cikuta-mag.blogspot.com, aprile 2023La storia dei Raf Punk
In queste pagine ho trovato i Raf Punk, la loro parabola e, marginalmente, la loro musica. Ho trovato i volti e le musiche del buco del culo del mondo.
In queste pagine ho scoperto come il mondo, in quegli anni, era dannatamente piccolo per chi viveva il punk come un’esigenza oltreché un genere musicale.
Tutte le persone che si incontrano sfogliando questo libro sono volti noti per chi mastica la materia: Freak Antoni, Giovanni Ferretti, Jumpy Velena, Jello Biafra e poi componenti dei Crass, Nabat, Verbal Abuse, MDC e decine di altri…
Tutti i luoghi che si attraversano hanno un sapore mitico: il Cassero, il Disco D’oro, il Virus, il Tuwat, gli studi della SST, la fattoria/Comune dei Crass, il Necronomicon e gli altri in ordine sparso.
Schiavi nella città più libera del mondo ha però, rispetto ad altri testi sul punk italiano, una caratteristica precisa, un punto focale e originale. Il libro si basa, anzi ha la sua ragione di esistere, grazie ad una storia d’amore e le sue pagine si nutrono, prendono vigore o cadono nel depresso, nella narrazione disperata, a volte caricaturale, dell’iperbole amorosa e bellissima di Laura e Jumpy.
In questa relazione giovanile, fortissima e morbosa, viene inglobato il tutto. Attorno a questa storia gira, ora velocemente ed ora al rallentatore, tutto l’universo costruito intorno a loro, nascono cose che prendono i loro nomi e le loro storie, prendono forma gli aneddoti da passare ai posteri, o ai novelli punx che dir si voglia.
Le storie che emergono sono centrifugate, sembrano accadere per caso, appaiono come il naturale dispiegarsi del tempo con energie e velocità multiple, con la società, il mondo tutto che appaiono come un teatro buffo, un gigantesco palcoscenico a livelli invertiti tra attori e pubblico.
Quando il libro si conclude mi rassicura il fatto di aver incontrato la “Attack Punk records”, i Raf punk, naturalmente, i CCCP Fedeli alla Linea, il concerto dei Clash, la nascita di Punkanimazione, gli scazzi politici, l’anarchia e la Londra dei bei tempi ma, soprattutto, rassicura il fatto che, pur tra mille problemi e per un periodo breve, un mondo “altro” è stato vissuto prima che tentato di costruire.
Schiavi nella città più libera del mondo è un diario postumo dell’amore punx, e non mi è dispiaciuto mica.
|Mig|
Plug n’play, giugno 2022La storia dei Raf Punk in un libro
La magia di questa biografia sta tutta qui: la sua capacità di coinvolgere tutti anche chi, come il sottoscritto, non ha vissuto in prima persona gli evento & gli sconvolgimenti narrati.
Questo basta e avanza per procedere nella lettura e cominciare a “volare” con Laura al di sopra delle barriere delle incomprensioni generazionali e accarezzare, perché no, il sogno di iniziare a suonare per davvero.
L’attualità della forza di Schiavi nella città più libera del mondo. La storia dei Raf Punk, concedetemelo, ha lo stesso impatto di una giovane e ormai ben nota rock band sulla bocca di tutti. La voglia di suonare, sempre quella, è irresistibile e monta parola dopo parola, pagina dopo pagina, storia dopo storia.
Dotata di una scrittura schietta e sincera, la batterista e fondatrice dei Raf Punk – inutile dilungarsi sul genere suonato dal gruppo, il nome dice davvero tutto – fa un regalo al lettore: un’interessante lettura al femminile di un movimento, quello punk, che, forse più del rock, poco ha concesso al “gentil sesso” e al sesso. E lo fa gioiosamente e giocosamente. Anche con il sesso, l’atto libidinoso, appiccicoso e sudato della copula, inspiegabilmente escluso – come sottolineato dall’autrice nel corso della presentazione da Germi a Milano con un “Non eravamo mica asessuati!” – dalle cronache soniche.
Grazie al turbinio di corpi e idee allora realizzato ed ora messo su carta, l’attenzione di ciascuno si concentra vuoi su quel passaggio vuoi su un episodio specifico della narrazione nutrendo attraverso le fantasie e le delusioni dell’autrice nuove avventure destinate ad infrangere persino i limiti di un tempo che ormai di granitico non ha più nulla.
Come non appassionarsi alle coinvolgenti avventure che hanno portato nel 1981 Laura, Jumpy, Carlo Stefano e Massimo a formare i Raf Punk e fondare la Attack Punk Records? Come resistere dal correre ad ascoltare Schiavi nella città più libera del mondo, il primo singolo della band?
Il percorso artistico ed esistenziale dei Raf Punk, una ricerca spesso incerta e a tratti picaresca tra rêverie bolognesi, fazines, concerti boicottati da parroci bacchettoni e cruda realtà londinese trangugitata senza respirare tra il 1979 e il 1980 è stata ed è ancora oggi un’epifania laica in grado di fare breccia tra le nostre pigrizie intellettuali.
Diciamo come stanno veramente le cose: Schiavi nella città più libera del mondo. La storia dei Raf Punk è una lettura fluida e lo è in tutti i sensi che oggi noi attribuiamo all’aggettivo in questione; è, altresì, una lettura militante come lo sono stai i Raf Punk sulla scia dei Crass; è, anche una lettura controcorrente necessaria per capire dove la corrente va; è, infine, una lettura che ti appassiona e ti conquista come solo la musica sa fare.
di Matteo Ceschi
Il Venerdì di Repubblica, 27 maggio 2022 Schiavi nella città più libera del mondo. Laura Carroli
di r.siv.
Extra! Music Magazine, maggio 2022 Schiavi nella città più libera del mondo
Il punk veniva spesso associato all’anarchia, vi sentivate in obbligo ad essere coinvolti politicamente?
Non era un obbligo, io facevo parte del collettivo anarchico degli studenti sin dal liceo, distribuivo volantini e “A-Rivista anarchica”. Proprio per questo siamo stati accettati dai compagni anarchici più vecchi che ci hanno fatto usare la sede della FAI (Federazione Anarchica Italiana).
Contro tutto e contro tutti, eravate davvero così?
Sì, proprio così. Ci sentivamo esclusi da qualsiasi iniziativa istituzionale e non ci riconoscevamo in niente di quello che veniva proposto in Italia, ci disgustavano le offerte di TV e riviste, anche il Movimento al quale avevamo partecipato in passato si era disciolto tra partitini e droghe.
Che cosa avreste voluto cambiare?
Più che cambiare volevamo costruire una nuova alternativa nella quale essere attivi e non passivi. Non ci interessava essere adescati dai media, avevamo bisogno di creare e non di modificare qualcosa di esistente.
Nel 1982 lanciaste sputi contro i Bauhaus, lo rifaresti?
Ammetto che anch’io inizialmente mi ero adeguata a questa usanza proveniente dall’Inghilterra, una contaminazione abbastanza scimmiesca derivata dal desiderio di uniformarsi ai punk iniziatori. Al concerto dei Bauhaus però non mi sono unita alla folla sputacchiante, un po’ perché non ero sotto al palco e soprattutto perché ormai era roba del passato. Inoltre bisogna sottolineare che gli sputi erano un segno di approvazione, un dono prezioso del pubblico ai musicisti. Fortunatamente l’usanza è diventata materia di antropologia adesso.
“La voglia di suonare deriva dalla voglia di esprimermi e la musica è un veicolo perfetto per comunicare le nostre idee” (vedi pag. 116 del libro), ma quali sono le idee che volevano esprimere i “punk” bolognesi?
Politicamente si trattava di attuare l’unica forma di anarchia possibile nella nostra società e cioè attraverso l’autoproduzione in ogni sua forma per essere protagonisti della propria vita. Anche se bisognava fare i conti coi bisogni reali per la sopravvivenza, non volevamo cedere il nostro tempo libero all’industria del divertimento. La speranza poi era di rendersi autonomi economicamente, cosa nella quale ho fallito.
L’estetica e l’abbigliamento erano una provocazione per rivendicare la propria libertà. È una cosa che fai ancora?
L’estetica punk mi piaceva moltissimo e ne ero affascinata al punto di sostenere tutti i problemi che comportava, direi che è stato un approccio istintivo ed emotivo più che ragionato, almeno sulle prime. Io mi piacevo con i capelli dritti, i vestiti zebrati e leopardati, le minigonne e le calze a rete, era tutto così sexy e attraente! Il contrasto tra la provocazione estetica e i segni del tempo mi danno la percezione di uno stridio nei confronti della bellezza, pertanto ho uno stile più casual e meno vistoso del passato. In fondo sento che non ho più bisogno di farmi accettare da un gruppo, mi basta un badge o un giubbotto per lanciare un messaggio e poi ormai è tutto così rimasticato dall’industria della moda che bisogna sforzarsi di essere davvero eccessivi per non finire tra i trend del momento.
di Daniela Giombini e Dario Calfapietra
Buscadero, aprile 2022 Schiavi nella città più libera del mondo. Laura Carroli
Lino Brunetti
Umanità Nova, 15 marzo 2022 Tre libri che raccontano la musica sbagliata
Il punk, una mattina. È stato come svegliarsi col sole, dopo un inverno fitto di tanta e tanta nebbia. Dalla strada, da fuori, arrivava rumore: il nostro rumore, che con le musiche che giravano prima non c’entrava proprio niente. Pareva che il Sessantotto fosse stata una rivoluzione con una colonna sonora completamente diversa. Nel giro di poche notti il punk aveva costruito un muro insormontabile: restava di là la roba improvvisamente diventata vecchia – i cantautori, il blues, il prog, il rock, i dinosauri. Noi di qua del muro: soli, spaesati e disinformati. C’è da dire che alla fine degli anni Settanta il punk non aveva ancora raggiunto la parte del mondo dove vivevo: nel nordest avevamo solo scarsissime informazioni e non ci si poteva fidare neanche delle poche che avevamo. Ad esempio, dai compagni più vecchi in radio i punk venivano descritti come stupidi e violenti, un fenomeno da baraccone, robaccia fascista che doveva restare fuori dalle trasmissioni.
I miei anni Ottanta sono stati pieni di incontri, viaggi e di scambi, di fanzine e di musiche, di punk e anarchia mescolati a suoni nuovi appena inventati dei quali avevo sempre fame. Dietro ai nomi dei gruppi e delle fanzine c’erano tutti ragazze e ragazzi pressappoco della mia età, anche loro conosciuti alle manifestazioni, ai concerti, nelle cantine, in radio, nelle stanze occupate dei primi piccoli centri sociali e negli spazi autogestiti e precari fioriti in giro per il paese. Eravamo tutti diversi, eppure ci assomigliavamo, ciascuno con qualche nodo segreto dentro il cuore che ci rendeva fragili, tutti innamorati e impegnati a cercare una colonna sonora adatta alla giornata. Non eravamo capaci di suonare e di cantare ma non era grave: avremmo presi i pezzi dai dischi e dalle cassette degli altri, cucendoli in un patchwork che ci rassomigliasse. Abbiamo fatto così – rosicchiato, strappato, rubato, fatto diventare nostro. Ci abbiamo provato: a volte ce l’abbiamo fatta, a volte no.
Laura Carroli, quella che stava dietro i tamburi della batteria con i Raf Punk, ci ha nesso vent’anni a raccogliere e dare forma scritta alla sua vita di ricordi, incontri, ragionamenti ed esperienze. Si chiama Schiavi nella città più libera del mondo (ed. Agenzia X) ed è un libro proprio storto e tutto fatto a modo suo – ed era ora che si trovasse il coraggio di fare un libro così. Dove per altri scrivere è stato un modo per togliersi sassi e pezzi di vetro dagli anfibi, per accoltellare alle spalle in maniera più o meno simbolica o per riscrivere a proprio modo delle storie con le s sempre più minuscole, Laura ha preferito parlare dolcemente di ingenuità che diventa consapevolezza, di piccoli mondi-a-parte in collisione, di delusioni che finiscono col rafforzare i sogni. Una mescolanza di candore e disperazione tenuta insieme da un amore sconfinato. Meravigliosa lei.
Gli anni Novanta significano per me un carico pesante di problemi familiari e due figlie arrivate a distanza breve: la maggiore era gravemente disabile e bisognosa di cure ed assistenza continua – ne parlo al passato perché è vissuta solo sedici anni. Sedici anni di problemi grossi e spigolosi che mi hanno tenuto lontano da tutto (non da tutti): lì fuori c’era il mondo che continuava ad andare avanti, mentre io avevo questo collare pesante stretto al collo. Mi sono ritrovato spesso ad aggrapparmi denti e unghie alle musiche dentro ai dischi dei miei amici e compagni, le parole cantate adoperate come lettere da lontano, come abbracci veri, forti. Molto spesso gli articoli che inviato alla redazione di A/Rivista Anarchica tra il 1992 e il 2008 sono stati scritti da una stanza d’ospedale, collage fatti di una frase scritta adesso e un’altra chissà quando, dopo, forse.
Giangiacomo De Stefano e Andrea “Ics” Ferrari sono riusciti a raccontarmi com’era il mondo lì fuori, quello che andava avanti quando io ero fermo, quello che si sbatteva mentre io ero via. Hanno raccolto in Disconnection (ed. Tsunami) un mosaico di testimonianze, sputi, confessioni, pietre, rutti e scoregge: quattrocento-e-passa pagine di vita vera e di musica vera raccontate sotto tutti i punti di vista, mille interpretazioni della libertà e del suono, songi in forma di ragionamenti e relazioni interpersonali e sperimentazioni sonore. Leggerlo per me ha significato riempire un buco importante e in qualche maniera riprendermi una parte della mia vita anche se solo di riflesso. Ha significato anche annusare vecchi odori e ritrovarmi con certi vecchi sapori in bocca, soprattutto nell’inciampare qui dentro nelle testimonianze di ragazze e ragazzi che dal nome ho riconosciuto come “clienti” recidivi del mio ex banchetto per forza di cose divenuto mailorder. Se oggi sono ancora arruffato e scontroso orso incasinato spigoloso e rompicoglioni, lo devo anche a quelle ragazze e ragazzi che si sono sbattuti anche per me, perché io non potevo.
Sono stati sacrificati chissà quanti alberi e sprecati fiumi d’inchiostro per raccontare l’Italia musicale degli anni Ottanta – anche io nel mio piccolo ho contribuito al massacro e allo spreco. Mi è capitato tra le mani però un libro, scritto esplicitamente per chi è venuto dopo e allora non c’era, che racconta senza celebrare e che piega senza pretendere di insegnare: Stefano Gilardino in Shock antistatico (ed. Goodfellas) ha ricostruito una scena e un periodo storico in un libro attraverso il quale ammetto di riconoscermi e di sapermi orientare. Da “dentro” la scena degli anni Ottanta succedeva tutto disordinatamente, un misto inestricabile di tensione e di gioia, di tentativi e fallimenti, di strizza e di disperazione: il libro è tecnicamente un susseguirsi di ricostruzioni che è riuscito bene, nel senso che trovo condivisibile la sua versione dell’aria che si respirava allora. In una parola sono rimasto stupefatto dell’attenzione (per non dire dell’amore, senza esagerare) riservata ai miei compagni di allora: eravamo dei ventenni persi, poveri e ingenui e sognatori alle prese con un mondo da inventare – spesso l’abbiamo fatto fagocitando e riciclando intuizioni e invenzioni d’altri. Dove tanti hanno scritto e basta, Stefano si è incuriosito, ha avvicinato, ha studiato, ha capito, ha incontrato, ha verificato, ha chiarito e poi ha scritto. Cazzo, mica poco.
di Marco Pandin
Carmilla, 16 febbraio 2022 Schiavi nella città più libera del mondo di Laura Carroli
Laura Carroli è stata la cofondatrice di uno dei più rappresentativi gruppi punk non solo bolognesi. I Raf Punk sono nati sull’onda d’urto del movimento politico-artistico-esistenziale della fine degli anni Settanta, spinti dal motto punk do it yourself! Non sprecare tempo ed energie cercando riconoscimenti dal sistema, suona la tua musica, registra i tuoi dischi, pubblica le tue storie sulle punkzine e mandali tutti all’inferno. Era uno stile di vita, un brand internazionale, convulso, creativo. In questo libro, attraverso “la storia dei Raf Punk”, quella golden age di ribellione, di fuck the power, c’è tutta. Chi l’ha vissuta la ritroverà con una vivacità e un effetto presenza straordinarie. Rivivrà quel tempo, forse perduto, o forse no; ritroverà i suoni, la velocità, ma anche la rabbia, la voglia di vivere. L’autrice ci ha messo dentro se stessa ed è riuscita anche a diventare personaggio/narratore collettivo. È un testo storico, ma anche un romanzo appassionante e divertente. Si staglia in modo originale sullo skyline di altri libri similari, testi memorialisti e a loro modo estremi come La mia vita hard-core di Harley Flanagan per lo spazio dedicato anche ai sentimenti, l’amore, il sesso. Laura Carroli l’ha detto, in una intervista in piazza del Nettuno a Bologna: “Ho raccolto e letto i libri scritti su quel periodo, sono tutti di autori maschi. Infatti si avverte una certa esagerazione maschile, lo spazio dedicato soprattutto agli eventi, le risse, le avventure. Io ho voluto scrivere un testo diverso. Ho voluto metterci dentro anche altro.” E se vogliamo cercare un confratello letterario troviamo singolari affinità elettive con Just Kids di Patti Smith, la poetessa rock amata dall’autrice, tanto da organizzare un viaggio in autostop a Londra per un suo concerto. Ma poi tutto cambia, tutto gira nel vortice punk. Patti Smith arriva a Bologna e “in quell’occasione la città era stata invasa da capelli lunghi, cappelli con larghe tese, torsi nudi, collanine freak e cannoni fumanti, lei aveva inneggiato al papa, quel nazista anticomunista e reazionario. Ora ci sputo sopra!”
Il punk era a suo modo un movimento purista, in quanto stile di vita totale e comunitario; era una società laterale, alternativa, senza contatti col mondo borghese perbenista né tanto meno col mercato. La musica era al centro di tutto, suonare per esprimersi, per picchiare sulla batteria, per stare insieme. Per cui i gruppi che arrivavano al successo, e lo cavalcavano, rendendo duttile e malleabile la loro musica, cessavano di essere punk e venivano insultati, disprezzati. L’esempio più eclatante, narrato col solito effetto presenza, furono i Clash con London Calling: opportunisti traditori del punk, duramente contestati a Bologna. Schiavi nella città più libera del mondo contiene eventi, fatti collettivi, tanta politica anarco-pacifista, ma anche divertimento, una carrellata di personaggi originali, incontri epici, il primo concerto dei PIL, i Dead Kennedy a Perugia, i soggiorni a Londra, sempre alla ricerca di dischi e concerti, tanto che si poteva saltare la cena per non rinunciare all’ultimo disco dei Crass. E poi la punkaminazione in Germania, a Berlino a bordo della Dyane 6 così carica che il fondo rischiava di sfregare sull’asfalto. Riviviamo i disastri dei primi festival punk, incastrati in una città ostile, sprezzante e ottusa. Ed è anche – si può dire? – un testo governato da una certa grazia femminile, che riscatta il machismo di altri memoriali simili. Non solo epica strong, ma un’attenzione ai dettagli, il gusto punk per l’abbigliamento, i giubbotti di pelle, i capelli, come affermazione di eleganza do it yourself nella città grigia e omologata. Un inserto fotografico, composto da istantanee scattate in varie situazioni, spesso sgranate o sghembe, ne amplifica l’effetto visionario e ci fa letteralmente saltare dentro a quel tempo e a quegli spazi. Infine c’è un altro aspetto collaterale che colpisce: La città più libera del mondo, con la sua subcultura borghese e bottegaia, confrontata con quella di oggi, sembra preistorica: concedeva spazi per suonare, sale ai punk e agli anarchici, il Baraccano, il Cassero; punti di ritrovo dove si organizzavano concerti, sale prove, manifestazioni. Oggi è talmente libera che i centri sociali vengono sgomberati e tutti gli spazi pubblici non istituzionali affidati ai costruttori che realizzano porzioni di cittadelle semifortificate dove regnano sovrani l’ordine e il decoro.
Di seguito pubblichiamo un estratto del libro, un volantino che fu affisso in varie parti della città.
PUNK INCONTRIAMOCI!
A te che pur vivendo tra questo cumulo di pietre fredde e scostate chiamato Bologna, tra altri 400.000 bipedi zombi, senti che qualcosa non funziona, ma continui a gironzolare per la strada senza meta, annoiandoti da solo a casa tua o collettivamente a casa di amici, o fai trascorrere il tempo davanti a un bar bevendoti le idiozie dei coglioni del posto, o peggio cominci a pensare che le pere siano l’unica soluzione, o fai solo quello che dice il partito, o leggi Popster-popstars “cosa posso fare oggi?” e finisci immancabilmente in una fottutissima discoteca, a te NON VIENE MAI VOGLIA DI VOMITARE, vomitare su tutte queste cose, la scuola, la discoteca, la caserma e tutte quelle cose che ti rubano tempo restituendoti solamente valanghe di noia? Credi forse che la noia NOIA sia solo nei dischi dei BUZZCOCKS ADVERTS o sia invece tutto ciò che ti succede ogni giorno??? Questo perché vivi in una stupida città dove la sera non sai cosa fare, il sabato e la domenica non sai dove andare e così pure tutti gli altri giorni, semplicemente perché NON C’E’ NESSUN POSTO DOVE ANDARE.
Non pensi mai che ci sono moltissimi altri kids con questo tuo stesso problema, questa maledetta angoscia che ti succhia tutte le energie vitali, non pensi che unendoti a loro potresti fare almeno un piccolo passo verso la soluzione della faccenda???? Non credi che potresti frequentare persone con le tue stesse idee, i tuoi stessi casini, che ascoltano la tua stessa musica, che hanno i tuoi stessi bisogni, invece di SPRECARE TEMPO con quelli che conosci solo perché abitano nel tuo palazzo o sono in classe con te o “sono delle fighe ma non ci stanno”??? O pensi che si possa ascoltare gli ANGELLIC UPSTARTS come si ascoltano i merdosi Supertramp, i fottuti Dire Straits, poi andare a ballare in discoteca, regalare l’anellino alla fidanzata, mettere il vestitino che dice la mamma o quello che va di moda, studiare “perché-così-sono-sempre-pronto”, dire che quella è una puttana perché “va con tutti”, andare a vedere Alien e tutti i successi-merdate, magari in prima visione, o comperare la vespa perché ce l’hanno tutti????
Se sei uscito da questo circolo vizioso o se non ci sei mai entrato e non vuoi prendere THE SHIT THEY GET sai che dobbiamo vederci-unirci trovarci e sai che facendo ciò potremmo tentare di fare qualcosa per smuovere questa situazione di merda, come trovare un locale dove fare concerti o qualsiasi altra cosa. Dato che per il momento non esiste un luogo preciso dove incontrarci, telefona il più presto possibile a Giampaolo 892352, Laura 517480, Oddone 562030, Stefano 362254, Paolo 371158
DON’Y GET THE SHIT THEY GET DIAL JOIN US
di Mauro Baldrati
Blow up, febbraio 2022 Laura Carroli. Schiavi nella città più libera del mondo
Vittore Baroni
Rumore, febbraio 2022 Laura Carroli. Schiavi nella città più libera del mondo
Voto: 80/100
Luca Frazzi
booksnormali.blogspot.com, lunedì 31 gennaio 2022 Laura Carroli. Schiavi nella città più libera del mondo
di Marco Denti
www.ondarock.it, 20 gennaio 2022 Laura Carroli. Schiavi nella città più libera del mondo
Raro racconto al femminile da una provincia dell'Impero che seppe farsi centro, cronologicamente rigoroso ma avulso da pretese storicistiche, puntellato com'è da digressioni filosofiche e confessioni a cuore aperto. Tra coming of age a ormoni sciolti, antiretorico amarcord generazionale e squinternato road trip, la Carroli inanella una scrittura dal taglio diaristico, vivida senza risultare affastellata, anzi ben tersa, non disdegnando incursioni libertine e fiammate immaginifiche d'ispirazione beat, alcune particolarmente felici (una su tutte, la visione autostradale degli specchietti dei tir "come corna di bisonti luccicanti").
Proprio questa prosa "a mente fredda" è la maggiore qualità di un romanzo-saggio sereno e ironico, che non lascia scampo all'autocelebrazione nel narrare una storia in cui chiunque può identificarsi: che siano autoanalisi private o sconvolgimenti pubblici (strage del 2 agosto inclusa), tutto scorre in un flusso esistenziale scevro di enfasi ma non di passione. La punteggiatura tiene, ma qua e là viene volentieri sbalzata, assecondando compulsioni e convulsioni di questi pionieri affamati di aria nuova, belli e dannati come quel grande sole nero che è stato il punk. Quanto alle bollenti parentesi erotiche, gonfie di carne schiumante manco fossero fantasticate da un Bataille o un Apollinaire, recano il marchio inconfutabile di una vita divorata fino all'ultimo gemito.
Brilla una tenera ingenuità eppure una folgorante consapevolezza tra questi mohicani che "mangiano lattine e sputano lamette", nutriti dalle ultimissime epifanie discografiche quanto da letture ereticali sempreverdi, affatto timorosi nel rivendicare una continuità con le avanguardie che prima di loro amarono quei romanzi proibiti (e vuoi vedere che il povero Greil Marcus di "Lipstick Traces" non meritava tanta acrimonia, con buona pace di quella canaglia di Stewart Home?).
Tutta da godere, poi, l'immancabile colonna sonora interna, che rimbomba tra le pagine come fosse diffusa da appositi speaker, propagando in lungo e in largo Patti Smith, Ultravox!, Wayne County, Sham 69, UK Subs, Negative Trend, in una serrata playlist che non troverete su nessun servizio di streaming.
Emozionanti, per chi conosce i protagonisti, certi retroscena lontani dai riflettori (la rivelazione in cameretta di un Jumpy già intento a rubare i vestiti della madre), mentre è un brivido per tutti la collisione spesso fortuita con eventi che hanno ridisegnato il costume occidentale (il concerto d'esordio dei Public Image Ltd. al Rainbow di Londra nella notte di natale del '78, battesimo della new wave). E se non sorprendono le apparizioni dei vari Miss Xox, Giorgio Lavagna, Steno, Marco Philopat, Francesca Alinovi, Oderso Rubini, Red Ronnie, "Robertino", ben più inaspettate sono quelle di Gino Fabbri, Libero Fantazzini, Roberto Roversi, in un megafono transgenerazionale della voce alternativa cittadina.
La monumentale appendice fotografica, infine, completa con stile un volume appagante anche per gli occhi.
Se avete sempre sognato una mamma con i capelli viola, non avete che da farvi adottare. Nella sterminata letteratura punk italiana, un libro unico nel suo genere.
Massimiliano Speri
www.iyezine.com, 3 gennaio 2022Schiavi nella città più libera del mondo di Laura Carroli
Per chi ancora non li conoscesse, i tipi di Agenzia X sono un collettivo contro-culturale che fa della condivisione ideologica tra le diverse anime espresse dalla cultura underground il proprio credo. Il loro è un tentativo di diffusione tramite saggistica, narrativa e autobiografie, di quei valori che hanno fatto la storia dei movimenti giovanili italiani attraverso un catalogo che spazia in tutte le realtà controculturali dell’ultimo mezzo secolo. Il punto di forza del loro lavoro sta proprio nel fatto di raccontare i fatti senza filtro, ammettendo errori sia in fase di valutazione che di scelta.
Non ci sono buoni e cattivi, come non ci sono cose giuste o sbagliate, ma solo la necessità e l’onestà di raccontare tutto in modo quanto più chiaro possibile, senza risparmiare (auto)critiche sia dei singoli che dei movimenti. Schiavi nella città più libera del mondo è il terzo volume che ospitiamo su queste pagine, dopo Lumi di punk e Costretti a sanguinare, i due saggi di Marco Philopat Galliani usciti a distanza di un decennio sul fenomeno punk italiano e milanese in particolare.
Schiavi nella città più libera del mondo è il primo contributo in qualità di scrittrice di Laura Carroli, figura a suo modo storica all’interno della scena punk. Laura è stata una delle primissime donne punk italiane, indiana metropolitana prima, insurrezionalista e batterista dei Raf Punk poi, fino a chiudere come co-fondatrice dell’etichetta indipendente Attack Punk Records, ideata e creata sulla falsa riga della Crass Records inglese. Etichetta nata come inevitabile appendice della Attack Punkzine e diventata sin da subito il punto di riferimento per il movimento punk italiano, dando alle stampe album seminali come il debutto dei CCCP, quello dei Disciplinatha, ma anche altri dischi epocali come quelli di Rivolta dell’Odio, dei Contropotere, e I refuse It!
La scelta del titolo prende vita come tributo a quella che fu la prima uscita discografica dell’etichetta, lo split a quattro con Anna Falkss, Bacteria e Stalag 17 ad affiancare i suoi Raf Punk, ma anche dagli slogan delle proteste relative allo sgombero dello spazio sociale Atlantide a Bologna di alcuni anni fa.
Il romanzo della sua vita parte con la scoperta del mondo punk da parte di un’adolescente che come tante altre si trova a vivere un’esistenza satura di insofferenza e insoddisfazione. Ce ne sono a decine in tutta Bologna. Ognuna con la sua storia personale più o meno sovrapponibile a quella di Laura. La sua voce è quella di una persona (oggi) totalmente disincantata, che ha vissuto un’epoca “storica” e ne parla con sincerità, senza risparmiare critiche. Ci racconta la nascita del movimento punk italiano “da dentro”, mettendo realmente a nudo vizi e virtù di una decina di anni di storia grazie al racconto quasi quotidiano della sua vita, tra la famiglia, il lavoro alle poste, il rapporto di coppia, il gruppo musicale e ovviamente la politica “attiva”. È tutto scritto nel mondo più semplice possibile, per permettere a chiunque di entrare a fondo nei suoi ragionamenti e provare a evitare gli errori di chi lo ha preceduto. Perché, è inutile girarci intorno, di errori ne sono stati fatti e anche parecchi. Ma era giusto andare in quella direzione, mettendo in preventivo fallimenti che si sono poi puntualmente materializzati.
Erano anni in cui si lottava in nome di un ideale, non di un obiettivo a seconda della sua raggiungibilità o meno. Era legittimo ribellarsi con le armi che si avevano a disposizione, ma era soprattutto legittimo ribellarsi. Anche solo per provare a sconfiggere l’apatia del quotidiano, per dare un segno di vita in una città che non era affatto libera e non era affatto la migliore del mondo, nonostante ciò che ne pensassero gli amministratori locali. La loro era una lotta che andava in direzione di un cambiamento che sentivano necessario, sia da un punto di vista personale che sociale, che andasse a scontarsi e demolire uno stato di cose immobile da troppo tempo. Laura nelle pagine del suo libro si mette letteralmente a nudo, con uno stile diretto, che scende nei dettagli del suo privato, dalla forte connotazione (auto)critica.
Di pari passo con le sue esperienze personali ci racconta un mondo che stava cambiando, in cui riesce a incastrare la storia dei Raf Punk, il gruppo in cui suonava la batteria. Ruolo che letteralmente improvvisò, sulla scia ideologica del “chaos non musica” manifesto anarco pacifista dei milanesi Wretched, secondo cui non occorreva avere tecnica musicale per suonare punk, ma bastava la volontà di andare al di là della musica in quanto tale, con un approccio “anti-musicale” che esaltasse la disperazione esistenziale di chi lottava per una società libera dalle imposizioni borghesi militari e capitalistiche. In tutto questo Laura ci racconta di aver vissuto il punk non solo come fenomeno musicale, ma anche come modello di vita, come attitudine, come tentativo di socializzazione e sradicamento di un’oppressione che considerava inaccettabile. La sua, anzi la loro, allargando il ragionamento a tutti coloro che in quegli anni fecero il suo stesso percorso, fu una scelta di intransigenza nei confronti di una società che negava ciò che Laura ha sempre considerato come fondamentale, l’uguaglianza ad ogni livello.
Il romanzo racconta una storia che si perde tra le occupazioni di Bologna, i concerti, i dischi, le nebbie della bassa padana e la sempre affascinante e magnetica Londra, meta di ogni viaggio, in cerca di dischi, fanzine e di insegnamenti, stimoli e consigli da parte di chi il punk lo ha inventato, vissuto e capito prima e meglio che in Italia.
Se guardiamo tutto questo con gli occhi di chi oggi per la prima volta approccia questa realtà non possiamo non chiederci “chi siano (stati) i punk?”. Rispondere è semplicissimo. Giovani e giovanissimi che si sentivano emarginati e alienati da una società che non ammetteva “i diversi”. Ragazzi annoiati da una quotidianità che non permetteva loro di guardare al domani con speranze che andassero oltre il “produci consuma crepa”. Giovani insoddisfatti che vedevano nel punk la possibilità di dare sfogo alle loro esigenze espressive e sociali. Essere e sentirsi punk era il loro modo per sentirsi liberi. E non più schiavi delle convenzioni sociali familiari, scolastiche, lavorative, sociali, politiche. Che poi, è esattamente tutto ciò che probabilmente manca alle nuove generazioni, passivamente abituate ad avere tutto e subito. Se è chiaro che il mondo di Laura non tornerà mai più, resta però questa sua testimonianza da tramandare a chi non ha avuto la fortuna di vivere l’intensità di quegli anni.
Come monito per un domani che possa essere davvero più inclusivo.
Marco Valenti
Rockerilla, gennaio 2022Schiavi nella città più libera del mondo
di Valentina Zona
www.punkadeka.it, 29 dicembre 2021Schiavi nella città più libera del mondo – La storia dei Raf Punk
Chi ha riacceso la scintilla delle proteste dopo gli anni settanta?
Chi ha iniziato le battaglie Lgbtq? Come sono nati i CCCP?
Dalle cantine di una Bologna in piena esplosione creativa, la storia di una band musicale e politica destinata a cambiare le regole della cultura popolare e che terminerà con la scoperta e l’autoproduzione del primo disco dei CCCP.
Nei primi anni ottanta i Raf Punk sono stati degli incredibili precursori, le riviste e i dischi da loro pubblicati hanno creato dal nulla una comunità di giovanissimi resistenti, consapevoli della dirompente forza delle utopie ribelli. Una band armata da una volontà di ferro costruita su una vera e propria missione: quella di frantumare le basi ideologiche della società dello spettacolo e proporre nuovi principi di uguaglianza tra genere e classe.
Laura, batterista dei Raf Punk e sportellista alle poste, racconta le origini di quel focolaio concepito nelle periferie bolognesi, nato grazie a John Cage e a una trasferta in autostop al festival di Reading con Patti Smith e Sham 69. La storia di un amore transgender impossibile e di quattro amici con moicani fluorescenti, slogan d’assalto e vestiti con stracci supersexy, sottoposti alle angherie di benpensanti, repressioni poliziesche e pestaggi dei fascisti.
Concerti all’incrocio tra provocanti performance e comizi insurrezionali capaci di infiammare i cervelli dei kids sotto il palco e poi tanti viaggi in Europa a bordo di un auto scassata, alla ricerca di quelle poche creature simili con cui condividere la dinamite delle loro idee.
Una testimonianza ricca di episodi esilaranti e situazioni limite da leggere alla stessa velocità di una canzone punk, un punto di vista al femminile assolutamente inedito nel panorama editoriale.
Laura Carroli (leggi l’intervista fatta una ventina di anni fa su punkadeka!): è stata una delle prime donne punk al mondo. È un’archivista di dischi, punkzine e altro materiale storico della scena internazionale e conduttrice di un programma radiofonico sui nuovi sussulti punk in ogni angolo del pianeta. Ha lavorato su questo libro per almeno vent’anni.
byDeka
Radiondadurto.org, 28 dicembre 2022Intervista a Laura Carroli
Ascolta qui l’intervista
di rebelgirl
tonyface.blogspot.com, 19 dicembre 2021Laura Carroli: Schiavi nella città più libera del mondo
E Laura ha lottato sempre.
Ha vissuto il passaggio dall'antagonismo post 77 con gli "indiani metropolitani", abbracciando fin da subito la nascente scena punk bolognese, dagli incerti inizi in cui confluiva di tutto, alla creazione di quell'entità unica che furono i Raf Punk, l'Attack Punk Records, il collettivo nazionale "Punkaminazione" e tanto altro.
Laura racconta la vita complessa di chi si divideva tra lavoro, occupazioni, concerti, aggressioni fasciste, viaggi senza soldi in Europa e nell'agognata Londra dei primi anni 80: «La città è un gran luna park, un parco di divertimenti con tutto ciò che si può desiderare dalla vita, ma per salire sulle giostre ci vogliono molti soldi, non si può fare il giro di tutti i baracconi».
La scena hardcore e la "scelta" Crassiana, la scoperta e il lancio dei CCCP, avventure tragicomiche e sullo sfondo una disperata, erotica quanto dolce storia d'amore.
Lo sguardo è lucido e disincantato, nessuna agiografia dei "bei tempi", solo un ritratto fedele di come e cosa è stato e chi ci è stato (molti ricordi coincidono, eravamo nello stesso luogo).
Le considerazioni sono sempre acute e fanno spesso emergere aspetti mai sottolineati: «È divertente vedere la rovina hardcore che si svolge solto il palco...tutti cercano di raggiungere il palco per fare tuffi e ributtarsi nelle onde tumultuose di corpi sudati trascinati da una musica forsennata. Sì, il maschio è servito, noi ragazze siamo state estromesse dalla brutalità muscolare... non c'è più posto per noi.
Laura continuerà, dopo questa esperienza, per altre strade, sperimentando, cercando, vivendo sempre intensamente.
Un'ennesima testimonianza di un periodo lontano che ha lasciato in chi lo ha vissuto una visione diversa della vita e che ha consentito a tanti di affrontarla in modo differente e con un altro sguardo.
di tonyface
Il club del libro, dicembre 2021Intervista a Laura Carroli
Corriere di Bologna, 12 dicembre 2021 Laura Carroli narra l’altro volto del punk: ribelli e femministe
Proprio il punk, la penultima rivoluzione musicale dei tempi moderni, aveva un significato che cambiava da persona a persona, da nazione a nazione: «In Italia significava sentire l’odore di nuovi fermenti senza averci capito un granché. Le informazioni erano scarse e contraddittorie ma c’era una gran voglia di rinnovamento che il punk assorbiva benissimo». Trecento pagine che sono un romanzo di vita, con la storia d’amore tra Laura e Jumpy Velena (la voce dei Raf Punk), decine di episodi raccontati con dovizia di particolari, il tutto senza filtro e censure: «Il mio è uno sguardo femminile e femminista – racconta la ex batterista – non avevo intenzione di autocensurarmi perché la vita è fatta di molti aspetti e l’amore e il sesso sono tra i motori principali di ogni ribellione giovanile». Un libro che ruba il titolo a una compilation pubblicata dalla Attack Punk Records, casa discografica legata a Laura e Jumpy, che trovarono sulla loro strada una band di Reggio Emilia diversa da tutto, i CCCP Fedeli alla linea, una sorta di gallina dalle uova d’oro: «Jumpy l’aveva capito subito mentre io puntavo sempre a gruppi che non avrebbero mai avuto successo, non ho talento per gli affari». Laura racconta, pagina dopo pagina, tantissimi episodi, anche il volantinaggio contro i The Clash in piazza Maggiore, il loro nemico giurato: «Così credevamo ma quando si è giovani ci si infiamma facilmente, però combattevamo i Clash in quanto strumento del Comune di Bologna, l’accoppiata era una perfetta ipocrisia. Confesso comunque che musicalmente i Clash non mi sono mai piaciuti, nemmeno adesso».
Un libro che durante la lettura ti assorbe per tanti motivi, perché c’eri, o perché volevi esserci ma a suo tempo hai fatto altre scelte, che racconta anche una città e il suo microcosmo: «I Raf Punk potevano nascere solo a Bologna. C’era il Dams, avevamo fatto il ’77 e ruotavano tante realtà alternative che hanno reso la città un posto speciale». Otto anni vissuti pericolosamente, dal 1978 al 1985 e una certezza, la più grande utopia raccontata alla gente è solo una: «L’uguaglianza» dice Laura.
di Andrea Tinti