduamente, e messo in relazione con metodo, le udienze, gli atti processuali, i verbali della polizia, gli articoli di giornale, le dichiarazioni pubbliche e le chiaccherate informali. Il suo sguardo è lucido, meticoloso e allo stesso tempo affamato di comprensione, come se solo ricostruendo un quadro complessivo, oltre la vicenda individuale, sia possibile rendere giustizia a suo figlio.
Vietato partecipare è un’inchiesta originale sul funzionamento del sistema giudiziario tedesco e una riflessione sul diritto alla protesta. Ma nel materiale, raccolto e interpretato, vibra la commozione delle esistenze lacerate, quella dell’autrice, di suo figlio e di una folla di altre ombre rimaste senza voce. Il libro ha anche il merito di restituire valore a una parola, a dispetto dell’uso edulcorato che spesso ne viene fatto. «Partecipare» è una scelta, per la quale si è disposti a pagare un caro prezzo.
Protagonisti. Rivista bellunese di storia e cultura contemporanea, dicembre 2019 Vietato partecipare
Il libro contiene una breve ma intensa presentazione di Christian Raimo, noto scrittore e giornalista romano, la cronaca della storia di Fabio Vettorel, giovane feltrino arrestato nel corso delle manifestazioni contro il G20 nel luglio 2017 raccontata dalla madre Jamila Baroni e un saggio sull’evoluzione dei sistemi repressivi del dissenso nella società moderna di Margherita D’Andrea membro dell’Associazione “Giuristi Democratici”, che nel processo di Amburgo ha svolto la funzione di osservatore internazionale.
Fabio Vettorel, poco più che diciottenne viene arrestato ad Amburgo ancora prima dell’inizio delle manifestazioni contro il G20 e rinchiuso in carcere dove rimarrà in stato di detenzione preventiva per quasi 5 mesi, per essere finalmente rilasciato a novembre del 2017, il relativo processo è stato sospeso a febbraio 2018 e riprenderà nei prossimi mesi, forse riunito in un maxi processo a circa una settantina di minori o giovani di età inferiore ai 21 anni.
Fin da subito risultò evidente la sproporzione tra le accuse mosse al giovane feltrino e quanto da lui fatto, l’atteggiamento draconiano della Procura Tedesca, tale evidenza portò il sistema informativo italiano a denunciare come la gestione del processo evidenziasse la volontà di utilizzare Fabio Vettorel come capro espiatorio e punirlo per i disordini avvenuti successivamente al suo arresto che evidenziarono l’assoluta incapacità degli organi di polizia tedeschi a gestire l’ordine pubblico nel corso del G20 di Amburgo.
Fabio è dunque diventato il simbolo, come vittima, della volontà indiscriminata di punizione dello stato moderno, con evidenti tratti di continuità tra la repressione dei fatti di Genova e Seattle e, 20 anni dopo, Amburgo.
La parte centrale del libro è il racconto fatto dalla madre di Fabio dall’arresto del figlio e dal suo arrivo ad Amburgo per seguire da vicino la vicenda detentiva e processuale fino al loro ritorno in Italia dopo la sospensione del processo.
Lo definirei un diario di viaggio, scritto con meticolosità e apparente distacco, frutto di note scritte dall’autrice di giorno in giorno, dunque un bollettino che vorrebbe apparire (e forse lo è) oggettivo ma da cui invece traspaiono con con forza i sentimenti, le paure, le delusioni di una madre che assiste ad un procedimento kafkiano nei confronti del figlio. Jamila non racconta direttamente le sue emozioni, le fa uscire da una cronaca serrata e scarna ma anche rabbiosa per tutte le piccole e grandi ingiustizie che il figlio sta subendo.
Non è una cronaca solo intima, racconta infatti anche il di fuori: il tratto pubblicò e politico della vicenda del figlio, delle manifestazioni a suo sostegno, delle altre vicende processuali correlate al G20 di Amburgo.
Jamila non fa solo la madre, ma rivendica con orgoglio le scelte politiche e processuali fatte in autonomia dal figlio anche quando queste erano difficili e costose e hanno portato ad un prolungamento della sua detenzione. Infatti, ove Fabio avesse “ammesso” le proprie asserite colpe e chiesto scusa per aver manifestato il suo dissenso, dopo pochi giorni dall’arresto sarebbe staro scarcerato. Ha invece scelto di affrontare il processo per rivendicare il suo diritto a manifestare in modo pacifico e non violento anche contro i grandi del mondo, allora riuniti ad Amburgo, accettando così il rischio dell’abnorme prolungamento della sua detenzione preventiva come in effetti è avvenuta.
Il saggio conclusivo di Margherita D’Andrea parte proprio dall’elemento politico e giudiziario che accompagna il processo a Fabio, fa una analisi lucida dei percorsi repressivi in atto negli stati moderni della gestione del dissenso e dell’ordine pubblico, i riferimenti filosofici e giuridici alla migliore cultura penalistica e sociologica contemporanea e moderna sono evidenti ed espliciti e usati con efficacia e portano ad un saggio agile, di facile lettura ma non per questo banale che è utile corollario della cronaca proposta da Jamila Baroni.
Penso sia un libro che merita di essere letto per ricordare una storia che è emblematica dei tempi bui che stiamo attraversando, in cui la compressione dei diritti individuali non ha solo ricadute personali ma anche collettive e importanti sulle vite di tutti e non solo del momentaneo imputato o detenuto.
di Gino SperandioFabio Vettorel, poco più che diciottenne viene arrestato ad Amburgo ancora prima dell’inizio delle manifestazioni contro il G20 e rinchiuso in carcere dove rimarrà in stato di detenzione preventiva per quasi 5 mesi, per essere finalmente rilasciato a novembre del 2017, il relativo processo è stato sospeso a febbraio 2018 e riprenderà nei prossimi mesi, forse riunito in un maxi processo a circa una settantina di minori o giovani di età inferiore ai 21 anni.
Fin da subito risultò evidente la sproporzione tra le accuse mosse al giovane feltrino e quanto da lui fatto, l’atteggiamento draconiano della Procura Tedesca, tale evidenza portò il sistema informativo italiano a denunciare come la gestione del processo evidenziasse la volontà di utilizzare Fabio Vettorel come capro espiatorio e punirlo per i disordini avvenuti successivamente al suo arresto che evidenziarono l’assoluta incapacità degli organi di polizia tedeschi a gestire l’ordine pubblico nel corso del G20 di Amburgo.
Fabio è dunque diventato il simbolo, come vittima, della volontà indiscriminata di punizione dello stato moderno, con evidenti tratti di continuità tra la repressione dei fatti di Genova e Seattle e, 20 anni dopo, Amburgo.
La parte centrale del libro è il racconto fatto dalla madre di Fabio dall’arresto del figlio e dal suo arrivo ad Amburgo per seguire da vicino la vicenda detentiva e processuale fino al loro ritorno in Italia dopo la sospensione del processo.
Lo definirei un diario di viaggio, scritto con meticolosità e apparente distacco, frutto di note scritte dall’autrice di giorno in giorno, dunque un bollettino che vorrebbe apparire (e forse lo è) oggettivo ma da cui invece traspaiono con con forza i sentimenti, le paure, le delusioni di una madre che assiste ad un procedimento kafkiano nei confronti del figlio. Jamila non racconta direttamente le sue emozioni, le fa uscire da una cronaca serrata e scarna ma anche rabbiosa per tutte le piccole e grandi ingiustizie che il figlio sta subendo.
Non è una cronaca solo intima, racconta infatti anche il di fuori: il tratto pubblicò e politico della vicenda del figlio, delle manifestazioni a suo sostegno, delle altre vicende processuali correlate al G20 di Amburgo.
Jamila non fa solo la madre, ma rivendica con orgoglio le scelte politiche e processuali fatte in autonomia dal figlio anche quando queste erano difficili e costose e hanno portato ad un prolungamento della sua detenzione. Infatti, ove Fabio avesse “ammesso” le proprie asserite colpe e chiesto scusa per aver manifestato il suo dissenso, dopo pochi giorni dall’arresto sarebbe staro scarcerato. Ha invece scelto di affrontare il processo per rivendicare il suo diritto a manifestare in modo pacifico e non violento anche contro i grandi del mondo, allora riuniti ad Amburgo, accettando così il rischio dell’abnorme prolungamento della sua detenzione preventiva come in effetti è avvenuta.
Il saggio conclusivo di Margherita D’Andrea parte proprio dall’elemento politico e giudiziario che accompagna il processo a Fabio, fa una analisi lucida dei percorsi repressivi in atto negli stati moderni della gestione del dissenso e dell’ordine pubblico, i riferimenti filosofici e giuridici alla migliore cultura penalistica e sociologica contemporanea e moderna sono evidenti ed espliciti e usati con efficacia e portano ad un saggio agile, di facile lettura ma non per questo banale che è utile corollario della cronaca proposta da Jamila Baroni.
Penso sia un libro che merita di essere letto per ricordare una storia che è emblematica dei tempi bui che stiamo attraversando, in cui la compressione dei diritti individuali non ha solo ricadute personali ma anche collettive e importanti sulle vite di tutti e non solo del momentaneo imputato o detenuto.
Rainews.it, 1° dicembre 2019 La vicenda di Fabio Vettorel raccontata dalla madre in un libro-diario
Arrestato ad Amburgo per aver partecipato a un corteo di protesta contro il G20 Fabio rischiò una condanna a 10 anni. Vietato partecipare – Amburgo G20. Storia di un processo è la storia del calvario di una mamma
Guarda l’intervista a Jamila Baroni, mamma di Fabio Vettorel
di Antonello ProfitaGuarda l’intervista a Jamila Baroni, mamma di Fabio Vettorel
Globalproject.info, 29 novembre 2019 Quei divieti che diventano norma
7-8 Luglio 2017. Ad Amburgo si tiene il G20, il dodicesimo summit dei rappresentanti dei leader, dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali. Di esso fanno parte i 19 paesi più industrializzati e l’Unione europea.
Durante il summit si susseguono manifestazioni di dissenso che spesso sfociano in violentissimi scontri con la polizia, incapace di arginare l’esuberanza e l’eccedenza delle realtà di movimento presenti ad Amburgo.
Le quattro giornate di proteste mettono sicuramente in evidenza un doppio fallimento: da una parte quello degli organi di polizia tedeschi nel gestire l’ordine pubblico, dall’altro quello della allora cancelliera Angela Merkel, chiamata a mediare tra le posizioni delle vecchie élite neoliberali e le nuove tendenze populiste.
In questo senso cascava a pennello la scelta di una città come Amburgo, città capace tradizionalmente di esprimere conflittualità: la buona riuscita del summit avrebbe dimostrato come fosse possibile per il potere garantire una certa forma di dissenso, rendendolo però opzione assolutamente compatibile.
E’ in questo contesto che Fabio Vettorel, poco più che diciottenne feltrino, viene arrestato all’alba del 7 luglio e rinchiuso in carcere dove rimarrà in stato di detenzione preventiva per più di 4 mesi, per essere finalmente rilasciato a novembre del 2017 (il suo processo è stato sospeso a gennaio 2018).
Ciò che gli viene imputato è una “compartecipazione morale”, ma fin da subito risulta evidente come la gestione del processo evidenziasse la volontà di utilizzare Fabio come capro espiatorio punendolo per i fatti del G20.
Il suo viaggio si trasforma in un’odissea: prigioni, ricorsi, speranze di libertà, minacce di una lunga reclusione, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, fino alla tanto agognata libertà.
Il libro Vietato partecipare - G20 Amburgo. Storia di un processo, edito da Agenzia X, è una cronaca dettagliata e coinvolgente delle vicende giudiziarie di Fabio.
Una sorta di bollettino che vorrebbe apparire oggettivo e distaccato, ma dal quale traspare l’incredulità per l’andamento del processo e la compartecipazione morale, orgogliosa e rabbiosa, di Jamila, madre di Fabio e autrice di questo libro, alle scelte politiche e giudiziarie del figlio: il risultato, anche grazie al saggio conclusivo di Margherita D’Andrea, è una immagine lucida della gestione del dissenso e dell’ordine pubblico negli stati europei e del tentativo di criminalizzare chi decide di mettere in gioco il proprio corpo per manifestare per un mondo diverso.
Abbiamo partecipato alle mobilitazioni di Amburgo e le successive mobilitazioni a supporto dei manifestanti arrestati durante il summit.
Ora, a più di due anni da quei giorni di luglio, per chi è stato vittima della repressione il G20 non è ancora finito. La storia di Fabio poteva essere quella di ognuno di noi e per mantenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo abbiamo deciso di organizzare nei centri sociali del nord-est tre presentazioni del libro: venerdì 29 novembre a Treviso al Centro Sociale Django, giovedì 12 dicembre a Padova al Centro Sociale Pedro e sabato 14 dicembre a Venezia al Laboratorio Occupato Morion.
di Ruggero SorciDurante il summit si susseguono manifestazioni di dissenso che spesso sfociano in violentissimi scontri con la polizia, incapace di arginare l’esuberanza e l’eccedenza delle realtà di movimento presenti ad Amburgo.
Le quattro giornate di proteste mettono sicuramente in evidenza un doppio fallimento: da una parte quello degli organi di polizia tedeschi nel gestire l’ordine pubblico, dall’altro quello della allora cancelliera Angela Merkel, chiamata a mediare tra le posizioni delle vecchie élite neoliberali e le nuove tendenze populiste.
In questo senso cascava a pennello la scelta di una città come Amburgo, città capace tradizionalmente di esprimere conflittualità: la buona riuscita del summit avrebbe dimostrato come fosse possibile per il potere garantire una certa forma di dissenso, rendendolo però opzione assolutamente compatibile.
E’ in questo contesto che Fabio Vettorel, poco più che diciottenne feltrino, viene arrestato all’alba del 7 luglio e rinchiuso in carcere dove rimarrà in stato di detenzione preventiva per più di 4 mesi, per essere finalmente rilasciato a novembre del 2017 (il suo processo è stato sospeso a gennaio 2018).
Ciò che gli viene imputato è una “compartecipazione morale”, ma fin da subito risulta evidente come la gestione del processo evidenziasse la volontà di utilizzare Fabio come capro espiatorio punendolo per i fatti del G20.
Il suo viaggio si trasforma in un’odissea: prigioni, ricorsi, speranze di libertà, minacce di una lunga reclusione, aule di tribunale, processi, conflitti istituzionali, fino alla tanto agognata libertà.
Il libro Vietato partecipare - G20 Amburgo. Storia di un processo, edito da Agenzia X, è una cronaca dettagliata e coinvolgente delle vicende giudiziarie di Fabio.
Una sorta di bollettino che vorrebbe apparire oggettivo e distaccato, ma dal quale traspare l’incredulità per l’andamento del processo e la compartecipazione morale, orgogliosa e rabbiosa, di Jamila, madre di Fabio e autrice di questo libro, alle scelte politiche e giudiziarie del figlio: il risultato, anche grazie al saggio conclusivo di Margherita D’Andrea, è una immagine lucida della gestione del dissenso e dell’ordine pubblico negli stati europei e del tentativo di criminalizzare chi decide di mettere in gioco il proprio corpo per manifestare per un mondo diverso.
Abbiamo partecipato alle mobilitazioni di Amburgo e le successive mobilitazioni a supporto dei manifestanti arrestati durante il summit.
Ora, a più di due anni da quei giorni di luglio, per chi è stato vittima della repressione il G20 non è ancora finito. La storia di Fabio poteva essere quella di ognuno di noi e per mantenere alta l’attenzione su quanto sta accadendo abbiamo deciso di organizzare nei centri sociali del nord-est tre presentazioni del libro: venerdì 29 novembre a Treviso al Centro Sociale Django, giovedì 12 dicembre a Padova al Centro Sociale Pedro e sabato 14 dicembre a Venezia al Laboratorio Occupato Morion.
www.piano-terra.net, 8 novembre 2019 Vietato partecipare. La storia di Fabio Vettorel
Esce in questi giorni il libro di Jamila Baroni e Margherita D’Andrea intitolato: Vietato partecipare. Amburgo G20. Storia di un processo.
I libro contiene una breve ma intensa presentazione di Christian Raimo, noto scrittore e giornalista romano, la cronaca della storia di Fabio Vettorel, giovane feltrino arrestato nel corso delle manifestazioni contro il G20 nel luglio 2017 raccontata dalla madre Jamila Baroni e un saggio sull’evoluzione dei sistemi repressivi del dissenso nella società moderna di Margherita D’Andrea membro dell’Associazione Giuristi Democratici, che nel processo di Amburgo ha svolto la funzione di osservatore internazionale.
Fabio Vettorel, poco più che diciottenne viene arrestato ad Amburgo ancora prima dell’inizio delle manifestazioni contro il G20 e rinchiuso in carcere dove rimarrà in stato di detenzione preventiva per più di 4 mesi, per essere finalmente rilasciato a novembre del 2017, il relativo processo è stato sospeso a gennaio 2018 e probabilmente riprenderà nei prossimi mesi.
Fin da subito risultò evidente la sproporzione tra le accuse mosse al giovane feltrino e quanto da lui fatto, l’atteggiamento draconiano della Procura Tedesca, tale evidenza portò il sistema informativo italiano a denunciare come la gestione del processo evidenziasse la volontà di utilizzare Vettorel come capro espiatorio e punirlo per i disordini avvenuti successivamente al suo arresto che evidenziarono l’assoluta incapacità degli organi di polizia tedeschi a gestire l’ordine pubblico nel corso del G20 di Amburgo.
Fabio è dunque diventato il simbolo, come vittima, della volontà indiscriminata di punizione dello stato moderno, con evidenti tratti di continuità tra la repressione dei fatti di Genova e Seattle e, 20 anni dopo, Amburgo.
La parte centrale del libro è il racconto fatto dalla madre di Fabio dall’arresto del figlio e dal suo arrivo ad Amburgo per seguire da vicino la vicenda detentiva e processuale fino al loro ritorno in Italia dopo la sospensione del processo.
Lo definirei un diario di viaggio, scritto con meticolosità e apparente distacco, frutto di note scritte dall’autrice di giorno in giorno, dunque un bollettino che vorrebbe apparire (e forse lo è) oggettivo ma da cui invece traspaiono con con forza i sentimenti, le paure, le delusioni di una madre che assiste ad un procedimento kafkiano nei confronti del figlio. Jamila non racconta direttamente le sue emozioni, ma le fa uscire da una cronaca serrata e scarna ma anche rabbiosa per tutte le piccole e grandi ingiustizie che il figlio sta subendo.
Ma non è una cronaca solo intima, infatti racconta anche il di fuori: il tratto pubblico e politico della vicenda del figlio, delle manifestazioni a suo sostegno, delle altre vicende processuali correlate al G20 di Amburgo.
Jamila non fa solo la madre, ma rivendica con orgoglio le scelte politiche e processuali fatte in autonomia dal figlio anche quando queste erano difficili e costose e hanno portato ad un prolungamento della sua detenzione. Infatti, ove Fabio avesse “ammesso” le proprie asserite colpe e chiesto scusa per aver manifestato il suo dissenso, dopo pochi giorni dall’arresto sarebbe stato scarcerato. Ha invece scelto di affrontare il processo per rivendicare il suo diritto a manifestare in modo pacifico e non violento anche contro i grandi del mondo, allora riuniti ad Amburgo, accettando così il rischio dell’abnorme prolungamento della sua detenzione preventiva come in effetti è avvenuta.
Il saggio conclusivo di Margherita D’Andrea parte proprio dall’elemento politico e giudiziario che accompagna il processo a Fabio, fa una analisi lucida dei percorsi repressivi in atto negli stati moderni della gestione del dissenso e dell’ordine pubblico, i riferimenti filosofici e giuridici alla migliore cultura penalistica e sociologica contemporanea e moderna sono evidenti ed espliciti e usati con efficacia e portano ad un saggio agile, di facile lettura ma non per questo banale che è utile corollario della cronaca proposta da Jamila Baroni.
Penso sia un libro che merita di essere acquistato e letto per ricordare una storia che è emblematica dei tempi bui che stiamo attraversando, in cui la compressione dei diritti individuali non ha solo ricadute personali ma anche collettive e importanti sulle vite di tutti e non solo del momentaneo imputato o detenuto.
di Gino Sperandio (presidente ANPI Belluno)I libro contiene una breve ma intensa presentazione di Christian Raimo, noto scrittore e giornalista romano, la cronaca della storia di Fabio Vettorel, giovane feltrino arrestato nel corso delle manifestazioni contro il G20 nel luglio 2017 raccontata dalla madre Jamila Baroni e un saggio sull’evoluzione dei sistemi repressivi del dissenso nella società moderna di Margherita D’Andrea membro dell’Associazione Giuristi Democratici, che nel processo di Amburgo ha svolto la funzione di osservatore internazionale.
Fabio Vettorel, poco più che diciottenne viene arrestato ad Amburgo ancora prima dell’inizio delle manifestazioni contro il G20 e rinchiuso in carcere dove rimarrà in stato di detenzione preventiva per più di 4 mesi, per essere finalmente rilasciato a novembre del 2017, il relativo processo è stato sospeso a gennaio 2018 e probabilmente riprenderà nei prossimi mesi.
Fin da subito risultò evidente la sproporzione tra le accuse mosse al giovane feltrino e quanto da lui fatto, l’atteggiamento draconiano della Procura Tedesca, tale evidenza portò il sistema informativo italiano a denunciare come la gestione del processo evidenziasse la volontà di utilizzare Vettorel come capro espiatorio e punirlo per i disordini avvenuti successivamente al suo arresto che evidenziarono l’assoluta incapacità degli organi di polizia tedeschi a gestire l’ordine pubblico nel corso del G20 di Amburgo.
Fabio è dunque diventato il simbolo, come vittima, della volontà indiscriminata di punizione dello stato moderno, con evidenti tratti di continuità tra la repressione dei fatti di Genova e Seattle e, 20 anni dopo, Amburgo.
La parte centrale del libro è il racconto fatto dalla madre di Fabio dall’arresto del figlio e dal suo arrivo ad Amburgo per seguire da vicino la vicenda detentiva e processuale fino al loro ritorno in Italia dopo la sospensione del processo.
Lo definirei un diario di viaggio, scritto con meticolosità e apparente distacco, frutto di note scritte dall’autrice di giorno in giorno, dunque un bollettino che vorrebbe apparire (e forse lo è) oggettivo ma da cui invece traspaiono con con forza i sentimenti, le paure, le delusioni di una madre che assiste ad un procedimento kafkiano nei confronti del figlio. Jamila non racconta direttamente le sue emozioni, ma le fa uscire da una cronaca serrata e scarna ma anche rabbiosa per tutte le piccole e grandi ingiustizie che il figlio sta subendo.
Ma non è una cronaca solo intima, infatti racconta anche il di fuori: il tratto pubblico e politico della vicenda del figlio, delle manifestazioni a suo sostegno, delle altre vicende processuali correlate al G20 di Amburgo.
Jamila non fa solo la madre, ma rivendica con orgoglio le scelte politiche e processuali fatte in autonomia dal figlio anche quando queste erano difficili e costose e hanno portato ad un prolungamento della sua detenzione. Infatti, ove Fabio avesse “ammesso” le proprie asserite colpe e chiesto scusa per aver manifestato il suo dissenso, dopo pochi giorni dall’arresto sarebbe stato scarcerato. Ha invece scelto di affrontare il processo per rivendicare il suo diritto a manifestare in modo pacifico e non violento anche contro i grandi del mondo, allora riuniti ad Amburgo, accettando così il rischio dell’abnorme prolungamento della sua detenzione preventiva come in effetti è avvenuta.
Il saggio conclusivo di Margherita D’Andrea parte proprio dall’elemento politico e giudiziario che accompagna il processo a Fabio, fa una analisi lucida dei percorsi repressivi in atto negli stati moderni della gestione del dissenso e dell’ordine pubblico, i riferimenti filosofici e giuridici alla migliore cultura penalistica e sociologica contemporanea e moderna sono evidenti ed espliciti e usati con efficacia e portano ad un saggio agile, di facile lettura ma non per questo banale che è utile corollario della cronaca proposta da Jamila Baroni.
Penso sia un libro che merita di essere acquistato e letto per ricordare una storia che è emblematica dei tempi bui che stiamo attraversando, in cui la compressione dei diritti individuali non ha solo ricadute personali ma anche collettive e importanti sulle vite di tutti e non solo del momentaneo imputato o detenuto.
Corriere delle Alpi, 3 novembre 2019 Vietato partecipare, la mamma racconta tutto in un libro
L’INTERVISTA
Jamila Baroni ha vissuto otto mesi ad Amburgo tra il luglio del 2017 e il febbraio del 2018 per assistere suo figlio Fabio Vettorel nelle fasi più concitate e controverse del processo penale a suo carico per i disordini del G20 di due anni fa. Giovedì 7 novembre esce il suo libro Vietato partecipare, un racconto lucido e organico che si colloca a metà tra l’autobiografia materna (che però si perde poco nei dettagli emotivi) e la narrativa d’inchiesta (basata solo su fatti certi e soprattutto passati).
Come è nato questo libro?
«In ogni udienza di Fabio prendevo appunti per capire cosa stesse succedendo e non fare errori, per ricordare tutto ma sì, anche per sfogarmi. Potrei definirlo il diario di una serie di cose andate storte. Erano pagine che leggevo e rileggevo di continuo. Ho deciso di sistemarle e pubblicarle appena io e Fabio siamo tornati in Italia. L’idea iniziale era che lo scrivesse lui, poi però ho scelto di farlo io. Era la cosa giusta da fare».
È stato facile da scrivere?
«Sicuramente è stato più semplice che revisionarlo, ma scriverlo mi ha permesso di liberarmi. Ho scelto di non soffermarmi troppo sulla mia parte emotiva per non sviare chi legge e di non nominare le persone che mi hanno espresso solidarietà per non tralasciarne nessuna: sono tutte nel mio cuore, ma ho voluto fare una scelta di prudenza (il processo non è ancora stato archiviato, ndc), ecco perché racconto solo fatti già accaduti, riportati in articoli e documenti pubblici».
Com’è cambiata la sua vita?
«Più che la mia vita sono cambiata come persona, anche se la parte più difficile è stata rientrare a casa, non tanto per l’accoglienza visto che molti ci hanno manifestato solidarietà, quanto perché mi sono resa conto di essere diventata intransigente rispetto ai miei valori e questo potrebbe condizionare le mie relazioni. Molti genitori sono cambiati per questi avvenimenti».
E il rapporto con Fabio?
«Si è rinforzato diventando più profondo ed è uno dei pochi aspetti positivi di tutta questa vicenda, assieme al fatto di scoprire quanto si può essere forti nei momenti di difficoltà o di quali persone ci si può davvero fidare, o quali sono le vere priorità nella propria vita».
Cosa potrebbe accadere ora?
«È difficile dirlo. Nell’applicazione del diritto minorile potrebbero non esserci condanne ma multe o richiami, tanto che per Fabio verso la fine non si parlava nemmeno più di condizionale. Speriamo tutti che i nostri figli vengano assolti, ma a questo punto tutto può succedere. Siamo nelle mani dell’avvocata Gabriele Heinecke, che farà l’impossibile per far uscire Fabio nel migliore dei modi, anche perché nella sua carriera non si è mai trovata di fronte a un caso simile e l’ha preso a cuore».
Cosa si può apprendere dalla storia di Fabio?
«Il caso Rondenbarg è stato definito una “sperimentazione contro il dissenso”. I processi per i disordini del G20 dimostrano la volontà di reprimere con la forza le manifestazioni di protesta. Voglio ricordare però che anche ad Amburgo ci sono state espressioni pacifiche, una delle quali ho scelto come immagine della copertina: un migliaio di persone che hanno sfilato per le vie della città coperte di argilla, come protesta contro l’omologazione».
Cosa augura a chi leggerà il suo libro?
«Di riflettere sul concetto di “partecipazione”, una condizione sempre più ostacolata e lo vediamo tutti i giorni nelle grandi proteste di piazza esplose in tutto il mondo. Gli agenti dovrebbero essere identificabili – ad Amburgo lo sono solo i federali, non quelli dei corpi speciali – quantomeno per denunciare violenze e abusi di potere. Penso che il dissenso sia indispensabile per far evolvere una società, quindi andrebbe accolto, anche se a livello globale stiamo andando in tutt’altra direzione.
di Francesca ValenteJamila Baroni ha vissuto otto mesi ad Amburgo tra il luglio del 2017 e il febbraio del 2018 per assistere suo figlio Fabio Vettorel nelle fasi più concitate e controverse del processo penale a suo carico per i disordini del G20 di due anni fa. Giovedì 7 novembre esce il suo libro Vietato partecipare, un racconto lucido e organico che si colloca a metà tra l’autobiografia materna (che però si perde poco nei dettagli emotivi) e la narrativa d’inchiesta (basata solo su fatti certi e soprattutto passati).
Come è nato questo libro?
«In ogni udienza di Fabio prendevo appunti per capire cosa stesse succedendo e non fare errori, per ricordare tutto ma sì, anche per sfogarmi. Potrei definirlo il diario di una serie di cose andate storte. Erano pagine che leggevo e rileggevo di continuo. Ho deciso di sistemarle e pubblicarle appena io e Fabio siamo tornati in Italia. L’idea iniziale era che lo scrivesse lui, poi però ho scelto di farlo io. Era la cosa giusta da fare».
È stato facile da scrivere?
«Sicuramente è stato più semplice che revisionarlo, ma scriverlo mi ha permesso di liberarmi. Ho scelto di non soffermarmi troppo sulla mia parte emotiva per non sviare chi legge e di non nominare le persone che mi hanno espresso solidarietà per non tralasciarne nessuna: sono tutte nel mio cuore, ma ho voluto fare una scelta di prudenza (il processo non è ancora stato archiviato, ndc), ecco perché racconto solo fatti già accaduti, riportati in articoli e documenti pubblici».
Com’è cambiata la sua vita?
«Più che la mia vita sono cambiata come persona, anche se la parte più difficile è stata rientrare a casa, non tanto per l’accoglienza visto che molti ci hanno manifestato solidarietà, quanto perché mi sono resa conto di essere diventata intransigente rispetto ai miei valori e questo potrebbe condizionare le mie relazioni. Molti genitori sono cambiati per questi avvenimenti».
E il rapporto con Fabio?
«Si è rinforzato diventando più profondo ed è uno dei pochi aspetti positivi di tutta questa vicenda, assieme al fatto di scoprire quanto si può essere forti nei momenti di difficoltà o di quali persone ci si può davvero fidare, o quali sono le vere priorità nella propria vita».
Cosa potrebbe accadere ora?
«È difficile dirlo. Nell’applicazione del diritto minorile potrebbero non esserci condanne ma multe o richiami, tanto che per Fabio verso la fine non si parlava nemmeno più di condizionale. Speriamo tutti che i nostri figli vengano assolti, ma a questo punto tutto può succedere. Siamo nelle mani dell’avvocata Gabriele Heinecke, che farà l’impossibile per far uscire Fabio nel migliore dei modi, anche perché nella sua carriera non si è mai trovata di fronte a un caso simile e l’ha preso a cuore».
Cosa si può apprendere dalla storia di Fabio?
«Il caso Rondenbarg è stato definito una “sperimentazione contro il dissenso”. I processi per i disordini del G20 dimostrano la volontà di reprimere con la forza le manifestazioni di protesta. Voglio ricordare però che anche ad Amburgo ci sono state espressioni pacifiche, una delle quali ho scelto come immagine della copertina: un migliaio di persone che hanno sfilato per le vie della città coperte di argilla, come protesta contro l’omologazione».
Cosa augura a chi leggerà il suo libro?
«Di riflettere sul concetto di “partecipazione”, una condizione sempre più ostacolata e lo vediamo tutti i giorni nelle grandi proteste di piazza esplose in tutto il mondo. Gli agenti dovrebbero essere identificabili – ad Amburgo lo sono solo i federali, non quelli dei corpi speciali – quantomeno per denunciare violenze e abusi di potere. Penso che il dissenso sia indispensabile per far evolvere una società, quindi andrebbe accolto, anche se a livello globale stiamo andando in tutt’altra direzione.
Corriere delle Alpi, 3 novembre 2019 Incidenti al G20 di Amburgo, verso il maxi processo: ci sarà anche Fabio Vettorel
Un maxi processo per rileggere i fatti di via Rondenbarg, avvenuti a margine del G20 nel luglio 2017. Un centinaio i manifestanti ancora indagati, di cui 19 minorenni. Un nuovo capitolo giudiziario che potrebbe aprirsi presto anche per il 19enne feltrino Fabio Vettorel.
Siamo ad Amburgo dove la locale procura ha deciso, in maniera tardiva di allestire un enorme dibattimento penale per fare chiarezza una volta per tutte su quel che è accaduto in quella fatidica alba del 7 luglio di due anni fa, quando un corteo di circa 200 manifestanti, nel quale si trovavano anche i feltrini Vettorel e Maria Rocco, è stato caricato dal gruppo operativo speciale Blumberg lungo la strada del quartiere Bahrenfeld. Proprio l’attivista feltrino è stato il primo a essere processato per quei fatti, senza però aver mai trovato indizi chiari sulla sua colpevolezza.
Dove eravamo rimasti
Terminata la carica della polizia vengono fermate 73 persone, tra cui Fabio e Maria. Entrambi gli attivisti feltrini sono arrestati in misura di custodia cautelare contro il presunto pericolo di fuga in Italia, per consentire il regolare svolgimento del processo in Germania. Vettorel resterà in carcere per 142 giorni con tre capi di imputazione sulle spalle, disturbo della quiete (o pace) pubblica, resistenza a pubblico ufficiale e lancio di oggetti pericolosi.
Queste ultime due ipotesi di reato però nel corso del dibattimento al tribunale di Altona verranno gradualmente fatte decadere (Fabio non si è ribellato ma anzi, si è affidato alla polizia per soccorrere una ragazza ferita nel tentativo di sfuggire alla carica; non ci sono documenti video né testimonianze certe che abbia lanciato oggetti contro gli agenti).
Fabio sarà rilasciato il 26 novembre del 2017, mentre il suo processo verrà sospeso il 26 febbraio del 2018, perché la giudice Wolkenhauer – incinta – non avrebbe rispettato l’intervallo massimo di 4 settimane che può separare le due udienze di un processo penale per via dell’aspettativa per maternità, ma nel frattempo non aveva nemmeno nominato un sostituto e nell’ultima seduta non si era presentata per “malattia”.
Il procedimento è così terminato in attesa di vederlo riassegnare a un nuovo giudice. Quel che è successo dopo il rientro in Italia di madre e figlio è riassunto puntualmente nelle ultime pagine (255-258) del libro “Vietato partecipare” che Jamila Baroni ha dato alle stampe tramite la casa editrice AgenziaX e che sarà acquistabile online e in libreria da giovedì 7 novembre.
Il nuovo capitolo
L’idea ora sarebbe quella di riunire tutti i cento indagati in un’aula abbastanza capiente – tuttora difficile da trovare – che possa contenere anche i rispettivi avvocati, eventuali interpreti, uditori. Insomma un maxi processo dove però non si sentirà parlare né di stragi o di terroristi, e nemmeno di morti o feriti (se non i manifestanti stessi).
Per semplificazioni logistiche, sembra che verranno interrogati prima i 19 che all’epoca del 2017 avevano tra i 16 e i 20 anni, quindi considerati minorenni dal diritto tedesco. Gli altri ottanta potrebbero essere convocati tra il febbraio e il marzo del prossimo anno. Tutte le informazioni che Fabio e Jamila hanno ricevuto nel corso di quest’estate sull’evoluzione della questione giudiziaria non sono arrivate tramite fonti ufficiali, o comunicazioni agli avvocati difensori, ma attraverso la stampa tedesca. Che parla molto per numeri, anche se quelli certi riguardano solo il fronte dei manifestanti: fino ad oggi si contano 146 condanne penali (molte sentenze però non sono definitive), 92 in carcere e solo 9 senza l’applicazione della condizionale. Sono 15 le persone attualmente assolte, 19 i casi archiviati.
In tutto questo tempo però non si hanno notizie di processi ai poliziotti per le violenze sui manifestanti, anche se la magistratura ha disposto indagini per una sessantina di casi. Il processo di Fabio risulta tuttora sospeso, in attesa che la procura decida se accorparlo a quello degli altri minorenni all’epoca dei fatti, oppure se lasciarlo proseguire per la sua strada. Al momento è difficile prevedere quale possa essere l’alternativa migliore.
di Francesca ValenteSiamo ad Amburgo dove la locale procura ha deciso, in maniera tardiva di allestire un enorme dibattimento penale per fare chiarezza una volta per tutte su quel che è accaduto in quella fatidica alba del 7 luglio di due anni fa, quando un corteo di circa 200 manifestanti, nel quale si trovavano anche i feltrini Vettorel e Maria Rocco, è stato caricato dal gruppo operativo speciale Blumberg lungo la strada del quartiere Bahrenfeld. Proprio l’attivista feltrino è stato il primo a essere processato per quei fatti, senza però aver mai trovato indizi chiari sulla sua colpevolezza.
Dove eravamo rimasti
Terminata la carica della polizia vengono fermate 73 persone, tra cui Fabio e Maria. Entrambi gli attivisti feltrini sono arrestati in misura di custodia cautelare contro il presunto pericolo di fuga in Italia, per consentire il regolare svolgimento del processo in Germania. Vettorel resterà in carcere per 142 giorni con tre capi di imputazione sulle spalle, disturbo della quiete (o pace) pubblica, resistenza a pubblico ufficiale e lancio di oggetti pericolosi.
Queste ultime due ipotesi di reato però nel corso del dibattimento al tribunale di Altona verranno gradualmente fatte decadere (Fabio non si è ribellato ma anzi, si è affidato alla polizia per soccorrere una ragazza ferita nel tentativo di sfuggire alla carica; non ci sono documenti video né testimonianze certe che abbia lanciato oggetti contro gli agenti).
Fabio sarà rilasciato il 26 novembre del 2017, mentre il suo processo verrà sospeso il 26 febbraio del 2018, perché la giudice Wolkenhauer – incinta – non avrebbe rispettato l’intervallo massimo di 4 settimane che può separare le due udienze di un processo penale per via dell’aspettativa per maternità, ma nel frattempo non aveva nemmeno nominato un sostituto e nell’ultima seduta non si era presentata per “malattia”.
Il procedimento è così terminato in attesa di vederlo riassegnare a un nuovo giudice. Quel che è successo dopo il rientro in Italia di madre e figlio è riassunto puntualmente nelle ultime pagine (255-258) del libro “Vietato partecipare” che Jamila Baroni ha dato alle stampe tramite la casa editrice AgenziaX e che sarà acquistabile online e in libreria da giovedì 7 novembre.
Il nuovo capitolo
L’idea ora sarebbe quella di riunire tutti i cento indagati in un’aula abbastanza capiente – tuttora difficile da trovare – che possa contenere anche i rispettivi avvocati, eventuali interpreti, uditori. Insomma un maxi processo dove però non si sentirà parlare né di stragi o di terroristi, e nemmeno di morti o feriti (se non i manifestanti stessi).
Per semplificazioni logistiche, sembra che verranno interrogati prima i 19 che all’epoca del 2017 avevano tra i 16 e i 20 anni, quindi considerati minorenni dal diritto tedesco. Gli altri ottanta potrebbero essere convocati tra il febbraio e il marzo del prossimo anno. Tutte le informazioni che Fabio e Jamila hanno ricevuto nel corso di quest’estate sull’evoluzione della questione giudiziaria non sono arrivate tramite fonti ufficiali, o comunicazioni agli avvocati difensori, ma attraverso la stampa tedesca. Che parla molto per numeri, anche se quelli certi riguardano solo il fronte dei manifestanti: fino ad oggi si contano 146 condanne penali (molte sentenze però non sono definitive), 92 in carcere e solo 9 senza l’applicazione della condizionale. Sono 15 le persone attualmente assolte, 19 i casi archiviati.
In tutto questo tempo però non si hanno notizie di processi ai poliziotti per le violenze sui manifestanti, anche se la magistratura ha disposto indagini per una sessantina di casi. Il processo di Fabio risulta tuttora sospeso, in attesa che la procura decida se accorparlo a quello degli altri minorenni all’epoca dei fatti, oppure se lasciarlo proseguire per la sua strada. Al momento è difficile prevedere quale possa essere l’alternativa migliore.