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Going underground

tonyface.blogspot.com, febbraio 2024 Going underground - Massimiliano Guareschi

Un saggio molto colto e approfondito sul fenomeno delle sottoculture, in un'ottica filosofica, zeppa di riferimenti e rimandi a contesti storici e sociopolitici. 
Si parla di estetica, identità, appartenenza, la componente politica delle varie sottoculture, la volontà antagonista e "sotterranea", allo stesso tempo, la ricerca di visibilità nei confronti degli "esterni", il bisogno di affermare la propria autenticità e riconoscibilità in tale veste. «La cultura della working class si riduce a stereotipo e icona , giocata all'interno delle più diverse combinazioni stilistiche. Addirittura a brand: le Dr. Martens e le Fred Perry degli skin, parte integrante del ritorno idealizzato a uno stereotipo working class evidentemente mai esistito in quella perfezione formale.» 
Per gli appassionati e studiosi dell’ambito sottoculturale un interessanto compendio che si addentra di più nel tema, evitando le consuete descrizione già abbondantemente note.

di Antonio Bacciocchi

il manifesto, 10 gennaio 2024 Mappature interdisciplinari 

La volontà di riformulare la geografia dei saperi e rinnovare le separazioni disciplinari ha contraddistinto il lavoro svolto al Center for Contemporary Cultural Studies di Birmingham, nei primi anni Sessanta, grazie alle analisi di Richard Hoggart, Raymond Williams, Edward. P. Thompson, Stuart Hall. I Cultural Studies si sono occupati della composizione culturale e razziale della classe operaia inglese e dei giovani, dei consumi culturali e delle sottoculture senza chiudersi in confini ideologici predefiniti. Studi che hanno indagato le forme dell’aggregazione e dell’agire politico dei giovani e della working class britannica, come indica Massimiliano Guareschi nel libro Going underground. Stile, gusto e consumi nelle sottoculture giovanili (Agenzia X, pp. 192, euro 15). Da diversi anni l’autore si occupa di questi argomenti, come mostrano i saggi raccolti nel libro che ne ripercorrono la nascita e lo sviluppo. Guareschi compie un’approfondita analisi di tali studi che hanno legittimato voci e punti di vista marginali, eccedenti la visione eurocentrica dello sviluppo neoliberista. L’interdisciplinarità e l’esigenza di superare le partizioni fra i saperi e i canoni disciplinari è infatti la cifra che ha raccolto un ampio spettro di proposte proprie degli studi culturali inglesi. L’impero britannico ha una lunga storia coloniale, la cui dissoluzione ha visto l’arrivo degli abitanti delle ex colonie, indiani, giamaicani, malesi, pakistani che hanno introdotto molteplici iconografie visive e sonore. 
Guareschi traccia le problematicità riguardanti i Cultural Studies. Pierre Bourdieu, ad esempio, li individuava come una diversa forma di imperialismo accademico anglosassone, le cui ricerche erano aliene da ogni forma di «scientificità». Gli stessi intellettuali del Center for Contemporary Cultural Studies erano dubbiosi rispetto alla proliferazione dei nuovi corsi di studio sviluppatesi dagli anni Settanta in poi, quando i Cultural Studies dopo aver varcato l’oceano furono suddivisi in Gender Studies, Women Studies, Postcolonial Studies, Subaltern Studies, per ricordarne solo alcuni. Tali specificità allontanavano i Cultural Studies dalla loro vocazione originaria per consegnarli a una apoliticità e a un radicalismo accademico fine a se stesso. Ricorda inoltre come in modo assolutamente aproblematico in diversi volumi si faccia riferimento in modo superficiale a autori come Adorno, Benjamin, Ricoeur, Fanon, Marx, Foucault, Derrida, Heidegger, individuandone assunti generici e vaghi in relazione agli studi culturali. 
Negli ultimi capitoli del libro l’autore verifica come l’eredità intellettuale della scuola di Birmingham sia stata assunta nel nostro paese. A questo proposito indica come Alessandro Portelli, professore di Letteratura angloamericana all’Università di Roma La Sapienza, aveva ricordato che già Antonio Gramsci, Gianni Bosio e Ernesto De Martino si erano occupati della relazione fra culture egemoniche e subalterne, le cui analisi erano vicine a quelle sviluppate da Edward. P. Thompson in The Making of the English Working Class
Ed è all’Università L’Orientale di Napoli che Lidia Curti e Iain Chambers creano un forte legame tra Napoli e il CCCS di Birminghan. Stuart Hall tenne infatti diversi corsi a L’Orientale e gli fu conferita la Laurea honoris causa nel 2008. 
Altrettanto significativo per il nostro paese è stata la traduzione di Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale di Dick Hebdige, pubblicazione che ha suggerito di indagare in modo più approfondito la vasta produzione editoriale indipendente degli anni ’60 e ’70, in cui le sottoculture utilizzavano fanzine e riviste underground per raccogliere urgenze esistenziali e politiche. Ne ricordiamo alcune: «Mondo Beat» è la prima rivista underground italiana. Fondata nel 1966 e ispirata all’esperienza dei Provo olandesi, indicava come sede della redazione la statua di Vittorio Emanuele in piazza Duomo, luogo di ritrovo dei beatnik. Allen Ginsberg era il «direttore irresponsabile» di «Pianeta fresco» ideato da Fernanda Pivano ed Ettore Sottsass. Nel decennio successivo con «Re nudo», la controcultura diventa istanza politica. La rivista «Rosso», laboratorio politico-culturale di Autonomia Operaia, pubblica i primi numeri di «A/traverso», tra le più rappresentative pubblicazioni del Movimento del ’77. Elvio Fachinelli e gli intellettuali gravitanti nella rivista «L’erba voglio» raccolgono le riflessioni critiche della sinistra extraparlamentare e del movimento femminista. 
Fin qui la storia «parziale» di una stagione irripetibile della sottocultura italiana. Rispetto alla contemporaneità Guareschi indica nella rivista «Studi culturali» edita dal Mulino, la volontà di fornire uno spazio in cui interrogarsi su istanze come l’immigrazione, il multiculturalismo, il gender e l’identità postcoloniale. Riflessioni che dialogano con le analisi condotte da Robert Young che in Mitologie bianche. La scrittura della storia e l’Occidente, suggerisca di decolonizzare la «Storia» e decostruire il concetto di «Occidente», per riconoscere le storie plurali del Sud del mondo.

di Lorenza Pignatti

Rumore, gennaio 2024 Going underground

Massimiliano Guareschi (1965) è un docente universitario e i suoi studi, partiti da filosofia e sociologia, si sono concentrati sulle dinamiche e i consumi culturali. Questo è il suo secondo saggio per la collana Battleground di Agenzia X – il primo, uscito nel 2015 e firmato con Federico Rahola, si intitola Forme della città – e si occupa di sottoculture e controculture giovanili, in particolare del modo in cui sono state analizzate e raccontate nel corso del tempo, sia nei paesi anglosassoni sia in Italia. A Sottocultura di Dick Hebdige, per esempio, sono dedicate molte pagine nella prima parte del libro ma, più in generale, sono tanti i riferimenti agli studi su questa materia con accenni ai diversi metodi di ricerca e analisi, oltre che a vari saggi. Il linguaggio è per lo più accademico ma, in quest’epoca storica in cui, in vari ambiti – specialmente nell’industria discografica e della moda – c’è un tentativo continuo di appropriarsi di molte etichette riconducibili, appunto, a sottoculture e controculture, sembra solo positivo aggiungere complessità a questo racconto.

di Luca Gricinella

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