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Milaneidi - Cronache eretiche sugli anni Settanta a Milano
1972 – Sabina della Calusca
Sono nata a Candela, un paese a una trentina di chilometri a sud di Foggia... Mio padre era medico e mia madre proprietaria di terre. Fin dalle elementari mi sentivo diversa, un po’ ribelle, ero la più piccola di quattro sorelle e un fratello. Ero giovane, bella, con tanta voglia di avventura e i miei, già sulla sessantina, non riuscivano a tenermi... Mi spedirono a studiare a Napoli con mio fratello che era già universitario. Ma lì non riuscivo a frequentare nemmeno una scuola e stavo in giro tutto il giorno per le strade. Nel 1964 mi mandarono a Milano per studiare alle magistrali che io odiavo. Volevo fare l’artistico ma non c’era stato niente da fare. Vivevo in via Tolstoj, nel quartiere Lorenteggio, a casa di mia sorella Angela, già sposata con due bambini. Nebbia, freddo, tutti i giorni prendevo il tram per il liceo Carlo Tenca e poi dovevo rientrare in velocità a casa. Ero sotto stretto controllo, una cosa da uscire pazzi... Avevamo l’obbligo di portare la gonna, ma io non ce la facevo, mi tiravo su i pantaloni e da sotto il grembiule non si vedevano, finché un giorno mi erano caduti e i professori avevano chiamato il preside... Sospesa per un mese. Un paio di anni dopo mi buttarono fuori dal liceo perché avevo picchiato una tipa che mi stava sul culo, una ricca sfondata che si presentava sempre in pelliccia, quella stronza. Sono tornata per qualche mese a Candela... Nel 1967 mi rimandarono a Milano a patto di diventare una ragazza regolare. Alla sera non uscivo mai, qualche amica, un mezzo fidanzato, sesso poco e castissimo.
Con il ‘68 le cose erano cambiate anche per me, in casa con la famigliola non ci stavo più dentro, giravo solo di giorno annoiata, vedevo un mondo che stava cambiando ma io non riuscivo ad afferrarlo. Per mia grande fortuna un pomeriggio sotto la metro di Duomo venni fermata da due ragazzi ben vestiti, Marco e Ottoz. Mi chiesero al volo “Ciao, che cosa fai nel tuo tempo libero? Rispondi veloce, sì o sì”, io rimasi un po’ sorpresa ma dissi “No!”, Ma loro continuarono. “Allora bisogna parlarne. Perché non vieni a trovarci nel nostro club?”. “Club?”. “Il Si o Si, il nostro splendido posto che abbiamo in via San Maurilio, a cinque minuti da qui...” Incuriosita mi feci spiegare bene. Il club organizzava degli spettacoli, presentazioni di libri, concerti e anche gite fuori porta, restava aperto dalle 11 del mattino alle 4 di notte. I soci erano più di tremila, ognuno con la propria tessera magnetica che funzionava anche da chiave, quindi bastava un socio che lo aprisse e uno che lo chiudesse, anche se per la notte ci pensava quasi sempre il presidente, perché ci dormiva dentro. La quota di associazione era bella alta, 36.000 lire, però in cambio ti davano anche l’equivalente in libri, provenienti dal premio Bancarella e ogni mese mi sarebbe arrivato per posta il bollettino con il programma. Accettai al volo, d’altronde era la mia prima occasione di conoscere la Milano alternativa a quella di mia sorella e suo marito... Poi mi avevano dato questa tessera bellissima, una cosa fantascientifica... Un paio di settimane dopo, nella casella della posta mio cognato trovò il pacco con i libri e il bollettino. Me lo aprì lui con mia grande rabbia, perché io non avevo privacy... Quell’opuscolo me lo sarò letta mille volte, era divertentissimo, davvero non trovo le parole per farvi capire come fosse divertente... Gli articoli erano firmati dal presidente: Primo Moroni... Uno sul natale, da morire dal ridere, una presa per i fondelli sulle feste, sui regali, ancora oggi se mi viene in mente comincio a sorridere di brutto! Poi recensioni di libri, tutta la spiega delle attività del club, la raccolta di ciliege da organizzare il maggio successivo, i biglietti dei teatri e dei cinema, perché il Si o Si era convenzionato con molte sale... Ogni volta che leggevo quelle cose mi sembrava di andare sulla luna.
I bollettini mi arrivavano a casa non tutti i mesi, li aspettavo avidamente, ma quelle scadenze così aleatorie mi facevano venire l’ansia... Avevo una voglia matta di andare a vedere quel posto... Feste, concerti, cinema, poesie, aperto dalla mattina fino a notte fonda, tremila soci, quei testi così comici, e cosa? Cosa ancora... Finalmente a primavera arrivò mio fratello, a trovarci per un mese a Milano. Lui era un po’ fascista, ma un gran signore, uno che ci sapeva fare con l’avventura, gli piaceva la vita notturna, stare in mezzo alla gente, bere e ballare. Una settimana più tardi, durante un dopo cena mi disse “lo sai Sabina che oggi mi sono iscritto a un club, il Si o Si!” Non volevo crederci... La sera dopo ci saremmo andati insieme! A quel punto dovevo trovare solo l’abbigliamento. Un’impresa titanica considerando il mio parametro di bellezza di allora. Non avevo vestiti da sera, il mio guardaroba era identico a quello di mia zia. Per il Si o Si mi inventai una cosa indegna! Scarpe basse di vernice nera, un abito senza maniche a vita alta di colore grigio topo che mi copriva il ginocchio, in più, era di lanetta sintetica, quella stoffa pesante che si attacca alle calze facendo scintille. Almeno il seno lo faceva vedere, ed io ero fortunatamente bella formosa. Sopra, per coprire la scostumata abbondanza, c’era una patetica giacchetta dell’Upim, anch’essa grigia con le orrende maniche lunghe bianchissime. Infine ero andata dal parrucchiere per farmi una tragica acconciatura. Io ho i capelli ricci, per l’occasione me li feci lisciare tutti... Sembravo un’altra, una sciura di vent’anni prima, vestita in malo modo. Già all’ingresso, appena lasciato il cappotto, mi sentivo a disagio. Era un posto bellissimo, un palazzo del Settecento, con le porte stuccate, le finestre ampie e le tende pompose, saloni, poltrone, divani, strumenti musicali, c’era la stanza verde, la stanza rossa, quella azzurra, la biblioteca e il bar... Mentre mio fratello faceva conoscenze e offriva da bere a chiunque, io, senza tacchi mi affannavo a salire sullo sgabello alto del bancone. Volevo morire... Vedevo queste tipe passare vestite ultramoderne, bellissime donne di tutti i generi. La commessa della Standa, l’attrice, la professoressa squattrinata e la ricchissima annoiata, tutte con un stile pazzesco... Gli uomini, uno più interessante dell’altro. Mi stava passando un mondo nuovo attorno. Io ero assolutamente fuori luogo in un posto che già amavo come non avevo amato mai niente...
Il tempo passava meno veloce del disagio, un’ora, due ore, mio fratello dopo avermi parcheggiata era sparito. Tutto sommato nessuno mi rivolgeva la parola, bevendo un po’ ero riuscita persino a togliere l’orrida giacchetta, sfoderando appena appena il seno. Facevo ballare l’occhio affascinata, così di colpo avevo iniziato a chiacchierare con Danilo, il barista gay. Era la persona più simpatica che mai mi era capitato conoscere. “Davvero è la prima volta che vieni qui? Ma allora non hai ancora conosciuto il presidente”. Danilo mi introdusse così alla figura del presidente e io lo ricordavo benissimo dalle letture del bollettino. Ormai s’erano fatte le due, ogni tanto davo uno sguardo al mio vestito da suorina, diventato dall’emozione un sudario elettrico... Madonna... Se avessi potuto togliermelo... Che vergogna... I capelli da lisci s’erano fatti crespi e stopposi, tra l’altro il giorno dopo dovevo anche andare a scuola. Cercai mio fratello per dirgli che non ce la facevo più. In quel momento entrò il presidente... Ti giuro di belli come lui... Solo oggi lo posso dire... Di belli come lui ci sono stati solo Bin Laden, Gesù Cristo e Che Guevara... Era arrivato ubriaco, con una camicia colorata, un foulard al collo e dei fiori infilati sulla chioma liscia nera... Questa faccia cinese, l’occhio cinese che però manco mi vedeva, mi attraversava con lo sguardo... Era con un suo amico, Albertone, un ciccione anche lui ubriaco e con Bianca, una bella tipa... Una teatrante... Danilo fece le presentazioni, “piacere”, “piacere”. Sudavo, volevo sprofondare... Non so come dire... C’è stata una attrazione fisica immediata... “Non è possibile” mi ero detta, “questo qua devo assolutamente conoscerlo, devo fare in modo che mi noti”. “Ma come?” mi chiedevo. Mio fratello aveva invitato intanto un po’ di gente a uscire fuori per mangiare qualcosa... “Ma sei pazzo, a quest’ora?” gli avevo detto... Ma quando il presidente aveva proposto un locale sui navigli, mi ero subito aggregata. Era la prima volta che io uscivo di notte in tutta la mia vita. In trattoria nonostante il presidente fosse lontano da me di due posti sullo stesso lato del tavolo, potevo contare sui capelli tornati ricci per la pioggia e sui miei occhi. Tutto sommato, mi dicevo, “ho dei bei occhi!”. Per cui avevo ripreso il colore, grazie alla situazione e a quella persona che mi eccitava tanto. Parlava con tutti, era al centro di ogni conversazione, discuteva di politica con un superintelletuale che gli stava davanti, di lotta contro il padrone con l’operaia della Borletti, del suo passato nella gang di quartiere quando faceva il ballerino con Albertone, di autori teatrali con la sua amica attrice, di libri e film con mio fratello al limite del litigio... Notavo che lui si sporgeva sempre più per notarmi... Insomma, una serie di sguardi. Al che mi sono detta, “Questo me lo cucco!”. Alle 5 del mattino avevo desistito, non ce la facevo davvero più. Avevo salutato tutti tenendo per ultimo lui. Mi aveva trattenuto la mano... Un caldo... Mi era venuto un caldo che non ti dico... “Mi prometti che torni!” “Ma certo, sicuramente”, gli avevo risposto subito.
Mio fratello era partito da un pezzo e io c’avevo in testa, martellante, il Si o Si. La strada la conoscevo, qualche vestito più adatto lo avevo acquistato, dovevo solo aspettare che la sorella, cognato e prole andassero in gita in Liguria. Il 24 aprile 1969, un sabato sera, mi avviai, questa volta da sola, verso il club... Stufa di stare ore appollaiata al bar a parlare con Danilo, mi ero quasi sdraiata su una poltrona nella ormai vana speranza di vederlo arrivare... S’era presentato all’una esattamente come l’altra volta, ubriaco, in compagnia dell’Albertone e con una camicia coloratissima. Però mi aveva notato immediatamente e si era addirittura seduto vicino a me! “Ciao”, “Allora mi hai riconosciuto!”, “Certo! E chi ti ha dimenticato!”... Bum! Bum! Bum! Sono quei momenti che ti rendi conto che qualcosa di grosso ti sta per succedere. Io ero già fidanzata con un medico amico di mio cognato, le nostre famiglie si conoscevano e la mia strada era già segnata, la gabbia già bella e fatta... Che poi per me non era una gabbia, era semplicemente il mio piccolo mondo... Il Si o Si, lo sentivo, mi avrebbe cambiato la vita... Primo mi aveva messo una mano sulla coscia... La situazione era tosta, ma era esattamente ciò che volevo... La gente cominciava ad andarsene, non avevo manco più i soldi del taxi. Danilo spegneva le luci, la mano fissa sulla coscia... Non mi mollava e io lì ferma... Rimasti soli Primo s’era alzato, aveva acceso delle candele, preso una bottiglia e dei calici bellissimi... Non sapevo come e cosa fare, ma mi sono lasciata trascinare, era una sfida contro il mio mondo di una volta...
Vabbè... Tra mille casini con tutte le sue amanti, alla fine ci siamo messi assieme. Io ho mollato l’università, mia sorella e l’assegno che mi arrivava dal sud... Ho iniziato a lavorare in una palestra e tutte le sere ero fissa al Si o Si. Fu un anno indimenticabile, Primo veniva a prendermi in auto per il pranzo tutti i giorni, poi ci vedevamo alla sera... Purtroppo il club finì male perché Filippini, il tesoriere, era scappato con i soldi di tutto il circolo perdendoseli al casinò di Venezia. Pieni di debiti, essendo Primo il presidente, andammo dai miei a Candela per qualche mese e lì ci sposammo. La casa a Milano la trovai io, in Piazza del Duomo, nel vicolo di Piazza Mercanti, Passaggio degli Osii... La dritta per quella casa l’avevo ottenuta grazie al Correnti, l’allora direttore del Teatro Manzoni, un siciliano assurdo, sembrava un boss... Nel suo teatro Primo e Roberto Danè avevano organizzato un’indimenticabile tre giorni di performance... Primo l’avrà raccontata milioni di volte a chiunque... Fu una festa di cui si continuò a parlarne per anni... Insomma in questo modo era diventato amico con il Correnti e per un periodo lavorai con lui come segretaria. Il giro del Si o Si era talmente ampio che comprendeva anche una parte dell’alta borghesia milanese e il Teatro Manzoni era uno dei tanti luoghi dove Primo si muoveva. Lì un ballerino ci aveva dato le chiavi dell’appartamento di Passaggio degli Osii, dove abbiamo abitato per due anni senza mai pagare l’affitto. Quell’appartamento era un po’ come il Si o Si più ristretto, un casino di gente e feste tutte le sere... È lì che abbiamo concepito nostra figlia Maysa e l’idea di aprire una libreria. Venivano quelli del gruppo Gramsci, che non erano quelli del Berchet, ma era un collettivo che vendeva libri per le strade e soprattutto la famosa enciclopedia “Io e gli altri”. Marco, Ottoz, Giacomo Nicolaci, il nano maledetto e molti altri, poi c’erano le commesse della Standa, le attrici, gli operai militanti, gli intellettuali, Joe Tavaglione e quelli di Barbonia City, i gay amici di Danilo, il commercialista Zuccotti, i portoghesi, i brasiliani, qualche africano, dei francesi e degli inglesi, insomma i personaggi più bizzarri della città. Poi c’era Joao e la Gina, una donna straordinaria che girava gli ambienti vip e politici per affari loschi. Siccome non c’era il citofono e si stava al terzo piano, tutta la gente che arrivava ci doveva chiamare a voce alta dalla strada... I nostri vicini non protestarono mai, anche perché in quell’edificio c’era un covo di matti... Le due vecchiette che vendevano i tartufi nelle piccolissime edicole in Piazza del Duomo, il libraio ambulante, le entraîneuse del ristorante Carminati che di notte diventava un club superprivato e altra umanità varia. In casa ci sono state diverse fasi, nella prima, quando c’erano ancora i tanti soldi della mia dote, si andava sempre nei ristoranti, poi quando cominciavano a spendere troppo si iniziò a far da mangiare nella nostra cucina... A quel punto in Passaggio degli Osii ci veniva a trovare anche un mucchio di scrocconi... Eppure si era felici come non mai, discussioni, feste, progetti politici e culturali ne nascevano ogni notte. La mia pancia incinta cresceva ma i soldi erano ormai finiti, la dote ce l’avevamo sputtanata nel giro di un anno e mezzo. La Gina mi propose di travestirmi da maschera del teatro per entrare di soppiatto nel camerino di Milva per rubargli un prezioso anello... Non se ne fece niente, ma questo per dirvi che eravamo proprio alla frutta.
Il Filippini s’era fatto vedere per riparare in qualche modo il suo debito. Ci aveva dato un assegno da un milione, tipo signor Bonaventura, da incassare solo dopo averlo avvertito. Non lo abbiamo mai versato, forse ce l’ho ancora da qualche parte. Primo aveva già lavorato come promotore delle vendite per la Fabbri e la Vallardi, conosceva molto bene il mondo dell’editoria e siccome c’era l’idea di aprire una libreria, avevamo chiesto al Filippini di trovarci nella zona Ticinese un posto che costasse poco per l’affitto. Ci trovò un negozio ad angolo tra Piazza Sant’Eustorgio e vicolo della Calusca, la storia del nome di questa via ci piacque molto. Il Vicolo Calusca è un invenzione popolare. In origine "Ca' dei Lusca" cioè casa dei Losca, una nobile famiglia milanese, ma con l'andare del tempo diventò un vicolo di case di tolleranza, da qui "Ca' Lusca" ossia case losche. Decidemmo senza pensarci troppo che la nostra libreria si sarebbe chiamata “Calusca”. Iniziammo ad allestirla nel settembre 1971, Primo e Joe Tavaglione, il bravissimo pittore, reduce dall’esperienza della rivista “Mondo Beat”, si misero a costruire gli scaffali di legno per l’esposizione dei libri. Ero al settimo mese, io e Joe Tavaglione stavamo andando ad aiutare Primo a martellare in Calusca, quando all’improvviso mi si sono rotte le acque, stavo per partorire lì, nel mezzo del Corso Ticinese! Maysa è nata nell’ottobre del 1971, per cui i lavori si erano protratti per altri due mesi. La aprimmo in sordina già prima di natale, anche se in effetti iniziò a funzionare veramente dal gennaio del 1972. I soli libri esposti erano quelli della casa editrice cattolica Jaca Book, per il resto c’erano centinaia e centinaia di opuscoli... Arrivavano questi ciclostilati ancora caldi di stampa e noi li mettevamo là a disposizione di tutti... La Calusca subiva ancora un po’ l’influenza del Si o Si, ad esempio ci venivano i coniugi Zuccotti, che erano diventati i commercialisti della nostra impresa di cui io ero il rappresentante legale. Ci passava ancora il barone Moretti, il proprietario del palazzo del Si o Si, Duilio Del Prete, Corradi Pani, Roberto Brivio, il mio pediatra Marcello Bernardi quello che aveva scritto il famoso libro “Il problema inventato”. Chiaramente veniva anche Roberto Danè con sua moglie Eleonora, loro avevano due figli e Pietro era poco più grande di Maysa. Roberto scriveva sceneggiature con Dario Fo ed Enrico Vaime, lavorava con De André ed era una presenza vulcanica in libreria, ma non come quella di Giancarlo Buonfino. Giancarlo era fotografo, scrittore, disegnatore e cineasta, aveva contatti in ogni ambiente culturale e fece conoscere a Primo anche Sergio Bologna e tutto il suo giro di professori universitari. Dalla porta della Calusca entrava tanta, tantissima politica in quel periodo, quindi lo spazio ancora spoglio di libri divenne un grosso centro di socialità, ma anche un luogo fisso per l’incontro di ogni tipo di organizzazione extraparlamentare e per tutti i cani sciolti.
In breve, in quei pochi metri quadri si concentrò un mix di gente incredibile e di tutte le classi possibili e immaginabili. All’appello non mancavano nemmeno i rappresentanti della ligera, la piccola mala dell’antico porto milanese della Darsena. Primo ascoltava tutti, era un punto di riferimento per l’insegnate, per la madre, per la disoccupata, per il licenziato, per quello che aveva bisogno di un posto dove dormire, quello che voleva fare una rivista, quello che doveva scrivere un volantino. Primo teneva aperta la Calusca dalle nove del mattino alle otto di sera, voleva che diventasse una struttura di servizio per il movimento e una sorta di campo neutro indipendente dai vari gruppuscoli politici. E alle otto e mezzo di sera veniva a casa sempre con una fiumana di gente, io non sapevo mai per quanti apparecchiare. In Passaggio degli Osii si parlava ormai troppo di politica, io, tra mia figlia e il casalingato per le truppe mi perdevo dei pezzi. Sì, ricordo la morte di Feltrinelli, dicevano che era uno troppo ricco per fare la lotta proletaria. “Che cazzo ci faceva il Giangiacomo sopra quel traliccio?” chiedevo... Primo e i suoi amici si ammazzavano dalle risate per le mie uscite, ma in realtà ero preoccupata per lo scarso rendimento economico della libreria. Un giorno arrivò Roberto Cerati, il rappresentante dell’Einaudi, portava i suoi documenti per presentare le novità dentro un sacchetto di plastica... Un personaggio d’altri tempi... Primo riuscì a instaurare con lui un rapporto quotidiano, ma quel signore strano veniva lì non solo per dare preziosi consigli, infatti ci diceva sempre questa frase: “Vi porto solo i libri, la cultura è una cosa seria e sono io che la imparo da voi”. Una cosa detta in questo modo da un personaggio così autorevole era stata una grande spinta per la Calusca. Lui stava ore ad ascoltare le spiacionate di Primo, poi i ruoli si ribaltavano, usciva il mitico block notes di Cerati e con i conti alla mano insegnava a Primo il mestiere del libraio, passandogli contatti, informazioni e piccoli intrighi su tutte le altre case editrici. La libreria iniziò a riempirsi di libri, Moroni s’era reso conto che molti editori e redattori avevano frequentato il Si o Si o almeno i suoi soci, quindi riuscì a farsi aprire le porte del contovendita abbastanza agevolmente. Per esempio conosceva il direttore della libreria Feltrinelli di via Manzoni, qualche volta andava con lui a pranzo, ma più spesso a prendersi l’aperitivo con Vanna, la commessa della Felrinelli, di cui io sono stata gelosissima per anni... Insomma con questo sistema di accordi formali con il direttore e stretti rapporti con la commessa, Primo otteneva forti sconti e tanti libri gratis... Così tentava di fare con tutti gli altri editori. La libreria era finalmente partita, nel pomeriggio andavo ad aiutare Primo, Maysa la posteggiavamo in vetrina e lei giocava per terra davanti ai passanti, proprio sotto lo striscione: “Marini libero”, l’anarchico di Salerno che era stato aggredito da un gruppo di fascisti e difendendosi ne aveva ucciso uno. I passanti rispondevano contenti a Maysa, quando alzavano lo sguardo s’incuriosivano ancor di più... Dalla Calusca entrava e usciva gente davvero strana!
Sono nata a Candela, un paese a una trentina di chilometri a sud di Foggia... Mio padre era medico e mia madre proprietaria di terre. Fin dalle elementari mi sentivo diversa, un po’ ribelle, ero la più piccola di quattro sorelle e un fratello. Ero giovane, bella, con tanta voglia di avventura e i miei, già sulla sessantina, non riuscivano a tenermi... Mi spedirono a studiare a Napoli con mio fratello che era già universitario. Ma lì non riuscivo a frequentare nemmeno una scuola e stavo in giro tutto il giorno per le strade. Nel 1964 mi mandarono a Milano per studiare alle magistrali che io odiavo. Volevo fare l’artistico ma non c’era stato niente da fare. Vivevo in via Tolstoj, nel quartiere Lorenteggio, a casa di mia sorella Angela, già sposata con due bambini. Nebbia, freddo, tutti i giorni prendevo il tram per il liceo Carlo Tenca e poi dovevo rientrare in velocità a casa. Ero sotto stretto controllo, una cosa da uscire pazzi... Avevamo l’obbligo di portare la gonna, ma io non ce la facevo, mi tiravo su i pantaloni e da sotto il grembiule non si vedevano, finché un giorno mi erano caduti e i professori avevano chiamato il preside... Sospesa per un mese. Un paio di anni dopo mi buttarono fuori dal liceo perché avevo picchiato una tipa che mi stava sul culo, una ricca sfondata che si presentava sempre in pelliccia, quella stronza. Sono tornata per qualche mese a Candela... Nel 1967 mi rimandarono a Milano a patto di diventare una ragazza regolare. Alla sera non uscivo mai, qualche amica, un mezzo fidanzato, sesso poco e castissimo.
Con il ‘68 le cose erano cambiate anche per me, in casa con la famigliola non ci stavo più dentro, giravo solo di giorno annoiata, vedevo un mondo che stava cambiando ma io non riuscivo ad afferrarlo. Per mia grande fortuna un pomeriggio sotto la metro di Duomo venni fermata da due ragazzi ben vestiti, Marco e Ottoz. Mi chiesero al volo “Ciao, che cosa fai nel tuo tempo libero? Rispondi veloce, sì o sì”, io rimasi un po’ sorpresa ma dissi “No!”, Ma loro continuarono. “Allora bisogna parlarne. Perché non vieni a trovarci nel nostro club?”. “Club?”. “Il Si o Si, il nostro splendido posto che abbiamo in via San Maurilio, a cinque minuti da qui...” Incuriosita mi feci spiegare bene. Il club organizzava degli spettacoli, presentazioni di libri, concerti e anche gite fuori porta, restava aperto dalle 11 del mattino alle 4 di notte. I soci erano più di tremila, ognuno con la propria tessera magnetica che funzionava anche da chiave, quindi bastava un socio che lo aprisse e uno che lo chiudesse, anche se per la notte ci pensava quasi sempre il presidente, perché ci dormiva dentro. La quota di associazione era bella alta, 36.000 lire, però in cambio ti davano anche l’equivalente in libri, provenienti dal premio Bancarella e ogni mese mi sarebbe arrivato per posta il bollettino con il programma. Accettai al volo, d’altronde era la mia prima occasione di conoscere la Milano alternativa a quella di mia sorella e suo marito... Poi mi avevano dato questa tessera bellissima, una cosa fantascientifica... Un paio di settimane dopo, nella casella della posta mio cognato trovò il pacco con i libri e il bollettino. Me lo aprì lui con mia grande rabbia, perché io non avevo privacy... Quell’opuscolo me lo sarò letta mille volte, era divertentissimo, davvero non trovo le parole per farvi capire come fosse divertente... Gli articoli erano firmati dal presidente: Primo Moroni... Uno sul natale, da morire dal ridere, una presa per i fondelli sulle feste, sui regali, ancora oggi se mi viene in mente comincio a sorridere di brutto! Poi recensioni di libri, tutta la spiega delle attività del club, la raccolta di ciliege da organizzare il maggio successivo, i biglietti dei teatri e dei cinema, perché il Si o Si era convenzionato con molte sale... Ogni volta che leggevo quelle cose mi sembrava di andare sulla luna.
I bollettini mi arrivavano a casa non tutti i mesi, li aspettavo avidamente, ma quelle scadenze così aleatorie mi facevano venire l’ansia... Avevo una voglia matta di andare a vedere quel posto... Feste, concerti, cinema, poesie, aperto dalla mattina fino a notte fonda, tremila soci, quei testi così comici, e cosa? Cosa ancora... Finalmente a primavera arrivò mio fratello, a trovarci per un mese a Milano. Lui era un po’ fascista, ma un gran signore, uno che ci sapeva fare con l’avventura, gli piaceva la vita notturna, stare in mezzo alla gente, bere e ballare. Una settimana più tardi, durante un dopo cena mi disse “lo sai Sabina che oggi mi sono iscritto a un club, il Si o Si!” Non volevo crederci... La sera dopo ci saremmo andati insieme! A quel punto dovevo trovare solo l’abbigliamento. Un’impresa titanica considerando il mio parametro di bellezza di allora. Non avevo vestiti da sera, il mio guardaroba era identico a quello di mia zia. Per il Si o Si mi inventai una cosa indegna! Scarpe basse di vernice nera, un abito senza maniche a vita alta di colore grigio topo che mi copriva il ginocchio, in più, era di lanetta sintetica, quella stoffa pesante che si attacca alle calze facendo scintille. Almeno il seno lo faceva vedere, ed io ero fortunatamente bella formosa. Sopra, per coprire la scostumata abbondanza, c’era una patetica giacchetta dell’Upim, anch’essa grigia con le orrende maniche lunghe bianchissime. Infine ero andata dal parrucchiere per farmi una tragica acconciatura. Io ho i capelli ricci, per l’occasione me li feci lisciare tutti... Sembravo un’altra, una sciura di vent’anni prima, vestita in malo modo. Già all’ingresso, appena lasciato il cappotto, mi sentivo a disagio. Era un posto bellissimo, un palazzo del Settecento, con le porte stuccate, le finestre ampie e le tende pompose, saloni, poltrone, divani, strumenti musicali, c’era la stanza verde, la stanza rossa, quella azzurra, la biblioteca e il bar... Mentre mio fratello faceva conoscenze e offriva da bere a chiunque, io, senza tacchi mi affannavo a salire sullo sgabello alto del bancone. Volevo morire... Vedevo queste tipe passare vestite ultramoderne, bellissime donne di tutti i generi. La commessa della Standa, l’attrice, la professoressa squattrinata e la ricchissima annoiata, tutte con un stile pazzesco... Gli uomini, uno più interessante dell’altro. Mi stava passando un mondo nuovo attorno. Io ero assolutamente fuori luogo in un posto che già amavo come non avevo amato mai niente...
Il tempo passava meno veloce del disagio, un’ora, due ore, mio fratello dopo avermi parcheggiata era sparito. Tutto sommato nessuno mi rivolgeva la parola, bevendo un po’ ero riuscita persino a togliere l’orrida giacchetta, sfoderando appena appena il seno. Facevo ballare l’occhio affascinata, così di colpo avevo iniziato a chiacchierare con Danilo, il barista gay. Era la persona più simpatica che mai mi era capitato conoscere. “Davvero è la prima volta che vieni qui? Ma allora non hai ancora conosciuto il presidente”. Danilo mi introdusse così alla figura del presidente e io lo ricordavo benissimo dalle letture del bollettino. Ormai s’erano fatte le due, ogni tanto davo uno sguardo al mio vestito da suorina, diventato dall’emozione un sudario elettrico... Madonna... Se avessi potuto togliermelo... Che vergogna... I capelli da lisci s’erano fatti crespi e stopposi, tra l’altro il giorno dopo dovevo anche andare a scuola. Cercai mio fratello per dirgli che non ce la facevo più. In quel momento entrò il presidente... Ti giuro di belli come lui... Solo oggi lo posso dire... Di belli come lui ci sono stati solo Bin Laden, Gesù Cristo e Che Guevara... Era arrivato ubriaco, con una camicia colorata, un foulard al collo e dei fiori infilati sulla chioma liscia nera... Questa faccia cinese, l’occhio cinese che però manco mi vedeva, mi attraversava con lo sguardo... Era con un suo amico, Albertone, un ciccione anche lui ubriaco e con Bianca, una bella tipa... Una teatrante... Danilo fece le presentazioni, “piacere”, “piacere”. Sudavo, volevo sprofondare... Non so come dire... C’è stata una attrazione fisica immediata... “Non è possibile” mi ero detta, “questo qua devo assolutamente conoscerlo, devo fare in modo che mi noti”. “Ma come?” mi chiedevo. Mio fratello aveva invitato intanto un po’ di gente a uscire fuori per mangiare qualcosa... “Ma sei pazzo, a quest’ora?” gli avevo detto... Ma quando il presidente aveva proposto un locale sui navigli, mi ero subito aggregata. Era la prima volta che io uscivo di notte in tutta la mia vita. In trattoria nonostante il presidente fosse lontano da me di due posti sullo stesso lato del tavolo, potevo contare sui capelli tornati ricci per la pioggia e sui miei occhi. Tutto sommato, mi dicevo, “ho dei bei occhi!”. Per cui avevo ripreso il colore, grazie alla situazione e a quella persona che mi eccitava tanto. Parlava con tutti, era al centro di ogni conversazione, discuteva di politica con un superintelletuale che gli stava davanti, di lotta contro il padrone con l’operaia della Borletti, del suo passato nella gang di quartiere quando faceva il ballerino con Albertone, di autori teatrali con la sua amica attrice, di libri e film con mio fratello al limite del litigio... Notavo che lui si sporgeva sempre più per notarmi... Insomma, una serie di sguardi. Al che mi sono detta, “Questo me lo cucco!”. Alle 5 del mattino avevo desistito, non ce la facevo davvero più. Avevo salutato tutti tenendo per ultimo lui. Mi aveva trattenuto la mano... Un caldo... Mi era venuto un caldo che non ti dico... “Mi prometti che torni!” “Ma certo, sicuramente”, gli avevo risposto subito.
Mio fratello era partito da un pezzo e io c’avevo in testa, martellante, il Si o Si. La strada la conoscevo, qualche vestito più adatto lo avevo acquistato, dovevo solo aspettare che la sorella, cognato e prole andassero in gita in Liguria. Il 24 aprile 1969, un sabato sera, mi avviai, questa volta da sola, verso il club... Stufa di stare ore appollaiata al bar a parlare con Danilo, mi ero quasi sdraiata su una poltrona nella ormai vana speranza di vederlo arrivare... S’era presentato all’una esattamente come l’altra volta, ubriaco, in compagnia dell’Albertone e con una camicia coloratissima. Però mi aveva notato immediatamente e si era addirittura seduto vicino a me! “Ciao”, “Allora mi hai riconosciuto!”, “Certo! E chi ti ha dimenticato!”... Bum! Bum! Bum! Sono quei momenti che ti rendi conto che qualcosa di grosso ti sta per succedere. Io ero già fidanzata con un medico amico di mio cognato, le nostre famiglie si conoscevano e la mia strada era già segnata, la gabbia già bella e fatta... Che poi per me non era una gabbia, era semplicemente il mio piccolo mondo... Il Si o Si, lo sentivo, mi avrebbe cambiato la vita... Primo mi aveva messo una mano sulla coscia... La situazione era tosta, ma era esattamente ciò che volevo... La gente cominciava ad andarsene, non avevo manco più i soldi del taxi. Danilo spegneva le luci, la mano fissa sulla coscia... Non mi mollava e io lì ferma... Rimasti soli Primo s’era alzato, aveva acceso delle candele, preso una bottiglia e dei calici bellissimi... Non sapevo come e cosa fare, ma mi sono lasciata trascinare, era una sfida contro il mio mondo di una volta...
Vabbè... Tra mille casini con tutte le sue amanti, alla fine ci siamo messi assieme. Io ho mollato l’università, mia sorella e l’assegno che mi arrivava dal sud... Ho iniziato a lavorare in una palestra e tutte le sere ero fissa al Si o Si. Fu un anno indimenticabile, Primo veniva a prendermi in auto per il pranzo tutti i giorni, poi ci vedevamo alla sera... Purtroppo il club finì male perché Filippini, il tesoriere, era scappato con i soldi di tutto il circolo perdendoseli al casinò di Venezia. Pieni di debiti, essendo Primo il presidente, andammo dai miei a Candela per qualche mese e lì ci sposammo. La casa a Milano la trovai io, in Piazza del Duomo, nel vicolo di Piazza Mercanti, Passaggio degli Osii... La dritta per quella casa l’avevo ottenuta grazie al Correnti, l’allora direttore del Teatro Manzoni, un siciliano assurdo, sembrava un boss... Nel suo teatro Primo e Roberto Danè avevano organizzato un’indimenticabile tre giorni di performance... Primo l’avrà raccontata milioni di volte a chiunque... Fu una festa di cui si continuò a parlarne per anni... Insomma in questo modo era diventato amico con il Correnti e per un periodo lavorai con lui come segretaria. Il giro del Si o Si era talmente ampio che comprendeva anche una parte dell’alta borghesia milanese e il Teatro Manzoni era uno dei tanti luoghi dove Primo si muoveva. Lì un ballerino ci aveva dato le chiavi dell’appartamento di Passaggio degli Osii, dove abbiamo abitato per due anni senza mai pagare l’affitto. Quell’appartamento era un po’ come il Si o Si più ristretto, un casino di gente e feste tutte le sere... È lì che abbiamo concepito nostra figlia Maysa e l’idea di aprire una libreria. Venivano quelli del gruppo Gramsci, che non erano quelli del Berchet, ma era un collettivo che vendeva libri per le strade e soprattutto la famosa enciclopedia “Io e gli altri”. Marco, Ottoz, Giacomo Nicolaci, il nano maledetto e molti altri, poi c’erano le commesse della Standa, le attrici, gli operai militanti, gli intellettuali, Joe Tavaglione e quelli di Barbonia City, i gay amici di Danilo, il commercialista Zuccotti, i portoghesi, i brasiliani, qualche africano, dei francesi e degli inglesi, insomma i personaggi più bizzarri della città. Poi c’era Joao e la Gina, una donna straordinaria che girava gli ambienti vip e politici per affari loschi. Siccome non c’era il citofono e si stava al terzo piano, tutta la gente che arrivava ci doveva chiamare a voce alta dalla strada... I nostri vicini non protestarono mai, anche perché in quell’edificio c’era un covo di matti... Le due vecchiette che vendevano i tartufi nelle piccolissime edicole in Piazza del Duomo, il libraio ambulante, le entraîneuse del ristorante Carminati che di notte diventava un club superprivato e altra umanità varia. In casa ci sono state diverse fasi, nella prima, quando c’erano ancora i tanti soldi della mia dote, si andava sempre nei ristoranti, poi quando cominciavano a spendere troppo si iniziò a far da mangiare nella nostra cucina... A quel punto in Passaggio degli Osii ci veniva a trovare anche un mucchio di scrocconi... Eppure si era felici come non mai, discussioni, feste, progetti politici e culturali ne nascevano ogni notte. La mia pancia incinta cresceva ma i soldi erano ormai finiti, la dote ce l’avevamo sputtanata nel giro di un anno e mezzo. La Gina mi propose di travestirmi da maschera del teatro per entrare di soppiatto nel camerino di Milva per rubargli un prezioso anello... Non se ne fece niente, ma questo per dirvi che eravamo proprio alla frutta.
Il Filippini s’era fatto vedere per riparare in qualche modo il suo debito. Ci aveva dato un assegno da un milione, tipo signor Bonaventura, da incassare solo dopo averlo avvertito. Non lo abbiamo mai versato, forse ce l’ho ancora da qualche parte. Primo aveva già lavorato come promotore delle vendite per la Fabbri e la Vallardi, conosceva molto bene il mondo dell’editoria e siccome c’era l’idea di aprire una libreria, avevamo chiesto al Filippini di trovarci nella zona Ticinese un posto che costasse poco per l’affitto. Ci trovò un negozio ad angolo tra Piazza Sant’Eustorgio e vicolo della Calusca, la storia del nome di questa via ci piacque molto. Il Vicolo Calusca è un invenzione popolare. In origine "Ca' dei Lusca" cioè casa dei Losca, una nobile famiglia milanese, ma con l'andare del tempo diventò un vicolo di case di tolleranza, da qui "Ca' Lusca" ossia case losche. Decidemmo senza pensarci troppo che la nostra libreria si sarebbe chiamata “Calusca”. Iniziammo ad allestirla nel settembre 1971, Primo e Joe Tavaglione, il bravissimo pittore, reduce dall’esperienza della rivista “Mondo Beat”, si misero a costruire gli scaffali di legno per l’esposizione dei libri. Ero al settimo mese, io e Joe Tavaglione stavamo andando ad aiutare Primo a martellare in Calusca, quando all’improvviso mi si sono rotte le acque, stavo per partorire lì, nel mezzo del Corso Ticinese! Maysa è nata nell’ottobre del 1971, per cui i lavori si erano protratti per altri due mesi. La aprimmo in sordina già prima di natale, anche se in effetti iniziò a funzionare veramente dal gennaio del 1972. I soli libri esposti erano quelli della casa editrice cattolica Jaca Book, per il resto c’erano centinaia e centinaia di opuscoli... Arrivavano questi ciclostilati ancora caldi di stampa e noi li mettevamo là a disposizione di tutti... La Calusca subiva ancora un po’ l’influenza del Si o Si, ad esempio ci venivano i coniugi Zuccotti, che erano diventati i commercialisti della nostra impresa di cui io ero il rappresentante legale. Ci passava ancora il barone Moretti, il proprietario del palazzo del Si o Si, Duilio Del Prete, Corradi Pani, Roberto Brivio, il mio pediatra Marcello Bernardi quello che aveva scritto il famoso libro “Il problema inventato”. Chiaramente veniva anche Roberto Danè con sua moglie Eleonora, loro avevano due figli e Pietro era poco più grande di Maysa. Roberto scriveva sceneggiature con Dario Fo ed Enrico Vaime, lavorava con De André ed era una presenza vulcanica in libreria, ma non come quella di Giancarlo Buonfino. Giancarlo era fotografo, scrittore, disegnatore e cineasta, aveva contatti in ogni ambiente culturale e fece conoscere a Primo anche Sergio Bologna e tutto il suo giro di professori universitari. Dalla porta della Calusca entrava tanta, tantissima politica in quel periodo, quindi lo spazio ancora spoglio di libri divenne un grosso centro di socialità, ma anche un luogo fisso per l’incontro di ogni tipo di organizzazione extraparlamentare e per tutti i cani sciolti.
In breve, in quei pochi metri quadri si concentrò un mix di gente incredibile e di tutte le classi possibili e immaginabili. All’appello non mancavano nemmeno i rappresentanti della ligera, la piccola mala dell’antico porto milanese della Darsena. Primo ascoltava tutti, era un punto di riferimento per l’insegnate, per la madre, per la disoccupata, per il licenziato, per quello che aveva bisogno di un posto dove dormire, quello che voleva fare una rivista, quello che doveva scrivere un volantino. Primo teneva aperta la Calusca dalle nove del mattino alle otto di sera, voleva che diventasse una struttura di servizio per il movimento e una sorta di campo neutro indipendente dai vari gruppuscoli politici. E alle otto e mezzo di sera veniva a casa sempre con una fiumana di gente, io non sapevo mai per quanti apparecchiare. In Passaggio degli Osii si parlava ormai troppo di politica, io, tra mia figlia e il casalingato per le truppe mi perdevo dei pezzi. Sì, ricordo la morte di Feltrinelli, dicevano che era uno troppo ricco per fare la lotta proletaria. “Che cazzo ci faceva il Giangiacomo sopra quel traliccio?” chiedevo... Primo e i suoi amici si ammazzavano dalle risate per le mie uscite, ma in realtà ero preoccupata per lo scarso rendimento economico della libreria. Un giorno arrivò Roberto Cerati, il rappresentante dell’Einaudi, portava i suoi documenti per presentare le novità dentro un sacchetto di plastica... Un personaggio d’altri tempi... Primo riuscì a instaurare con lui un rapporto quotidiano, ma quel signore strano veniva lì non solo per dare preziosi consigli, infatti ci diceva sempre questa frase: “Vi porto solo i libri, la cultura è una cosa seria e sono io che la imparo da voi”. Una cosa detta in questo modo da un personaggio così autorevole era stata una grande spinta per la Calusca. Lui stava ore ad ascoltare le spiacionate di Primo, poi i ruoli si ribaltavano, usciva il mitico block notes di Cerati e con i conti alla mano insegnava a Primo il mestiere del libraio, passandogli contatti, informazioni e piccoli intrighi su tutte le altre case editrici. La libreria iniziò a riempirsi di libri, Moroni s’era reso conto che molti editori e redattori avevano frequentato il Si o Si o almeno i suoi soci, quindi riuscì a farsi aprire le porte del contovendita abbastanza agevolmente. Per esempio conosceva il direttore della libreria Feltrinelli di via Manzoni, qualche volta andava con lui a pranzo, ma più spesso a prendersi l’aperitivo con Vanna, la commessa della Felrinelli, di cui io sono stata gelosissima per anni... Insomma con questo sistema di accordi formali con il direttore e stretti rapporti con la commessa, Primo otteneva forti sconti e tanti libri gratis... Così tentava di fare con tutti gli altri editori. La libreria era finalmente partita, nel pomeriggio andavo ad aiutare Primo, Maysa la posteggiavamo in vetrina e lei giocava per terra davanti ai passanti, proprio sotto lo striscione: “Marini libero”, l’anarchico di Salerno che era stato aggredito da un gruppo di fascisti e difendendosi ne aveva ucciso uno. I passanti rispondevano contenti a Maysa, quando alzavano lo sguardo s’incuriosivano ancor di più... Dalla Calusca entrava e usciva gente davvero strana!