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Gli altri ottanta
www.orrorea33giri.com, 21 aprile 2016 Livia Satriano. Gli altri ottanta di Livia Satriano
Gli altri ottanta. Racconti della galassia post-punk italiana è un libro che andrebbe consigliato a due precise categorie di persone: a chi di quella scena italiana vuole saperne di più e meglio, ma in seconda battuta a tutti coloro che credono che gli anni ’80 siano stati solamente un enorme buco nero della nostra società attraverso un vertiginoso crollo dei valori, lasciando il posto alla superficialità, a un ottimismo eccessivo, al culto del divertimento sfrenato, alla cultura yuppies e al mito della carriera, alla musica totalmente commerciale fatta di dance e synth-pop (che però ha prodotto anche delle grandissime cose).
Sì, gli anni ’80 sono stati anche questo, ma non solo. Anzi, proprio a causa di queste realtà si svilupparono in campo artistico, specialmente musicale, soluzioni alternative, diversi punti di vista, altri modi di pensare, che raggruppassero sotto la loro bandiera tutti coloro che di quel mondo fatto di apparenza e luci scintillanti non volevano farne parte.
Il punto di partenza di questa diversità ci aveva già pensato il punk nella seconda metà degli anni ’70 ad innescarlo, tuttavia in Italia arrivò in modo strano, attraverso nozioni confuse e spesso folcloristiche. Andò meglio invece con altri generi a loro modo figli del punk: il dark (che nel resto del mondo va sotto il nome di goth rock), il post punk e la new wave. Questi ultimi due vengono spesso confusi tra di loro ma hanno una caratteristica che li distingue l’uno dall’altro: il primo è dedito alla sperimentazione sonora, mentre il secondo ha sonorità prettamente più commerciali.
Gli altri ottanta. Racconti della galassia post-punk italiana non è il classico saggio, ma una raccolta di racconti, un viaggio lungo quegli anni, quell’ambiente e quei generi traboccanti di novità e creatività attraverso gli occhi di 14 protagonisti della scena musicale di allora, di cui alcuni ancora in attività.
Tutte le testimonianze trasudano interesse e scorrono veloci nella lettura, vuoi per la fluidità dei racconti e vuoi perché narrano di un mondo musicale così ricco di aneddoti da restarne ammaliati. In più, ognuno degli interpellati è un nome degno di nota nella storia della musica alternativa italiana, chi più chi meno: si passa da Johnny Grieco (ex cantante dei Dirty Actions) al compianto ed indimenticabile Freak Antoni (a cui viene dedicato il libro), da Andrea Chimenti (ex frontman dei Moda, gruppo cult della scena fiorentina negli anni ’80), a Christina Moser che, assieme allo scomparso Maurizio Arcieri, era la seconda metà del duo Krisma e tanti altri, in un crogiolo di nomi e volti che toccano più realtà possibili, dalla Bologna di Giorgio Lavagna (ex voce dei Gaznevada) alla Firenze di Marcello Michelotti (voce e tastierista dei Neon) passando per la Pordenone di Phabio Zigante (tra i fondatori del movimento chiamato Great Complotto) e via dicendo.
di Luca Morettini
www.900letterario.it, 1° febbraio 2015 Gli altri ottanta di Livia Satriano
Gli altri ottanta (2014) è un viaggio raccontato dalla promettente Livia Satriano. Un viaggio percorso a ritroso, con la memoria, immortala un’epoca attraverso i racconti dei protagonisti della scena musicale underground. L’approccio narrativo scelto dall’autrice consente al lettore di ripensare quel decennio ben oltre i lustrini e l’edonismo commerciale.
Il titolo non a caso richiama gli altri ottanta, l’altra faccia della medaglia di un’epoca, raccontata attraverso quattordici testimonianze raccolte dalla Satriano con l’approccio di una cronista e così facendo offre al lettore inediti scorci di vita sociale e di vita personale. In Gli altri ottanta la colonna sonora è senza dubbio la rivoluzione punk e il post-punk italiano. Nella trama sottile di questi racconti non emerge la fastidiosa autoreferenzialità ma narrazione sincera. Il testo risulta immediato, merito anche delle numerose foto e locandine che consentono di immergersi in quegli scenari, nell’humus di quello spleen sospeso tra innovazione e sperimentazione, con l’ebbrezza che solo la giovinezza spavalda, irriverente e spettinata può generare.
“Vorrai mica che ti parli degli anni ottanta?”. Inizia così il primo contributo firmato Freak Antoni, leader degli Skiantos. Le voci che si incontrano nelle pagine de Gli altri ottanta sfatano i numerosi e ricorrenti luoghi comuni e allo stesso tempo Livia Satriano riesce ad evitare la noiosa operazione revival. Ciò che la giovane autrice realizza in Gli altri ottanta è la raccolta inedita delle testimonianze storiche avvalendosi della musica come lente e chiave di lettura socio-antropologica da non sottovalutare.
Emerge il ritratto di una generazione sulla quale molto si è scritto ma forse poco è stato compreso, a causa di quello snobbismo intellettualoide che ha fatto di quegli anni uno stereotipo sdoganato. Infatti proprio sugli anni ’80 resta ancora un punto di domanda e un irrisolto che meriterebbero a mio avviso di essere snodati, per comprendere l’eco che condiziona il presente.
In una sorta di canovaccio a più mani in Gli altri ottanta si intrecciano le linee generali di un periodo ma preservano come epicentro la nascita di un nuovo approccio alla musica rock. Gli anni ‘80, infatti, non sono stati soltanto quelli del culto dell’ottimismo e del consumo a tutto campo, della ‘Milano da bere’ e della musica dance. Il decennio compreso tra la fine degli anni ‘70 e la fine degli anni ‘80 è stato, in primo luogo, un periodo di grandi cambiamenti e di profonde contraddizioni. Sono proprio gli anni di quel meraviglioso Week-End Postmoderno firmato Pier Vittorio Tondelli e della fauna cresciuta all’ombra degli anni di piombo e del nuovo boom economico. Questi ultimi hanno determinato il cambiamento dei contenuti di una intera società e dei suoi miti culturali, anche e soprattutto alternativi e di subcultura.
Gli altri ottanta non è un testo per nostalgici o estimatori di quel periodo, o meglio non solo, è un testo per chi è mosso da curiosità. Così Livia Satriano preferisce affidarsi ai racconti dei diretti protagonisti nonché testimoni privilegiati. Passa in rassegna il rock “demenziale” e provocatorio degli Skiantos, le influenze punk-wave dei CCCP, la wave cantautorale dei Diaframma… Sintomo di quanto anche nei giovani italiani si era diffuso un senso di insofferenza che andava di pari passo con una forte e sentita necessità di cambiamento.
Negli ‘Anni di Pongo’ (cit. Freak Antoni) una delle Muse oltre che centro di ‘gravità permanente’ è stata Bologna e il Dams, le uniche sedi in grado di raccogliere la smania giovanile che si respirava nell’aria, come non ricordare Andrea Pazienza. Seguirono Firenze e le province italiane, fino ad investire tutta la penisola con una fitta rete underground. Gli altri ottanta di Livia Satriano consente di ripensare, a sangue freddo, a quel controverso momento storico e musicale in cui le possibilità sembravano infinite, all’insegna della creatività e di quel nomadismo alla Derrida. Le pratiche di quegli anni si traducono in rituali elettronici, senza alcun sentimentalismo o ideologia dal retrogusto amaramente sessantottino: è il Postmoderno. Quel macrocosmo che racchiude l’uomo tardomoderno, costrutto della spersonalizzazione propria della odierna società dei consumi.
La fauna anni ’80 è archetipica delle categorie sociali ampiamente stereotipate. I contorni della realtà si dilatano sotto l’effetto di luce a neon che crea una dimensione surreale, fittizia e destabilizzante. Si resta ingabbiati in questa luccicante quanto mai asettica realtà, valutazioni artefatte e resta un’incognita. Si dispiega un orizzonte agli antipodi, quasi stessimo parlando d’altro, non di quegli anni. Ecco l’altro volto della stessa medaglia, attraverso una spirale di episodi, di storie che si intrecciano con altre storie, di apnea cognitiva che caratterizzano Gli altri ottanta.
Tutto in Gli altri ottanta richiama il “vuoto pneumatico” di postmoderna memoria, di tutti coloro che non trovavano il baricentro in se stessi e che allo stesso tempo con purezza emotiva coltivavano il sentimento dell’amicizia e dell’amore in modo sincero e ingenuo per la musica. L’amore, appunto, senza sfumature ma nella sua veste più devastante e assoluta, sembra l’unico sentimento in grado di redimere e che esercita una cura catartica alla realtà. Il bisogno costante di viaggiare, di cercare nell’altrove nuovi stimoli e soprattutto il bisogno di dimenticare il grigiore e l’indifferenza che ha circondato quella ‘strana generazione’, in nome di esperienze che potessero fare sentire loro che esistevano.
Livia Satriano è abilissima nel non s-cadere nell’autocompiacimento, nella retorica che redime il passato solo perché ‘si stava meglio quando si stava peggio’ o nell’odierno sdoganato fenomeno Hipster. Al contrario, il suo stile rispetta la vocazione del narrare con lucido realismo e con la consapevolezza che tutto fugge, finisce e muta, senza troppi piagnistei, sia chiaro.
di Patrizia Sergio
Il Foglio, 16 dicembre 2014 Stato della musica
[…] Perché, anche in passato certi notabili movimenti musicali cominciarono così, presi sottogamba, disprezzati dal mercato ufficiale. Negli anni Ottanta, ad esempio. Lo racconta, registrando le testimonianze offerte in prima persona dai protagonisti di quella scena, Livia Satriano, in un libro utile e divertente: Gli altri ottanta. Federico Fiumani, Lalli, Fausto Rossi, il povero Freak Antoni e tanti altro, raccontano com’è cominciato, come si è sviluppato e cos’ha inventato quel percorso fatto interamente di musica, che ha segnato la loro vita. Satriano indaga con puntualità e curiosità archeologica quelle storie, quelle parabole e quegli incroci. E ci ricorda che c’è sempre stata un’altra Italia musicale. Un po’ in ombra, difficilmente legittimata, eppure circondata da passioni brucianti, prodotte dall’insostituibile sentimento del sentirsi rappresentati.
di Stefano Pistolini
www.rosaselvaggia.com, 24 novembre 2014 Gli altri Ottanta. Livia Satriano
Si moltiplicano sempre di più i libri dedicati alla scena oscura italiana.
Agenzia X, dopo aver pubblicato Creature simili che ci offre una panoramica della scena alternativa milanese, stampa Gli altri anni ottanta di Livia Satriano opera dedicata alla new wave italiana.
Livia Satriano ha già pubblicato altri libri: No Wave, Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax, e ha curato l’antologia No! Contaminazioni no wave italiane. L.S. nata nel 1987 e quindi, per via della sua giovane età, non ha vissuto di persona questo periodo, ha raccolto le testimonianze di alcuni musicisti dell’epoca che, 30 anni dopo, ci rifanno vivere grazie alle loro parole l’atmosfera della scena musicale degli anni ottanta.
Riviviamo quell’epoca grazie alle parole di Federico Fiumani (Diaframma), Johnny Grieco (Dirty Action), Massimo Zambon (CCCP), Marcello Michelotti (Neon), Christina Moser (Krisma), Giancarlo Onorato (Underground Life), Fausto Rossi, Roberto “Freak” Antoni (Skiantos), Marco Bertoni (Confusional Quartet), Carlo Casale (Frigidaire Tango), Aldo Chimenti (Moda), Giorgio Lavagna (Gaznevada), Marinella “Lalli” Ollino (Franti), PHabio Zigante (Great Complotto/Hitler SS, Andy Warhol Banana Technicolor, XX Century Zorro).
Il libro è molto interessante in quanto ogni artista ci racconta la sua esperienza e tramite questa ci rendiamo conto di come a quell’epoca, gli anni ottanta, non era così facile essere alternativi e quindi “diversi”.
Molti hanno mitizzato gli Ottanta ma dopo aver letto queste pagine ci si rende conto che molte cose sono solo leggenda. In quegli anni non era facile suonare un certo tipo di musica in Italia.
Molto interessante è anche la parte finale di Gli altri anni ottanta . Si tratta di una raccolta di documenti tratti da riviste, libri e fanzine d’epoca. Consigliato l’acquisto!
di Nikita
riservaindie.blogspot.it, lunedì 6 ottobre 2014 Gli altri Ottanta. Livia Satriano racconta la galassia post punk in Italia
Ciao Livia, parliamo del tuo Gli altri ottanta. Racconti dalla galassia post punk italiana. Quando hai avuto l’idea del libro e come hai strutturato la narrazione?
L’idea è venuta parlandone assieme ad Andrea Scarabelli, sulla linea di un altro volume che aveva curato per Agenzia X, Suonare il paese prima che cada. In quel caso si trattava di racconti orali di musicisti italiani degli anni 00. Abbiamo pensato potesse essere interessante fare qualcosa di simile, ma focalizzando l’attenzione sugli anni 80. Gli altri ottanta è un libro essenzialmente narrativo, composto da 14 racconti in presa diretta. Tutte interviste che ho fatto e che ho poi trascritto ed editato, cercando sempre di mantenere la spontaneità e peculiarità di ogni singolo racconto.

Che scena era quella post punk italiana degli anni 80? C’erano differenze tra le varie realtà locali italiane? C’erano scene più politicizzate di altre?
Anche in Italia la rivoluzione del punk diede i suoi frutti, instillando in molti giovani la smania di fare qualcosa di nuovo e diverso rispetto a tutto quello che era già stato fatto. In musica questo si è tradotto anche in un nuovo approccio alla musica rock, che ha dato vita a esperienze fatte spesso di contaminazioni: l’elettronica che incontra il punk (penso alla musica di Krisma e Neon), un cantautorato “rock” come quello dei Diaframma… Fu un periodo di sperimentazioni, ma soprattutto di grande aggregazione giovanile. L’inizio di tutto, soprattutto in una città come Bologna, si mescolò alle istanze del Movimento del ‘77, quindi è naturale che di base vi fosse anche una forte spinta ideologica. Come mi raccontava Freak Antoni, “la politica in quegli anni pervadeva tutto e anche chi non ‘faceva politica’,paradossalmente, stava compiendo un gesto politico.”

Nel libro dici che “Non furono anni di piombo ma semmai anni di pongo”. Come mai questa definizione?
Non sono io a dirlo, ma Freak Antoni. È una definizione che mi ha colpito molto ed è per questo che ho intitolato il suo racconto proprio “Anni di pongo”. Il pongo è una materia plasmabile e perciò molto più adatta, secondo lui, a disegnare il percorso di quel periodo. Un periodo con mille sfumature e in continua evoluzione.

La musica di quel periodo sembra vivere una seconda giovinezza oggi. Penso ai CCCP sempre più “riscoperti” dai giovanissimi o da Fiumani che è un po’ il papà di tutta la scena indie attuale. Cosa manca alla musica degli anni zero per far nascere nuovi “eroi”?
Bella domanda, ma credo sia ancora presto per dirlo. Chissà che fra trent’anni non si parli negli stessi termini di artisti dei giorni nostri. Certo una differenza fondamentale sta nel fatto che la musica degli anni zero è una musica che spesso guarda indietro, una musica che cita, ripropone, quella “retromania” che sembra appartenere un po’ a tutte le epoche, ma che in dosi maggiori permea la nostra. Fra il finire dei settanta e l’inizio degli ottanta sembrava ci fosse una tendenza opposta, le cose vecchie venivano ripudiate e lo slancio verso il nuovo era totale. E forse proprio questo è stato il segreto della longevità di molta di quella musica.

Gli anni 80 erano un’epoca senza internet e wi-fi e i “social” virtuali di oggi erano sostitutiti dalle fanzine di carta. Cosa ne pensi di questa “evoluzione”? Una webzine ha lo stesso “peso” di una fanzine? E se negli anni 80 al posto dei vinili ci fossero stati file mp3 si sarebbe comunque sviluppata la scena post punk italiana?
Non credo si tratti di una questione di formato della musica, bensì più di una questione di effettivo coinvolgimento delle persone e sicuramente l’epoca attuale tende un po’ a scoraggiare questo tipo di interazioni. Siamo sempre più soli e travolti da mille stimoli diversi che talvolta selezionare e trovare del buono da una massa di imput diventa un’impresa veramente difficile. Una webzine ha potenzialità incredibili perché in teoria è disponibile sempre, ovunque e per tutti, ma bisogna poi capire quanto effettivamente di questo serva a coinvolgere le persone. Tuttavia non credo di essere forse la persona più giusta a esprimere un mio parere in merito, avendo avuto io, per una questione anagrafica, la possibilità di confrontarmi solo con uno dei due lati della medaglia. Molte scene sottoculturali sono nate e si sono sviluppate anche grazie e in funzione dei nuovi mezzi di comunicazione digitale quindi non credo che quello che è successo allora non sarebbe comunque potuto accadere anche oggi. Certo le modalità e i presupposti sarebbero stati diversi...

Il contributo di molti artisti al tuo libro è fondamentale. Hai incontrato molti personaggi che ancora adesso sono icone. C’è qualcuno che ha provato “fastidio” per essere stato interpellato sul suo passato anziché sul suo presente?
No, non è mai successo. Si tratta per lo più di persone che hanno ancora oggi un forte legame con la musica. Essa è comunque parte della loro vita, a diversi livelli, perciò parlarne non è stato un fastidio per nessuno. Tanto più che si è trattato sempre di affrontare un discorso più ampio, in cui il confronto e il dialogo con il presente erano costanti e inevitabili.

Che idea ti sei fatta degli anni ottanta? Potessi portare qualcosa di quegli anni in questo periodo cosa sceglieresti?
I racconti del libro e le chiacchierate che ho fatto con i musicisti coinvolti nel volume mi hanno sicuramente offerto uno spaccato abbastanza etereogeneo di quegli anni. Non credo ci sia qualcosa di preciso di quel periodo che vorrei con me nel presente, se non forse quel senso di sorpresa nella scoperta di cui molti mi hanno raccontato. Imbattersi in qualcosa per la prima volta senza avere già delle idee a riguardo, mettere un disco sul giradischi e non sapere in alcun modo cosa ti aspetterà. Essere una tabula rasa e lasciarti stupire ed entusiasmare dalla scoperta di qualcosa di nuovo che sta accadendo proprio in quel momento. Questo sì, mi piacerebbe.

Prima di chiudere vorrei ci parlassi un po’ anche del tuo precedente libro No Wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax.
Si, si tratta di un saggio e perciò è un volume molto diverso da quest’ultimo. Tutto è nato dalla mia tesi di laurea sulle sottoculture musicali nella New York di fine anni 70. Da lì è venuta l’idea di parlare della no wave, una scena/non-scena musicale e artistica, di cui in italiano non vi erano ancora trattazioni esaustive. Si parla quindi di musica, con le band di “No New York”, ma anche di arte e di cinema d’avanguardia. Inoltre, molte erano state le connessioni fra la scena underground newyorchese di quegli anni e l’Italia: influenze musicali, ma anche effettivi contatti, incontri e scambi fra musicisti ed artisti americani e italiani. Aspetti storici e sociali che mi sembravano interessanti da raccontare in un volume che non fosse così un semplice saggio musicale.
di Maurizio
www.gagarin-magazine.it, 24 settembre 2014 La new wave italiana, nero su bianco
L’onda lunga di riscoperta degli anni ’80 dura ormai più degli ’80 stessi, segno che qualcosa di buono c’è stato anche nel decennio paradigma della superficialità. Due libri di recente pubblicazione tentano di raccontare cosa successe in quegli anni nel sottobosco musicale italiano.
Gli altri ottanta – racconti dalla galassia post-punk italiana, di Livia Satriano, affida alle voci dei protagonisti dell’epoca il racconto: interviste a nomi noti (Freak Antoni, Massimo Zamboni, Federico Fiumani) e meno noti (Carlo Casale, Marco Bertoni) ottimamente postprodotte e trascritte in forma di flusso di coscienza e senza domande, quasi fossero confessioni, così da esaltare il carattere dell’artista e far godere al lettore la sfrontatezza di Christina Moser, la timidezza di Massimo Zamboni, la tracotante boria di Giancarlo Onorato.
In alcuni rari casi si intuisce che le interviste sono state svolte via mail togliendo fluidità e senso allo scritto, l’opera comunque si distingue per l’eleganza della forma, linguistica e strutturale.
La teoria che sembra legare le quattordici testimonianze è che tutti i protagonisti, anche i meno conosciuti, hanno continuato a lavorare nel mondo musicale o vi sono tornati proprio per la rinata attenzione al periodo. In definitiva si tratta di un’ottima introduzione ad un’epopea ancora sconosciuta ai più. Niente di nuovo invece per quelli che ne conoscono ogni virgola ma, immaginiamo, gioia ed emozione nel leggere cose imparate negli anni sulle note di copertina degli album e poi sulla rete. Una conferma per l’autrice che, seppur molto giovane, si era già fatta conoscere per l’altrettanto ottimo No Wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax.
di Gianmarco Pari
Rumore, settembre 2014 Livia Satriano. Gli altri ottanta
Voto 7/10
La frase: “Non furono anni di piombo, come sostengono molti storici, giornalisti e revisionisti: furono, semmai, degli “anni di pongo’.”
Generosa e appassionata narratrice di anni altri, quali gli anni Ottanta, passati a furor di popolo per quanto hanno dato sul versante simbolico, se non proprio del cliché nudo e crudo, Livia Satriano torna sul luogo del delitto. Dopo aver compilato con cura il volume No Wave. Contorsioni e sperimentazioni dal CBGB al Tenax per Crac edizioni, decide in novella veste di dedicarsi anima e corpo alla scena italiana, mettendosi da parte per fare intonare le voci aItrui. Nel volume troviamo contributi di Roberto “Freak” Antoni, Marco Bertoni, Carlo Casale, Andrea Chimenti, Federico Fiumani e molti altri protagonisti e viandanti di quei movimentati anni. Penna in mano, luce accesa sui fatti e i ricordi in primo piano, moiti dei presenti ci si presentano con parentesi di scrittura a tratti inaspettate, sempre curiose e stimolanti. La folla che poi si affaccia, trasfigurata, in questi racconti, diventa una sorta di coro polifonico, nel quale si agitano medesime facce, solite vicende, epifanie dentro e fuori le parentesi. Bello sarebbe domandarsi anche oggi le miserie e le fortune dei nostri anni, riportandoli al futuro in maniera organica. Gli altri Dieci. Ma è probabile il mondo musicale, oltre a stare per i fatti che lo compongono, significhi anche la maniera in cui questi vengono sentiti, o ascoltati. In ogni caso lettura agevole, che piace e appassiona.
di Daniele Ferriero
rockit.it, 21 agosto 2014 Gli altri ottanta
Livia Satriano ha un’ossessione. Magnifica: i primi anni ’80 e la fine dei ’70, ovvero il periodo in cui tutto del rock si avvia la ricostruzione da parte del post-punk. Ecco quindi questo lavoro dedicato alla new wave di casa nostra, attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti. Colpiscono il senso quasi religioso e messianico con cui veniva vissuta la dedizione alla musica, lo scontro con i fans della tradizione, il rapporto col pubblico completamente differente da quello di oggi, la curiosità di quest’ultimo verso ciò che non è banale, la tradizione rock “altra” ed “eretica” cui si rifacevano i padri del nostro post punk, la loro capacità di essere in una certa misura originali rispetto ai modelli e per questo apprezzati all’estero. Come snobbati dalla maggior parte della discografia nostrana. In questo le cose non cambiano. Acquisto e lettura consigliatissimi.
di Renzo Stefanel
nazioneoscura.wordpress.com, 21 luglio 2014 Tracce sonore: Livia Satriano – Gli altri ottanta
Ecco una interessante anomalia nel panorama di scrittori di nuova generazione dediti a sondare il panorama musicale. Anomalia, perché Livia Satriano nasce una decina di anni dopo l’esplosione dei generi musicali di cui parla nei suoi saggi. Interessante, perché lo fa con passione, acume, senza retoriche revivalistiche e affrontando il tema con una trasversalità che rende le pubblicazioni sempre avvincenti. Se nel primo suo scritto parlava di no wave, in tutte le sue molteplici sfaccettature, fra contorsionismi musicali, DNA squilibrati e artisti marziani, qui si rivolge ai massimi esponenti della new wave nazionale chiedendo loro di raccontare la propria storia.
Fra curiosi aneddoti, storie personali, fatiche giornaliere e successi a volte insperati ma fortemente voluti, i quattordici intervistati raccontano uno spaccato di quel movimento artistico/culturale che dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, la bontà, la freschezza e la ricchezza di idee che circolavano nella penisola in quegli anni.
Il libro è strutturato per capitoli, ma lo scollegamento fra gli stessi permette al lettore più curioso di saltare fra uno e l’altro senza perdere il filo conduttore di tutto. Tutti gli artisti a cui è stato chiesto il contributo hanno poi il pregio di non cadere mai nella facile retorica ma si raccontano e raccontano in maniera lucida quei periodi.
Uno degli altri pregi del libro è la scelta di far parlare i protagonisti, asciugando nel testo le domande poste da Livia agli intervistati trasformando la chiacchierata in un proprio racconto/spaccato di vita.
Ciliegina sulla torta sarebbe stato il contributo di Oderso Rubini, non un musicista ma uno dei principali agitatori, che con la sua Italian Records permise a molti di fare il salto di qualità pubblicando tutto quello che c’era di interessante e nuovo. Ma questo è l’unico appunto di una pubblicazione davvero coinvolgente, sincera, esaustiva. Si passa da Freak Antoni a Giancarlo Onorato, da Federico Fiumani a Giorgio Lavagna, da Marco Bertoni a Massimo Zamboni praticamente il gotha del post punk italiano. E ogni storia/contributo è sempre interessante e avvincente.
Edito da AgenziaX lo si trova facilmente in tutte le librerie. La passione con cui Livia Satriano scrive merita sicuramente una lettura. E quindi, buona lettura estiva, non ve ne pentirete. E magari informatevi sulle sue serate in giro per l’Italia per presentare questo suo libro, altrettanto coinvolgenti.
di massimo ODRZ
www.dudemag.it, 13 luglio 2014 Gli altri ottanta. No more heroes
Ciao Livia, questa è una chat. Siamo nel 2014, ok?
Ok, ci sono.

Questa è un’occasione unica per far sapere a tutti che hai a che fare anche con l’attualità. Non so, parlami di “smartphone” o “social media planning”, sono i termini più gettonati.
In realtà chi mi conosce sa che sono un po’ nerd. Di solito sono quella che conosce siti e applicazione mai-sentite che ti salvano la vita e che riesce a trovare sul web cose che altri invano si erano dannati a cercare. Uso il computer da quando avevo esattamente sei anni e ho avuto il mio primo Mac a dodici. Che dici, può bastare?

Ho iniziato a leggere Gli altri ottanta credendo di avere a che fare con un saggio sulla scena musicale underground di quel tempo, invece mi sono ritrovato una vera e propria raccolta di racconti. Perciò i sottotitoli dicono anche la verità a volte?
Sì, il sottotitolo è assolutamente veritiero. Di solito sono le fascette che traggono in inganno! (Mai fidarsi del “romanzo dell’anno”). Il termine “racconti” del sottotitolo sta proprio a indicare quella che è la peculiarità del libro ovvero il fatto di essere una raccolta di racconti in presa diretta di musicisti che hanno vissuto in prima persona gli anni ottanta.

Hai girato un bel pezzo d’Italia per incontrare i vari protagonisti dei quattordici racconti. Tolte Firenze e Bologna, che sono state senza dubbio le nostre capitali post-punk, c’è un luogo o un locale che ti ha fatto pensare «ok qui gli anni ottanta sono ancora vivi»?
Ahah allora ti dico i giri che ho fatto: tre volte Firenze, Lago Maggiore, Arezzo, Bassano, due volte Bologna, Brianza, Pordenone e, per finire, provincia di Livorno. Pordenone non scherzava! Non c’ero mai stata prima, mi ha colpito molto ed è stato divertente visitare il centro storico e i luoghi del “Great Complotto” in compagnia di Miss xoX. Complice forse anche il clima uggioso di un pomeriggio di novembre, ma il bar dove ci siamo fermati per l’intervista, alcuni negozi e parecchie architetture del centro mi sono sembrati davvero di un’altra epoca… Un’atmosfera a metà fra décadence crucca e provincia operaia italiana di un po’ di decenni fa. A suo modo affascinante.

Senza nulla togliere agli altri, mi è piaciuta molto la testimonianza di Marinella Ollino. Mi hai fatto ricordare una cosa che avevo completamente rimosso: quando ero bambino questa canzone mi faceva piangere di brutto. Era in qualche cassetta di qualche zio. Non riuscivo a fare a meno di ascoltarla, anche se ovviamente non capivo quasi nulla del testo!
L’incontro con Marinella “Lalli” è stato molto emozionante anche per me. Lei è una persona adorabile ed è stata molto carina ad accogliermi nella casa in cui si trovava in toscana, vicino Livorno. Adesso è da poco tornata a Torino. Presenterò il libro lì con lei, a ottobre. Il quadro che emerge dal suo racconto è molto interessante, è il suo punto di vista sulla storia dei Franti, ma è anche il punto di vista di una “voce fuori dal coro”. Inoltre è una delle due testimonianze femminili presenti all’interno del volume (assieme a quella di Christina Moser dei Krisma) e racconta bene l’esperienza di una donna all’interno di un mondo, come quello della musica di quegli anni, essenzialmente dominato da uomini.

Questo tuo interesse per gli anni ottanta, ha qualche legame freudiano anche con la tua infanzia o ci sei arrivata in un altro modo?
Bè sì negli Ottanta ci sono nata, questo è l’unico punto di contatto. Ma quando sono nata io, nel 1987, quel fermento di cui si parla nel libro era quasi già bello che finito, o comunque si andava incontro a un’altra epoca. Mi fa sorridere quando la prima domanda che mi fanno è: «Come mai hai deciso di parlare degli anni ottanta se sei “così giovane” e sei nata nel 1987?» Alla fine non considero il lavoro che ho fatto con i miei due libri molto diverso da quello di uno storico dell’arte che decida di parlare di, che so, Giotto. È una ricerca, punto. Nessuno si pone tante domande sul perché lo storico dell’arte abbia deciso di parlare di Giotto nonostante non sia vissuto nel Trecento!

Il libro è dedicato a Freak, sei stata tra le ultimissime persone a intervistarlo. Ti va di raccontarci qualche aneddoto di quando lo hai incontrato?
L’incontro con Freak lo ricordo davvero con affetto. A differenza degli altri, fino all’ultimo non sapevo se ce l’avrei fatta o meno a intervistarlo. Dopo esserci sentiti telefonicamente l’ho incontrato a Bologna durante un evento in onore di Francesca Alinovi, lui era lì per leggere dei testi. A fine serata mi sono presentata e ho cercato di fissare un appuntamento per il giorno successivo, ma lui continuava a scherzare facendo la parte di quello evasivo che non voleva darmi un orario preciso. Alla fine, vedendomi in apprensione, mi fa: «Facciamo domani verso le 19?» Io, per non rischiare, gli ho subito detto «Ok!», ma in realtà il giorno dopo avevo il treno per Milano in mattinata. Così ho dovuto cambiare il biglietto del treno, ma soprattutto sono stata tutto il giorno in giro per Bologna vagando letteralmente senza meta, in attesa che si facessero le 19. La ricordo come una situazione buffa, ma ne è valsa la pena. Il libro non sarebbe stato lo stesso senza di lui.

Senti, dimmi la verità. Non ti annoia ogni tanto parlare di musica? Voglio dire, nei panni di Livia l’esperta di musica di culto. Per esempio ora io sto ascoltando un semplicissimo Lucio Dalla. Avanti, sfogati: dicci che stai ascoltando un disco che ha venduto più di 1000 copie!
Mah, ti dirò, mi annoia di più sentire “Livia, l’esperta di musica anni ottanta”. È naturale che le persone tendano a identificare qualcuno con quello che fa e se ho curato due libri sullo stesso periodo, automaticamente divento “l’esperta” di quel periodo. Ti contattano dando per scontato che tu ascolti soltanto musica di quegli anni o, peggio ancora, che tu sia un fanatico del genere. Io sono esattamente l’opposto, sono una persona estremamente curiosa che ama ascoltare di tutto e sono tante e diverse le cose che apprezzo. Non mi pongo mai limiti in questo senso, mi può capitare di andare in fissa per un album di cantautorato italiano anni settanta che non conoscevo o per un pezzo sperimentale recente che ascolto per caso su un blog.

Di sicuro parlare troppo di musica ha avuto qualche ripercussione su di te: ora stai facendo parlare le canzoni! Raccontaci cos’è Talking Songs.
Sì, è l’ennesimo blog che metto su. Prima o poi i miei blog mi seppelliranno. Dunque Talking Songs nasce da un’idea molto semplice: quella di mettere in connessione fra loro le canzoni, senza che queste debbano per forza avere dei link in termini di stile o altro. Mi sono accorta che spesso mi capitava di leggere il titolo di una canzone o di ascoltare un pezzo e automaticamente mi venivano in mente altri brani che avevano un nome simile, o il cui titolo rimandava a uno stesso concetto. Da lì a farle dialogare fra loro in botta e risposta il salto è stato breve. Quindi su Talking Songs potete trovare Piero Ciampi che dice “Un giorno o l’altro ti lascerò” e Patty Pravo che commenta “Non andare via” o gli Smiths che chiedono “How Soon is Now” e i Throwing Muses che rispondono “Not Too Soon”. Bene, dopo questa direi che potete chiamare la neuro.

Ahah, ok. Ciao Livia, grazie!
di Edoardo Vitale
www.mangialibri.com,2 luglio 2014 Gli altri ottanta
Gli anni ‘80 vengono catalogati spesso con tag affini all’edonismo sfrenato e alla competizione degli yuppies (vi ricordate la Milano “da bere” dello storico spot dell'amaro Ramazzotti?). Da questo saggio della giornalista e critica musicale napoletana Livia Satriano non sembrerebbero però essere le caratteristiche più pregnanti della musica italiana di quella decade. Il pop fatto di tastiere e spalline con paillettes viene infatti affiancato da un movimento musicale underground che ha al suo interno scintille catalizzatrici, sperimentazioni e innovazioni paragonabili a quelle del beat ‘60 e del glam ‘70. “Un viaggio alle origini di quello che è stato definito il ‘nuovo rock italiano’, una nuova e più articolata via per il rock, figlia della rivoluzione del punk”…
La scelta stilistica è stata quella della testimonianza diretta, e quindi si è preferito far parlare i protagonisti più o meno noti di quella rivoluzione che ancora oggi illumina la strada di molte band. Fra gli intervistati, il compianto Roberto ‘Freak’ Antoni degli Skiantos, Marco Bertoni dei Confusional Quartet, Carlo Casale dei Frigidaire Tango, Federico Fiumani dei Diaframma, Christina Moser dei Krisma e Massimo Zamboni dei CCCP. Quello che esce da queste testimonianze è un ritratto variegato del sottobosco non ufficiale e proto-indie di quegli anni. Scopriamo che molte delle spinte innovative artistiche erano connesse ai centri di cultura (Bologna in primis), alla politica (il Movimento) o a ispirazioni da altri mondi (il misticismo indiano o la cybercultura nascente). Il quadro complessivo trasmette un’energia che oggi sembra scemare, dato il mood cupo post-crisi in cui siamo sommersi. Molti dischi storici delle band di quegli anni sono nati più grazie all’abbondanza di idee che alla sostanziale presenza di mezzi. Una lezione da tenere bene a mente, che potrebbe essere d’aiuto anche agli artisti contemporanei. Da leggere.
di Marco Braggion
Il Mucchio selvaggio, luglio 2014 Livia Satriano. Gli altri ottanta
Forse, per sgomberare il campo dai luoghi comuni che accompagnano gli anni 80, occorre ricordare ciò che scrisse cinquant’anni prima Paul Nizan in Aden Arabia: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questo è il periodo migliore della vita”. Suoni, contesti, quando è necessario cambiare. Anteprima dal 1976: ci si mescola, ci si butta nell’inedito, Radio libere con passionali dibattiti, centinaia di fanzine che nascono. La Satriano assembla 14 interviste ai principali protagonisti del “nuovo rock italiano”, dando risalto a stili di vita sottoculturali e agli articolati percorsi rock di allora. E fa piacere leggere che nessuno degli intervistati riesamina in modo retorico quegli anni. Ma c’è un azzeccato botta e risposta generale in cui appare prioritaria la vera sfida da affrontare: quella sul terreno della comunicazione e dei linguaggi. Una stagione forse irripetibile, perché in perenne movimento.
di Massimo Pirotta
Blow Up, luglio-agosto 2014 Livia Satriano. Gli altri ottanta
Dopo il bel saggio sulla no wave edito nel 2012 dalla Crac, Livia Satriano continua le sue indagini su scene musicali non vissute direttamente – l’autrice è del 1987 – ma certo affrontate con genuino interesse, approccio analitico e una salutare dose di trasporto emotivo. L’argomento è ora l’alba della new wave nazionale e il taglio è quello dei racconti in prima persona, ricavati da interviste realizzate allo scopo, a quattordici pionieri: racconti avvincenti che si snodano tra spiegazioni dei fatti, aneddoti e statement, illuminando sui percorsi di Skiantos, Faut’O, Gaznevada, Confusional Quartet, Krisma, Diaframma, Franti, Underground Life, CCCP-Fedeli alla linea e altri. Nessuna agiografia e tante verità preziose per comprendere lo Zeitgeist spesso frainteso di “quegli anni importanti”.
di Federico Guglielmi
www.rockit.it, 25 giugno 2014 Gli altri anni ottanta. Intervista a Livia Satriano
Ho conosciuto Livia Satriano qualche anno fa. Era in televisione a parlare di No Wave, su Rai5, dopo l’uscita del suo primo libro. Una cosa che esattamente non capita tutti i giorni. Mi ha incuriosito molto e le ho chiesto di collaborare, anzi, di regalarmi qualche playlist matta per Quasi. Finora ne ha fatte due che valgono oro e una l’ho dedicata alla sua ultima pubblicazione, un libro di testimonianze sugli anni del post punk italiano, direttamente dalla voce dei suoi protagonisti, tra cui Freak Antoni, Federico Fiumani, Massimo Zamboni, Andrea Chimenti, Christina Moser, Carlo Casale, Lalli e molti altri, dal titolo Gli altri ottanta. Puntuale come le tasse, chiamo Livia alle 14.30 per farmi spiegare come le è venuto in mente di diventare la giovane saggista underground più famosa d’Italia. Mi chiede se mi è arrivata la copia di Gli altri ottanta. Ancora no, l’ho letto in ebook.
Pensa che è arrivata prima a Parigi che in Toscana…

Già. Ci starebbe un dissing contro Posteitaliane ma noi siamo gran signori. Cominciamo. Io mi sono sempre interessato di band, quindi il percorso che porta a formare un gruppo, a suonare in giro ecc. lo conosco bene. Invece mi incuriosisce il motivo per cui una ragazza decida non di suonare, non di scrivere romanzi, ma di pubblicare saggi sull’underground.
È successo in realtà tutto molto per caso. Amo la musica di un certo tipo e questa passione mi ha portato a fare una tesi di laurea che parlava di sottoculture musicali. Da lì sono stata contattata da Crac Edizioni che mi ha proposto di fare di questa tesi che trattava la No Wave un libro, dunque mi sono messa al lavoro su questa pubblicazione (No Wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax - Crac Edizioni, 2012) ed è venuto tutto il resto, consequenziale. Non ho sempre scritto di musica. Mi è capitato ed è stato molto bello. Poi questa passione ha avuto vari sviluppi e declinazioni ma è successo piuttosto per caso. In italiano, prima della mia, non esisteva nessuna pubblicazione che parlasse di No Wave ed era un argomento che mi interessava approfondire anche perché a livello mondiale non se ne era scritto molto, esisteva un solo libro. Mi piace molto l’aspetto del fare ricerca, più che dello scrivere in sé. Ricercare nel passato tra esperienze musicali, ma anche cinematografiche, artistiche a 360°.

Quindi non hai un background di giornalista musicale o blogger?
No, non mi ritengo una scrittrice musicale, sono una persona molto curiosa a cui piace approfondire cose che sono accadute nel passato.

Mi immagino l’emozione di trovarti di fronte alcuni mostri sacri che hanno fatto la storia, da Arto Lindsay a Lydia Lunch ma anche tutti quegli artisti italiani poco conosciuti che hanno cambiato il modo di suonare…
Decisamente. Ho avuto un percorso strano di ascolti che mi ha portato a conoscere, nei primi anni del liceo, prima il post punk inglese che i Beatles (ride), di conseguenza anche gli italiani della new wave. È stato divertente perciò tornare alle mie prime passioni, le prime esperienze che mi hanno interessata veramente.

Ti capisco, io ero uno di quelli che ha scoperto prima i Bauhaus dei Rolling Stones, per dire.
È fantastico. Da piccola ascoltavo i cantautori italiani, le cose che ascoltano mamma e papà, poi di colpo BOOM, grazie a internet mi si apre un mondo. Sarebbe stato più difficile scoprirlo in un’altra epoca senza l’aiuto di Youtube o di Google. Gruppi strampalati, ne ascolti uno e scopri che ce ne sono altri mille! Probabilmente all’inizio dei 2000 c’è stato un po’ un revival di sonorità wave. Magari leggevo l’intervista di una band che diceva di rifarsi ai Sound o agli Wire e m’incuriosiva andare ad ascoltare gli originali, che ovviamente il più delle volte erano meglio dei revivalisti.

È stato facile trovare una casa editrice? Come funziona il mondo dell’editoria indipendente?
Dunque io ti parlo della mia esperienza e posso dirti che non ho trovato molte difficoltà. Con il primo libro è successo grazie a internet. Avevo pubblicato la mia tesi di laurea su un portale che si chiama Tesionline ed è lì che sono stata contattata da un editore che mi ha proposto di scriverne un libro. Nel caso de Gli altri Ottanta, lo spunto è venuto dal primo libro perché è naturale che nel momento in cui si hanno già delle pubblicazioni alle spalle è più semplice essere poi contattati per nuovi progetti; ma credo che anche per chi inizi, con un po’ di buona volontà, con una bella idea e individuando quelle che sono le case editrici più adatte a quello che si ha intenzione di fare, si possa facilmente arrivare alla pubblicazione. Chiaramente io ti parlo del mio ambito, che è quello saggistico perché immagino che con la narrativa la questione sia un po’ diversa, ma in generale vedo che ci sono molte case editrici indipendenti in giro, specializzate a vari livelli e che offrono opportunità, e poi internet sicuramente aumenta la possibilità di farsi conoscere e di interagire. Bisogna solo avere le idee chiare su cosa si vuole proporre e a chi.

Ci si guadagna?
Da un progetto editoriale si può guadagnare anche qualcosa, certo, in base alle vendite o ad altre formule di contratto. Nell’ambito dell’editoria indipendente, si tratta più che altro di un contributo per il lavoro svolto, diciamo che non si rischia certo di diventar ricchi, ma poi in fondo non credo sia questo lo scopo primario di chi pubblica un certo tipo di cose. Parafrasando Zappa, we’re ‘not’ in it for the money.

Tornando agli incontri per il tuo ultimo libro (Gli altri ottanta. Racconti dalla galassia post-punk italiana - Agenzia X, 2014) come hai organizzato il lavoro? Interviste telefoniche oppure faccia a faccia?
Parte della bellezza di questo lavoro è stato proprio il viaggio per raggiungere i musicisti. Ho girato l’Italia, posti che non avevo avuto modo di visitare prima, tipo chessò, Pordenone, la patria del Great Complotto, oltre ad essere stata spesso a Bologna e Firenze, che sappiamo essere i centri propulsori del nuovo rock italiano negli anni 80. In generale prendevo il treno armata di registratore e taccuino ed andavo in loco per intervistare tutti questi personaggi che sono stai i testimoni del mio libro, che alla fine è una raccolta di racconti, è molto narrativo in questo senso. Non è un tipico saggio nel quale io parlo, ma sono loro, i protagonisti, che mi raccontano dei loro anni 80, della loro crescita, perché in quegli anni avevano la mia età, tra i 20 e i 30 anni.

Ho notato che hai proprio tolto te stessa dalla narrazione. Nessuna domanda, solo il fluire dei pensieri del protagonista…
Esatto, volevo fosse il più fluido possibile. Anche le mie domande non erano molto specifiche, erano volutamente ampie e generiche, volevo farli parlare il più possibile per raccogliere le loro emozioni ed impressioni su quello che si andava ad approfondire di quegli anni. In un certo senso sono dei flussi di coscienza che abbiamo definito “racconti orali” di quegli anni, fatti a me che fondamentalmente in quegli anni non c’ero, essendo nata nell’87 non potevo averli vissuti! È stata un’esperienza stimolante anche dal punto di vista personale.

Sei stata una delle ultime persone a poter intervistare Freak Antoni, ne è nato una sorta di testamento molto toccante.
Sicuramente è stato uno degli incontri che ricordo con più affetto. Ho superato molte traversie per incontrarlo, perché già non stava tanto bene di salute. L’inverno scorso Freak partecipava ad un reading, ci siamo conosciuti lì. Tra l’altro era la sera in cui veniva a mancare Lou Reed, mi ricordo questo dettaglio perché ne parlammo un po’. Ci siamo dati appuntamento per il giorno seguente a casa di una sua amica e mi ha lasciato la sua testimonianza, che per me è fondamentale per capire quegli anni, la realtà bolognese, quella italiana. Lui con gli Skiantos ha inaugurato un nuovo modo di fare rock, che poi è stato definito “demenziale”, ma allora era solo una nuova forma. In quegli anni era diffusa la tendenza a rifarsi a modelli esterofili, utilizzare l’inglese, invece lui ha fatto della lingua italiana una bandiera. Non l’italiano colto con i paroloni dei cantautori ma quello volutamente irriverente, semplice. Parlava di argomenti come la pastasciutta o i gelati, per criticare un certo tipo di cultura che si prende troppo sul serio. Il suo racconto l’abbiamo chiamato “Anni di Pongo” perché lui definisce così il passaggio tra i 70 e gli 80. Invece del piombo, il pongo descrive meglio quegli anni eterogenei, plasmabili, in movimento.

Gli anni del punk…
Certamente. Il punk in Italia è arrivato con i suoi tempi, qualche anno dopo rispetto alla sua nascita, e ha fatto tabula rasa di quel rock evoluto, del prog di fine 70, che probabilmente aveva ormai usato tutte le vie possibili. Il post punk, in questo senso, ha dovuto trovare per forza di cose una nuova via sulla quale costruire. Una ricerca verso nuove forme che ha avuto eco negli anni a venire. Sono nate le prime etichette indipendenti, le radio libere che hanno contribuito alla diffusione della cultura alternativa. Il post punk ha realizzato anche interessanti commistioni fra il rock e mondi, come l’elettronica o la disco, che con il rock poco avevano a che fare.

La scena indipendente di oggi come la vedi? Ti interessa o sei irrimediabilmente passatista?
La “musica indiE” come la definiva Fausto Rossi quando l’ho intervistato per il mio libro, marcando con ironia la ‘e’ finale... Sicuramente negli anni zero si è affermata una nuova scena musicale italiana, di varie declinazioni, dal cantautorato al rock alternativo, è palese. C’è un fermento, certo, però non so dove porterà. Non so se magari tra 20 anni si parlerà di questi musicisti, solo il tempo ce lo potrà dire. Quello che sappiamo è che però i dischi non si vendono più, che oggi la musica la si ascolta di fretta sul telefono o dalle casse del computer. La soglia di attenzione è calata a livelli paurosi. È bello che ci sia qualcosa, bisogna capire se avrà poi la forza di affermarsi nel tempo e di influenzare altre cose in seguito. Con internet si può dare ad una band mediocre la stessa visibilità di un’ottima band, creando un calderone nel quale è difficile poi dare l’attenzione giusta a ciò che di bello c’è, a causa della confusione, del sovrannumero. È interessante che con questo libro si sia sviluppata una sorta di riflessione anche su questo argomento. L’indipendente oggi sembra giochi a fare il piccolo mainstream, quando invece potrebbe sfruttare di più la possibilità delle nuove tecnologie per sperimentare, per rischiare un po’ di più. Tutti i musicisti che ho intervistato non hanno mai smesso di fare musica e hanno visto la musica stessa cambiare. Il modo di produrla e di fruirla si è trasformato nell’arco di questi 30 anni, quindi di fronte alle nuove tecnologie, che trovano quasi tutti favorevoli, c’è sempre un però. Quello che traspare dai loro racconti è che forse adesso manca un po’ di quell’ingenuità, si parla di un tempo in cui tu venivi a sapere da un tuo amico che esisteva un disco assurdo perché magari lui era stato a Londra e lo aveva trovato rovistando in un mercatino, allora lo cercavi ovunque fino ad ottenere una copia e poterla passare agli amici. Oggi si condivide tutto ma la forma della condivisione è diversa. Il periodo era diverso, c’era una forte connotazione politica in tutto ciò che si faceva e alla crisi si rispondeva con la contestazione giovanile.

Io che sono un po’ più vecchio di te, ho vissuto gli ultimi vagiti di quell’era in cui si prendeva il treno per andare, nel mio caso, a Firenze da Contempo Records per cercare quel vinile trasparente in 100 copie che c’era solo lì, quindi capisco bene. Il disco si leggeva come un libro, si mandavano a memoria persino i “grazie”. Ma tu negli anni 80 eri una neonata. Cosa ti spinge ad interessarti così tanto di epoche che non hai vissuto? Mi spiego, anche il tuo progetto visivo, il blog Assez Vu, riguarda il recupero di immagini di un altro tempo.
Eh, a questa è difficile rispondere (ride). Magari semplicemente nel presente uno non trova stimoli particolari e quindi si rivolge al passato. La musica nuova è sempre una scoperta, però ci sono anche un sacco di cose del passato che non conosciamo o che conosciamo poco e vale la pena di scoprire. Mi piace ricercare cosa c’è dietro cose che si danno per scontate, perché a volte vi si trovano esperienze bizzarre, strane, link a epoche che non immagineresti. Non è che rifiuti il presente eh, però diciamo che mi piace anche approfondire cose belle che magari sono passate un po’ in sordina e che il più delle volte hanno dato vita a qualcos’altro.

In qualche modo i tuoi libri contribuiscono alla scolarizzazione riguardo la controcultura, parlano di argomenti che incredibilmente non sono mai stati trattati su pubblicazioni italiane.
In Italia, a livello di letteratura, mancano trattazioni su un bel po’ di argomenti. Prima si parlava di no wave e post punk, ma prendi ad esempio la italo disco o i grandi compositori italiani, magari c’è un libro che ne parla in inglese, ma in patria non se ne è ancora trattato. Della wave italiana se ne parla sempre e poi effettivamente non c’era un libro a riguardo. Quindi invece di pensarlo come un saggio, mi sembrava più interessante andare a far parlare chi l’aveva vissuto in prima persona.

Di che parlerai nelle prossime pubblicazioni?
Ho in ballo progetti editoriali non propriamente musicali. Vorrei continuare a fare ricerca su quello che mi piace. A breve farò anche un sito dove raccoglierò meglio tutto quello che ho fatto finora.

Quindi niente romanzi.
(ride) No, non credo di essere in grado di scrivere di narrativa, faccio sempre un po’ fatica a trovare il romanzo giusto da leggere, vado molto più sul sicuro con la saggistica.

Toglimi una curiosità, ma tu hai mai suonato? Perché col tour di promozione del libro sembra tu stia sublimando questa passione.
Eh no, mi sarebbe piaciuto ma senza doverlo imparare, come quelli che nascono con un talento. Non l’avevo e ho pensato fosse meglio dedicarsi a quello che sapevo fare meglio. Sfruttare la mia curiosità.
di Simone Stefanini
 

 

 

www.distorsioni.net, 18 giugno 2014 Gli altri ottanta
Livia Satriano è una giovane autrice napoletana che si occupa di musica, cultura visiva e comunicazione, con all’attivo già alcune pubblicazioni nel campo dell’approfondimento di taluni fenomeni musicali tematici, italiani e internazionali: No Wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al Tenax ; Italia No! Contaminazioni No Wave Italiane , antologia. Inoltre, sul web cura i progetti “Assez Vu” e “ Sad Movies Make Me Happy”. Questo nuovo lavoro di Livia ha il pregio di dar pienamente voce agli autori di quel complesso e intrigante fenomeno musical-culturale che ebbe a svilupparsi nell’Italia degli anni Ottanta, e che fu ribattezzato schematicamente come “Rock Italiano” tout-court o “New Wave italiana”. Un viaggio a ritroso nel tempo in cui a rilevare sommamente sono i racconti degli artefici di quella stagione pregnante per l’italica musica rock. Una carrellata di quattordici personaggi, i più diversi tra loro, che rimembrano, punteggiandola di interessanti note autobiografiche e di aneddoti preziosi, la loro presenza da protagonisti su quel particolare proscenio.
Il libro, beninteso, e Livia concorderebbe, non si pone affatto obiettivi di esaustività, troppo variegato e sconfinato lo spettro delle formazioni che ebbero, talora anche in modo effimero, a popolare e a gremire con la loro fantasia creativa i palcoscenici reali e ideali dell’intero Stivale. Così come variegati e irriducibili a un unico schema stilistico erano i generi musicali di quei gruppi. Taluni occhieggiavano al punk o al post-punk britannico, altri alla musica dei “Corrieri Cosmici” tedeschi degli anni Settanta, e non di rado con contaminazioni di jazz-rock, reggae, progressive. Come sempre, ai fini dell’originarsi di un movimento musicale, devono esservi dei punti di riferimento anche fisici e geografici, oltre che ideali. Ed essi sono ravvisabili maggiormente nella Firenze dei primi anni Ottanta e nella Bologna del Dams, sempre in quel torno di tempo. A Firenze, in particolare, grazie alla presenza dell’I.R.A. Records del prode Pirelli, grazie a cui vide la luce nel 1984 la raccolta antologica Catalogue Issue che contemplava insieme Litfiba, Diaframma, Moda, Underground Life, Violet Eves, si guardò come a una scena primigenia, quando le si volle dare una sorta di primogenitura in ordine al rock italiano.
E da qui, tutta un’efflorescenza di aneddoti e racconti interessanti, sia in ordine al passato che alla realizzazione di nuovi progetti solistici, a cura di autori quali il recentissimamente scomparso e compianto Roberto “Freak” Antoni degli Skiantos, Andrea Chimenti dei Moda, Federico Fiumani dei Diaframma, gianCarlo Onorato degli Underground Life, Massimo Zamboni dei CCCP-CSI, Marcello Michelotti dei Neon, Giorgio Lavagna dei Gaznevada, Marinella “Lalli” Ollino dei Franti; oltre a degli outsiders di gran classe come il grande Fausto Rossi, Faust’O. Specchio attendibile di un’Italia, quella tra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta, percorsa ancora dalle scie sanguinose e dagli echi inquietanti degli anni di piombo, e a livello musicale e culturale, dal tentativo di superamento degli schemi di una vieta concezione edonistica e cinicamente commerciale della società coeva. Questa è la storia degli “altri Ottanta”, invero, a parte subiecti . In appendice, la riproposizione di articoli e riferimenti al neonato movimento rock contemplati in fanzine e riviste musicali dell’epoca, e una discografia essenziale dei lavori più pregnanti di quei gruppi. A comporre un mosaico, dal punto di vista storico, artistico-esistenziale e umano, alquanto intrigante, i cui tasselli ridanno vivida luce a una stagione difficilmente relegabile nei polverosi anfratti dell’oblio.
di Rocco Sapuppo
Extra! Music Magazine, 17 giugno 2014 Livia Satriano. Gli altri ottanta
Una recente classifica sulla nostalgia musicale poneva gli anni ’80 nei suoi bassifondi, appena sopra i dimenticati anni ’50. Ciò non vuol dire che i due decenni non sia stati importanti come i più celebrati ’70, ’90 e ’60: gli anni ’50 hanno inventato quello di cui siamo ancora qui a parlare, anche solo per chiederci se sia morto definitivamente o prossimo a futura resurrezione; gli anni 80, perfino nei loro aspetti più commerciali e musicalmente disimpegnati, hanno rappresentato, almeno fino al 1984-1986, una rivoluzione totale del concetto di rock, fatta di scatti futuristici in avanti e di ripartenze da passati dimenticati al fine di disegnare presenti ucronici e distopici (cioè come avrebbe potuto essere la musica rock se…, ecc., ecc. ecc. Lo confesso: volevo farvi vedere che mi sono letto il vocabolario.
Livia Satriano, già autrice di un ottimo volume dedicato alla no wave, si concentra su un aspetto del periodo appena sfiorato nel volume precedente: e cioè l’avanguardia degli anni ’80 italiani. E lo fa scegliendo di dare la parola ai protagonisti, con racconti di prima mano affidati al compianto Roberto Freak Antoni (Skiantos), a Marco Bertoni dei Confusional Quartet, Carlo Casale dei Frigidaire Tango, Andrea Chimenti dei Moda, Federico Fiumani dei Diaframma, Johnny Grieco dei Dirty Actions, Giorgio Lavagna dei Gaznevada, Marcello Michelotti dei Neon, Christina Moser dei Krisma, Marinella “Lalli” Ollino dei Franti, gianCarlo Onorato degli Underground Life, Fausto Rossi, Massimo Zamboni dei CCCP e PHabio Zigante (“Miss Xox”) del Great Complotto. Completa il volume una gustosa scelta di articola d’annata che dibattono sulle prospettive del nuovo rock italiano (da ammirare la prosa del giornalismo musicale d’allora, altroché).
Quello che esce da questi racconti che partono un po’ prima del 1980, dato che gli anni ’80, pure quelli italiani, come accade sempre con le ere musicali, sono iniziati un po’ prima, esattamente nel 1976-77, è un panorama di estrema creatività e vitalità, di voglia di partecipare e riscrivere la storia della musica a tutti i livelli. «C’era un gran fermento, la sensazione che fosse finita un’epoca, un reset generale che ti dava una spinta incredibile a inventare perché quella era la priorità assoluta, non c’erano cliché da riproporre se non l’influenza dei tuoi contemporanei e tutto dava origine per forza di cose a un’abbondanza di creatività che non si vedeva dalla fine degli anni sessanta», racconta Carlo Casale. Un clima di palingenesi: «Il nome The Great Complotto era stata una mia intuizione, mi piaceva perché dava il senso di qualcosa di roboante, una grande organizzazione che faceva cose strabilianti. Era quello che volevamo essere» (PHabio Zigante).
Se Johnny Grieco nota che «adesso forse il problema è avvicinare i ragazzini al palco, ma allora era il contrario, era difficile allontanarli», Zamboni racconta che «quando salivamo sul palco, mettevamo subito del filo spinato perché non volevamo avere un pubblico». Il clima era quello di una continua provocazione creativa: «Corsi alla radio, annunciai al microfono che avevo trovato una cosa devastante e misi su Blitzkrieg Bop. Scatenò un putiferio fra gli ascoltatori che mi diedero immediatamente del fascista. Allora recuperai passando Horses di Patti Smith, che era meno aggressivo, e alla fi ne mi salvai» (Giorgio Lavagna). E ancora Zamboni ricorda «una serie di combattimenti: a Milano una volta siamo stati presi a verdure in faccia al Leoncavallo, ma ce ne siamo tornati a casa carichi di provviste».
Colpisce la dedizione assoluta dei protagonisti di allora («È come una religione, eravamo come dei sacerdoti di un credo», Federico Fiumani; «Il mio ricordo più bello di quel periodo è probabilmente il fatto che non vi era una differenza effettiva fra quello che ero e quello che facevo. Era un tutt’uno: andare in giro a suonare, dedicarti a quello che più ti piace e rappresenta, essere immerso totalmente nella musica», Marcello Michelotti; «Durante le registrazioni di Bandiera, lavoravamo sodo. Ricordo che una volta siamo stati capaci di restare in sala prove per tre giorni di fi la a suonare ininterrottamente, una tirata no stop, con alcuni di noi che ogni tanto crollavano per la stanchezza. A turni qualcuno usciva a procurare del cibo», Andrea Chimenti). Così come, contrariamente a quello che si può pensare, la new wave italiana non nascesse dalla pedissequa imitazione dei fermenti punk e new wave stranieri, ma, analogamente ad essi, dal germinare dei semi di altro rock seminati nel corso degli anni: «Ascoltavamo e amavamo la Bonzo Dog Doo-Dah Band, i Fugs, Ruben Guevara» (Freak Antoni); «portammo con noi un vecchio mobile da distruggere sul palco suonandolo con martelli, in stile Frank Zappa» (Marco Bertoni); «fra rock’n’roll, glam e Kiss io ero un po’ una mosca bianca» (Giorgio Lavagna). Totale la rivolta contro il cantautorame nostrano: «I testi inizialmente volevano essere in rima baciata, da scuola elementare, e trattavano di tutto quello di cui normalmente i cantautori non parlavano: cose comuni, banali, come la pastasciutta, il cibo o i gelati, metafore delle cose che più ti piacciono nella vita. L’importante era evitare i cliché» (Freak Antoni).
Al netto di qualche esagerazione autoesaltatrice (Zamboni è poco credibile quando afferma che «musicalmente, il punk non mi è mai piaciuto e se escludo solo certo punk tedesco, il resto, quello inglese e americano, dopo un po’ mi aveva già rotto», dato che il riff punk di Trafitto è copiato da quello di I don’t want to be a Victim dei Varukers: ascoltare per credere), il volume di Satriano offre un splendido spaccato del clima creativo dell’epoca, anche se frammentato caleidoscopicamente in varie testimonianze e vari punti di vista. Sconsolante il raffronto con l’oggi, affidato alle parole di Fausto Rossi, uno degli artisti di allora più esaltati dall’odierna scena indie: «La cosiddetta musica indie la trovo insopportabile: testi infantili, canzoni tutte ugualmente mediocri. E l’altro lato della medaglia qual è? Le canzoni e i personaggi che arrivano dai talent show, che hanno diffuso la falsa idea che si può insegnare a cantare e a scrivere canzoni, neanche fossero materie scolastiche. Le voci di tutti questi cantanti sono interscambiabili, una vale l’altra. Sono umanoidi, ibridi».
In attesa che lo cose cambino, può essere utile guardarsi indietro, come nelle crisi di crescita dei bambini, per poi ripartire di slancio. Anche per questo, consiglio calorosamente la lettura di Gli altri ottanta.
di Renzo Stefanel
Rockerilla, giugno 2014 Livia Satriano. Gli altri ottanta
Storia di ordinaria follia vitale, storie vissute da molti dei lettori oramai “adulti” che avranno piacere di ritrovarsi dentro queste pagine, storie che assumeranno un fascino particolare se lette da giovani appassionati che nulla sanno di quel magico mondo. Quattordici racconti scritti da altrettanti testimoni del tempo, artisti che hanno lasciato un segno nel tortuoso percorso della musica indipendente italiana: Roberto “Freak” Antoni, i Confusional Quartet, Frigidaire Tango, Moda, i Diaframma, Gaznevada, Neon, Krisma, i Franti, Underground Life, Massimo Zamboni e il Great Complotto. Esperienze diverse raccontate in prima persona da coloro che hanno saputo immaginare altre forme musicali. Un compendio storico necessario per capire quanta strada è stata percorsa ma quanto si è anche perso nel percorrerla tanto che ci ritrova nuovamente a dire che “non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”.
di Mirco Salvadori
sentireascoltare.com, 24 maggio 2014 Livia Satriano. Gli altri ottanta
Tanti i volti che potrebbero ancora occupare queste pagine scritte-sbobinate da Livia Satriano, ma sarebbe assai arduo se non impossibile rubricarli tutti senza inciampare nel nozionismo. Satriano cerca di fare una quadra per desumerne in modo quanto più esauriente possibile il primo maroso post punk italiano. Il taglio analitico trattiene e ridona, come era stato per No Wave, un’immagine sociale dei fatti, usando a suo favore il metodo d’inchiesta. Quello che se ne trae è non tanto uno stile artistico dai contorni decisi, quanto una generazione vera e propria, coinvolta testa e piedi nella dialettica socio-economica di inizi anni ottanta. Dal toccante passaggio lasciatoci in eredità da Freak Antoni, alla dimensione empirica e libertaria tratteggiata da Marco Zamboni, dall’etica politica di una Marinella “Lalli” Ollino alla gagliardia dei Frigidaire Tango rivelati da Carlo Casale; e si potrebbe andare avanti evocando l’originalità di un Faust’O, la lealtà di un Andrea Chimenti, il carattere ermetico di un Federico Fiumani, il genio dei Confusional Quartet. Istanze diverse, certo, ma unite dall’appetito di farcela e dalla contezza resistenziale.
Non sono solo loro i primi attori di queste pagine. C’è la droga, che iniziava proprio in quegli anni a seminare cadaveri in provincia, la strategia della tensione, che celava vie di fuga e sudici inciuci, la naia, che spezzava o creava convivenze nuove, i viaggi in furgoni di seconda mano e utilitarie senza parabrezza. Incoerenze fra un racconto e l’altro, e sincere autocritiche, non potevano che tirar su la testa dal freddo livore dei ricordi. Su tutto però una lucida percezione data da Giorgio Lavagna dei Gaznevada, disincantata a mo’ d’imprimatur “Noi che abitavamo in una casa occupata, abbiamo vissuto per anni nella più totale illegalità. Oggi una cosa simile ci costerebbe sicuramente anni di galera. La legge e la legalità non erano dei principi atratti, dipendevano dai rapporti di forza e dalla legittimità che riuscivi a imporre”.
di Christian Panzano
Rai Radio1, 23 maggio 2014 Gli altri ottanta
Puntata monografica di Radio1 Music Club su Gli altri ottanta con intervista.
Ascolta qui la puntata
Scarica il podcast
di John Vignola
Radio Città Aperta, 21 maggio 2014 Intervista a Livia Satriano. Gli altri ottanta
Intervista a Livia Satriano su Gli altri ottanta
Ascolta qui la puntata
di Gianluca Polverari
www.milanox.eu, 19 maggio 2014 Gli altri ottanta
Questo è un libro che parla di musica fatta da non-musicisti. Quella gioventù che negli anni 80 sfanculò, come già prima fecero i punx, virtuosismi e tecnicismi per concentrarsi invece sul suono, sulla performance, sul messaggio. Livia Satriano, classe 1987, ha raccolto 14 preziose testimonianze di alcuni dei protagonisti della stagione post punk italiana. Tra queste spiccano l’ultima intervista al compianto Freak Antoni, frontman degli Skiantos, dalla quale traspare tutta la sua intelligenza, sensibilità e cultura. La chiacchiera “rosa” con Christina Moser, voce dei Krisma, “cantante per amore e per caso” di uno dei gruppi elettronici più interessanti e sperimentali a livello europeo.
L’interessante incontro con Massimo Zamboni, fondatore dei CCCP non ancora rimbambito come il socio GLF, e con l’ombroso Fausto Rossi.
Si parla anche di Gaznevada, Confusional Quartet, Diaframma, Neon, Dirty actions e di molti altri protagonisti di un epoca così vicina eppure così lontana, che ha aperto la stagione delle etichette indipendenti. Brava Livia, bel lavoro.
di Pablito el Drito

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