booksnormali.blogspot.com, 8 marzo 2024 Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti
Un testimone di molti tempi, un viaggiatore, un grande songwriter, un esploratore infaticabile, Eric Andersen si è sempre trovato nel luogo giusto: il Village, Woodstock, la Rolling Thunder, insieme a Janis Joplin e a Joni Mitchell, accanto a Bob Dylan o a Lou Reed, come se avesse prenotato un posto da osservatore privilegiato. In realtà è stato a sua volta un protagonista assoluto, capace di assorbire una quantità spropositata di bellezza in forma di romanzi, canzoni, viaggi e poesie, album in omaggio a Byron, García Lorca, Heinrich Böll e molto altro ancora. In Mingle With The Universe li racconta confidandosi a un manipolo di amici italiani (e americani) che hanno libero accesso alle sue passioni, e spesso le hanno condivise in un modo o nell’altro. In cima alla lista, Marco Fazzini e Robert Jacksie Saetti sono in realtà i cardini di una moltitudine di autori (Giorgio Checchin, Anthony DeCurtis, Barbara Di Dio, Gregory Dowling, Michele Gazich, Ian MacFayden, Stephen Petrus, Paolo Vites) che rincorrono Eric Andersen nelle sue odissee e seguono i non pochi fantasmi lungo la strada. È così che Mingle With The Universe è un caloroso omaggio a Eric Andersen, ma anche e soprattutto alla sua curiosità, emanazione diretta della stessa fame di arte & meraviglia dell’amica Patti Smith, ma convogliata con un entusiasmo immediato, diretto e contagioso. Eric Andersen è un raro esempio di artista che coltiva la cultura senza sosta ed è insaziabile nel procurarsi il pane quotidiano. Nelle pagine di Mingle With The Universe la sua attitudine è esplorata con lo stesso entusiasmo e nella lunga ed esaustiva intervista introduttiva, viene descritta la sua dedizione alla letteratura (“I grandi scrittori per me sono come angeli protettori, angeli posati su una spalla a controllare che il lavoro sia ben fatto. Non si tenta mai di imitare i propri eroi. Ti stanno solo accanto, e controllano che ci proceda, che non si finisca in acque basse o nel cliché di pensiero e immagine. Ti dicono che non sei solo. E ti incoraggiano”), l’ammirazione per i sogni e le strade della Beat Generation (“L’eredità dei Beat sta nel fatto che hanno introdotto gli americani, e la gente d’ogni parte, a un nuovo modo di pensare e di vedere, offrendo una alternativa e un modo libero di esistere, facendo respirare la vita, goderla, esserci dentro”), l’afflato verso la scrittura e la lettura (“I libri sono come delle finestre sacre verso mondi sconosciuti”) e le dissertazioni sulle magie del songwriting (“Forse le canzoni non hanno un’origine nel reale. Forse fluttuano solamente nelle nubi, e aspettano di essere tirate fuori dall’aria sottile”). Non a caso il centro di Mingle With The Universe è occupato da una selezione di quelli che chiama i suoi “documentari interiori”, ovvero le canzoni che, secondo l’illustre parere di Anthony DeCurtis, “senza tener conto dei suoi diversi soggetti, sembra aver scritto da un luogo profondo dentro se stesso”. Forse, tra i tanti indizi autobiografici, vale la pena ricordare che in Time Run Like a Freight Train celebrava “il poeta che aveva impegnato il suo mistero per un poco di sollievo”. È il segnale di un cerchio che si chiude da quando i suoi eroi “erano quegli spiriti ribelli e senza restrizioni che stavano scrivendo di una vita oltre l’ovvio, e che potessero demolire barriere”. Se c’è un senso nella ricca e composita formazione di Mingle With The Universe è proprio quello: è schierato in senso univoco (ma come si fa a non essere di parte con uno che ha scritto Blue River?) ed essendo bilingue, bisogna dire che è un labour of love come ce ne sono pochi e rende a Eric Andersen quel tanto di giustizia poetica che si meritava, da almeno mezzo secolo.
Marco Denti
Rumore, marzo 2024Mingle with the Universe
Benché Eric Andersen in Italia non sia mai stato allo stesso livello di notorietà dei mostri sacri del cantautorato americano (con molti dei quali – dall’amica di una vita Joni Mitchell a Bob Dylan, da Patti Smith a Lou Reed – ha condiviso palchi e pezzi di vita) può contare su uno zoccolo duro di fedeli appassionati della sua opera. Tra i quali gli autori di questo libro, che non è una vera e propria biografia o studio critico (quello c’è già, si intitola Ghosts Upon The Road e lo ha scritto lo stesso Saetti con Paolo Vites, qui presente con eccellente saggio sulla figura femminile nelle canzoni di Andersen), quanto piuttosto una collezione di contributi diversi, tra i quali quello dello stesso songwriter, che nel loro insieme riflettono i vari lati di una personalità artistica eclettica e raffinata , in un singolare formato bilingue, con alcune parti tradotte e altre solo in inglese o in italiano. Il libro restituisce una fotografia precisa di un autore intenso, curioso e coltissimo: tra le sue ispirazioni ci sono nomi come García Lorca, Lord Byron, Heinrich Böll (molto interessante su questo punto, l’analisi di Barbara Del Noi) e quella Beat Generation di cui ha colto gli ultimi bagliori. Una introduzione affettuosa e utilissima, dunque, a patto che poi ci si vada ad ascoltare, nel caso non lo sia mai stato fatto, classici come Blue River e ‘Bout Changes & Things.
di Carlo Bordone
Rockerilla, marzo 2024Mingle with the Universe di Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti
Il volume bilingue a cura di Fazzini e Saetti, racconta la parabola, lunga ben sei decenni, di Eric Andersen, tra i più celebrati cantautori viventi del Novecento ed esponente assieme a Jackson Browne, Joni Mitchell e James Taylor, della cosiddetta “Me Generation”. All’interno, una lunga intervista con l’artista, una selezione di canzoni scelte con le traduzioni dei testi, e alcuni saggi, testimonianze, ricordi di autori vari, che si sono uniti nella celebrazione della lunga carriera di Andersen, raccontando la sua poetica, le sue passioni, il suo impegno civile. In conclusione, un’accurata biografia umana ed artistica e la discografia completa. Uno strumento prezioso per riscoprire un musicista dotato di raro intimismo, che ha provato a scrivere l’eternità.
di Valentina Zona
tonyface.blogspot.com, marzo 2024 Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti - Mingle with the Universe
Dalle nostre parti ERIC ANDERSEN ha sempre avuto poca risonanza, se non in un agguerrito e fedele nucleo di fan, che lo ha spesso portato in tour, ci ha lavorato (il violinista Michele Gazich in particolare), lo ha seguito lungo tutta la lunga e gloriosa carriera.
Il suo primo album è del 1965, ha collaborato con mostri sacri come Bob Dylan, Lou Reed, Joni Mitcehll, James Taylor, Andy Warhol, Rick Danko della Band.
Talvolta circostanze sfortunate ne hanno fermato la carriera che però conta una serie di piccoli gioielli come Blue river e Ghosts Upon the Road.
In questo libro (in italiano e inglese) sono raccolte una lunga intervista sulla sua carriera, la traduzione di alcune delle canzoni più famose, suoi scritti esclusivi e varie testimonianze di chi ha lavorato e collaborato con lui.
Un eccelente modo per (ri)scoprirlo.
Il suo primo album è del 1965, ha collaborato con mostri sacri come Bob Dylan, Lou Reed, Joni Mitcehll, James Taylor, Andy Warhol, Rick Danko della Band.
Talvolta circostanze sfortunate ne hanno fermato la carriera che però conta una serie di piccoli gioielli come Blue river e Ghosts Upon the Road.
In questo libro (in italiano e inglese) sono raccolte una lunga intervista sulla sua carriera, la traduzione di alcune delle canzoni più famose, suoi scritti esclusivi e varie testimonianze di chi ha lavorato e collaborato con lui.
Un eccelente modo per (ri)scoprirlo.
di Antonio Bacciocchi
Buscadero, febbraio 2024Mingle with the Universe
Avviso ai naviganti, ai lettori e ai romantici assortiti che prenderanno in mano queste pagine: Mingle with the Universe non è, e non vuole essere, una monografia su Eric Andersen, lo splendido cantautore partito dagli anni della rivoluzione beat e del cosiddetto folk-revival per arrivare, ai giorni nostri, con una statura – intimista e universale al tempo stesso – paragonabile soltanto a quelle di Bob Dylan, Joni Mitchell o, parlandone da vivi, Lou Reed e Leonard Cohen. Il compito di fare orsine nella carriera e nella discografia dell’artista era già stato assolto, in anteprima mondiale, da Gosths Upon the Road (2018), il libro oggi introvabile che Paolo Vites e lo stesso Roberto “Jacksie” Saetti gli dedicarono, pubblicandolo a proprie spese, prima del rinchiudersi del mondo intero in un lockdown solo apparentemente temporaneo. Mingle with the Universe, uscito in occasione del conferimento al nostro del Premio Alberto Dubito di poesia con musica nonché curato dall’accademico Marco Fazzini e di nuovo carpigiano Saetti, di Andersen non solo estimatore ma amico personale e testimone di (seconde) nozze, è invece un Baedeker, dal nome delle guide da viaggio così chiamate per il nome dei tipografi tedeschi che nei primi anni dell’Ottocento le inaugurarono, sui decenni di attività di musicista, sulle infatuazioni e il suo profilo, sull’ampiezza dei suoi interessi extra-musicali, sui paesi, le città e le situazioni da lui attraversate di volta in volta infiammandosi per un nuovo scritto o un nuovo poeta, un nuovo panorama o un nuovo tramonto. In parte bilingue, essendo tradotta anche in italiano la lunga intervista che lo inaugura, realizzata dai due titolati del progetto (sono invece solo in inglese, purtroppo, gli interventi di chi si esprime tramite l’idioma anglosassone, ossia Anthony DeCurtis, Stephen Petrus, Gregory Dowling e Ian MacFadyen), in parte orgogliosamente tricolore, potendo contare su di un’appassionata discografia a cura di Saetti e di contributi (notevoli) di firme italiane, dalla coltissima prolusione della germanista Barbara Di Boi sui paralleli tra Andersen e lo scrittore tedesco Heinrich Böll a una toccante prolusione di Paolo Vites – il pezzo migliore dell’intero volume – sul tema multidimensionale dell’amore nell’opera del cantante, Mingle with the Universe non va letto dall’inizio alla fine, come uno studio aperto e concluso in se stesso, bensì assaporato in modo quasi casuale, assaggiato senza cronologia, somministrato un po’ alla volta. Facendo finta di ignorare un unico e tremendo scivolone, cioè la foto a pagina 35 di un Andersen in braghe corte, sandali e calzettoni davanti alla statua di “Lord” Byron a Missolunghi, la cittadina della Grecia occidentale in cui il poeta britannico – lì per finanziare la guerra d’indipendenza ellenica contro l’impero ottomano – trovò la morte nell’aprile del 1824 (e dì, Andersen ha dedicato dischi magnifici all’opera di Byron, di Albert Camus e del citato Böll, ma vederlo conciato come un turista yankee in attesa di acquistare una bibita da uno dei tanti “periptera” disseminati lungo la repubblica greca fa sanguinare gli occhi), e senza pretendere di capire perché i dischi di R.L. Burn side e Junior Kimbrough appaiano tra i 40 “libri” prediletti dall’artista, questo è proprio il libro adatto per “mescolarsi con l’universo” e con la produzione artistica di un songpoet, come recitava il titolo di un documentario a lui dedicato nel 2022 dal veterano Paul Lamont, per il quale pittura, scrittura, musica, cinema, colori delle viole, ricordi, ferrovie, bar e ristoranti sono tutti in possesso della medesima forza evocativa. Che è poi quella metafisica e spettrale, tendente al silenzio dell’anima, delle sue canzoni migliori, invariabilmente quelle intrise di memorie, dolori e nostalgie, di osservazioni del mondo scrutato come da una finestra appannata per distillarne non nuove visioni ma, alla maniera di Marcel Proust, nuovi occhi. Non c’è nulla di nuovo, o di diverso, nel creato ritratto da Eric Andersen inseguendo il flusso sognante del tempo e del suo lento, inesorabile svanire negli abissi della coscienza e dell’oblio: nuova, o diversa, è solo la posizione assunta dagli esseri umani di fronte alle cose, in una continua ricerca di purezza tanto più struggente quanto più inconscia e sconfitta in partenza. Proprio come Proust, anche Eric Andersen deve aver preso l’abitudine, la sera, di “coricarsi presto”, magari pensando ai fiumi azzurri della sua e nostra interiorità, o al chiudersi di vecchie porte, oppure ancora al sale gettato sulle ferite della pelle e dell’io per ravvivarne la memoria bruciante. Coricarsi sapendo di poter spizzicare, centellinandole, le pagine di un’antologia leopardiana come Mingle with the Universe ci dice che, per fortuna, né noi né gli uomini adulti sono – siamo – passati invano.
di Gianfranco Callieri
Marynowhere.com , 3 febbraio 2024 Eric Andersen, quando l’invisibile diventa visibile
«L’ispirazione è qualcosa che sta dappertutto e da nessuna parte. Sta lì quando meno te l’aspetti, e non arriva quando ne hai bisogno. È qualcosa che vortica nell’aria. Ti può anche arrivare veloce come lo scirocco del deserto. O annientarti come un uragano… Il respirare accende la creatività e divieni un veicolo di scrittura, tu stesso in fiamme – un condotto di scrittura che comunica cose e riceve cose da altri mondi. L’artista diventa dunque un trasmettitore di ciò che vede e ciò che ascolta. A mio giudizio, il fine di ogni vero artista è di fare che l’invisibile sia reso visibile.»
Così Eric Andersen descrive, in una lunga conversazione con Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti, la genesi del proprio processo creativo e la finalità dell’atto artistico. Ma nella medesima intervista, intitolata “Riflessioni e confessioni di un artista”, il cantautore di Pittsburgh tocca tanti altri argomenti: gli inizi della propria carriera, il suo interesse per la letteratura e i suoi progetti discografici dedicati a scrittori come Byron e Camus, la classifica dei suoi libri e film preferiti. Lo scambio di idee, in versione italiana e inglese, non è che uno dei tanti capitoli che compongono il volume Mingle with the Universe. A Sixty-year Career Celebration of Eric Andersen, curato dagli stessi Fazzini e Saetti e recentemente pubblicato da Agenzia X.
Il libro ripercorre la carriera del “Songpoet” (l’appellativo è anche il titolo di un recente docufilm dedicato ad Andersen diretto da Paul Lamont) attraverso sei decenni e offre al lettore una presentazione dell’artista da molteplici punti di vista: attraverso le sue stesse parole, tramite una selezione di testi delle sue canzoni più amate – da Violets of Dawn a Salt on Your Skin – e tramite il contributo di numerosi scrittori, giornalisti, docenti e musicisti, tra i quali Anthony De Curtis, Gregory Dowling, Michele Gazich e Paolo Vites.
La sequenza di capitoli in italiano, in inglese o bilingue, con il testo originale a fronte, delinea un ritratto complesso e sfaccettato del cantautore, i cui tratti distintivi sono la profonda cultura, una passione insaziabile per la lettura e il bisogno di ricercare sempre nuovi stimoli, anche attraverso i viaggi e i trasferimenti: Andersen, infatti, dopo aver vissuto negli anni Ottanta in Norvegia, risiede ora stabilmente in Olanda con la moglie Inge.
Ma tanti altri elementi emergono, soprattutto riguardo agli anni Sessanta, periodo in cui Eric contribuì alla nascita della figura del singer-songwriter insieme ad altri sodali come Phil Ochs, e, naturalmente, Bob Dylan. Andersen si distinse sulla scena cantautorale per il proprio stile introspettivo e riflessivo, caratterizzato da liriche intimiste ed intrise di echi letterari, che lo qualificò nel tempo come membro della cosiddetta “Me Generation” insieme a figure quali James Taylor, Jackson Browne e Joni Mitchell.
In quel periodo così ricco di fermenti culturali e sociali egli ebbe un rapporto privilegiato con Allen Ginsberg ed altri esponenti della Beat Generation, condivise per un paio d’anni il manager Brian Epstein con i Beatles, manifestò a più riprese l’esigenza di scrollarsi di dosso l’etichetta di folksinger e partecipò ad un film di Andy Warhol nel 1965, a dimostrazione del fatto che la scena folk più “impegnata” e quella variopinta e trasgressiva della Factory non fossero poi così distanti, essendo entrambe figlie del Greenwich Village. Vengono poi ricordate le sue durature ed affettuose amicizie con Janis Joplin, Joni Mitchell e Patti Smith e la collaborazione con Lou Reed. Molto spazio viene dedicato al valore di spartiacque rappresentato dall’album Blue River (1972), senza dubbio uno dei suoi capolavori. E non mancano i viaggi e soggiorni europei, in Norvegia, Italia, Olanda e altrove, che hanno reso Andersen un artista europeo, oltre che statunitense.
Eric giunse nel nostro Paese per il suo primo tour nel 1980; successivamente strinse amicizia con gli stessi Saetti e Vites e grazie a quest’ultimo incontrò Fernanda Pivano, traduttrice italiana degli autori della Beat Generation. Ricordiamo anche che Saetti e Vites sono gli autori di Ghosts Upon the Road (2018), il primo libro italiano dedicato al songwriter, la cui introduzione “Italy, Crazy River” è inserita nel presente volume. In Italia Andersen iniziò la collaborazione con il violinista Michele Gazich, che per seguirlo in tour rinunciò alla carriera accademica, grazie al “mitico” Carlo Carlini, organizzatore di concerti di Sesto Calende che aveva portato nel Belpaese i più grandi musicisti d’oltreoceano. E proprio qui da noi, a testimoniare la lunga storia d’amore con il nostro Paese, è stato pubblicato l’ultimo lavoro discografico del Songpoet, Foolish Like the Flowers. Si tratta di un live registrato a SpazioMusica Pavia (storico locale, ora chiuso) nel 2019 con la Queen of Swords Scarlet Rivera al violino, Paolo Ercoli al dobro e Cheryl Praskher alle percussioni, uscito per l’etichetta Appaloosa Records il 14 febbraio 2023 in occasione dell’80mo compleanno di Eric.
Nato il giorno di San Valentino, Andersen è anche, probabilmente, il cantautore americano che, insieme a Leonard Cohen, ha maggiormente indagato il cuore umano e la “difficoltà di costruire relazioni affettive che durassero nel tempo, cercando di capire il peso, l’affanno e il valore di una relazione nel contesto della quotidianità” (Vites, p. 188). L’amore, per Eric, è spesso passione, sensualità, fugacità di un rapporto one-night-stand che però rivela un profondo bisogno di condivisione; questo interesse per l’intimità non ha esentato tuttavia il songwriter dal rivolgere la sua attenzione al mondo esterno e ai problemi del suo tempo (i rigurgiti nazisti, l’ambiente, i diritti civili) soprattutto nell’ultima parte della sua produzione.
Di grande interesse, poi, è il già citato rapporto tra Andersen e la letteratura, con autori come Baudelaire, Rimbaud e Byron tra le sue fonti di ispirazione, oggetto di riflessione nell’ultima parte del libro. Il poeta inglese, in particolare, lo ha attratto per la sua natura ribelle ed anticonformista (fu il primo “Bad Boy of Rock”, a detta di Eric) ancor più che per il suo status di eroe romantico. Dalle sue composizioni il cantautore ha tratto numerose canzoni, scritte durante un soggiorno in Italia e confluite nel concept album del 2017 Mingle with the Universe. The Worlds of Lord Byron (il titolo è tratto da un verso del poema Childe Harold’s Pilgrimage). Dopo due recenti full length in cui ha musicato i testi di Albert Camus e Heinrich Böll, il prossimo album di Andersen costituirà un altro capitolo della “Writer Series” e sarà dedicato ad un altro gigante della poesia, Federico García Lorca.
Lo scorso dicembre Eric ha ricevuto il Premio Dubito International alla carriera, attribuitogli dagli organizzatori del Premio Alberto Dubito di Poesia con Musica, un concorso che da undici anni premia artisti sotto i 35 anni e si svolge con manifestazioni in tutta Italia. Il cantautore si è esibito in un breve set acustico al fianco di giovani performers e attivisti in uno dei luoghi storici dell’underground milanese, il COX18 di Via Conchetta. Una giusta gratificazione per il Songpoet, autentico troubadour nei nostri tempi, che negli ultimi sessant’anni ci ha donato autentiche perle sotto forma di canzoni e che, con il libro Mingle with the Universe riceve un ulteriore e doveroso riconoscimento.
«Dedicated to all the writers who made the invisible become visible. May you always write free.» (Eric Andersen)
Così Eric Andersen descrive, in una lunga conversazione con Marco Fazzini e Roberto Jacksie Saetti, la genesi del proprio processo creativo e la finalità dell’atto artistico. Ma nella medesima intervista, intitolata “Riflessioni e confessioni di un artista”, il cantautore di Pittsburgh tocca tanti altri argomenti: gli inizi della propria carriera, il suo interesse per la letteratura e i suoi progetti discografici dedicati a scrittori come Byron e Camus, la classifica dei suoi libri e film preferiti. Lo scambio di idee, in versione italiana e inglese, non è che uno dei tanti capitoli che compongono il volume Mingle with the Universe. A Sixty-year Career Celebration of Eric Andersen, curato dagli stessi Fazzini e Saetti e recentemente pubblicato da Agenzia X.
Il libro ripercorre la carriera del “Songpoet” (l’appellativo è anche il titolo di un recente docufilm dedicato ad Andersen diretto da Paul Lamont) attraverso sei decenni e offre al lettore una presentazione dell’artista da molteplici punti di vista: attraverso le sue stesse parole, tramite una selezione di testi delle sue canzoni più amate – da Violets of Dawn a Salt on Your Skin – e tramite il contributo di numerosi scrittori, giornalisti, docenti e musicisti, tra i quali Anthony De Curtis, Gregory Dowling, Michele Gazich e Paolo Vites.
La sequenza di capitoli in italiano, in inglese o bilingue, con il testo originale a fronte, delinea un ritratto complesso e sfaccettato del cantautore, i cui tratti distintivi sono la profonda cultura, una passione insaziabile per la lettura e il bisogno di ricercare sempre nuovi stimoli, anche attraverso i viaggi e i trasferimenti: Andersen, infatti, dopo aver vissuto negli anni Ottanta in Norvegia, risiede ora stabilmente in Olanda con la moglie Inge.
Ma tanti altri elementi emergono, soprattutto riguardo agli anni Sessanta, periodo in cui Eric contribuì alla nascita della figura del singer-songwriter insieme ad altri sodali come Phil Ochs, e, naturalmente, Bob Dylan. Andersen si distinse sulla scena cantautorale per il proprio stile introspettivo e riflessivo, caratterizzato da liriche intimiste ed intrise di echi letterari, che lo qualificò nel tempo come membro della cosiddetta “Me Generation” insieme a figure quali James Taylor, Jackson Browne e Joni Mitchell.
In quel periodo così ricco di fermenti culturali e sociali egli ebbe un rapporto privilegiato con Allen Ginsberg ed altri esponenti della Beat Generation, condivise per un paio d’anni il manager Brian Epstein con i Beatles, manifestò a più riprese l’esigenza di scrollarsi di dosso l’etichetta di folksinger e partecipò ad un film di Andy Warhol nel 1965, a dimostrazione del fatto che la scena folk più “impegnata” e quella variopinta e trasgressiva della Factory non fossero poi così distanti, essendo entrambe figlie del Greenwich Village. Vengono poi ricordate le sue durature ed affettuose amicizie con Janis Joplin, Joni Mitchell e Patti Smith e la collaborazione con Lou Reed. Molto spazio viene dedicato al valore di spartiacque rappresentato dall’album Blue River (1972), senza dubbio uno dei suoi capolavori. E non mancano i viaggi e soggiorni europei, in Norvegia, Italia, Olanda e altrove, che hanno reso Andersen un artista europeo, oltre che statunitense.
Eric giunse nel nostro Paese per il suo primo tour nel 1980; successivamente strinse amicizia con gli stessi Saetti e Vites e grazie a quest’ultimo incontrò Fernanda Pivano, traduttrice italiana degli autori della Beat Generation. Ricordiamo anche che Saetti e Vites sono gli autori di Ghosts Upon the Road (2018), il primo libro italiano dedicato al songwriter, la cui introduzione “Italy, Crazy River” è inserita nel presente volume. In Italia Andersen iniziò la collaborazione con il violinista Michele Gazich, che per seguirlo in tour rinunciò alla carriera accademica, grazie al “mitico” Carlo Carlini, organizzatore di concerti di Sesto Calende che aveva portato nel Belpaese i più grandi musicisti d’oltreoceano. E proprio qui da noi, a testimoniare la lunga storia d’amore con il nostro Paese, è stato pubblicato l’ultimo lavoro discografico del Songpoet, Foolish Like the Flowers. Si tratta di un live registrato a SpazioMusica Pavia (storico locale, ora chiuso) nel 2019 con la Queen of Swords Scarlet Rivera al violino, Paolo Ercoli al dobro e Cheryl Praskher alle percussioni, uscito per l’etichetta Appaloosa Records il 14 febbraio 2023 in occasione dell’80mo compleanno di Eric.
Nato il giorno di San Valentino, Andersen è anche, probabilmente, il cantautore americano che, insieme a Leonard Cohen, ha maggiormente indagato il cuore umano e la “difficoltà di costruire relazioni affettive che durassero nel tempo, cercando di capire il peso, l’affanno e il valore di una relazione nel contesto della quotidianità” (Vites, p. 188). L’amore, per Eric, è spesso passione, sensualità, fugacità di un rapporto one-night-stand che però rivela un profondo bisogno di condivisione; questo interesse per l’intimità non ha esentato tuttavia il songwriter dal rivolgere la sua attenzione al mondo esterno e ai problemi del suo tempo (i rigurgiti nazisti, l’ambiente, i diritti civili) soprattutto nell’ultima parte della sua produzione.
Di grande interesse, poi, è il già citato rapporto tra Andersen e la letteratura, con autori come Baudelaire, Rimbaud e Byron tra le sue fonti di ispirazione, oggetto di riflessione nell’ultima parte del libro. Il poeta inglese, in particolare, lo ha attratto per la sua natura ribelle ed anticonformista (fu il primo “Bad Boy of Rock”, a detta di Eric) ancor più che per il suo status di eroe romantico. Dalle sue composizioni il cantautore ha tratto numerose canzoni, scritte durante un soggiorno in Italia e confluite nel concept album del 2017 Mingle with the Universe. The Worlds of Lord Byron (il titolo è tratto da un verso del poema Childe Harold’s Pilgrimage). Dopo due recenti full length in cui ha musicato i testi di Albert Camus e Heinrich Böll, il prossimo album di Andersen costituirà un altro capitolo della “Writer Series” e sarà dedicato ad un altro gigante della poesia, Federico García Lorca.
Lo scorso dicembre Eric ha ricevuto il Premio Dubito International alla carriera, attribuitogli dagli organizzatori del Premio Alberto Dubito di Poesia con Musica, un concorso che da undici anni premia artisti sotto i 35 anni e si svolge con manifestazioni in tutta Italia. Il cantautore si è esibito in un breve set acustico al fianco di giovani performers e attivisti in uno dei luoghi storici dell’underground milanese, il COX18 di Via Conchetta. Una giusta gratificazione per il Songpoet, autentico troubadour nei nostri tempi, che negli ultimi sessant’anni ci ha donato autentiche perle sotto forma di canzoni e che, con il libro Mingle with the Universe riceve un ulteriore e doveroso riconoscimento.
«Dedicated to all the writers who made the invisible become visible. May you always write free.» (Eric Andersen)
di Mary Nowhere