www.lanuovacarne.it, 18 dicembre 2024 La visione techno di Andrea Benedetti
Per spiegare a un mio caro amico per quale motivo, alla soglia dei quaranta, mi stessi appassionando alla techno degli esordi, e in particolar modo a Enter dei Cybotron, gli ho detto qualcosa del genere: “C’è la musica che ti piace visceralmente, quella che proviene dagli ascolti che hai fatto da ragazzino e che magari coltivi nel tempo, e poi c’è quella che per apprezzarla devi capire cosa c’è dietro, i movimenti sociali e talvolta politici che ne hanno scatenato i crismi estetici e tecnici, devi capirne il senso all’interno del contesto nel quale nasce, cresce e muore (o si trasforma).” Un’idea più adulta, sistematica, forse si potrebbe dire meccanica, di ascoltare e farsi piacere la musica, ma che, per mia fortuna, mi ha portato a non evitare e non trascurare a priori alcuni generi a vantaggio di ciò che era, per me, già esteticamente codificato e assodato. Con la lettura de La visione techno, di Andrea Benedetti, sono stato aiutato in un percorso di ricerca di questo tipo. È qualche anno che la scena di Detroit (con le sue successive ramificazioni europee) mi attrae, ma la vita spesso è ostile e non sono mai riuscito a fare un ascolto sistematico del mare magnum offerto dalla rete. Ancora meno era il tempo da dedicare all’informazione riguardo la storia dei personaggi, i loro valori, il movimento in sé. Senza considerare tutte le diramazioni e le conseguenze artistiche presenti nella nostra modernità.
L’occasione per colmare le mie lacune è stata offerta da Agenzia X, che con la pubblicazione di questo bel tomo di quasi quattrocento pagine mi ha aperto a un vero e proprio mondo a me quasi per intero sconosciuto, anzi, a una vera e propria visione.
A differenza del suo precedente Mondo techno, qui Benedetti affronta la storia del genere da un punto di vista sociologico e politico, mettendo in evidenza come è proprio l’idea (la visione, lo sguardo) techno che ha reso possibile una diffusione spontanea e virale di suoni e composizioni talvolta radicali.
L’andamento del saggio è di tipo cronologico, anche se non mancano focus su determinati snodi cruciali. Ricostruisce in maniera dettagliatamente la storia della produzione dei suoni, con un’attenzione particolare al rapporto uomo-macchina, inteso in senso lato e non solo contemporaneo informatico, facendo vedere come la storia dell’uomo e la storia della musica procedano di pari passo e come le politiche di emancipazione influenzino e siano influenzate, da sempre, la produzione artistica.
Partendo dalla preistoria, Benedetti ci accompagna fino alla campionatura e alla moderna sintesi informatica. Dopodiché si dedica a intrecciare i fili del ritmo con quelli della danza, intesa anche qui come linguaggio di libertà individuale e collettiva. Ovviamente poi la parte più sostanziosa del testo riguarderà il clubbing e la scena rave da una parte, il progresso tecno-musicale nelle città di Chicago e Detroit dall’altra, mostrando anche come questa nuova ondata statunitense avesse sempre una sponda oltreoceano, in Europa e in particolare in Germania. E ne evidenzia, infine, gli esiti decadenti in alcune sue attuali manifestazioni. Lo scopo, nobilissimo, di Benedetti, è quello di mostrare come la techno non è solo un genere musicale, una moda del momento, ma come sia piuttosto un atteggiamento millenario dell’uomo, un’apertura verso il nuovo. L’autore vuole dimostrare come “umanità e tecnologia possano convivere in maniera costruttiva guardando al futuro come una possibilità e non come una minaccia. La visione techno è quello che proviamo quando l’umanità fa qualcosa di nuovo: un ponte verso il possibile che possiamo attraversare sia per guardarci dentro, sia per esplorare nuove forme di resistenza, musicali e non. In questo senso la techno, come molta altra elettronica post rave, è musica inconscia, lo svolgimento sono di un possibile risveglio dallo stordimento dell’information overload e della frenesia del quotidiano.”
Il messaggio dunque è chiaro: continuare a sperimentare, sempre, in maniera artistica o semplicemente come esseri umani; solo questo potrà salvarci dall’omologazione e dal declino della nostra contemporaneità.
Il libro contiene inoltre delle interessantissime interviste di Benedetti ai protagonisti della scena americana, tra cui Mike Banks e Jeff Mills, nonché due saggi di approfondimento di Francesca Borelli e Andrea Paolo e una postfazione del critico musicale Christian Zingales. Davvero un contributo da non lasciarsi scappare.
L’occasione per colmare le mie lacune è stata offerta da Agenzia X, che con la pubblicazione di questo bel tomo di quasi quattrocento pagine mi ha aperto a un vero e proprio mondo a me quasi per intero sconosciuto, anzi, a una vera e propria visione.
A differenza del suo precedente Mondo techno, qui Benedetti affronta la storia del genere da un punto di vista sociologico e politico, mettendo in evidenza come è proprio l’idea (la visione, lo sguardo) techno che ha reso possibile una diffusione spontanea e virale di suoni e composizioni talvolta radicali.
L’andamento del saggio è di tipo cronologico, anche se non mancano focus su determinati snodi cruciali. Ricostruisce in maniera dettagliatamente la storia della produzione dei suoni, con un’attenzione particolare al rapporto uomo-macchina, inteso in senso lato e non solo contemporaneo informatico, facendo vedere come la storia dell’uomo e la storia della musica procedano di pari passo e come le politiche di emancipazione influenzino e siano influenzate, da sempre, la produzione artistica.
Partendo dalla preistoria, Benedetti ci accompagna fino alla campionatura e alla moderna sintesi informatica. Dopodiché si dedica a intrecciare i fili del ritmo con quelli della danza, intesa anche qui come linguaggio di libertà individuale e collettiva. Ovviamente poi la parte più sostanziosa del testo riguarderà il clubbing e la scena rave da una parte, il progresso tecno-musicale nelle città di Chicago e Detroit dall’altra, mostrando anche come questa nuova ondata statunitense avesse sempre una sponda oltreoceano, in Europa e in particolare in Germania. E ne evidenzia, infine, gli esiti decadenti in alcune sue attuali manifestazioni. Lo scopo, nobilissimo, di Benedetti, è quello di mostrare come la techno non è solo un genere musicale, una moda del momento, ma come sia piuttosto un atteggiamento millenario dell’uomo, un’apertura verso il nuovo. L’autore vuole dimostrare come “umanità e tecnologia possano convivere in maniera costruttiva guardando al futuro come una possibilità e non come una minaccia. La visione techno è quello che proviamo quando l’umanità fa qualcosa di nuovo: un ponte verso il possibile che possiamo attraversare sia per guardarci dentro, sia per esplorare nuove forme di resistenza, musicali e non. In questo senso la techno, come molta altra elettronica post rave, è musica inconscia, lo svolgimento sono di un possibile risveglio dallo stordimento dell’information overload e della frenesia del quotidiano.”
Il messaggio dunque è chiaro: continuare a sperimentare, sempre, in maniera artistica o semplicemente come esseri umani; solo questo potrà salvarci dall’omologazione e dal declino della nostra contemporaneità.
Il libro contiene inoltre delle interessantissime interviste di Benedetti ai protagonisti della scena americana, tra cui Mike Banks e Jeff Mills, nonché due saggi di approfondimento di Francesca Borelli e Andrea Paolo e una postfazione del critico musicale Christian Zingales. Davvero un contributo da non lasciarsi scappare.
di Stefano Spataro
Blow Up, ottobre 2024 Inner city blues
Groove
Il concetto di groove è quasi sempre associato a quello di ritmo, qualsiasi cosa voglia significare. O meglio, qualsiasi cosa si intenda per “groove” nel contesto culturale e nel momento storico in cui quest’ultimo si è sviluppato. Qui non abbiamo spazio per dilungarci sulla questione ma, restando alla cultura afroamericana, una delle domande potrebbe essere: fino a che punto il groove di Al Green ha davvero a che fare con i singulti gommosi dei Parliament o con le scudisciate di Charley Patton?
Percepiamo una continuità tra questi tre nomi soltanto perché li associamo alla dicotomia tra Africa/America? In un certo senso è quasi una provocazione, eppure soltanto così riusciamo a slabbrare i confini del nostro ragionamento per introdurre un’altra possibile diramazione del sentiero che stiamo percorrendo. Infatti se i linguaggi rap e jazz (e persino quelli afrocaraibici) vengono spesso assimilati alla medesima visione del groove che caratterizza soul, funk e blues, non è altrettanto scontato quando vengono tirate i ballo, ad esempio, house e techno. Perlomeno non è così comune che l’ascoltatore occasionale – o il pubblico generico, se preferite – individui una continuità di matrice afroamericana con le ossessioni ritmiche che si sono sviluppate a partire da Chicago e Detroit con l’avanzare degli anni Ottanta. Osserviamo al questione più da vicino.
Ballare, tra club e rave
Lungi dal volersi cimentare nel ripercorrere le vicende che hanno reso la house e la techno un meraviglioso laboratorio controculturale di sperimentazione sonica, ci limitiamo a illuminare qualche lampadina usando come guida due testi molto significativi. Si tratta di Mondo techno e La visione techno (quest’ultimo recensito da BU di settembre), firmati da Andrea Benedetti, personalità poliedrica che fin dai primi anni Novanta è coinvolta nel panorama italiano tra radio, critica musicale, organizzazione di concerti e, ovviamente, dietro la console in qualità di dj. Entrambi editi da Agenzia X, Mondo techno ha avuto una prima pubblicazione con la tristemente defunta Stampa Alternativa a metà anni Duemila, tornando poi in scaffale nel 2023, seguito l’anno dopo dal già menzionato La visione techno. Non è sbagliato parlarne come un vero e proprio dittico, visto che potrebbero tranquillamente essere letti uno dopo l’altro. Alla base troviamo l’esigenza di osservare l’avvento delle nuove geometrie che diverranno colonna sonora di club (più o meno alla moda) e rave parties (più o meno legali) come espressione della comunità afroamericana, perciò in diretta continuità con ciò che di cui si diceva prima. Insomma, c’è un motivo se la Chicago del blues urbano confezionato dalla Chess Records e la Detroit dell’esplosione pop e soul targata Motown sarebbero divenute, ancora una volta, fabbriche di successi. Con la differenza che, in questo caso, al centro dei riflettori non appaiono solo uomini e donne con un microfono appoggiato alle labbra o la chitarra a tracolla: sono direttamente le macchine ad essere ammaestrate, come dinosauri elettronici in grado di far rimbombare pancia e cervello attraverso una concatenazione do frequenze.
Non c’è storia senza politica
L’analisi di Benedetti è molto avvincente perché al discorso espressamente musicale ne affianca, quasi come fosse uno specchio, l’analisi politica e sociologica. Non si possono scindere infatti certe storie dal contesto in cui sono avvenute, a partire dall’aggrovigliarsi di aspirazioni sociali e bieco capitalismo ogniqualvolta è la comunità nera statunitense a farsi promotrice di istanze culturali potenzialmente sovversive. Ciò avviene soprattutto quando i movimenti di rottura e ricomposizione passano, come nel caso di house e techno, da espressioni totalizzanti quali il ballo, subendo contemporaneamente l’ombra lunga del mercato mainstream. Fondamentale allora farsi accompagnare dall’autore lungo un itinerario che alterna arti saggistiche alla viva voce dei protagonisti; scorgendo in controluce non soltanto la volontà di mostrare cosa è successo dalle nostre parti con Baldelli o Lory D, ma anche quali sono stati gli esiti di un dialogo tra etichette indipendenti e major che appare oggi più che mai attuale. Si passa dalla tecnologia alla manualità sul giradischi spostandosi da una parte all’altra dell’oceano, osservando come la melodia e la fame di bpm talvolta rischino di collidere soltanto se non riesci a capire d dove arrivano le declinazioni jungle, grime, drum and bass, garage e via dicendo. Quindi evviva Frankies Knuckles e Carl Craig, tuttavia allargare l’obiettivo vi mostrerà paesaggi che neanche immaginate. Scettici? Leggere i tre contributi che concludono La visione techno da prospettive (col)laterali, a cura di Francesca Borelli, Andea Paolo Lisi e Christian Zingales. Non resta che augurarvi buona immersione e buon ascolto, magari perdendovi tra le tante segnalazioni che affollano i capitoli.
Il concetto di groove è quasi sempre associato a quello di ritmo, qualsiasi cosa voglia significare. O meglio, qualsiasi cosa si intenda per “groove” nel contesto culturale e nel momento storico in cui quest’ultimo si è sviluppato. Qui non abbiamo spazio per dilungarci sulla questione ma, restando alla cultura afroamericana, una delle domande potrebbe essere: fino a che punto il groove di Al Green ha davvero a che fare con i singulti gommosi dei Parliament o con le scudisciate di Charley Patton?
Percepiamo una continuità tra questi tre nomi soltanto perché li associamo alla dicotomia tra Africa/America? In un certo senso è quasi una provocazione, eppure soltanto così riusciamo a slabbrare i confini del nostro ragionamento per introdurre un’altra possibile diramazione del sentiero che stiamo percorrendo. Infatti se i linguaggi rap e jazz (e persino quelli afrocaraibici) vengono spesso assimilati alla medesima visione del groove che caratterizza soul, funk e blues, non è altrettanto scontato quando vengono tirate i ballo, ad esempio, house e techno. Perlomeno non è così comune che l’ascoltatore occasionale – o il pubblico generico, se preferite – individui una continuità di matrice afroamericana con le ossessioni ritmiche che si sono sviluppate a partire da Chicago e Detroit con l’avanzare degli anni Ottanta. Osserviamo al questione più da vicino.
Ballare, tra club e rave
Lungi dal volersi cimentare nel ripercorrere le vicende che hanno reso la house e la techno un meraviglioso laboratorio controculturale di sperimentazione sonica, ci limitiamo a illuminare qualche lampadina usando come guida due testi molto significativi. Si tratta di Mondo techno e La visione techno (quest’ultimo recensito da BU di settembre), firmati da Andrea Benedetti, personalità poliedrica che fin dai primi anni Novanta è coinvolta nel panorama italiano tra radio, critica musicale, organizzazione di concerti e, ovviamente, dietro la console in qualità di dj. Entrambi editi da Agenzia X, Mondo techno ha avuto una prima pubblicazione con la tristemente defunta Stampa Alternativa a metà anni Duemila, tornando poi in scaffale nel 2023, seguito l’anno dopo dal già menzionato La visione techno. Non è sbagliato parlarne come un vero e proprio dittico, visto che potrebbero tranquillamente essere letti uno dopo l’altro. Alla base troviamo l’esigenza di osservare l’avvento delle nuove geometrie che diverranno colonna sonora di club (più o meno alla moda) e rave parties (più o meno legali) come espressione della comunità afroamericana, perciò in diretta continuità con ciò che di cui si diceva prima. Insomma, c’è un motivo se la Chicago del blues urbano confezionato dalla Chess Records e la Detroit dell’esplosione pop e soul targata Motown sarebbero divenute, ancora una volta, fabbriche di successi. Con la differenza che, in questo caso, al centro dei riflettori non appaiono solo uomini e donne con un microfono appoggiato alle labbra o la chitarra a tracolla: sono direttamente le macchine ad essere ammaestrate, come dinosauri elettronici in grado di far rimbombare pancia e cervello attraverso una concatenazione do frequenze.
Non c’è storia senza politica
L’analisi di Benedetti è molto avvincente perché al discorso espressamente musicale ne affianca, quasi come fosse uno specchio, l’analisi politica e sociologica. Non si possono scindere infatti certe storie dal contesto in cui sono avvenute, a partire dall’aggrovigliarsi di aspirazioni sociali e bieco capitalismo ogniqualvolta è la comunità nera statunitense a farsi promotrice di istanze culturali potenzialmente sovversive. Ciò avviene soprattutto quando i movimenti di rottura e ricomposizione passano, come nel caso di house e techno, da espressioni totalizzanti quali il ballo, subendo contemporaneamente l’ombra lunga del mercato mainstream. Fondamentale allora farsi accompagnare dall’autore lungo un itinerario che alterna arti saggistiche alla viva voce dei protagonisti; scorgendo in controluce non soltanto la volontà di mostrare cosa è successo dalle nostre parti con Baldelli o Lory D, ma anche quali sono stati gli esiti di un dialogo tra etichette indipendenti e major che appare oggi più che mai attuale. Si passa dalla tecnologia alla manualità sul giradischi spostandosi da una parte all’altra dell’oceano, osservando come la melodia e la fame di bpm talvolta rischino di collidere soltanto se non riesci a capire d dove arrivano le declinazioni jungle, grime, drum and bass, garage e via dicendo. Quindi evviva Frankies Knuckles e Carl Craig, tuttavia allargare l’obiettivo vi mostrerà paesaggi che neanche immaginate. Scettici? Leggere i tre contributi che concludono La visione techno da prospettive (col)laterali, a cura di Francesca Borelli, Andea Paolo Lisi e Christian Zingales. Non resta che augurarvi buona immersione e buon ascolto, magari perdendovi tra le tante segnalazioni che affollano i capitoli.
di Carlo Babando
Blow Up, settembre 2024 «La visione techno» di Andrea Benedetti
Andrea Benedetti è uno dei fondamenti culturali della techno, non solo in Italia. Dai primi anni ’90 è un produttore, discografico, distributore, DJ, scrittore, speaker radiofonico: la sua è una figura completa. Lo si può chiamare “divulgatore techno”, per la sua conoscenza, per quella passione bruciante, per la capacità di rendere intellegibili e immediati i concetti che desidera trasmettere trasformandoli nella forma più complessa di tutte: quella semplice e fruibile a un pubblico ampio, senza mai perdere valore nei contenuti. La visione techno, il suo nuovo libro, è una sorta di storia sociale. Attraversa in modo rapido e puntuale il rapporto tra musica e tecnica – dagli ossi percossi al computer world attraverso la musica registrata; al ruolo del ballo nella costruzione di identità e come fattore aggregante; una storia del clubbing: la fruizione, il rapporto con il mercato, l’esplodere degli stili legati al funk fino dall’importanza del suono come fattore centrale – prima che il dj assumesse il centro della scena con tutte le conseguenze negative del caso. Quindi la storia House di Chicago e il cuore del libro: Detroit e la techno. Una storia fatta non di sequenze infinite di brani, singoli, album ma di rapporti umani, di visioni tecnologiche, di uomini di fronte al contemporaneo e al rapporto con le neo-macchine, di ricerca di una forma di espressione, di ibridazioni ed elementi multiculturali, afrofuturismo, di gestione discografica, di mastering, di rapporti con l’Europa fino all’ascesa dei superclub e dei festival, con il mercato che ingloba e si impossessa del suono. In sintesi, una visione socio-culturale che interseca, intreccia, lega tutti gli aspetti, anche quello di grafica e design, così importante così poco considerato quando si parla di techno. Ci sono anche 50 pagine e oltre di interviste ad artisti come Mad Mike, Mills, May, Atkins, Gerald Donald. Soprattutto, nel cuore del libro, una parte dedicata ai Drexciya che è sublime elevazione di tutti gli argomenti del libro. A completare, due scritti di Francesca Borelli – incentrato sull’appropriazione culturale nell’era digitale, denso e articolato – e di Andrea Paolo Lisi, fino alla postfazione del “nostro” Christian Zingales. Il merito primario di questo libro di Andrea Benedetti è in realtà duplice. Offre agli appassionati/esperti ancora nuovi spunti e riferimenti ma, merito enorme, permette a chi ha poca o scarsa conoscenza dell’argomento di entrarci dalla porta principale, senza timore. Questo è un merito enorme.
Luca Galli
Danceland n. 3, estate 2024 «La visione techno» di Andrea Benedetti
Andrea Benedetti ricostruisce un’altra storia del suono, soffermandosi sulle svolte epocali della relazione tra musica e tecnologia e sulle teorie di tanti artisti geniali che hanno cercato di cambiare lo status quo oltre ogni previsione possibile. Dalla preistoria fino ad arrivare alla nascita di generi come house e techno, emergono i tratti di una rivoluzione sonora e sociale di cui possiamo riannodare i fili in queste pagine che collegano passato, presente e futuro. Il volume è arricchito da una raccolta di interviste ai maggiori produttori techno di Detroit e i saggi di Francesca Borelli e Andrea Paolo Lisi.