www.ululatisolitari.com, 9 novembre 2015 Resistenza, libertà e democrazia dentro Kobane
Il libro di Ivan Grozny Compasso è, come dice il sottotitolo, un “diario di guerra sulla difesa del Rojava”. Innanzitutto quando si parla di Rojava si parla di una realtà geopolitica relativamente complessa; geograficamente si delinea come il kurdistan siriano. La regione del Rojava è una regione della Siria autonoma, all’interno della quale le popolazioni hanno adottato una carta comune, una sorta di Costituzione: questo documento dall’incredibile valore sociale – e politico – è conosciuto come “Carta del contratto sociale del Rojava”.
I° parte
Se vi aspettavate la storia di Kobane avete sbagliato indirizzo, vi toccherà aspettare la prima parte dell’appendice. Qui, in questa prima parte del libro, del libro vero e proprio, si trova il resoconto cronachistico, diviso in capitoletti che, agevolmente, seguono le giornate e i momenti della settimana in cui Ivan si è mosso all’interno di Kobane, assieme ad altri corrispondenti e, soprattutto, accanto ai resistenti curdi che combattono contro la minaccia del califfato.
Accanto a Ivan ci sono peshmerga, soldati curdi iracheni, e i membri delle due milizie armate popolari che hanno contribuito, forse in maniera maggiore – di quanto i media italiani abbiano detto –, alla riconquista e al mantenimento della libertà della cittadina a sud della Turchia: sono le forze armate Ypg, le unità di protezione popolare, conosciuto anche come esercito nazionale del Kurdistan siriano, e Ypj, le unità di protezione delle donne, brigata femminile composta da sole donne che difendono la posizione di un Kurdistan libero, difendendo gli assediati nella regione del Rojava senza distinzione di genere, razza, religione.
Il libro di Compasso è un viaggio dentro Kobane passando per il confine turco, arrivando in città sotto l’attacco degli invasori, accanto ai resistenti, nel cuore dell’ultimo baluardo di resistenza attiva non sottomessa a logiche capitaliste, osservando chi cerca di vivere la propria vita, di preservare un passato, assicurarsi un futuro combattendo nel presente; un viaggio nel movimento cardiaco che pulsa per respingere l’orda: gli “uomini in nero” tristemente conosciute nelle cronache e, ormai, nell’immaginario collettivo, come il demone tanto distante, chilometri e anni luce, ma capace di instillare in noi il terrore del diverso che ci sta accanto.
Il valore della resistenza del popolo curdo, premuto e stretto da tutti i fronti: contro lo stato islamico alle porte e alle spalle la Turchia di Erdogan, conservatrice e reazionaria, che impone lingua e limita la libertà del popolo curdo fuggito per salvarsi la vita o per un briciolo di libertà. Centinaia, migliaia di profughi dall’inizio del conflitto vengono raccolti nei campi profughi creati poco oltre il confine, schedati e discriminati dal governo di Ankara. Kobane è lotta armata contro Isis, che vuole imporre la sua legge, la sua interpretazione del Corano. Kobane è assicurare un futuro a tutti i curdi che non vedono riconosciuta una patria, e che non vogliono fuggire verso un’altra oppressione.
Kobane non è solo sinonimo di resistenza è anche qualcosa di più, è guardare oltre la distruzione della guerra, oltre le macerie e la morte; la volontà dei resistenti non si traduce solo nel non soccombere fisicamente di fronte al nemico ma nel voler non lasciar morire l’aspetto umano di una città, confine conteso tra due forze in campo. Kobane non viene solo interpretate nell’ottica del conflitto dai resistenti che, a differenza degli invasori, continuano ad abitarla o, meglio, a viverla contrapponendosi ancora di più alla volontà di Isis che vuole piegare e spezzare nell’intimo chi ha di fronte.
La Kobane descritta – e fotografata, in appendice – da Compasso è una città molto distante da quella che i media ci hanno proposto, molto più vicina, paradossalmente, ad una normale città; Kobane, così pericolosamente assediata dallo stato islamico, non è stata trasformata, ingoiata dalla guerra, è stata ripensata. Chi ha voluto imbracciare le armi lo ha fatto, chi è voluto rimanere non volendo fuggire in Turchia per sottostare a un regime come quello di Erdogan è rimasto. Le porzioni di città riconquistate dai resistenti dove possibile vengono bonificate, i negozi non vengono saccheggiati, persino la pulizia delle strade viene mantenuta dai volontari; il cibo viene distribuito tra i cittadini, teli vengono innalzati sulle strade per ostacolare il dovere dei cecchini nemici e una vita civile continua a pulsare all’interno di Kobane.
A Kobane ci sono anche bambini, incontrati e descritti dallo stesso Compasso in alcuni commoventi passaggi del suo resoconto. Giovani e molto giovani scortati dai resistenti, trascorrono la loro vita: vengono istruiti, vanno a scuola, scherzano, giocano a pallone sotto l’occhio vigile dei padri Ypg e delle madri Ypj. La vita non è stata soffocata dallo spettro della dissoluzione portato dal conflitto. Le vie della resistenza sono molteplici, il laboratorio di Kobane – o più in generale del Rojava – ne è un esempio. Una resistenza attiva è possibile, alla luce dei principi di democrazia – parola chiave del libro – uguaglianza e diritti; valori resi possibili da quell’ultimo baluardo di resistenza partecipata messa in atto proprio al confine tra Siria e Turchia: a Kobane.
II° parte
a) Dopo il racconto di Compasso un’appendice che spiega la storia di Kobane e delle origini e motivazioni della sua resistenza nonché di come capitalismo e fascismo (rapporto già citato da Ivan nel suo “racconto di guerra”) miri a sovvertire, o a impedire, un qualsiasi ordine democratico (reale) slegato dalle logiche del profitto liberista.
La storia, e la contestualizzazione – non solo geografica –, di Kobane è affidata all’intervento di Nicola Romanò: “Ovunque Kobane. L’autonomia democratica nel Rojava”; contributo che cerca di tracciare il profilo geopolitico delle vicende della città tenendo conto del rapporto che l’occidente importatore di democrazia ha nei confronti di questi stati e, soprattutto, popoli, che al contrario di quanto si possa pensare, grazie al reportage offerto dallo stesso Compasso, hanno sviluppato una concezione di democrazia attiva e partecipata che nulla ha da invidiare alle costituzioni degli stati più avanzati, ma altresì capace di fare scuola, per i valori che la sottendono.
“Negli ultimi anni la crisi è servita per finanziare le guerre volute dalla grande industria: gli stati mediorientali vengono abbattuti e invasi; in altri casi come a Siria, sono stati snaturati dall’interno.” (p. 148)
b) sempre nella seconda parte dell’appendice si trova il bellissimo – e fondamentale – manifesto del Rojava che, punto per punto, spiega l’importanza di una società nuova, ecologica, egalitaria, democratica, che trova proprio la sua massima espressione nel laboratorio di Kobane, una città e un popolo che, non solo è impegnato a resistere, o a contrapporsi con la distruzione alla distruzione perpetrata da Daesh (conosciuto in occidente come Isis), ma nel creare una nuova società, rispettosa dei diritti di ogni individuo, e capace di autogestirsi.
“Noi popoli che viviamo nelle Regioni autonome democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli.”
di Mattia SangiulianoI° parte
Se vi aspettavate la storia di Kobane avete sbagliato indirizzo, vi toccherà aspettare la prima parte dell’appendice. Qui, in questa prima parte del libro, del libro vero e proprio, si trova il resoconto cronachistico, diviso in capitoletti che, agevolmente, seguono le giornate e i momenti della settimana in cui Ivan si è mosso all’interno di Kobane, assieme ad altri corrispondenti e, soprattutto, accanto ai resistenti curdi che combattono contro la minaccia del califfato.
Accanto a Ivan ci sono peshmerga, soldati curdi iracheni, e i membri delle due milizie armate popolari che hanno contribuito, forse in maniera maggiore – di quanto i media italiani abbiano detto –, alla riconquista e al mantenimento della libertà della cittadina a sud della Turchia: sono le forze armate Ypg, le unità di protezione popolare, conosciuto anche come esercito nazionale del Kurdistan siriano, e Ypj, le unità di protezione delle donne, brigata femminile composta da sole donne che difendono la posizione di un Kurdistan libero, difendendo gli assediati nella regione del Rojava senza distinzione di genere, razza, religione.
Il libro di Compasso è un viaggio dentro Kobane passando per il confine turco, arrivando in città sotto l’attacco degli invasori, accanto ai resistenti, nel cuore dell’ultimo baluardo di resistenza attiva non sottomessa a logiche capitaliste, osservando chi cerca di vivere la propria vita, di preservare un passato, assicurarsi un futuro combattendo nel presente; un viaggio nel movimento cardiaco che pulsa per respingere l’orda: gli “uomini in nero” tristemente conosciute nelle cronache e, ormai, nell’immaginario collettivo, come il demone tanto distante, chilometri e anni luce, ma capace di instillare in noi il terrore del diverso che ci sta accanto.
Il valore della resistenza del popolo curdo, premuto e stretto da tutti i fronti: contro lo stato islamico alle porte e alle spalle la Turchia di Erdogan, conservatrice e reazionaria, che impone lingua e limita la libertà del popolo curdo fuggito per salvarsi la vita o per un briciolo di libertà. Centinaia, migliaia di profughi dall’inizio del conflitto vengono raccolti nei campi profughi creati poco oltre il confine, schedati e discriminati dal governo di Ankara. Kobane è lotta armata contro Isis, che vuole imporre la sua legge, la sua interpretazione del Corano. Kobane è assicurare un futuro a tutti i curdi che non vedono riconosciuta una patria, e che non vogliono fuggire verso un’altra oppressione.
Kobane non è solo sinonimo di resistenza è anche qualcosa di più, è guardare oltre la distruzione della guerra, oltre le macerie e la morte; la volontà dei resistenti non si traduce solo nel non soccombere fisicamente di fronte al nemico ma nel voler non lasciar morire l’aspetto umano di una città, confine conteso tra due forze in campo. Kobane non viene solo interpretate nell’ottica del conflitto dai resistenti che, a differenza degli invasori, continuano ad abitarla o, meglio, a viverla contrapponendosi ancora di più alla volontà di Isis che vuole piegare e spezzare nell’intimo chi ha di fronte.
La Kobane descritta – e fotografata, in appendice – da Compasso è una città molto distante da quella che i media ci hanno proposto, molto più vicina, paradossalmente, ad una normale città; Kobane, così pericolosamente assediata dallo stato islamico, non è stata trasformata, ingoiata dalla guerra, è stata ripensata. Chi ha voluto imbracciare le armi lo ha fatto, chi è voluto rimanere non volendo fuggire in Turchia per sottostare a un regime come quello di Erdogan è rimasto. Le porzioni di città riconquistate dai resistenti dove possibile vengono bonificate, i negozi non vengono saccheggiati, persino la pulizia delle strade viene mantenuta dai volontari; il cibo viene distribuito tra i cittadini, teli vengono innalzati sulle strade per ostacolare il dovere dei cecchini nemici e una vita civile continua a pulsare all’interno di Kobane.
A Kobane ci sono anche bambini, incontrati e descritti dallo stesso Compasso in alcuni commoventi passaggi del suo resoconto. Giovani e molto giovani scortati dai resistenti, trascorrono la loro vita: vengono istruiti, vanno a scuola, scherzano, giocano a pallone sotto l’occhio vigile dei padri Ypg e delle madri Ypj. La vita non è stata soffocata dallo spettro della dissoluzione portato dal conflitto. Le vie della resistenza sono molteplici, il laboratorio di Kobane – o più in generale del Rojava – ne è un esempio. Una resistenza attiva è possibile, alla luce dei principi di democrazia – parola chiave del libro – uguaglianza e diritti; valori resi possibili da quell’ultimo baluardo di resistenza partecipata messa in atto proprio al confine tra Siria e Turchia: a Kobane.
II° parte
a) Dopo il racconto di Compasso un’appendice che spiega la storia di Kobane e delle origini e motivazioni della sua resistenza nonché di come capitalismo e fascismo (rapporto già citato da Ivan nel suo “racconto di guerra”) miri a sovvertire, o a impedire, un qualsiasi ordine democratico (reale) slegato dalle logiche del profitto liberista.
La storia, e la contestualizzazione – non solo geografica –, di Kobane è affidata all’intervento di Nicola Romanò: “Ovunque Kobane. L’autonomia democratica nel Rojava”; contributo che cerca di tracciare il profilo geopolitico delle vicende della città tenendo conto del rapporto che l’occidente importatore di democrazia ha nei confronti di questi stati e, soprattutto, popoli, che al contrario di quanto si possa pensare, grazie al reportage offerto dallo stesso Compasso, hanno sviluppato una concezione di democrazia attiva e partecipata che nulla ha da invidiare alle costituzioni degli stati più avanzati, ma altresì capace di fare scuola, per i valori che la sottendono.
“Negli ultimi anni la crisi è servita per finanziare le guerre volute dalla grande industria: gli stati mediorientali vengono abbattuti e invasi; in altri casi come a Siria, sono stati snaturati dall’interno.” (p. 148)
b) sempre nella seconda parte dell’appendice si trova il bellissimo – e fondamentale – manifesto del Rojava che, punto per punto, spiega l’importanza di una società nuova, ecologica, egalitaria, democratica, che trova proprio la sua massima espressione nel laboratorio di Kobane, una città e un popolo che, non solo è impegnato a resistere, o a contrapporsi con la distruzione alla distruzione perpetrata da Daesh (conosciuto in occidente come Isis), ma nel creare una nuova società, rispettosa dei diritti di ogni individuo, e capace di autogestirsi.
“Noi popoli che viviamo nelle Regioni autonome democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli.”
Il Secolo XIX, 23 ottobre 2015 Diario di guerra
È stato tra i pochissimi reporter che sono riusciti a entrare a Kobane quando era ancora sotto l’assedio dell’Isis e ha potuto vedere le violenze, e la resistenza dei curdi, e raccontare quanto stava accadendo.Oggi, alle 17, nella sala del consiglio comunale di Lerici, il giornalista freelance Ivan Grozny Compasso presenterà il suo libro Kobane dentro. Diario di guerra sulla difesa del Rojava. Era il dicembre 2014 e grazie alle possibilità della rete, Grozny era riuscito a divulgare sul web le primissime notizie su quanto stava accadendo: una sorta di diretta, dalla città assediata, in cui era rimasto per sette giorni, a stretto contatto con i guerriglieri. Nel suo libro ci sono anche delle immagini, scattate in quella settimana: fra l’incubo della violenza e i sogni di una possibile sconfitta dell’Isis. Rojava è una regione autonoma del Kurdistan, che ha scelto di sperimentare una forma di democrazia e di auto organizzazione, con un modello di cooperazione reciproca e di auto difesa: una sorta di comune, indipendente, che ha reagito in nome della democrazia, in cui molto forte è stato il ruolo delle donne.
Sarà proiettato il film Puzzlestan. I confini sono i limiti dei popoli, firmato dallo stesso autore, con il montaggio di Daniele Conti. Ivan è giornalista freelance, e ha pubblicato diversi servizi, su “il manifesto” e su “la Reubblica”, occupandosi soprattutto di reportage dall’estero, dall’America Latina e dal Medio Oriente. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice milanese Agenzia X, quest’anno. Ad invitarlo a Lerici, è stata l’Anpi.
di Sondra CoggioSarà proiettato il film Puzzlestan. I confini sono i limiti dei popoli, firmato dallo stesso autore, con il montaggio di Daniele Conti. Ivan è giornalista freelance, e ha pubblicato diversi servizi, su “il manifesto” e su “la Reubblica”, occupandosi soprattutto di reportage dall’estero, dall’America Latina e dal Medio Oriente. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice milanese Agenzia X, quest’anno. Ad invitarlo a Lerici, è stata l’Anpi.
Gazzetta del Mezzogiorno, 17 ottobre 2015 Una ginestra ricca speranza contro l’Isis
Entrare in territori come l’Iraq e la Siria, attraversarli per cercare di capire come si vive sotto le bombe, sotto assedio, sotto una tenda o sotto il cielo del Medio Oriente. Intraprendere un viaggio che parte dalla Turchia dove migliaia di persone si sono riversate qui per sfuggire ai massacri dell’Isis. Ritrovarsi a Kobane, la città simbolo della resistenza curda, nel Rojava, cantone a nord della Siria controllato dai curdi, dove non si lotta per consolidare ed estendere confini, ma per ampliare dei diritti da consolidare una volta cacciati i fedelissimi del Califfato. Questo viaggio lo ha compiuto nel 2014 il giornalista freelance Ivan Grozny Compasso che oggi alle 18.30 con Gabriele De Giorgi sarà a Copertino nella biblioteca comunale per presentare il suo volume Kobane dentro. Diario di guerra sulla difesa del Rojava, nell’ambito della rassegna Oktoberbook organizzata dall’assessorato alla Cultura.
Bis domani alle 19 nel Cineporto di Lecce dove il giornalista dialogherà con Daniele De Luca docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università del Salento. Seguirà la proiezione di Voyage en barberie di Cécile Allegra e Delphine Deloget, nell’ambito di “Guardare al presente”, rassegna su attualità, diritti umani e informazione curata dalla cooperativa CoolClub.
Nel dicembre del 2014 Ivan Grozny Compasso è stato uno dei pochi a raccontare dal vivo la resistenza dei curdi della città di Kobane, assediata dalle truppe dell’Isis. Il 12 ottobre, una volta penetrate nei sobborghi della città, quest’ultime conquistano l’80 per cento dell’area urbana prima di essere costrette a un parziale arretramento grazie al contrattacco dei curdi. Il 26 gennaio scorso, dopo oltre quattro mesi di combattimenti e circa 2mila morti, le forze curde hanno riconquistato la città grazie anche ai raid aerei della “coalizione internazionale”. Nel deserto a sud della Turchia, dunque, spicca il giallo intenso di una ginestra, tipica pianta di questi territori eletta a simbolo di resistenza alle invasioni armate dei gruppi islamici. Una ginestra di nome Kobane, in cui Ivan Grozny Compasso è riuscito ad entrarvi e a divulgare nel web informazioni in diretta dalla città assediata, dove le donne e gli uomini della resistenza curda combattono contro l’avanzata dell’Isis. Il libro è il diario dettagliato di sette giorni di permanenza a stretto contatto con i guerriglieri e il loro straordinario sistema di autogoverno influenzato dagli studi in carcere di Abdullah Öcalan. Sette notti con il sottofondo dei mortai, tra gli incubi di terrore e morte che si mischiano ai sogni di una futura idea di umanità. A completare il volume una lunga carrellata di fotografie scattate dall’autore e alcuni approfondimenti teorici, tra i quali la Carta del contratto sociale del Rojava. Introduzione di Yilmaz Orkan, presidente dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan.
di Giovanni GrecoBis domani alle 19 nel Cineporto di Lecce dove il giornalista dialogherà con Daniele De Luca docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università del Salento. Seguirà la proiezione di Voyage en barberie di Cécile Allegra e Delphine Deloget, nell’ambito di “Guardare al presente”, rassegna su attualità, diritti umani e informazione curata dalla cooperativa CoolClub.
Nel dicembre del 2014 Ivan Grozny Compasso è stato uno dei pochi a raccontare dal vivo la resistenza dei curdi della città di Kobane, assediata dalle truppe dell’Isis. Il 12 ottobre, una volta penetrate nei sobborghi della città, quest’ultime conquistano l’80 per cento dell’area urbana prima di essere costrette a un parziale arretramento grazie al contrattacco dei curdi. Il 26 gennaio scorso, dopo oltre quattro mesi di combattimenti e circa 2mila morti, le forze curde hanno riconquistato la città grazie anche ai raid aerei della “coalizione internazionale”. Nel deserto a sud della Turchia, dunque, spicca il giallo intenso di una ginestra, tipica pianta di questi territori eletta a simbolo di resistenza alle invasioni armate dei gruppi islamici. Una ginestra di nome Kobane, in cui Ivan Grozny Compasso è riuscito ad entrarvi e a divulgare nel web informazioni in diretta dalla città assediata, dove le donne e gli uomini della resistenza curda combattono contro l’avanzata dell’Isis. Il libro è il diario dettagliato di sette giorni di permanenza a stretto contatto con i guerriglieri e il loro straordinario sistema di autogoverno influenzato dagli studi in carcere di Abdullah Öcalan. Sette notti con il sottofondo dei mortai, tra gli incubi di terrore e morte che si mischiano ai sogni di una futura idea di umanità. A completare il volume una lunga carrellata di fotografie scattate dall’autore e alcuni approfondimenti teorici, tra i quali la Carta del contratto sociale del Rojava. Introduzione di Yilmaz Orkan, presidente dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan.
www.ilpaesenuovo.it, 17 ottobre 2015 Kobane dentro, il giornalista Ivan Grozny Compasso presenta a Lecce e Copertino il suo volume
Approda in Salento il giornalista Ivan Grozny Compasso per presentare a Copertino e Lecce il volume Kobane Dentro. Diario di guerra sulla difesa del Rojava (Agenzia X).
La prima presentazione è in programma domenica 18 ottobre alle 18.30 nella biblioteca comunale (in via Malta) di Copertino, nell’ambito della rassegna OktoberBook.
Lunedì 19 ottobre appuntamento alle 19 nelle sede leccese (via Vecchia Frigole 36) dei Cineporti di Puglia con il giornalista e con Daniele De Luca (docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università del Salento).
Subito dopo la presentazione leccese ci sarà la proiezione del film Voyage en barberie di Cécile Allegra e Delphine Deloget, nell’ambito della rassegna su attualità, diritti umani e informazione “Guardare al presente”.
Ivan Grozny Compasso è giornalista freelance, pubblica servizi multimediali dedicati alla politica internazionale e allo sport di base. Ha collaborato con Radio Sherwood, “il manifesto”, la Rai e il gruppo Espresso. È autore di Ladri di sport. Dalla competizione alla resistenza (Agenzia X 2014) e Kobane dentro. Diario di guerra sulla difesa del Rojava (Agenzia X 2015).
Il confederalismo democratico non è un sistema politico arbitrario, ma un modo per accumulare storia ed esperienza. È il risultato della vita della società. Abdullah Öcalan
Tra i deserti e le montagne a sud della Turchia è nata una ginestra, preziosa quanto la poesia di Giacomo Leopardi. Una pianta che resiste alle invasioni armate dei gruppi islamici e alla brutalità dei padroni del mondo. Un fiore che restituisce dignità al nostro tempo devastato dalla guerra. Questa ginestra si chiama Rojava, regione autonoma curda. Nel dicembre 2014 Ivan Grozny Compasso è stato tra i pochi a entrare dentro a Kobane, riuscendo a divulgare nel web informazioni in diretta dall’interno della città assediata, dove le donne e gli uomini della resistenza curda combattono contro l’avanzata dell’esercito dell’Isis. Kobane dentro è il diario dettagliato di sette giorni di permanenza a stretto contatto con i guerriglieri e il loro straordinario sistema di autogoverno influenzato dagli studi in carcere di Abdullah Öcalan sul pensiero libertario di Murray Bookchin. Sette notti con il sottofondo dei mortai tra gli incubi di terrore e morte che si mischiano ai sogni di una futura idea di umanità. A completare il volume una lunga carrellata di fotografie scattate dall’autore e alcuni approfondimenti teorici, tra i quali la Carta del contratto sociale del Rojava. Introduzione di Yilmaz Orkan, presidente dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan.
di Elena CarbottiLa prima presentazione è in programma domenica 18 ottobre alle 18.30 nella biblioteca comunale (in via Malta) di Copertino, nell’ambito della rassegna OktoberBook.
Lunedì 19 ottobre appuntamento alle 19 nelle sede leccese (via Vecchia Frigole 36) dei Cineporti di Puglia con il giornalista e con Daniele De Luca (docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università del Salento).
Subito dopo la presentazione leccese ci sarà la proiezione del film Voyage en barberie di Cécile Allegra e Delphine Deloget, nell’ambito della rassegna su attualità, diritti umani e informazione “Guardare al presente”.
Ivan Grozny Compasso è giornalista freelance, pubblica servizi multimediali dedicati alla politica internazionale e allo sport di base. Ha collaborato con Radio Sherwood, “il manifesto”, la Rai e il gruppo Espresso. È autore di Ladri di sport. Dalla competizione alla resistenza (Agenzia X 2014) e Kobane dentro. Diario di guerra sulla difesa del Rojava (Agenzia X 2015).
Il confederalismo democratico non è un sistema politico arbitrario, ma un modo per accumulare storia ed esperienza. È il risultato della vita della società. Abdullah Öcalan
Tra i deserti e le montagne a sud della Turchia è nata una ginestra, preziosa quanto la poesia di Giacomo Leopardi. Una pianta che resiste alle invasioni armate dei gruppi islamici e alla brutalità dei padroni del mondo. Un fiore che restituisce dignità al nostro tempo devastato dalla guerra. Questa ginestra si chiama Rojava, regione autonoma curda. Nel dicembre 2014 Ivan Grozny Compasso è stato tra i pochi a entrare dentro a Kobane, riuscendo a divulgare nel web informazioni in diretta dall’interno della città assediata, dove le donne e gli uomini della resistenza curda combattono contro l’avanzata dell’esercito dell’Isis. Kobane dentro è il diario dettagliato di sette giorni di permanenza a stretto contatto con i guerriglieri e il loro straordinario sistema di autogoverno influenzato dagli studi in carcere di Abdullah Öcalan sul pensiero libertario di Murray Bookchin. Sette notti con il sottofondo dei mortai tra gli incubi di terrore e morte che si mischiano ai sogni di una futura idea di umanità. A completare il volume una lunga carrellata di fotografie scattate dall’autore e alcuni approfondimenti teorici, tra i quali la Carta del contratto sociale del Rojava. Introduzione di Yilmaz Orkan, presidente dell’Ufficio d’informazione del Kurdistan.
Corriere della Sera (Alto Adige/Trentino), 24 agosto 2015 Il diario di guerra sulla difesa del Rojava
Non ha mai dimenticato Madonna Bianca, il quartiere di Trento dove è nato e dove, appena può, ritorna, Anagraficamente si dovrebbe dire che oggi la sua città è Padova, dove, dopo gli studi, ha messo radici. Meglio dire che Ivan Grozny Compasso è un cittadino del mondo, libero e curioso. Giornalista freelance – e doverosamente critico verso la deriva di gran parte dei giornalismo italiano, tutto lustrini e polemiche da operetta – in queste settimane è approdato più volte, con lunghi reportage, alle pagine de “la Repubblica” e alle immagini di RaiNews. La politica internazionale (e Io sport di base: suo il consigliato Ladri di sport scritto con Mauro Valeri) è infatti la sua passione. Così, oggi, chi volesse capire cosa succede in quella parte di mondo dove si fronteggiano i nazisti dell'Isis e i libertari dei movimenti di liberazione curda – a loro volta vittime della realpolitik che trova nella Turchia di Erdogan un volto tutt'altro che rassicurante – non può prescindere dal libro di Ivan Compasso. Questo Diario di guerra sulla difesa del Rojava è frutto della sua permanenza a Kobane, nel dicembre dello scorso anno. Quando fu uno dei pochi che riuscì ad entrare dentro la città assediata dall'Isis e a restarci per sette giorni. Racconta i suoi incontri con i guerriglieri curdi e il sistema di autogoverno così come enunciato nella Carta del contratto sociale del Rojava. Testi, immagini, documenti per capire il chi e il come di uno scontro epocale. Perché se il Novecento ha avuto il suo punto di svolta (e di non ritorno) nella Guerra civile spagnola, il nuovo secolo vive le sue laceranti contraddizioni là, dove la barbarie integralista trova argine coraggioso prima di tutto dell'utopia egualitaria (e sorridente) del popolo curdo.
di Carlo Martinellawww.anordestdiche.com, 17 agosto 2015 Grozny, la voce del NordEst che racconta la guerra: «Il giornalismo italiano è in coma»
È il 13 agosto, Ivan “Grozny” Compasso è appena tornato dal “Kurdistan siriano liberato dall’Isis” e il suo reportage http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2015/08/13/news/rep… da una guerra che si combatte su vari fronti, campeggia in bella vista su due pagine di “Repubblica” e sull’home page del sito dello stesso giornale. La video-chiamata lo mostra decisamente soddisfatto e ne ha tutti i motivi. Nelle sue condizioni, molti altri se la tirerebbero, lui, se la gode. Delle giornate precedenti non gli manca l’adrenalina da inviato, ma la compagnia: quella di uomini e donne con cui ha condiviso sogni, speranze e paure. Sentimenti che valgono un po’ più di un post su un social network. Quello che Compasso ha osservato e raccontato nell’ultimo anno dalle zone di guerra lo potete trovare qui http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Siria-dentro-guerra-curdi-isis-c… e qui http://www.articolo21.org/2015/08/lemergenza-farmaci-in-rojava/, e nel libro Kobane dentro uscito pochi mesi fa. Ma l’intervista parte da lui, dalla sua biografia.
Ivan, come è finito in Kurdistan un trentino trapiantato a Padova?
Sono nato e cresciuto a Trento, ma sono sempre stato appassionato di politica estera e affascinato dai giornalisti che erano nei posti in cui succedevano le cose. Italo Moretti, solo per fare un esempio, era uno dei miei preferiti. Poi la guerra è scoppiata in un posto vicino a casa, nella ex Jugoslavia e sono andato a vedere di persona cosa succedeva. Successivamente, mi sono trasferito a Padova per studiare Scienze Politiche, lì ho iniziato a collaborare con Radio Sherwood e ho incominciato a viaggiare: Palestina, Marocco, Siria… L’esperienza al G8 di Genova mi ha mostrato come fosse possibile comunicare con il mondo anche con pochi mezzi. Anche nel recente viaggio a Hassake ho girato con una Gopro e un iPhone, non mi serve molto altro.
Come si racconta una guerra contro “Il male”. L’Isis (Daesh) è una specie di “orco”, di “uomo nero”, come si evitano i luoghi comuni in un contesto simile?
Raccontare una guerra dai luoghi in cui la si combatte significa diventare attori della vicenda. Si dice che non si prende una posizione, ma non è mai così, si finisce per sposare una causa. Io ho sposato quella dei curdi dello Ypg/Ypj dove ho trovato rispetto per tutti al di là della nazionalità e dove la cultura ha un valore fondamentale. Le persone che ho incontrato rappresentano un mondo che mi piace, io vivrei con loro. Poi è vero, la realtà è complicata e anche le parole “popolo curdo” sono una semplificazione, viste le numerose fazioni in lotta, ma i mostri sono mostri, non dimentichiamo che l’Isis tiene schiave le donne e i bambini. Andrebbe capito chi lo finanzia e per quale motivo è stato a lungo sottostimato, mentre ora è sopravvalutato: non riusciranno mai a controllare un territorio ampio come quello a cui aspirano. Tanto che hanno capito che un video può avere effetti maggiori della conquista di una città.
A proposito di contesto mediatico. Un’opinione sul giornalismo italiano?
Non mi piace parlare degli altri, mi piace parlare dei fatti che ho visto di persona. Preferisco, quindi, parlare della mia esperienza. La mia passione per il giornalismo credo sia nata quando ho visto dalle finestre delle “Torri” di Trento la dinamica di un incidente. Il giorno dopo ho letto cosa avevano scritto i giornali e mi sono accorto che non c’era corrispondenza con la realtà. Da lì in poi ho deciso che avrei verificato di persona e che avrei dovuto approfondire i fatti. Detto questo, credo che il giornalismo italiano sia in uno stato di coma, spero reversibile. Penso sia troppo attento alla spettacolarizzazione della notizia.
Un’ultima inevitabile domanda, visto il contesto. Cos’è il Nord-est per Ivan Compasso?
Un posto che non è poi così male. Per me il campetto delle Torri di Madonna Bianca è ancora il posto più bello del mondo. Mi dispiace che dal nordest emergano così spesso delle storie negative perché ce ne sono anche di molto belle. Il razzismo c’è e mi fa inorridire, ma chi è nato nel nordest è stato fortunato.
di Massimiliano BoschiIvan, come è finito in Kurdistan un trentino trapiantato a Padova?
Sono nato e cresciuto a Trento, ma sono sempre stato appassionato di politica estera e affascinato dai giornalisti che erano nei posti in cui succedevano le cose. Italo Moretti, solo per fare un esempio, era uno dei miei preferiti. Poi la guerra è scoppiata in un posto vicino a casa, nella ex Jugoslavia e sono andato a vedere di persona cosa succedeva. Successivamente, mi sono trasferito a Padova per studiare Scienze Politiche, lì ho iniziato a collaborare con Radio Sherwood e ho incominciato a viaggiare: Palestina, Marocco, Siria… L’esperienza al G8 di Genova mi ha mostrato come fosse possibile comunicare con il mondo anche con pochi mezzi. Anche nel recente viaggio a Hassake ho girato con una Gopro e un iPhone, non mi serve molto altro.
Come si racconta una guerra contro “Il male”. L’Isis (Daesh) è una specie di “orco”, di “uomo nero”, come si evitano i luoghi comuni in un contesto simile?
Raccontare una guerra dai luoghi in cui la si combatte significa diventare attori della vicenda. Si dice che non si prende una posizione, ma non è mai così, si finisce per sposare una causa. Io ho sposato quella dei curdi dello Ypg/Ypj dove ho trovato rispetto per tutti al di là della nazionalità e dove la cultura ha un valore fondamentale. Le persone che ho incontrato rappresentano un mondo che mi piace, io vivrei con loro. Poi è vero, la realtà è complicata e anche le parole “popolo curdo” sono una semplificazione, viste le numerose fazioni in lotta, ma i mostri sono mostri, non dimentichiamo che l’Isis tiene schiave le donne e i bambini. Andrebbe capito chi lo finanzia e per quale motivo è stato a lungo sottostimato, mentre ora è sopravvalutato: non riusciranno mai a controllare un territorio ampio come quello a cui aspirano. Tanto che hanno capito che un video può avere effetti maggiori della conquista di una città.
A proposito di contesto mediatico. Un’opinione sul giornalismo italiano?
Non mi piace parlare degli altri, mi piace parlare dei fatti che ho visto di persona. Preferisco, quindi, parlare della mia esperienza. La mia passione per il giornalismo credo sia nata quando ho visto dalle finestre delle “Torri” di Trento la dinamica di un incidente. Il giorno dopo ho letto cosa avevano scritto i giornali e mi sono accorto che non c’era corrispondenza con la realtà. Da lì in poi ho deciso che avrei verificato di persona e che avrei dovuto approfondire i fatti. Detto questo, credo che il giornalismo italiano sia in uno stato di coma, spero reversibile. Penso sia troppo attento alla spettacolarizzazione della notizia.
Un’ultima inevitabile domanda, visto il contesto. Cos’è il Nord-est per Ivan Compasso?
Un posto che non è poi così male. Per me il campetto delle Torri di Madonna Bianca è ancora il posto più bello del mondo. Mi dispiace che dal nordest emergano così spesso delle storie negative perché ce ne sono anche di molto belle. Il razzismo c’è e mi fa inorridire, ma chi è nato nel nordest è stato fortunato.
Corriere della Sera, edizione Trentino, 8 agosto 2015 Kobane
Ivan “Grozny” Compasso è un giornalista freelance, ha collaborato con “il manifesto”, la Rai e il Gruppo Espresso, ha prodotto il documentario Fora da Copa, due anni di lavoro sul Brasile e l’impatto dell’organizzazione dei mondiali di calcio sulla società brasiliana e ha pubblicato due libri: Ladri di sport (insieme a Mauro Valeri) e Kobane dentro entrambi editi da Agenzia X.
In questo momento Ivan “Grozny” Compasso si trova ad Amude, città siriana non lontana dal confine turco, ma due giorni fa, mentre rispondeva alle nostre domande, si trovava ad Haseke, città appena strappata all’Isis dai curdi. Quando non è in giro per il mondo Compasso abita a Padova, ma è nato e cresciuto a Trento: “Ho abitato alle Torri dove sta ancora mia madre – precisa – prima a Madonna Bianca e poi dopo poco a Villazzano Tre. Mi sono trasferito a a Padova per studiare come fanno molti e poi sono finito a fare altro. I temi internazionali sono quelli che da sempre mi appassionano di più”.
Ivan Compasso è una di quelle persone da cui ci si farebbe raccontare qualunque cosa, perché la passione per le cose che fa la si percepisce in ogni parola che scrive. Il suo Kobane dentro ne è una prova emblematica: un resoconto, in forma di diario, di una settimana passata tra gli abitanti di una città assediata che per molti è diventata un simbolo. Come si legge nell’introduzione di Luigi De Gennaro: “Kobane è per noi una sorta di anti specchio, cioè riflette tutto quello che non siamo, che non riusciamo a essere che abbiamo smesso di essere”.
Il rischio di cadere nell’idealizzazione era a portata di mano e l’autore non lo nega: “Il rischio c’è ma io non credo negli eroi. A Kobane sono andato proprio per vedere se era vero quanto si diceva sul Confederalismo democratico curdo. La svolta basata sui diritti e non più sul nazionalismo. Su una visione del mondo fatta di eguaglianza e condivisione, di rispetto delle culture di ognuno. Bene, i curdi di Siria e di Turchia stanno realizzando proprio questo”.
Ma Kobane dentro non si limit alle parole e contiene anche molte fotografie. In una di queste si vedono le colline di fronte alla città assediata, quelle su cui i turchi hanno scritto: “I confini sono il nostro orgoglio”. Per Ivan Compasso è la dimostrazione di due opposte visioni del mondo nel raggio di pochi chilometri: “I confini sono i limiti dei popoli, questa è l’idea che ho io del mondo. E questa sintesi, questa frase l’ha pronunciata una delle comandanti che ha coordinato la resistenza di Kobane. Sostenere questo quando, per anni il Pkk ha sempre lottato per avere una propria nazione, vuol dire che c’è stato un profondo cambiamento nella mentalità, non solo nella politica di questo popolo. Tutto questo, però, cozza irrimediabilmente con quanto sostengono i turchi di Erdogan, che appunto vedono i loro confini come un baluardo e un valore. La scritta sulle colline mi ha scatenato un primo moto di rabbia, a fronte del fatto che il governo turco fa di tutto per mettere il bastone tra le ruote ai curdi, agevolando Isis, ma dopo alcuni giorni la cosa ha iniziato a farmi quasi tenerezza. È come aggrapparsi a una lastra di ghiaccio e pensare di non cadere mai. Prima o poi scivoli o quel ghiaccio si scioglie. Non si può fermare il corso della storia. Un cambiamento è in atto, prima o poi questo passaggio si compierà”.
Il diario mischia drammaticità e tenerezza, difficile scegliere un momento più importante di un altro ma, spinto dalla domande, Compassi prova a fare una selezione di cui farebbe volentieri a meno: “È difficile sceglierne uno Se penso solo a come sono entrato e a come sono uscito da l, basterebbe quello. Ma ciò che mi rimane sempre dentro è l’empatia che si crea con le persone. Di tutte le età. Ovunque vado succede. Lì non è stato diverso. Lo scenario della devastazione causata dal camion bomba di Isis è una cosa che non dimenticherò mai. Ma l’episodio che ancora mi emoziona anche solo a ricordare è quello delle scarpe. Chi ha letto il libro sa di cosa parlo”.
Raccontare la vita di chi è in guerra contro Isis, che fa dell’esposizione dell’orrore un proprio punto di forza, non è semplice. Pone i giornalisti di fronte a una scelta difficile. Se lo si riproduce si fa il loro gioco e si rischia l’assuefazione. Se non lo si riproduce rischia di calare l’attenzione sul problema. Il giornalista trentino-padovano l’ha risolto così: “Penso che non bisogna cadere nel loro tranello. Loro usano la comunicazione come la usiamo noi occidentali, sono solo i contenuti che cambiano. Durante la mia permanenza a Kobane raccontavo via Twitter cosa accadeva momento per momento attraverso testi e immagini. Un famoso giornalista un giorno mi ha scritto dicendomi che la guerra che raccontava era strana perché non c’era sangue. È vero, non c’era. Perché a me interessava mostrare come si può rispondere all’orrore che propone Isis e lo si può fare solo esaltando la vita. E io faccio e credo in questo. Io odio la guerra, anche se spesso mi ci trovo immerso come in questi giorni. Ma la vita la voglio vivere più intensamente possibile. E a Kobane, nonostante tutto, di vita ce n’era tantissima”.
di Massimiliano BoschiIn questo momento Ivan “Grozny” Compasso si trova ad Amude, città siriana non lontana dal confine turco, ma due giorni fa, mentre rispondeva alle nostre domande, si trovava ad Haseke, città appena strappata all’Isis dai curdi. Quando non è in giro per il mondo Compasso abita a Padova, ma è nato e cresciuto a Trento: “Ho abitato alle Torri dove sta ancora mia madre – precisa – prima a Madonna Bianca e poi dopo poco a Villazzano Tre. Mi sono trasferito a a Padova per studiare come fanno molti e poi sono finito a fare altro. I temi internazionali sono quelli che da sempre mi appassionano di più”.
Ivan Compasso è una di quelle persone da cui ci si farebbe raccontare qualunque cosa, perché la passione per le cose che fa la si percepisce in ogni parola che scrive. Il suo Kobane dentro ne è una prova emblematica: un resoconto, in forma di diario, di una settimana passata tra gli abitanti di una città assediata che per molti è diventata un simbolo. Come si legge nell’introduzione di Luigi De Gennaro: “Kobane è per noi una sorta di anti specchio, cioè riflette tutto quello che non siamo, che non riusciamo a essere che abbiamo smesso di essere”.
Il rischio di cadere nell’idealizzazione era a portata di mano e l’autore non lo nega: “Il rischio c’è ma io non credo negli eroi. A Kobane sono andato proprio per vedere se era vero quanto si diceva sul Confederalismo democratico curdo. La svolta basata sui diritti e non più sul nazionalismo. Su una visione del mondo fatta di eguaglianza e condivisione, di rispetto delle culture di ognuno. Bene, i curdi di Siria e di Turchia stanno realizzando proprio questo”.
Ma Kobane dentro non si limit alle parole e contiene anche molte fotografie. In una di queste si vedono le colline di fronte alla città assediata, quelle su cui i turchi hanno scritto: “I confini sono il nostro orgoglio”. Per Ivan Compasso è la dimostrazione di due opposte visioni del mondo nel raggio di pochi chilometri: “I confini sono i limiti dei popoli, questa è l’idea che ho io del mondo. E questa sintesi, questa frase l’ha pronunciata una delle comandanti che ha coordinato la resistenza di Kobane. Sostenere questo quando, per anni il Pkk ha sempre lottato per avere una propria nazione, vuol dire che c’è stato un profondo cambiamento nella mentalità, non solo nella politica di questo popolo. Tutto questo, però, cozza irrimediabilmente con quanto sostengono i turchi di Erdogan, che appunto vedono i loro confini come un baluardo e un valore. La scritta sulle colline mi ha scatenato un primo moto di rabbia, a fronte del fatto che il governo turco fa di tutto per mettere il bastone tra le ruote ai curdi, agevolando Isis, ma dopo alcuni giorni la cosa ha iniziato a farmi quasi tenerezza. È come aggrapparsi a una lastra di ghiaccio e pensare di non cadere mai. Prima o poi scivoli o quel ghiaccio si scioglie. Non si può fermare il corso della storia. Un cambiamento è in atto, prima o poi questo passaggio si compierà”.
Il diario mischia drammaticità e tenerezza, difficile scegliere un momento più importante di un altro ma, spinto dalla domande, Compassi prova a fare una selezione di cui farebbe volentieri a meno: “È difficile sceglierne uno Se penso solo a come sono entrato e a come sono uscito da l, basterebbe quello. Ma ciò che mi rimane sempre dentro è l’empatia che si crea con le persone. Di tutte le età. Ovunque vado succede. Lì non è stato diverso. Lo scenario della devastazione causata dal camion bomba di Isis è una cosa che non dimenticherò mai. Ma l’episodio che ancora mi emoziona anche solo a ricordare è quello delle scarpe. Chi ha letto il libro sa di cosa parlo”.
Raccontare la vita di chi è in guerra contro Isis, che fa dell’esposizione dell’orrore un proprio punto di forza, non è semplice. Pone i giornalisti di fronte a una scelta difficile. Se lo si riproduce si fa il loro gioco e si rischia l’assuefazione. Se non lo si riproduce rischia di calare l’attenzione sul problema. Il giornalista trentino-padovano l’ha risolto così: “Penso che non bisogna cadere nel loro tranello. Loro usano la comunicazione come la usiamo noi occidentali, sono solo i contenuti che cambiano. Durante la mia permanenza a Kobane raccontavo via Twitter cosa accadeva momento per momento attraverso testi e immagini. Un famoso giornalista un giorno mi ha scritto dicendomi che la guerra che raccontava era strana perché non c’era sangue. È vero, non c’era. Perché a me interessava mostrare come si può rispondere all’orrore che propone Isis e lo si può fare solo esaltando la vita. E io faccio e credo in questo. Io odio la guerra, anche se spesso mi ci trovo immerso come in questi giorni. Ma la vita la voglio vivere più intensamente possibile. E a Kobane, nonostante tutto, di vita ce n’era tantissima”.
Il manifesto, 10 luglio 2015 I resistenti globali al Califfato
La guerra dell’Isis nel sanguinoso groviglio del nuovo ordine «regionale» che la resistenza dei kurdi prova a dipanare. Un percorso di lettura.
«Supporta chi vuole volare, o diventerai cenere»: senza volerlo è Kobane a spiegare nel miglior modo possibile le ragioni dietro la pubblicazione di due libri sulla lotta di liberazione di Rojava. O meglio, è il cartello appeso sulla porta di una casa della città che ha resistito per 134 giorni all’assedio dello Stato Islamico.
Due libri, usciti a poca distanza l’uno dall’altro, che si completano: Kobane, diario di una resistenza (Edizione Alegre, pp. 192, euro 14) della staffetta di solidarietà Rojava Calling, campagna lanciata da collettivi, centri sociali e organizzazioni italiane che si sono date il cambio al confine tra Turchia e Siria e poi, dentro Kobane, per portare solidarietà alle popolazioni civili; e Kobane dentro, diario dal fronte della città assediata del giornalista freelance Ivan Grozny Compasso (Agenzia X, pp. 200, euro 14).
Per chi ha visitato quei luoghi -Diyarbakir, Suruc e Mesher, ultimo baluardo di confine tra Turchia e Siria, da cui il fumo dei combattimenti tra islamisti e Ypg a Kobane si vedeva, si sentiva - il racconto di Rojava Calling risveglia alla memoria strade, tende dei campi profughi, volti dei rifugiati. La moschea trasformata in centro di resistenza e vita comune, tè caldo che rompe il gelido inverno turco.
Le gang dello stato islamico
II grande merito del diario della staffetta è il passo indietro compiuto dai volontari, poi autori del libro: mai protagonisti, danno voce alla gente e all’esodo del popolo kurdo siriano, raccolgono con minuzia di particolari i loro pensieri, descrivono l’organizzazione della resistenza fuori, al di là della frontiera. Perché, se Kobane è rimasta per mesi il fulcro e il palcoscenico della lotta di liberazione e della difesa del progetto di confederalismo democratico della Rojava, a pochi chilometri dal confine sorvegliato con brutalità dall’esercito turco intere comunità si sono mosse a sostegno della stessa battaglia.
Dall’organizzazione dei campi profughi (tutti, eccetto uno, gestiti. dai comuni a sud della Turchia, in mano al Bdp e all’Hdp, partiti kurdi turchi) alla distribuzione degli aiuti, dal funzionamento degli ospedali fino al passaggio di uomini al confine, sfidando le pallottole della gendarmeria e dell’esercito turco. Amara e incessante è la critica rabbiosa alle autorità di Ankara, colpevoli di soffocare la resistenza di Kobane e’di sostenere direttamente e indirettamente le gang dello Stato Islamico.
Manca nel diario della staffetta, come in quello di Ivan Grozny Compasso, un’analisi più ampia degli equilibri mediorientali, della rete delle connivenze e delle alleanze palesi e nascoste, degli interessi globali e della pesante interferenza della guerra fredda tra asse sciita e asse sunnita. Perché l’obiettivo è altro: raccontare la Storia e cosa l’ha mossa. A fare da sottofondo al racconto è l’ideologia cristallina dietro la lotta di Rojava: a scontarsi nel campo di battaglia kurdo è la democrazia diretta, l’autodeterminazione, il socialismo e il femminismo, contro il neoliberismo degli Stati-nazione (chiaramente e colpevolmente rappresentati da Ankara) e il fascismo dello Stato Islamico. Per questo, ripetono come un mantra i kurdi, si sono prese le armi: perché questa non è una lotta tra una popolazione assediata e il suo assediatore, ma è una battaglia di tutta la Siria (all’interno della quale Rojava intende rimanere allargandole il proprio modello politico) e di tutta l’umanità.
Un modello condiviso
«Tutti gli uomini e le donne che credono nella libertà dovrebbero essere qui», dice in un’intervista della staffetta Salih Urek, storico militante del movimento di liberazione kurdo e assiduo frequentatore delle carceri turche. Ed ecco che la resistenza di Kobane supera i confini della regione di Rojava, nel solco di quell’intemazionalismo della lotta che pareva retaggio del secolo passato. Scorrendo le pagine del diario di Rojava Calling emerge con chiarezza la volontà di assurgere Kobane a modello, senza la tentazione di inquinarne l’ideologia: la staffetta per Kobane è partita non per fare propria una lotta distante e altra, alla ricerca di un’ancora a cui aggrapparsi nell’assenza assordante di un movimento forte di critica e pressione alternativa dentro la sinistra italiana. È partita perché il modello Kobane va condiviso in quanto patrimonio delle sinistre mondiali.
Le stesse ragioni hanno mosso il giornalista freelance Compasso, entrato a Kobane nel dicembre dello scorso anno. Il racconto di Ivan incalza, dalla decisione di partire fino all’ingresso nella città assediata. Il racconto dei cinque giorni trascorsi dentro l’assedio scorre via ora morbido, ora teso, quasi nervoso. Ma allo stesso tempo rigenerano l’autore e il lettore con squarci di vita, volti reali, momenti di stallo, raid aerei, corpi senza vita. Qua alla voce della gente e dei combattenti, meno presente rispetto al diario di Rojava Calling, si contrappone il conflitto e la descrizione della vita alla fronte: una vita che va già ricostruita, mentre viene distruttta. Compasso si sofferma sulla minuziosa gestione delle necessità quotidiane, dalla raccolta dei rifiuti al funzionamento della sola clinica rimasta in piedi in città fino alle lezioni di scuola per i pochi bambini rimasti a vivere a Kobane.
C’è sempre un pallone tra le righe del racconto: calciato dai bambini che si concedono una pausa nel rimbombo degli scontri, evocato dal campo di calcio abbandonato poco fuori la città, sognato dai combattenti divisi tra la Roma e il Real Madrid. E ci sono tante donne, in una descrizione che evita il facile e vendibile stereotipo pompato dai media internazionali una volta scoperte le unità di difesa femminile di Kobane, le Ypj. Kobane dentro racconta la battaglia delle donne e le difficoltà che ancora serpeggiano in una società che aspira a rinnovarsi ma il cui rinnovamento non è completo: Ivan le fa parlare e le donne non nascondono (evitando con sapienza una comoda cortina di propaganda) gli ostacoli alla realizzazione del modello immaginato dal leader, Abdullah Apo Ocalan.
Ma il modello c’è, è radicato e condiviso. Per questo va raccontato.
di Chiara Cruciati«Supporta chi vuole volare, o diventerai cenere»: senza volerlo è Kobane a spiegare nel miglior modo possibile le ragioni dietro la pubblicazione di due libri sulla lotta di liberazione di Rojava. O meglio, è il cartello appeso sulla porta di una casa della città che ha resistito per 134 giorni all’assedio dello Stato Islamico.
Due libri, usciti a poca distanza l’uno dall’altro, che si completano: Kobane, diario di una resistenza (Edizione Alegre, pp. 192, euro 14) della staffetta di solidarietà Rojava Calling, campagna lanciata da collettivi, centri sociali e organizzazioni italiane che si sono date il cambio al confine tra Turchia e Siria e poi, dentro Kobane, per portare solidarietà alle popolazioni civili; e Kobane dentro, diario dal fronte della città assediata del giornalista freelance Ivan Grozny Compasso (Agenzia X, pp. 200, euro 14).
Per chi ha visitato quei luoghi -Diyarbakir, Suruc e Mesher, ultimo baluardo di confine tra Turchia e Siria, da cui il fumo dei combattimenti tra islamisti e Ypg a Kobane si vedeva, si sentiva - il racconto di Rojava Calling risveglia alla memoria strade, tende dei campi profughi, volti dei rifugiati. La moschea trasformata in centro di resistenza e vita comune, tè caldo che rompe il gelido inverno turco.
Le gang dello stato islamico
II grande merito del diario della staffetta è il passo indietro compiuto dai volontari, poi autori del libro: mai protagonisti, danno voce alla gente e all’esodo del popolo kurdo siriano, raccolgono con minuzia di particolari i loro pensieri, descrivono l’organizzazione della resistenza fuori, al di là della frontiera. Perché, se Kobane è rimasta per mesi il fulcro e il palcoscenico della lotta di liberazione e della difesa del progetto di confederalismo democratico della Rojava, a pochi chilometri dal confine sorvegliato con brutalità dall’esercito turco intere comunità si sono mosse a sostegno della stessa battaglia.
Dall’organizzazione dei campi profughi (tutti, eccetto uno, gestiti. dai comuni a sud della Turchia, in mano al Bdp e all’Hdp, partiti kurdi turchi) alla distribuzione degli aiuti, dal funzionamento degli ospedali fino al passaggio di uomini al confine, sfidando le pallottole della gendarmeria e dell’esercito turco. Amara e incessante è la critica rabbiosa alle autorità di Ankara, colpevoli di soffocare la resistenza di Kobane e’di sostenere direttamente e indirettamente le gang dello Stato Islamico.
Manca nel diario della staffetta, come in quello di Ivan Grozny Compasso, un’analisi più ampia degli equilibri mediorientali, della rete delle connivenze e delle alleanze palesi e nascoste, degli interessi globali e della pesante interferenza della guerra fredda tra asse sciita e asse sunnita. Perché l’obiettivo è altro: raccontare la Storia e cosa l’ha mossa. A fare da sottofondo al racconto è l’ideologia cristallina dietro la lotta di Rojava: a scontarsi nel campo di battaglia kurdo è la democrazia diretta, l’autodeterminazione, il socialismo e il femminismo, contro il neoliberismo degli Stati-nazione (chiaramente e colpevolmente rappresentati da Ankara) e il fascismo dello Stato Islamico. Per questo, ripetono come un mantra i kurdi, si sono prese le armi: perché questa non è una lotta tra una popolazione assediata e il suo assediatore, ma è una battaglia di tutta la Siria (all’interno della quale Rojava intende rimanere allargandole il proprio modello politico) e di tutta l’umanità.
Un modello condiviso
«Tutti gli uomini e le donne che credono nella libertà dovrebbero essere qui», dice in un’intervista della staffetta Salih Urek, storico militante del movimento di liberazione kurdo e assiduo frequentatore delle carceri turche. Ed ecco che la resistenza di Kobane supera i confini della regione di Rojava, nel solco di quell’intemazionalismo della lotta che pareva retaggio del secolo passato. Scorrendo le pagine del diario di Rojava Calling emerge con chiarezza la volontà di assurgere Kobane a modello, senza la tentazione di inquinarne l’ideologia: la staffetta per Kobane è partita non per fare propria una lotta distante e altra, alla ricerca di un’ancora a cui aggrapparsi nell’assenza assordante di un movimento forte di critica e pressione alternativa dentro la sinistra italiana. È partita perché il modello Kobane va condiviso in quanto patrimonio delle sinistre mondiali.
Le stesse ragioni hanno mosso il giornalista freelance Compasso, entrato a Kobane nel dicembre dello scorso anno. Il racconto di Ivan incalza, dalla decisione di partire fino all’ingresso nella città assediata. Il racconto dei cinque giorni trascorsi dentro l’assedio scorre via ora morbido, ora teso, quasi nervoso. Ma allo stesso tempo rigenerano l’autore e il lettore con squarci di vita, volti reali, momenti di stallo, raid aerei, corpi senza vita. Qua alla voce della gente e dei combattenti, meno presente rispetto al diario di Rojava Calling, si contrappone il conflitto e la descrizione della vita alla fronte: una vita che va già ricostruita, mentre viene distruttta. Compasso si sofferma sulla minuziosa gestione delle necessità quotidiane, dalla raccolta dei rifiuti al funzionamento della sola clinica rimasta in piedi in città fino alle lezioni di scuola per i pochi bambini rimasti a vivere a Kobane.
C’è sempre un pallone tra le righe del racconto: calciato dai bambini che si concedono una pausa nel rimbombo degli scontri, evocato dal campo di calcio abbandonato poco fuori la città, sognato dai combattenti divisi tra la Roma e il Real Madrid. E ci sono tante donne, in una descrizione che evita il facile e vendibile stereotipo pompato dai media internazionali una volta scoperte le unità di difesa femminile di Kobane, le Ypj. Kobane dentro racconta la battaglia delle donne e le difficoltà che ancora serpeggiano in una società che aspira a rinnovarsi ma il cui rinnovamento non è completo: Ivan le fa parlare e le donne non nascondono (evitando con sapienza una comoda cortina di propaganda) gli ostacoli alla realizzazione del modello immaginato dal leader, Abdullah Apo Ocalan.
Ma il modello c’è, è radicato e condiviso. Per questo va raccontato.
Il mattino di Padova, 28 giugno 2015 Kobane dentro Diario di Grozny sulla resistenza dei siriani
«La resistenza di Kobane dà spazio all’immaginazione, è un’esperienza unica che ci regala slancio emotivo. Il popolo curdo è perseguitato da decenni e schiacciato dai grandi equilibri mondiali, eppure riesce a resistere allo spauracchio globale dell’esercito dell’Isis. Non solo, riesce a anche a scrivere una Carta dei diritti che è anche un manifesto politico rivoluzionario. Un atto fondamentale per la sua visione utopica». Si apre così il libro del giornalista padovano Ivan Grozny Compasso, che nel dicembre 2014 è stato tra i pochi ad entrare a Kobane, cittadina a nord della Siria popolata da curdi e lungamente contesa dallo Stato Islamico. «Mentre una gran parte della Siria si scioglieva come neve al sole» ricorda nella prefazione Luigi De Gennaro «Kobane iniziava una resistenza ritenuta impensabile da chiunque». Kobane dentro è il diario dettagliato di sette giorni in città, a contatto con i guerriglieri. Sette notti scandite dai mortai, tra sogni per la futura umanità e incubi di morte. Nel racconto, come immagini sovrapposte, trovano spazio immagini di vita quotidiana e del dramma portato dagli scontri. «Dai suoi zaini» racconta l’autore a proposito della prima notte in città, riferendosi a un collega «estrae un mucchio di attrezzi utili per la sopravvivenza e tre laptop. Produce un gran caos mentre li sistema, interrompendo il nostro dormiveglia. Poi lo vedo lavorare con i tre schermi posizionati a semicerchio. In sottofondo, colpi di mortaio, mitragliatori, spari. Anche noi, come la guerra, non riposiamo mai». Il libro non è solo un racconto sull’onda del ricordo e dell’emotività, ma anche un resoconto dettagliato che mette in luce ciò che non ci si aspetta: si scopre che a Kobane non c’è acqua calda, ma il wifi non manca quasi mai. Che le strade sono pulitissime, perché la miseria e la precarietà non sono buone scuse per rinunciare al decoro. Che un viaggio lungo il confine turco-siriano, su un taxi di fortuna, costa 1.200 euro. E anche che qualche locale rimane sempre aperto. Quando fa buio, spiega, «è meglio rintanarsi dentro un buco qualsiasi». Ma una sera al pub è un’esperienza possibile, un barlume di normalità in una realtà resa surreale dalla guerra.
di Silvia Quarantahttp://adilmauro.com, 26 giugno 2015 Kobane dentro
Torino, Reggio Emilia, Bolzano, Padova, Firenze, Napoli… All’inizio di quest’anno Ivan Grozny Compasso ha girato l’Italia per raccontare Kobane, la città siriana al confine con la Turchia divenuta simbolo della resistenza curda all’avanzata dei tagliagole del cosiddetto “Stato Islamico”. In questi incontri svoltisi ovunque, dai centri sociali ai licei, Ivan ha mostrato foto e alcuni filmati realizzati durante la sua permanenza nella città assediata.
Kobane dentro, pubblicato di recente da Agenzia X, non è soltanto la testimonianza preziosa di chi ha vissuto per una settimana con le donne e gli uomini che continuano tuttora ad affrontare i terroristi dell’Isis. Grazie all’agile ed esauriente postfazione di Nicola Romanò, il libro è anche un’utilissima guida per comprendere meglio la portata storica di quanto sta accadendo nei tre cantoni della regione autonoma del Rojava. Un laboratorio politico che attraverso il confederalismo democratico teorizzato dal leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) Abdullah Öcalan e un innovativo contratto sociale sta aiutando l’intero Rojava a svilupparsi oltre l’angusta nozione di stato-nazione.
Quella che potrebbe apparire come una digressione dal cuore del libro – le giornate trascorse da Ivan a Kobane – ci fa capire fino in fondo quale sia la reale posta in gioco per gli uomini e le donne che tengono testa agli uomini del Califfato. I media occidentali, alla continua ricerca di titoli ad effetto, l’hanno quasi subito ribattezzata la “Stalingrado curda”, ma la Kobane fotografata e raccontata da Ivan non è un santino da appendere alla parete e da contemplare.
Le sue foto, e nel libro ce ne sono di molto belle, ci restituiscono la quotidianità di una città dove si combatte e muore, ma in cui i bambini continuano tuttavia a giocare e a studiare. Con tutte le precauzioni del caso, ovviamente. Sebbene l’altra parte non rappresenti il Male assoluto, è comunque innegabile una morbosa fascinazione subita dai fanatici dell’Isis per la morte intesa come strumento di controllo delle popolazioni sottomesse. Gli uomini di Daesh (acronimo arabo di Isis) compiono brutalità inenarrabili, le filmano e caricano su una chiavetta USB affinché un sopravvissuto le mostri agli abitanti dei villaggi vicini. Le differenze con i curdi non potrebbero essere più evidenti, dal momento che le combattenti e i combattenti di Kobane garantiscono, non solo per motivi igienici e sanitari, una sepoltura ai nemici del Califfato caduti in battaglia.
In queste ore Kobane, dopo avere respinto l’Isis a fine gennaio, è nuovamente sotto attacco. Il libro di Ivan non descrive eventi ormai consegnati alla storia, ma ci offre un utile sguardo sull’attualità. Tra i molti modi per sostenere il Rojava e la resistenza curda, il primo è certamente quello di informarsi su quanto accade in quella terra lontana, da cui abbiamo molto da apprendere. Partire dal libro di Ivan potrebbe essere un ottimo primo passo.
di adilmauroKobane dentro, pubblicato di recente da Agenzia X, non è soltanto la testimonianza preziosa di chi ha vissuto per una settimana con le donne e gli uomini che continuano tuttora ad affrontare i terroristi dell’Isis. Grazie all’agile ed esauriente postfazione di Nicola Romanò, il libro è anche un’utilissima guida per comprendere meglio la portata storica di quanto sta accadendo nei tre cantoni della regione autonoma del Rojava. Un laboratorio politico che attraverso il confederalismo democratico teorizzato dal leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) Abdullah Öcalan e un innovativo contratto sociale sta aiutando l’intero Rojava a svilupparsi oltre l’angusta nozione di stato-nazione.
Quella che potrebbe apparire come una digressione dal cuore del libro – le giornate trascorse da Ivan a Kobane – ci fa capire fino in fondo quale sia la reale posta in gioco per gli uomini e le donne che tengono testa agli uomini del Califfato. I media occidentali, alla continua ricerca di titoli ad effetto, l’hanno quasi subito ribattezzata la “Stalingrado curda”, ma la Kobane fotografata e raccontata da Ivan non è un santino da appendere alla parete e da contemplare.
Le sue foto, e nel libro ce ne sono di molto belle, ci restituiscono la quotidianità di una città dove si combatte e muore, ma in cui i bambini continuano tuttavia a giocare e a studiare. Con tutte le precauzioni del caso, ovviamente. Sebbene l’altra parte non rappresenti il Male assoluto, è comunque innegabile una morbosa fascinazione subita dai fanatici dell’Isis per la morte intesa come strumento di controllo delle popolazioni sottomesse. Gli uomini di Daesh (acronimo arabo di Isis) compiono brutalità inenarrabili, le filmano e caricano su una chiavetta USB affinché un sopravvissuto le mostri agli abitanti dei villaggi vicini. Le differenze con i curdi non potrebbero essere più evidenti, dal momento che le combattenti e i combattenti di Kobane garantiscono, non solo per motivi igienici e sanitari, una sepoltura ai nemici del Califfato caduti in battaglia.
In queste ore Kobane, dopo avere respinto l’Isis a fine gennaio, è nuovamente sotto attacco. Il libro di Ivan non descrive eventi ormai consegnati alla storia, ma ci offre un utile sguardo sull’attualità. Tra i molti modi per sostenere il Rojava e la resistenza curda, il primo è certamente quello di informarsi su quanto accade in quella terra lontana, da cui abbiamo molto da apprendere. Partire dal libro di Ivan potrebbe essere un ottimo primo passo.
TgR Veneto, 18 giugno 2015 Kobane dentro
Dal TgR Veneto, servizio di Beppe Giulietti e Paolo Colombatti su Kobane dentro di Ivan Grozny Compasso
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