Caro Gianfranco
Avevi quasi raggiunto l'età di 77 anni. 1977 l'anno a cui facevi sempre riferimento per sottolineare l'importanza di quel periodo di svolta sociale e culturale.
Gianfranco ci ha insegnato molto, da quando avevamo 15 anni a oggi. E non potremo mai dimenticare la sua capacità di spiegarci le più intricate teorie filosofiche e politiche con un linguaggio così semplice limpido e ironico, utilizzando gli strumenti di comunicazione più popolari: canzoni, sceneggiature di film, fumetti e romanzi.
La redazione di Agenzia X ti manda un ultimo saluto, ricordando la straordinaria esperienza che abbiamo vissuto insieme in occasione della pubblicazione di Ma chi ha detto che non c'è. 1977 l’anno del big bang.
Ti lasciamo urlando il saluto dei nativi Dakota contro questo maledetto cielo del presente:
Mitakuye Oyasin!!!
Il discorso trasparente: in ricordo di Gianfranco Manfredi
di Marco Philopat su Effimera
Quando in questi giorni penso a Gianfranco Manfredi devo fare uno sforzo di immaginazione per non piangere, allora tento di farmelo apparire in un corteo circense di strada.
Sì, me lo vedo, lui, con i suoi baffetti e gli occhialoni tondi, circondato dagli indiani metropolitani, nani e ballerine, giullari e saltimbanco a cantare con allegria che sotto l’abito che ci siamo messi siamo tutti uguali.
E siamo tutti connessi proprio com’è intitolata la poesia dei Lakota Sioux che ci ha voluto lasciare poco prima di morire[1].
Un po’ Dario Fo, un po’ Jannacci e un po’ molti altri sbeffeggiatori del potere che hanno attraversato le frontiere tra le arti, cercando di unirle in un’unica opera sociale. Anche per questo motivo la parola eclettico è la più indicata per descrivere il personaggio che si è sempre impegnato in una serie di sperimentazioni per armonizzare in ciò che scriveva le diverse forme di comunicazione culturale in cui ha lavorato, con l’obiettivo di rendere più fruibile il suo pensiero radicale. Infatti era nel “discorso trasparente” che ci mostrava la sua più grande abilità.
Gianfranco era capace di spiegarti con semplicità le teorie più difficili degli studi accademici, utilizzando un linguaggio estremamente efficace per scardinare i tuoi blocchi mentali e in più lo faceva sempre strappandoti un sorriso.
Il suo era davvero un discorso trasparente perché parlare con lui, leggere o ascoltare qualcosa di suo, era come un aprire una scatola delle sorprese e l’ironia era il lubrificante che metteva sui tuoi ingranaggi mentali per attivare nuovi percorsi di crescita personale.
Una volta, a una cena dopo una presentazione, ci parlò del suo anziano docente Mario Dal Prà spiegandoci chi era e citando filosofi e pensatori di cui molti di noi si erano confrontati senza capirci molto. Le sue pillole di saggezza erano snodi di una rete cognitiva che stava preparando per stupirci con il gran finale. Ci raccontò il dispiacere dell’ex partigiano Dal Prà nel sentire Gianfranco che gli rassegnava le dimissioni dall’università proprio quando stava diventando titolare di incarico.
“Davvero vuole andare a fare canzonette per il movimento?”
“Sì.”
“Non si abbatta, la filosofia non si fa più qui dentro, ma fuori” aveva concluso il suo docente esprimendo una tenerezza infinita.
Poi Gianfranco aveva collegato la sua scelta a ciò che aveva studiato in quel periodo post 68 e mentre più di metà della tavolata stava cercando di gestire le rapide associazioni mentali che erano nel frattempo esplose nei cervelli, anche grazie alle svariate bottiglie di vino, lui si era alzato in piedi, lisciato i baffetti e preso in una sorta di piece teatrale aveva cominciato a prendere in giro le deliranti interpretazioni del pensiero di Deleuze.
“Ma voi avete capito che cazzo vuole dire desiderio desiderante?”
Le risate avevano concluso la serata ma le sue parole e i suoi gesti ci erano rimasti dentro per un bel po’ di giorni.
Vedevi sempre più chiaro dopo un incontro con Gianfranco.
* * *
Proprio come accade a me quando avevo 14 anni. Nell’ottobre 1976 mi iscrissi in un istituto tecnico di periferia, provenivo da una famiglia cattolica e avevo frequentato fino a pochi mesi prima gli scout degli oratori. Nel giro di qualche settimana, in cui la scuola era sempre occupata e in autogestione con il 6 politico, avevo partecipato ad almeno tre cortei di scontri con la polizia, mi ero fatto le prime canne e pure un acido e per la prima volta avevo fatto l’amore con una compagna del liceo vicino. Ero travolto dalle emozioni e non capivo in quale incredibile paese dei balocchi ero finito, mi chiedevo soprattutto perché i miei compagni di due o tre anni più grandi parlavano spesso del festival del proletariato giovanile al parco Lambro che si era svolto nel giugno precedente. Discutevano e si azzannavano sui fatti di quei giorni di festa collettiva: il soggetto politico, la ricomposizione, gli espropri, la polizia, la battaglia dei polli e pusher ed eroinomani picchiati… Un rebus indecifrabile per me.
Dopo qualche mese finalmente riuscii ad ascoltare Un tranquillo festival pop di paura: “La giunta è di sinistra lo sporco non si sa… solo come un pulcino, bagnato come un cane… si sta sfasciando tutto persino la teoria… la nostra vita è diventata cosa… il desiderio grida: ecco la polizia!… sì magari con lo yoga ti passa un po’ di sgaggia… si bruciano le buste vigliacca l’eroina… ma c’è chi il suo nemico lo cerca per il prato.”
Se a quel punto le mie sinapsi si erano attivate ciò che le ha collegate è stato sicuramente l’ascolto di poco successivo di Ma chi ha detto che non c’è.
Cosa c’era sulla punta delle labbra della mia amica liceale? Cosa c’era nel distruggere la gabbia della mia famiglia?
Ancora oggi devo ringraziare Gianfranco per essere riuscito a raggiungere un ragazzino del Giambellino come me che stava rischiando grosso.
* * *
Quel suo discorso trasparente lo hanno conosciuto bene le tante amicizie che coltivava in tutti gli ambiti culturali con cui ha collaborato. Per esempio nella scena del fumetto con Magico Vento che oltre a essere stato tradotto e pubblicato in molti paesi del mondo, deve aver accesso le connessioni di diversi nerd del settore, proprio come era successo a me con le sue canzoni.
Nel campo dell’editoria potrei dilungarmi raccontandovi la sua straordinaria produzione a partire da Magia rossa uscito nel 1983 e ambientato negli anni settanta tra circoli sovversivi, serate medianiche, poteri occulti, con protagonista il misterioso anarchico scapigliato Tommaso Reiner, un highlander che riappare in diverse epoche, capace di fermare i macchinari dell’industria con la sola forza del pensiero, o di far scoppiare i fucili dei carabinieri puntati sugli operai in fuga durante il massacro a Milano nel 1898. Stesso periodo preso in considerazione in Piccolo diavolo nero uscito nel 2001 con i teppisti in bicicletta che guidano gli scontri contro le cannonate di Bava Beccaris. Basterebbero questi due spunti per farvi catapultare in libreria e ordinare qualcosa dal suo repertorio di narrativa, ma vorrei ricordare altri due titoli che mi hanno folgorato: il noir dell’assurdo Cromatica del 1985 e uno degli ultimi Splendore a Shanghai uscito nel 2017. Sono romanzi immersivi e appassionanti che però devi leggere con Wikipedia a portata di mano tanti sono i personaggi, i fatti e gli aneddoti sconosciti e interessanti che bisogna per forza approfondire.
Per Gianfranco scrivere era un divertimento unico. Scrivere, scrivere e scrivere ancora, non importa se il testo finiva in un libro di narrativa, su un fumetto o in una sceneggiatura cinematografica, scrivere per lui era ossigeno e infatti sulla sua pagina FB si sfogava tra un progetto e l’altro, relazionandosi a un vasto pubblico di follower che lo stimolava in continuazione. E i suoi interventi erano colti e comici allo stesso tempo, mai banali. L’ultimo intervento nella sua newsletter Boiler è su Main Street di Sinclair Lewis rapportato all’America nell’era di Trump.
* * *
Nel 2016 ho telefonato a Gianfranco perché Agenzia X aveva deciso di chiedergli di costruire un progetto editoriale sull’anniversario del 1977. Non l’avevo mai conosciuto di persona e quando l’ho sentito mi tremavano le gambe. Qualche giorno dopo è arrivato in redazione, ero agitato manco fosse Robert De Niro, ma lui ci ha messo un secondo a farmi dimenticare la soggezione con un paio di battute azzeccate e qualche magia dialettica espressa con una voce che sembrava uscire da un baloon dei comix. Gli ho spiegato chi eravamo e come lo avevo conosciuto in gioventù e lui è partito a razzo a scrivere, scrivere e scrivere ancora. Pochi mesi dopo è tornato con già un tomone di 400 pagine.
“Senti Philopat ho deciso che lo chiameremo Ma chi ha detto che non c’è – 1977 l’anno del big bang.”
Ero naturalmente felicissimo, ma neanche il tempo di elaborare la gradita sorpresa che lui si era lanciato nella descrizione.
“Sì un big bang un esplosione di affreschi letterari, sto studiando ogni cosa che è successa in quell’anno, giorno dopo giorno, e ci sto mettendo un casino di roba, il funerale di Mao, Ulrike Meinhof, Mike Tyson, Bill Gates, i punk, il rifiuto del lavoro, Kunta Kinte, Christian De Sica, il femminismo, le droghe, Jimmy Carter e tutti i più importanti intellettuali dell’epoca, anche i filosofi! No magari quelli non li metto, sarebbero altre 200 pagine.”
“Infatti mi sembra già abbastanza.” Gli avevo risposto io già un po’ preoccupato.
“Ma cosa c’entra Christian De Sica?”
“Sì, nella parte del cinema romano, poi ti spiegherò.”
Questa sua esperienza a Roma è la più spassosa e, durante il tuor delle presentazioni, ci siamo fatti ore di risate grasse ascoltando le sue avventure in casa del regista Samperi. Se per caso girava una canna e lui si faceva un tiro era l’apoteosi della ghignata. Da farti venire il mal di pancia…
Nel libro c’è un capitoletto intitolato Cronache di un parto in cui racconta la nascita della prima figlia Diana nel 1977 che è uno spasso, andatevelo a leggere, parola chiave: doberman.
Già dal primo incontro di Ma chi ha detto che non c’è si era capito come sarebbero andate le altre decine di presentazioni. Due o tre amiche e amici della sua età che venivano a prenderci in stazione e che l’avrebbero poi affiancato al tavolo, un dialogo, o meglio una performance, un dibattito lungo e sempre interessante, una cena popolare e l’immancabile chitarra che saltava fuori nel finale con un gran coro con le sue canzoni, anche quelle più sconosciute di cui Gianfranco non ricordava minimamente il testo.
Ogni tanto tirava fuori qualche provocazione come faceva nel 1977, erano incursioni feroci dentro le contraddizioni dell’epoca, l’autocritica che ci metteva aveva fatto storcere il naso ai compagni più granitici e qualche polemica era scoppiata, come nel caso di Quarto Oggiaro story che è la sua canzone del periodo più esilarante. Mi piacerebbe parlarne meglio ma lo farò solo in occasioni pubbliche perché ci vuole una mimica particolare che spero di poter imitare in qualche modo.
Oppure quando ci svelò un segreto a proposito di “Re nudo” dove si occupava di recensire libri e dischi.
“Scrivevo male di ogni cosa e ci arrivavano delle lettere infuocate a difesa di Bob Dylan, di Ginsberg e qualche altro mostro sacro dell’underground. Un giorno mi ero rotto i coglioni e avevo scritto delle ottime recensioni di falsi gruppi musicali o di falsi scrittori, poi tutti a cercarli…”
In alcuni centri sociali si temeva qualche scazzo per le posizioni pacifiste molto argomentate contro le rivolte armate nel mondo e in Italia espresse nel libro, eppure non hanno mai impedito la partecipazione attiva di ex militanti dei gruppi clandestini di una volta e alla fine, insieme alla ballotta, anche loro a cantare: “L’ultimo moicano col sampietrino in mano…”.
Era un personaggio a cui volere bene e che suscitava simpatia, empatia e rispetto. La rassegna stampa di questi giorni dedicata a lui e raccolta dalla casa editrice Bonelli è lunga 120 pagine!
“Chissà se si rendeva conto di quanto era amato…” Mi ha scritto ieri sua figlia Diana.
* * *
Ci sarebbe molto altro da raccontare e io non vorrei mai chiudere questo articolo perché mi piace ricordarlo mentre scrivo, ma non si finirebbe più.
Voglio abbracciare Mirella, le tre figlie Diana, Elena e Cora e dire loro che siamo in tante e tanti a voler dare una mano qualora si decidesse di ricordare Gianfranco con una gran festa collettiva.
Ma lasciamo a lui la chiusura proprio sulla canzone che dà il titolo al libro.
“Sul c’è… lì ci si può sbizzarrire. Era fatale che nelle più diverse circostanze qualcuno mi chiedesse: ‘Ma cos’è che c’è?’. E io non rispondevo mai, perché lo deve dire chi ascolta cos’è che c’è, per lui. […] Oreste Scalzone, giorni fa, ha dato una spiegazione filosofica: ‘È l’immanenza’. In pratica (grazie Oreste) mi ha spiegato le mie idee facendomele capire. Sì, è vero. La trascendenza non c’è proprio. Il c’è è quello che c’è, è quello in cui stai, è quello che senti nel momento, è quello che vivi. Per gli altri, magari, stai a perdere tempo. Ma chi l’ha detto? No, sto guadagnando senso all’essere qui, adesso. Quello che c’è prendilo tutto, con le contraddizioni perché la cernita la farai dopo, ma anche dopo le contraddizioni resteranno, e facendo i conti con la violenza, certo, perché, se fare l’amore è meglio che fare a sprangate, neanche si può fare all’amore vita natural durante, quando tocca combattere si combatte… senza dimenticare le sfumature, senza smarrire mai il sociale, senza limitare ideologicamente lo sguardo, senza perdere la tenerezza.”
NOTE [1] Aho Mitakuye Oyasin… / Vi onoro in questo ciclo di vita con me oggi. / Sono grato per questa opportunità di riconoscervi in questa preghiera… / Per il Creatore, per il dono supremo della vita, io ti ringrazio. / Per il popolo minerale che hai costruito e mantenuto le mie ossa e tutto il progetto per la mia esperienza di vita, io ti ringrazio. / Per il popolo floreale che sostieni i miei organi e il mio corpo e mi dai le erbe curative in caso di malattia, io ti ringrazio. / Per il popolo animale che mi nutri dalla tua stessa carne e offri la tua compagnia fedele in questo cammino di vita, io ti ringrazio. / Per il popolo umano che condivide il mio percorso come una sola anima sulla sacra ruota della vita terrena, io ti ringrazio. / Per il popolo Spirituale che mi guida invisibile attraverso gli alti e bassi della vita e per portare la fiaccola della luce attraverso i secoli, io ti ringrazio. / Per i quattro venti di cambiamento e di crescita, io vi ringrazio. / Siete tutti le mie relazioni, i miei parenti, senza i quali non sarei vivo. Siamo nel ciclo della vita insieme, co-esistenti, co-dipendenti, co-creando il nostro destino. L’uno, non meno importante dell’altro. Un popolo che si evolve dall’altro e tuttavia ognuno è dipendente da quello appena sopra e da quello appena sotto. Tutti noi siamo parte del Grande Mistero. / Grazie per questa vita.
Sabato 10 novembre 2018 @ Milano