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Mondo techno
www.rollingstone.it , 19 dicembre 2023 10 libri sulla musica da regalare a Natale: Mondo Techno di Andrea Benedetti
C’è stato un momento in cui siamo passati dal ballare la techno a leggere saggi e ricostruzioni storiche della techno stessa. Tutto questo ha un motivo: dopo aver rivoluzionato il dancefloor, oggi la techno è diventata adulta, matura. A parlarne è Andrea Benedetti, pioniere della scena in Italia.
www.rocknread.it, 8 maggio 2023 Mondo Techno di Andrea Benedetti
Mondo techno già dal titolo c’introduce in un mondo musicale a sé stante. Un emisfero di suoni che ha fatto della rivoluzione un suo dogma imprescindibile.
Andrea Benedetti, esperto di musica a tutto tondo, ci racconta la nascita e lo sviluppo di una musica che si è imposta grazie all’avvento della tecnologia e degli strumenti digitali da quando diventano accessibili a molte più tasche.
In Mondo techno andiamo alla scoperta della musica techno, un genere amato e odiato, adorato e contestato e che fonda le sue radici molto più lontano di quello che potremmo aspettarci.
Già, perché a sentire quelle due parole, ovvero “musica techno”, ci viene subito in mente un battito continuo, incessante, che scorre sotto suoni futuristici ma non è tutto qui.
La musica techno infatti ha da sempre rappresentato un veicolo di protesta contro lo stesso cantato. Contro un mondo etichettato e precostituito. Contro tutto quello che è stato imposto prima del suo avvento.
“Si sentiva aria di cambiamento e questo puntualmente avvenne, più che nella forma nella sostanza, in fondo il punk musicalmente era sempre parente stretto del rock’n’roll… Però si fece largo la mentalità del prendi-uno-strumento-e-suona aiutata dalla possibilità sempre maggiore di autoprodursi un disco, magari solo un 45 giri.”
Mondo Techno comincia la narrazione partendo da Detroit, una città al confine col Canada, dalle grosse peculiarità industriali, civili e sociali. E’ proprio qui infatti che si avvia quel battito che conquisterà il mondo. Da Detroit, dove la Ford nel Novecento la faceva da padrona per il mercato, certo, ma anche per le risorse umane presenti al suo interno.
E’ da qui che parte un viaggio avventuroso alla scoperta di nuove sonorità e dei suoi utilizzi. E che vede l’Europa ispiratrice con gruppi come i Kraftwerk, e addirittura la nostra musica anni Ottanta contrassegnata lì come Italo Disco, per un nuovo mondo alla fase primordiale di esistenza, appunto il mondo techno.
Personaggi di Detroit come Juan Atkins sperimentano a più non posso, hanno letture motivanti come quelle di Alvin Toffler, e incontrano il favore di un pubblico che brama per ascoltare suoni invece che le solite voci su strofa e ritornello (quando ci sono in un pezzo techno).
L’autore, Andrea Benedetti, raccoglie testimonianze preziose e studia il fenomeno con devozione e puntualità delle fonti e ne fa una sorta di bibbia per il genere techno. Dalla quale attingere non solo se si è lettori curiosi ma anche professionisti del campo interessati ad approfondire l’argomento “technologico”.
Dalla sua genesi quindi entriamo nel merito della sua evoluzione e crescita, di cosa le sia servita per il sostentamento e di come abbia attecchito in America ma pure in Europa.
E non ci fermiamo qui perché la techno ha anche una storia gloriosa in Italia dove Andrea Benedetti ne è testimone su come questo sound ha preso tanto piede per esempio a Roma.
Per dirne una?
L’amico comune e dj del tempo Andrea Prezioso gli fa conoscere Lory D che in un suo studio, condiviso con il musicista Eugenio Vatta, fonda la Sound Never Seen, un’etichetta che produrrà tra le altre anche This is the Sound of Rome un vero e proprio inno alla techno romana.
E a quei rave che a Roma e dintorni nei primissimi anni Novanta scoveranno come contenitore dove convogliare musica nuova e personalità mondiali. Grazie anche a Luca Cucchetti e alla radio Centro Suono (da qui la rinomata Centro Suono Rave) che veicoleranno musica come quella di Lory D e promuoveranno quei rave in trasmissione.
Oltre alla storia in Mondo techno c’è anche un’analisi lucida sugli influssi che la techno (e i rave) hanno prodotto sulla popolazione italiana, europea e mondiale e di come queste contaminazioni abbiano ravvivato le stesse radici della società contemporanea.
“In questo senso la techno rappresenta la realizzazione di un’utopia: fare in modo che il rapporto tra uomo e progresso, inteso in questo caso come tecnologia musicale, sia lineare, pulito, senza barriere. Un progetto ambizioso nato in una città economicamente e socialmente in decomposizione e destinato a contaminare inaspettatamente tutto il mondo. Anche l’Italia.”
Questo libro speciale inoltre vede una nuova veste, grafica e letteraria, grazie ad Agenzia X, sempre attenta ai cambiamenti della società collegati alla musica. E’ un testo che viene da lontano e che oggi ha una nuova luce e una nuova visibilità anche grazie all’evoluzione mondiale che la techno stessa ha avuto come fenomeno di cultura e di costume sociale, economico e politico.
È anche un ottimo regalo per l’amico/a in cerca della storia della techno dagli albori fino ai giorni nostri.
Andrea Paolucci
www.sentireascoltare.com, 22 marzo 2023 Mondo Techno. Intervista ad Andrea Benedetti
Andrea Benedetti. Instancabile agitatore culturale del circuito techno italiano, in prima linea nella stanza dei bottoni quando Lory D e Leo Anibaldi forgiavano l’indimenticabile Sound Of Rome. DJ, producer del verbo electro (Skull, Sprawl) ma anche di una sperimentazione più svagata assieme ad Eugenio Vatta (Frame), proprietario in tandem con Marco Passarani del centro distributivo Finalfrontier, fondatore della label Plasmek e della fanzine “Tunnel”, collaboratore – lo scriviamo con orgoglio – di Sentireascoltare. Autore di Mondo Techno (2006), necessaria e imprescindibile opera soprattutto per i neofiti, che scava a fondo nelle radici di genere partendo ovviamente dai laboratori in fermento di Detroit fino a giungere ad un panoramica sull’Italia. Il libro, dopo la versione remix con Christian Zingales (2018), è giunto a una nuova riedizione, e l’occasione è ghiotta per chiacchierare con l’autore sullo stato di forma di un fenomeno ancora oggi non del tutto compreso.
“A dispetto di altri generi vivisezionati e analizzati in ogni minima parte, dopo vent’anni dalla sua creazione la musica techno resta ancora un oggetto misterioso, ma dalle possibilità musicali incalcolabili. Un mondo sconosciuto alla cui base c’è l’uomo, la macchina e il loro rapporto in continua evoluzione. Un mondo che va esplorato per capire meglio come e dove può andare la musica in questo nuovo millennio.”
Andrea Benedetti, What Is Techno?, Mondo Techno

Quali le novità della nuova edizione di Mondo Techno?
Assieme al team di Agenzia X abbiamo sostanzialmente rivisto il testo, correggendo i piccoli errori di ortografia e di forma presenti, inserendo nuove foto e invertendo la posizione dell’articolo Mondo Pop Vs Mondo Techno, nella precedente edizione posizionato in chiusura e sistemato ora in apertura con qualche modifica, una scelta che penso abbia piuttosto senso. C’è ovviamente anche la nuova copertina, disegnata dal mio amico e grande artista Lorenzo Ceccotti, che aveva firmato anche l’artwork del mio disco Mechanic Phunk uscito sulla Solar One di Exaltics. Abbiamo una sintonia totale, e appena posso lo coinvolgo sempre. Ha fatto un lavoro perfetto per questa riedizione.

Dalla prima edizione sono passati molti anni. Anche oggi, quanto è necessario, in Italia, un libro che tratti nello specifico il fenomeno techno?
In realtà partiamo da una questione puramente pragmatica. Dopo essere stato avvertito del fallimento della casa editrice che aveva pubblicato la prima edizione, avevo paura che il libro finisse bloccato in una sorta di buco nero. Per fortuna, la casa editrice mi ha liberato, vista la situazione del fallimento in corso, e mi ha detto che ero libero di ristamparlo.
Siccome mi aveva contattato Pablito el Drito di Agenzia X per scrivere un nuovo libro, ho chiesto loro se volevano fare anche una nuova edizione di Mondo Techno per dare nuova vita al libro e restare poi nel loro glorioso catalogo. Sono stracontento che abbiano accettato.
Tornando alla tua domanda, non penso che il mio libro sia imprescindibile, e di certo avrei potuto modificare e cambiare qualcosa, ma ho scelto di espandere certi concetti nel nuovo scritto su cui sto lavorando. Quando entro in una libreria, vado immediatamente al reparto musica, e purtroppo il mio mondo è poco rappresentato, per cui ritengo sicuramente utile la presenza di qualcosa che racconti certe storie.
Techno di Zingales è introvabile, per esempio, mentre altri libri trattano sì quei temi, ma magari parlano anche di altro, per cui non sono dedicati al 100% a questa musica. Credo che Mondo Techno abbia colmato questo buco editoriale italiano e che quindi una sua presenza sul mercato sia un ottimo punto di partenza per chi si vuole approcciare al fenomeno techno, capirne le radici musicali e come poi si sia diffuso in Italia.
Sono contento che esca su Agenzia X in questa nuova forma, anche perché Pablito ha scritto Rave in Italy sul fenomeno dei rave, che in parte è simile al mio come idea, ma tratta appunto dei rave. Sono due libri in qualche modo complementari.

Sei sicuramente animatore instancabile di questo circuito. Il tuo profilo Facebook è un must per chi vuole leggere e confrontarsi sull’elettronica (so che mi perdonerai il termine improprio). Tra i tanti temi trattati, c’è quella recezione che l’opinione pubblica ha della techno. O, perlomeno, di ciò che pensa sia techno…
Nel libro c’è una prima sezione dedicata alla definizione di quella musica, dalla genesi del suono e del termine, l’ambiente e le motivazioni dei pionieri. Nel capitolo dedicato all’Italia, invece, parto proprio dal tuo presupposto, ponendomi il problema del rapporto tra la nostra nazione e l’elettronica. È necessario fare un passo indietro: tra gli anni ’50 e ’60, l’invenzione della registrazione a nastro e di vari strumenti come oscillatori e sintetizzatori ha portato a tutta una serie di esperimenti sonori di ricerca, in seguito applicati anche al mondo delle radio: il GRMC di Pierre Schaeffer a Parigi, il BBC Workshop a Londra, il gruppo Studio für elektronische Musik des Westdeutschen Rundfunks a Colonia, lo Studio di Fonologia Musicale di Roma ed altri. Si trattava di espandere la texture sonora della radio e della neonata televisione, con applicazioni anche molto popolari come ad esempio la sigla di Doctor Who firmata da Delia Derbyshire, che è diventata un vero e proprio classico, o gli effetti sonori per tante altre serie come Blake 7. In molti paesi quindi queste sonorità sono entrate nella cultura popolare.
In Italia, invece, questo passo non è mai avvenuto: l’elettronica è rientrata dalla finestra intorno agli anni ’70 con l’avvento di gruppi come Pink Floyd e Genesis che, tuttavia, mantenevano una architettura di performance sostanzialmente rock: alle figure storiche dei cantanti, chitarristi e bassisti ora si aggiungeva quella del tastierista. La vera differenza avvenne quando l’elettronica a basso costo venne applicata alla dance in quel filone che all’estero definirono italo disco. Nel libro cito quindi tanto un grande ricercatore come Pietro Grossi ma anche Alexander Robotnick, che con i suoi Giovanotti Mondani Meccanici faceva produzioni pop sperimentali, ma era anche in grado di incidere un disco come Problèmes D’Amour, suonato dai grandi di Chicago e Detroit.
In Italia, purtroppo, abbiamo fatto sempre grande distinzione tra musica di ricerca e musica popolare; non siamo mai usciti da questa dimensione da balera dove i due piani non sono mai sovrapponibili. Chiaro, certa musica era sicuramente funzionale al ballo, ma c’era anche un approccio compositivo e una ricerca importante. Difatti, quando sono esplose techno e house, anche gli italiani hanno saputo dire la loro. I ragazzi capivano l’importanza di questa musica e sapevano esprimerla con ritmi e melodie, ma il resto del paese non era certo sintonizzato.
Da questo punto di vista, le produzioni indipendenti sono state fondamentali, permettendo anche a chi era fuori dal giro di etichette e distribuzioni più affermate, di poter pubblicare le proprie cose e superare certi concetti. Piano piano abbiamo risolto questo gap, ma la techno purtroppo viene chiusa in questa eterna contrapposizione fra musica dai toni futuristici e musica solo per far ballare con una cassa in quattro diretta e aggressiva. È difficile superare questo pregiudizio.

E mentre l’italo disco esplodeva da queste parti ma pur sempre con l’etichetta di musica spazzatura, spesso relegata come elemento d’arredo in b-movie e contesti di dubbia qualità, altrove era avanguardia…
Assolutamente. L’italo riempì il buco nero musicale post disco. Assieme all’electro e al freestyle fu il genere che veicolò l’elettronica nella dance mondiale. A Chicago ebbe il supporto di Hot Mix 5, il programma dance più seguito agli inizi degli anni ’80, mentre a Detroit c’era Mojo, ma la selezione erano molto più variegata e trasversale. È questo che ti porta ad avere radici “giuste”. Prendi Roma. Lory D e Leo Anibaldi sono riusciti a settare degli standard proprio perché hanno seminato bene, nel momento giusto, la musica migliore e più avanguardistica che c’era in giro.

È possibile superare questa nostra mancanza di comprensione di certi fenomeni o è un processo irreversibile?
Mah, guarda, uno dei problemi principali di questa nazione è la chiusura di numerosi club. Avviene anche all’estero, ovviamente, ma qui da noi a me sembra vada peggio. Quindi aldilà di riconoscere l’importanza di certa musica, è fondamentale avere spazi adeguati dove poter esprimerla. Non vedo un grande futuro da questo punto di vista, a meno che non si esca da certi schemi.
Penso che una certa visione post-rave che ci accompagna da fine anni ’90 stia sempre più tenendo il passo. Parlo di un riversarsi nei club di tutta una serie di fenomeni legati, per l’appunto, alla dimensione rave, vedi i palchi, gli headliner, gli slot di un’ora o la presenza di 4-5 dj nella stessa serata, ecc. Tutto questo ha portato a snaturare il club, minandone il concetto base. Il clubbing è fondamentale, è il contenitore dove inserire contenuti tipo la techno. Se quel contenitore lo sfaldi, c’è poco da fare. Puoi avere il vino migliore del mondo, ma se hai dei bicchieri di plastica, di certo il sapore sarà diverso. Per questo è fondamentale trovare, ricostruire o immaginare altri spazi per ripartire. Credo si possa ancora fare.

L’idea di club ridisegnati e strutturati in maniera diversa rispetto a quella odierna, è spesso centrale nei tuoi discorsi…
Vero. Da tempo, e ne parlo anche nel prossimo libro, sto ragionando sulla concezione di uno spazio modulare e multifunzionale, da poter vivere in diverse ore della giornata. Una sorta di concentrato di musica, catalizzatore di più interessi: dai negozi di dischi alla libreria, spazi per bere e mangiare, ovviamente anche per ballare, fare talk, concerti, live ecc. Per farlo bisogna lavorare sugli spazi e la decentralizzazione del DJ. Non devi eliminarlo, ovvio, ma ricontestualizzarlo all’interno del processo: devi entrare in quello spazio per vivere l’evento, non per guardare chi mette musica.
Bisogna tornare a guardarsi intorno, stare con le persone, perdersi nel suono. Eviterei anche i visual, che tendono a distogliere l’attenzione dal focus principale. Chi mette musica deve creare la giusta sequenza e il mood per far ballare e star bene la gente. Quindi ripeto, magari lasciamo perdere i visual e concentriamoci sulla qualità del suono. Elementi semplici, in fin dei conti.

Luci spente e impianto ottimale, niente di più e niente di meno!
Sì. Tornando ai rave, tra l’altro, inizialmente i palchi erano decentrati, e si iniziò a metterli più in vista per permettere la presenza di live. La centralità del DJ non esisteva: ovvio, c’erano DJ più apprezzati di altri, ma non è che andavi lì per guardarli. Anche nei primi club, prendi il Loft, la consolle era al livello del dancefloor e posizionata lateralmente. Anche lo Studio 54, un posto molto coreografico dove la musica era sì importante ma non del tutto, la consolle era posizionata per aria, tanto che la gente non poteva osservare il DJ.
Anche nella mia esperienza personale di clubber agli inizi, non necessariamente si andava a vedere cosa faceva il DJ. Chi andava a ballare era concentrato su altro: le ragazze, le luci, l’impianto, lo stare in un ambiente che creasse una sensazione. Quello contava, e a me non pare una cosa così retrò. Anzi era assolutamente innovativa perché andava oltre la centralità del performer che è stata, ed è tutt’ora, il paradigma principale della performance musicale.

Anche la pandemia ha sicuramente accelerato un processo che vede il DJ sempre più in primo piano, con l’esplosione di materiale video, streaming, ecc… Se ne esce? Se se ne vuole uscire, ovvio. Non è difficile imbattersi in nomi tutelari e punti di riferimento che sono i primi a prestarsi al gioco piuttosto che provare, magari, a creare un’alternativa con i mezzi in possesso.
Eh, infatti. È evidente che se uno come me, per esempio, decide di non suonare più sui palchi, non cambia nulla. Se lo decidesse invece, anche per citare uno fuori dal mio giro, uno come Martin Garrix, avrebbe tutt’altro peso. Se pensi che nei tech rider degli act EDM trovi anche i fuochi d’artificio, è chiaro che ci troviamo in una dimensione che afferisce più a un certo pop o rock che al djing. Proprio per questo motivo, come mai chi viene dall’altro mondo decide di scopiazzarli? Che gusto c’è?
Lo stanno già facendo loro ed in maniera così esasperata che anche se decidi di scendere sul loro terreno di gioco non puoi essere neanche lontanamente vincente o originale. Certo, puoi farti creare visual da grandi artisti, designer ecc., ma cosa c’entra con quello che fai tu? Nei club soprattutto, che senso ha? Nonostante tutto, penso se ne possa uscire, se si vuole. Bisogna appunto tornare alla radici del clubbing. È accaduto, e secondo me funzionava pure. Dopo tanti anni di palchi, luci e cotillon, funzionerebbe ancora oggi.
Sulla questione “riprese” ecc., non penso invece si possa fare molto. Il mondo è iperconnesso, tutto è informazione, le app spingono sul fronte video. Penso sia difficile uscire da quel tipo di rappresentazione del DJ “in video”. Però chissà, si può provare a fare qualcosa di diverso, magari organizzare altri tipi di contenuti quando c’è un dj set. Dare info sulla traccia, raccontare con delle scritte i dettagli tecnici di un determinato disco ecc. Così invece è passivo e noioso. Cosa c’è di divertente nel vedere sullo schermo uno che mette dischi a tempo? Bisognerebbe trovare un’alternativa, anche solo per differenziarsi.

Durante i lockdown, con streaming, e contenuti di video in quantità importanti, ho fatto fatica a trovare qualcosa di davvero interessante. Mai nessuno che magari si fosse seduto sul divano a raccontare quel disco o quell’emozione particolare. Mai nulla di davvero interattivo e condiviso…
Sono assolutamente d’accordo. Prendi Lorenzo Ceccotti che ho citato all’inizio. Per l’uscita del suo ultimo fumetto Geist Machine ha ripreso le sue sessioni di lavoro su Twitch praticamente ogni giorno. Disegnava e ogni tanto rispondeva in diretta alle domande degli utenti, che magari riscrivevano nuovamente, creando un flusso di informazioni condiviso e circolare. Quello, secondo me, è un metodo positivo di interazione. Si possono fare mille cose molto più creative di una telecamera piazzata davanti a un DJ, che giustamente non è che abbia molto da fare oltre a mettere in sequenza la sua musica.

E tornando al discorso precedente, se anche il “grande”, che magari ha mezzi, numeri e sicurezze, non si smuove da certi discorsi, è più complicato creare un sistema ecosostenibile, non solo a livello economico ma proprio a livello di idea, per creare qualcosa di diverso rispetto agli “altri”. Ma gli altri, forse, siamo noi.
Certo. Alcuni esempi virtuosi li abbiamo. Ad esempio la scuola di musica che il team di Underground Resistance e Wajeed stanno costruendo a Detroit. Oppure il lavoro con i ragazzi in una scuola di musica portato avanti dal compianto Mike Huckaby, sempre a Detroit. Questi sono i primi che mi vengono in mente soprattutto perché hanno/avevano come focus il lavoro sui ragazzi, che credo sia determinante per dare loro anche una visione diversa da quella offerta dal mondo in cui vivono, che spesso fornisce un’immagine della musica elettronica molto superficiale o perlomeno limitata e ripetitiva.

Passiamo alla portata principale. Techno = futuro. Ho proposto questa domanda a Francesco De Bellis e non potevo che girarla anche a te. Che si parli di musica, cinematografia, e arte in generale, oggi appare quasi scontato parlare di utopie e fughe immaginifiche, come se venissero a mancare capacità e strumenti per immaginare un futuro lontano dal dolore e dalla distopia. Manca l’idea di futuro o la creatività e gli strumenti per narrarlo?
Credo che ci sia proprio una difficoltà nel comprendere il futuro. In primis, perché il futuro è diventato presente, e quindi scorre con noi. Se vivevo negli anni ’70 non potevo immaginare un computer, negli anni ’80 invece lo possedevo, seppur piccolo. Dieci anni dopo, spendendo meno, avevo un computer molto più professionale. A metà anni ’90, potevo iniziare ad inviare mail. Siamo passati dal modem a 56k alla fibra in un tempo relativamente breve. Se esaminiamo questo sviluppo, ci accorgiamo che non è stato lineare, ma esponenziale. Questo porta a un problema di tipo cognitivo, e cioè l’information overload di cui parlava Alvin Toffler. Siamo talmente immersi in questa infolife che fatichiamo a gestire la massa immensa di informazioni che riceviamo.
È come entrare in un supermercato e trovare decine e decine di qualità di vino: per quanto tu possa essere esperto, rischi di fare un acquisto più casuale. Per ricollegarci al nostro discorso, non riusciamo ad immaginare il futuro perché lo vivi in tempo reale. Vieni praticamente invaso dagli oggetti che sanno di futuro. Il futuro, lo subisci. Non ce la fai a immaginare cosa possa accadere domani.
Sono un grande appassionato di cinema, e posso dirti che ultimamente nei film il futuro si identifica attraverso gli strumenti che diventano più importanti del contesto generale. Prendi Black Mirror, una delle migliori serie di fantascienza uscite ultimamente. In molti episodi ragiona sul concetto del “cosa sarebbe successo se” attraverso gli strumenti: quello che ti aiutava a ricordare, quello che dava un punteggio alle persone, ecc.
Oppure le opere di Nolan, che per esempio fa uso di diversi escamotage: il tempo che va indietro, il viaggio nel tempo ecc. Parte dal meccanismo più che dal contesto generale in cui il meccanismo o uno strumento fantascientifico fanno da sfondo. Adoro la fantascienza degli anni ’70-’80 per questo. Ad esempio, in Blade Runner, di oggetti che sanno di futuro ce ne sono tantissimi, ma sono secondari.
Chiaro, restavi incantato dalla macchina che faceva cose pazzesche, ma il punto era un altro. Il punto non era come era fatto il replicante, ma il suo rapporto con la coscienza di sé, la vita. Temi che vanno oltre la specificità di un determinato oggetto o meccanismo narrativo e che ti avvolgono così tanto che, alla fine, pensi oltre. Dovrebbe essere questo il ruolo della fantascienza, aiutarti a ragionare sul “cosa potrebbe accadere se”, sul “cosa siamo noi” in una determinata società. Mi sembra che invece sia diventato tutto troppo razionale.
La fantascienza con cui sono cresciuto invece giocava molto sul non detto, avevi bisogno di capire. In 2001 – Odissea Nello Spazio non c’era spiegazione. Ridley Scott ad esempio non voleva il voice over su Blade Runner, poi la casa cinematografica gliel’ha imposto per ragioni di “comprensibilità”. Avevano paura che la gente non capisse. Già nel 1982 germogliavano i primi semi dello “spiegazionismo”. Comunque, tornando alla domanda, è sicuramente complicato pensare al futuro se hai continuamente cose nuove tra le mani, ma credo che si possa fare. È un po’ come per i DJ. Mettere la musica a tempo è una cosa che sanno fare più o meno tutti, per cui, oggi più che mai, conta come lo fai, la sequenza, che brani usi. Per cui può ancora ragionare sul futuro e di futuro.

Entro in modalità marzulliana. Dunque, come può un disco di oggi, essere techno, se il futuro non riesce a raccontarlo?
Partiamo dal presupposto che la techno, secondo me, si torva in una fase di stallo, soprattutto la parte detroitiana, dove abbiamo producer molto attivi che però stanno guardando molto indietro alle radici, vedi Moodymann o Theo Parrish che si riconnettono esplicitamente al funk e al jazz. Anche Kyle Hall, Jon Dixon, oppure in parte Mark Flash che mantiene comunque un livello più alto. Prima la techno era qualcosa di davvero universale, non capivi da chi fosse fatta. Su questi artisti, invece, la tradizione si sente forte. Non che sia un male, per carità, ma è diverso.
Poi c’è un altro tipo di techno che sta al passo coi tempi, utilizzando gli strumenti elettronici a disposizione. Per cui spuntano una marea di modulari, sintetizzatori d’ogni tipo, un ritorno a una circolarità per via dei processi che manipoli in tempo reale. Oggi invece si tende ad essere ciclici nella stesura e quindi anche nella scelta di suoni. Come fai ad essere techno in questa situazione? Bella domanda. Stretti tra queste due dinamiche, per me l’unico modo che hai per esserlo, è fonderle, in modo che la ricerca si sposi con la tradizione. Ovviamente non è facile ma ci si può trovare.

Ecco, vedi, anche tu, parlando di modulari, ti sei ricollegato al concetto di “strumento” che trattavi poco fa. Quindi ok, va bene: la narrazione, però, dov’è? Secondo me escono ancora tanti dischi bellissimi, ma non trovo il racconto. Probabilmente l’assuefazione a certi schemi fa il suo. Forse è stato già scritto tutto…
Sicuramente sono state scritte molto cose, alcune del tutto insuperabili. La techno, da questo punto di vista, dovrebbe essere vista come il jazz, un modo di approcciarsi. Se suono uno stornello romano, gli accordi sono quelli. Ma se ho studiato jazz, quegli stessi accordi posso smontarli e trasformarli in un pezzo bepop. Nella techno questa perizia compositiva non c’è e ciò pone spesso un problema. Non è un caso infatti che certi artisti come Mike Banks o Carl Craig, persone con capacità compositiva che sapevano in parte come suonare pur senza essere musicisti nel senso classico del termine, avendo anche questo grande rapporto futurista con le strumentazioni elettroniche (impossibile non citare anche Jeff Mills), fossero in grado di tirare fuori delle cose davvero importanti. Penso ai remix di Craig, che sono mediamente capolavori: capiva il pezzo, ne tirava fuori la parte migliore e ci metteva tutta la sua classe e originalità.

Tolta l’immensa capacità tecnica di Craig, secondo me ciò che faceva davvero la differenza era la sua idea di drammacità che ha avuto pochi eguali. Da quel punto di vista, lo vedo quasi un’evoluzione di Derrick May. Per quanto mi riguarda, il suo remix di Domina, è una vetta assoluta.
Bravissimo, assolutamente.

Anche se, ovviamente, parliamo di un pezzo funzionale, come una miriade di pezzi techno, house et similia. Di questa eterna connessione tra genialità, racconto del futuro e funzionalità ne parlavamo proprio qualche tempo fa con il tuo grande amico Marco Passarani…
Pensa alla scuola romana. L’idea era quella di far ballare, spesso anche spingendo l’idea di pattern ritmico agli estremi e in maniera trasversale. In un programma in radio che facevo tanti anni fa avevo coniato questa frase «la zona grigia fra dance e sperimentazione». Ecco credo che lì si possa bilanciare fra funzionalità e ricerca. È stato fatto ed è ancora possibile farlo. Non è che siccome parliamo di musica per ballare, deve essere per forza banale. Torniamo infatti al discorso di prima: c’è sempre questa idea del ballo come una cosa stupida, semplice, funzionale e basta. Secondo me, pur creando ritmi e groove, puoi tranquillamente inserire elementi interessanti che aggiungono quelle sensazioni in più che danno al tuo corpo sensazioni nuove. È il motivo per cui mi sembra un po’ banale la deriva techno europea odierna a 150 bpm. Sembra uno sfogatoio fine a se stesso. Ci sono cresciuto con musica funzionale che conteneva altri mille elementi, per cui parliamo di qualcosa che è già esistito, non è fantasia.
Ovvio, se ragiono solo sull’aspetto ritmico, tutto è più comprensibile e l’aspetto funzionale prende il sopravvento. Verso la metà degli anni ‘90 non vidi di buon occhio la svolta minimale di Richie Hawtin, Jeff Mills o Robert Hood: capii che quel tipo di approccio avrebbe portato a una semplificazione di un linguaggio estremamente variegato, seppur funzionale. Io comunque trovo ancora tanta musica interessantissima. Tra l’altro ho una residency mensile su Radio Raheem e lì cerco di suonare tante musiche nuove che abbiano quell’equilibrio fra funzionalità e ricerca. Di roba nuova e bella se ne trova a bizzeffe, seppur la ricerca è diventata davvero impegnativa in questo marasma di uscite.

Leo Anibaldi dice che probabilmente la creatività sui 4/4 è esaurita, e infatti ha preferito spostarsi su altri territori più spezzati… anche in quel caso, però, la novità dove possiamo trovarla?
Alla fine il problema è che nel mondo occidentale il tempo base è quello in quattro. Se parli di poliritmia africana o tempi dispari, lì c’è un mondo enorme, ma non è il nostro “territorio” abituale. Certo, il tempo in quattro è più facile da ascoltare, ma anche un pezzo spezzato in fin dei conti lo fai con quello schema lì. Poco prima di sentirci, stavo ascoltando l’ultimo di Carl Finlow su Science Cult e c’erano un paio di pezzi con quel tipo di approccio lì, con doppia valenza, che sembrano avere una cassa in quattro ma in realtà non è così.
Io sono davvero appassionato a questo genere di cose, e anche se ovviamente spesso faccio set tutti dritti o tutti spezzati, adoro un flusso che abbia una sua variabile all’interno. Forse ascoltare lo stesso mood per due o tre ore di seguito non è proprio il massimo.

Penso che ad oggi la differenza vera la faccia la capacità di mettere assieme, con un senso, il “mischione”…
Sono d’accordo. I detroitiani mi hanno insegnato questa cosa: ricordo quando Kenny Larkin e Suburban Knight vennero a Bologna suonando di tutto, ne fui veramente colpito. Anche Marco [Passarani, ndSA] è un maestro in questo, e se lo lasci libero è in grado di spaziare tra house, techno, electro, italo, acid con un flusso tutto suo: è uno dei pochi DJ che mi fa ballare.

Chiudiamo con il listone finale. Qualche nome di artisti italiani e internazionali, non inseriti nel libro, da ascoltare obbligatoriamente.
Oddio. Sono un po’ in difficoltà con queste cose, faccio sempre un po’ fatica con i nomi. Considera che con Mondo Techno mi sono fermato al ’93, quindi ne sono successe di cose… Poi ultimamente compro un sacco di tracce e meno LP, quindi diventa ancora più complicato. Sicuramente mi dimentico qualcosa e faccio gaffe… Dai, proviamoci!
Ben Pest, Paranoid London, Datassette, Mark Flash, Alessandro Adriani, Jon Dixon, Dj Maaco, Fastgraph, Fabrizio Mammarella, Filippo Diana, Giri, Ital Tek, Umwelt, Jauzas The Shining, Mutate, tutti i ragazzi della Fu.Me. Records, Heinrich Dressel, Teslasonic, le uscite della Molecular di Marco Lenzi, CEM 3340, Gab.Gato, Buromaschinen, T/error, Tengrams, Shawscape, The Exaltics e tanti altri.
di Daniele Rigoli
www.parkettchannel.it, 8 febbraio 2023 È in arrivo la ristampa di «Mondo techno»
È ufficiale, sta per arrivare la nuova edizione di Mondo techno. Il libro di Andrea Benedetti che dal 2006 educa le nuove generazioni alla musica elettronica.

Se c’è un libro che tutti gli amanti della musica elettronica hanno letto (tutti, ma proprio tutti, anche quelli a cui leggere non piace), è Mondo techno.
La pubblicazione a cura di Andrea Benedetti, che dal 2006 prende per mano le nuove generazioni di clubbers e le porta in un viaggio alla scoperta della vera storia della techno. Dal 2006 ad oggi, il successo legato a “Mondo Techno” si è diffuso a macchia d’olio, al punto da riuscire ad ottenere anche una prima ristampa del testo, nel maggio 2018.
Nonostante il libro fosse il primo in Italia ad occuparsi della storia della Techno di Detroit e della sua diffusione nel bel Paese, rischiava di scomparire da lì a breve a causa del fallimento della casa editrice.
Sarebbe stato sicuramente un vero peccato fermare l’ascesa di questo progetto che, nel corso del tempo, ha coinvolto un pubblico sempre più vasto.
Infatti, la pubblicazione ha appassionato anche i clubber più navigati che, grazie alle parole di Benedetti, hanno ripercorso le fasi più salienti della globalizzazione dell’elettronica. Anche se l’autore nelle sue pagine ha lasciato largo spazio alla scena partenopea, così come a quella romana.
Tuttavia, il libro restava bloccato in una diatriba legale, posto al centro di una spirale di eventi da cui difficilmente sarebbe riuscito ad uscire.
“Nello stesso anno Ebbi una proposta da Pablo Pistolesi aka Pablito El Drito di realizzare un nuovo libro sulla Techno su Agenzia X, la storica casa editrice di controcultura di Milano di Marco Philopat.
Mentre il libro era in lavorazione proposi ad entrambi di ristampare anche Mondo Techno, la prima edizione anche senza CD, per poter fare in modo che il libro restasse vivo in un catalogo editoriale serio e attivo.”
L’epilogo della storia di Mondo techno sembra essere dei migliori. Difatti, lo stesso Andrea Benedetti, qualche settimana fa, ha dato notizia della rinascita della pubblicazione, attraverso il suo account facebook.

«Se avete letto nei commenti di alcuni miei post delle scorse settimane, sapete già che sto scrivendo un nuovo libro che dovrebbe uscire entro l'anno. Stavolta lo farò per Agenzia X Edizioni di Milano grazie alla proposta combinata di Pablo Ernesto Davide e Marco Philopat che ringrazio immensamente per l'opportunità. Ma il post di stamattina è per ringraziarli soprattutto per un'altra opportunità che mi hanno dato ovvero ristampare nuovamente la prima edizione di Mondo Techno. La cosa mi fa ancora più piacere perché purtroppo la vecchia casa editrice che lo aveva stampato, la storica Stampa Alternativa di Viterbo, è fallita ormai in via definitiva. L'istanza di fallimento era partita da fine 2021 ma poi si è concretizzata nel 2022. Da quel momento ho cercato di sbloccare i diritti del libro per evitare che venisse risucchiato in questa triste situazione. In questo senso devo ringraziare pubblicamente Angelo Leone che si è reso subito disponibile a risolvere la questione. Angelo è stato il mio storico contatto nella casa editrice assieme al mitico Alberto Catelli Albert Castels che al tenpo era responsabile della collana in cui uscì il libro e che mi fece la proposta di fare uscire il primo libro sulla Techno in Italia. Non finirò mai di ringraziarli per questo! Ovviamente la possibilità di stampare di nuovo un libro già uscito in due edizioni è un vero gesto di galanteria editoriale da parte di Agenzia X ma ci tenevo tanto per fare in modo che il libro rimanesse vivo in un catalogo e sono felicissimo lo sia in uno così glorioso come il loro che ha libri come Rave in Italy, Once were ravers o Diversamente pusher di Pablo, tutti i mitici libri sull'hip hop di Giuseppe Pipitone aka u.net, Apocalypso Disco e gli altri lavori di Dj Balli e l'ultimo sul Northern soul di Antonio Bacciocchi che mi arriverà a breve. Nei commenti vi metto un po' di link se volete approfondire. La presentazione di questa ristampa, che avrà fra l'altro una nuova copertina di Lorenzo Ceccotti (grazie grazie grazie!) sarà il 24 marzo a Milano (dettagli poi nelle prossime settimane) assieme a Pablo e non vedo l'ora di poter rivedere persone, parlare di Detroit e di cosa la Techno ha generato da metà anni '80 e di cosa abbia ancora da dire. A breve ne organizzeremo altre nel 2023 per cui restate sintonizzati. Si riparte!»

Oltre alla splendida notizia relativa ad una nuova versione di Mondo techno, Andrea Benedetti ha anche accennato ad un nuovo progetto che saremo lieti di scoprire prossimamente.
Ma tornando a Mondo techno, la ristampa tornerà con qualche leggera variazione di forma e una nuova copertina disegnata dal noto illustratore Lorenzo Ceccotti aka LRNZ. Mentre l’uscita è prevista ufficialmente per il prossimo 24 marzo.
Se vuoi saperne di più, leggi anche l’intervista: Andrea Benedetti e il suo “Mondo techno”.
di Carmela Massa

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