“Prendi un sentimento come la rabbia e ingrandiscilo fino a fagocitare ogni traccia nel tuo campo visivo. Aumentane l’area come la pupilla che si dilata sotto rilascio di dopamina. Aumentane il volume come l’aria che si espande a otto chilometri al secondo dopo un’esplosione. Quel sentimento diventa la tua ragione di vita, l’odore dei tuoi vestiti, l’espressione contratta del tuo viso mentre con la mano ti reggi alla maniglia sudicia nella metropolitana, infine diventa la velata impressione che il mondo non ti voglia, la sensazione di non appartenere. Non eravamo cattivi, eravamo soltanto stanchi.”
Italia, oggi. Nella precarietà di una smart city non meglio specificata si assiste a una serie di attentati al limite del possibile, che colpiscono banche, fast food, centri commerciali e altre cattedrali del capitalismo. Dietro a queste azioni clamorose ci sono ragazzi della working class, degli “insospettabili” che si mischiano a tutte le altre persone infelici e stremate dalla prigione bestiale della quotidianità.
Il protagonista, un ragazzo con i sensi intorpiditi che si trascina ogni mattina fino alla redazione di un quotidiano minore, incontra Anna – in fuga con le buste della spesa rubata – che gli ricorda di essere vivo, mentre Franco diluisce LSD ai distributori automatici del caffè, Bianco torna dal turno di notte di fronte a un frigo quasi vuoto, Rita tiene un fiammifero acceso stretto tra indice e pollice, come stringesse la città intera tra due polpastrelli. Questa è la storia di persone comuni, persone che non sanno chiamare per nome la propria vita ma se la ritrovano affibbiata. Persone come tante ma più sole e incazzate per una realtà che odiano ma, come per una spinta violenta e incontrovertibile, continuano ad abitare.
In queste pagine la rabbia cola come un liquido viscoso e infiammabile, i fatti si susseguono come crepe da un foro fino alla rottura. Qual è la reazione chimica che si ottiene mescolando quella rabbia e questo mondo?
Collana Fulmicotone