www.paradisodegliorchi.com, 3 novembre 2006La metamorfosi del guerriero
La guerra ormai non è più tale, nel senso della parola nella sua accezione singola: la si arricchisce, o addirittura la si sostituisce, con termini ad hoc a secondo delle esigenze. Pensiamo all’ipocrita espressione “operazione di polizia internazionale” o alla reductio ad unum “lotta al terrorismo” che nasconde un’evidente necessità di coprire le altre mille guerre che avvengono nel mondo che non hanno la capacità di accendere i riflettori della stampa di regime.
Dice Jean-Paul Hanon, uno degli autori di questa raccolta: La lotta al terrorismo diviene così uno dei mezzi privilegiati per perseguire un imperativo più generale: restringere i movimenti delle popolazioni potenzialmente pericolose (p. 39).
Sulla “pericolosità” delle popolazioni ci sarebbe da obiettare: in questa sede ci si limita ad affermare che l’“esportazione” della guerra avviene per una sorta di neo-imperialismo che si autoalimenta di stringente degenerazione e autoalimentandosi produce risultati previsti. Ancora Jean-Paul Hanon: Ma è proprio il senso di eccezionalità, di anormalità, che “insicurizza” lo stato e alimenta il successo della strategia terrorista. Si potrebbe addirittura affermare che il terrorismo, nella sua forma attuale, si nutre deliberatamente di un eccezionalismo che cerca in ogni modo di suscitare (p. 43).
Insomma: al di là dei conflitti e delle frizioni che esistono tra gli stati, la guerra si costruisce, perché dietro al suo meccanismo evolutivo, ci sono interessi non solo strategici: il settore “umanitario” oltre a divenire un business gigantesco, si trasformerebbe in un territorio senza regole, dominato da soggetti privati in grado di governare l’intero ciclo delle guerre, prima affiancando (e in prospettiva sostituendo) le truppe degli stati nell’intervento militare, poi gestendo la ricostruzione e il mantenimento della “pace”. In teoria, i nuovi signori della guerra globale potrebbero decidere di scatenare un conflitto per meri motivi di bilancio aziendale. (Mauro Bulgarelli – Umberto Zona – Mercenari, la guerra in outsourcing – p. 53).
Dunque cambia il concetto della guerra (e l’uso della parola che se ne fa), ma cambia soprattutto la genesi e la composizione dei protagonisti. Qui il libro, con un’analisi attenta e approfondita, prende in esame la metamorfosi del guerriero: dall’oplita, sorta di cittadino-combattente, che partecipa sì alla guerra, ma anche alla realizzazione delle strutture governative, all’eroe-guerriero, sorta di prosecuzione omerica dell’immagine del protagonista, al marinaio (ma l’ambito per quanto riguarda la figura rimane sostanzialmente legato all’utilizzo dei mezzi offensivi, mai fulcro di un riconoscimento identitario di appartenenza e valorizzazione), al mercenario, rivoluzionaria figura di soldato, che non produce però alcuna forma di riconoscimento politico.
Confrontiamola col presente. Dice Mario Vegetti: Già nei primi decenni del IV secolo, le milizie oplitiche cittadine cominciarono a essere sostituite da formazioni mercenarie e rapidamente la guerra (…) fu affidata in prevalenza a eserciti composti per la maggior parte, o esclusivamente, da mercenari (…) che ricorrevano al mestiere delle armi come fattore di sostentamento (p. 99).
Sì, le figure che abbiamo visto agitarsi nelle guerre di questi anni (televisive e spettacolari) erano simili: un mercenariato che prima di essere finalizzato alla realizzazione di “interessi bellici” è utilizzato come difesa personale e scorta (pensiamo al defunto Quattrocchi, che è finito ammazzato in terra irachena, ma bodyguard dell’ex ministro Scajola durante le agitazioni del G8 genovese). D’altronde il “famigerato” Nicholas Negroponte in Iraq ha integrato a tutti i livelli le truppe regolari con contractor privati che svolgono, oltre ai combattimenti, attività di intelligence, di presidio e di guerra psicologca, come le stragi di civili compiute da battaglioni senza insegne (p. 56).
Così, mentre la guerra perde progressivamente il suo significato e si slega sempre di più dall’idea di una identificazione nazionalista, i mass media e le forze governative mondiali vogliono farci credere alla necessità di un’immedesimazione culturale che metta in campo anche la possibilità di uno scontro di civiltà. La metamorfosi del guerriero è libro indispensabile e intelligente. Ci consegna un archetipo che non è: la guerra, come l’abbiamo sempre conosciuta, non esiste più. I protagonisti, loro malgrado, hanno subito un’evoluzione. A rimetterci, come sempre e oggi ancora di più,le popolazioni inermi. Mia nonna, negli anni settanta, si chiedeva ancora se l’Italia avesse vinto o perso la guerra. Ora la gente comune si chiede soltanto: ma cos’è 'sta roba.
Già, 'sta roba e nient’altro.
di Alfredo RonciDice Jean-Paul Hanon, uno degli autori di questa raccolta: La lotta al terrorismo diviene così uno dei mezzi privilegiati per perseguire un imperativo più generale: restringere i movimenti delle popolazioni potenzialmente pericolose (p. 39).
Sulla “pericolosità” delle popolazioni ci sarebbe da obiettare: in questa sede ci si limita ad affermare che l’“esportazione” della guerra avviene per una sorta di neo-imperialismo che si autoalimenta di stringente degenerazione e autoalimentandosi produce risultati previsti. Ancora Jean-Paul Hanon: Ma è proprio il senso di eccezionalità, di anormalità, che “insicurizza” lo stato e alimenta il successo della strategia terrorista. Si potrebbe addirittura affermare che il terrorismo, nella sua forma attuale, si nutre deliberatamente di un eccezionalismo che cerca in ogni modo di suscitare (p. 43).
Insomma: al di là dei conflitti e delle frizioni che esistono tra gli stati, la guerra si costruisce, perché dietro al suo meccanismo evolutivo, ci sono interessi non solo strategici: il settore “umanitario” oltre a divenire un business gigantesco, si trasformerebbe in un territorio senza regole, dominato da soggetti privati in grado di governare l’intero ciclo delle guerre, prima affiancando (e in prospettiva sostituendo) le truppe degli stati nell’intervento militare, poi gestendo la ricostruzione e il mantenimento della “pace”. In teoria, i nuovi signori della guerra globale potrebbero decidere di scatenare un conflitto per meri motivi di bilancio aziendale. (Mauro Bulgarelli – Umberto Zona – Mercenari, la guerra in outsourcing – p. 53).
Dunque cambia il concetto della guerra (e l’uso della parola che se ne fa), ma cambia soprattutto la genesi e la composizione dei protagonisti. Qui il libro, con un’analisi attenta e approfondita, prende in esame la metamorfosi del guerriero: dall’oplita, sorta di cittadino-combattente, che partecipa sì alla guerra, ma anche alla realizzazione delle strutture governative, all’eroe-guerriero, sorta di prosecuzione omerica dell’immagine del protagonista, al marinaio (ma l’ambito per quanto riguarda la figura rimane sostanzialmente legato all’utilizzo dei mezzi offensivi, mai fulcro di un riconoscimento identitario di appartenenza e valorizzazione), al mercenario, rivoluzionaria figura di soldato, che non produce però alcuna forma di riconoscimento politico.
Confrontiamola col presente. Dice Mario Vegetti: Già nei primi decenni del IV secolo, le milizie oplitiche cittadine cominciarono a essere sostituite da formazioni mercenarie e rapidamente la guerra (…) fu affidata in prevalenza a eserciti composti per la maggior parte, o esclusivamente, da mercenari (…) che ricorrevano al mestiere delle armi come fattore di sostentamento (p. 99).
Sì, le figure che abbiamo visto agitarsi nelle guerre di questi anni (televisive e spettacolari) erano simili: un mercenariato che prima di essere finalizzato alla realizzazione di “interessi bellici” è utilizzato come difesa personale e scorta (pensiamo al defunto Quattrocchi, che è finito ammazzato in terra irachena, ma bodyguard dell’ex ministro Scajola durante le agitazioni del G8 genovese). D’altronde il “famigerato” Nicholas Negroponte in Iraq ha integrato a tutti i livelli le truppe regolari con contractor privati che svolgono, oltre ai combattimenti, attività di intelligence, di presidio e di guerra psicologca, come le stragi di civili compiute da battaglioni senza insegne (p. 56).
Così, mentre la guerra perde progressivamente il suo significato e si slega sempre di più dall’idea di una identificazione nazionalista, i mass media e le forze governative mondiali vogliono farci credere alla necessità di un’immedesimazione culturale che metta in campo anche la possibilità di uno scontro di civiltà. La metamorfosi del guerriero è libro indispensabile e intelligente. Ci consegna un archetipo che non è: la guerra, come l’abbiamo sempre conosciuta, non esiste più. I protagonisti, loro malgrado, hanno subito un’evoluzione. A rimetterci, come sempre e oggi ancora di più,le popolazioni inermi. Mia nonna, negli anni settanta, si chiedeva ancora se l’Italia avesse vinto o perso la guerra. Ora la gente comune si chiede soltanto: ma cos’è 'sta roba.
Già, 'sta roba e nient’altro.
il manifesto, novembre 2006La ricerca della pace finale
Giustamente l'autorevole quotidiano parigino “Le Monde” ha paragonato Jean Bacon a Giovenale. Signori macellai è un'ironica disamina dei “buoni sentimenti” e della “sensatezza” con cui, da sempre, le ragioni della guerra vengono mostrate e recepite dai contendenti. Retoriche che attraversano i secoli e che, oggi, non sembrano cadute in disuso, in particolare, la suggestione di chiamare alle armi per combattere la battaglia risolutiva, in grado di liberare il mondo dalla necessità stessa della guerra, oggi è tra le più diffuse. Guida di illustri uomini e imperi che si sono sentiti in dovere di combattere per una qualche pax definitiva, l'idea affonda in realtà nella notte dei tempi. Dell'amore per la pace che da sempre alimenta la guerra, sfiorando spesso un sarcasmo non privo di efficacia, il testo dell'ex corrispondente francese della Bbc ne traccia un profilo convincente e rigorosamente documentato. Tuttavia, il libro non si limita a un'ironica e tragica rassegna dell'astorica propensione dell'umanità a imbracciare le armi, ma indaga all'interno delle principali contraddizioni politiche dell'era globale, consentendo di entrare nel merito della forma “concreta” assunta oggi dal conflitto e degli scenari che comporta per il “pensiero strategico”.
Il testo Guerra senza limiti. L'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, di Qiao Liang e Wang Niangsui rappresenta, al riguardo, un punto d'approdo di grande interesse. Lo sguardo degli autori si focalizza sui limiti che la concezione della guerra high-tech, vero e proprio “fondamentalismo” dell'Occidente, si porta appresso insieme all'impossibilità di comprendere la risposta asimmetrica che fatalmente comporta, e le trasformazioni che hanno scompaginato a fondo l'idea stessa della guerra. Tra queste il moltiplicarsi esponenziale di figure combattenti non convenzionali, in grado di mettere sotto scacco anche, e soprattutto, gli eserciti maggiormente proni al “fondamentalismo tecnologico”.
Le ultime vicende libanesi, del resto, sembrano andare esattamente in questa direzione. Sul terreno di battaglia, in fondo, si è ripetuto quanto nel 1997 era accaduto nel deserto del Mojave durante un'esercitazione dell'esercito statunitense. Le “truppe blu”, non senza euforia, battezzate “Esercito del ventunesimo secolo”, dotate di un equipaggiamento ipertecnologizzato e completamente digitalizzato, vinsero ogni simulazione di battaglia, tranne quella contro le “truppe rosse” equipaggiate in maniera tradizionale le quali, trasformando la loro debolezza in forza, con il ricorso alle più classiche tattiche di guerriglia, finirono con l'impartire una sonora legnata all'esercito del futuro. Uno scenario che si aggrava ulteriormente se, dal ristretto ambito della manovra bellica simulata, ci spostiamo su uno scenario più ampio dove a entrare in ballo è la popolazione nel suo insieme oltre a una serie di organizzazioni transnazionali di varia natura.
Nell'attuale scenario globale, non solo le armi usate sono molteplici e differenziate, ma a impugnarle sono attori globali che possono agire senza i vincoli propri dello stato territoriale. Si assiste così, insieme alla presenza di una pluralità di attori sovranazionali in grado di scatenare i conflitti, al proliferare di una vasta gamma di figure combattenti “private” sempre più presenti e attive negli scenari di guerra su tutti i lati del conflitto. Qualcosa che può essere definita come un'autentica metamorfosi della figura del guerriero, di cui offre un'esauriente panoramica l'ultimo numero di “Conflitti globali”. Introdotto da un saggio teorico di ampio respiro, gran parte del numero è confezionato con materiali empirici che indagano a fondo l'ampio coinvolgimento di figure non militari (anche se prevalentemente appartenenti al mondo occidentale), ma armate e combattenti, negli scenari bellici attuali. Accanto, e spesso insieme ma con compiti “privati” in parte “autonomi”, agli eserciti convenzionali, il numero di civili che svolgono attività belliche sembra essere sempre maggiore e con ruoli non complementari. Mercenari di varia specie e natura, agenzie di polizia private al servizio di multinazionali, legionari in bilico tra operazioni di sicurezza e gestione di attività criminali, contractor e bodyguard sono descritti e analizzati con minuziosità e precisione finendo con il mettere in risalto come la guerra sia per le nostre società fonte di molteplici attività appetibili e redditizie. Il che induce a pensare come la guerra, anche nei nostri mondi civili, abbia riacquistato una legittimità, una rispettabilità e un'attualità che con un qualche ottimismo di troppo era stata bellamente posta nel polveroso archivio della Storia e come l'amara ironia di Bacon sia tutt'altro che fuori posto.
di Emilio QuadrelliIl testo Guerra senza limiti. L'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione, di Qiao Liang e Wang Niangsui rappresenta, al riguardo, un punto d'approdo di grande interesse. Lo sguardo degli autori si focalizza sui limiti che la concezione della guerra high-tech, vero e proprio “fondamentalismo” dell'Occidente, si porta appresso insieme all'impossibilità di comprendere la risposta asimmetrica che fatalmente comporta, e le trasformazioni che hanno scompaginato a fondo l'idea stessa della guerra. Tra queste il moltiplicarsi esponenziale di figure combattenti non convenzionali, in grado di mettere sotto scacco anche, e soprattutto, gli eserciti maggiormente proni al “fondamentalismo tecnologico”.
Le ultime vicende libanesi, del resto, sembrano andare esattamente in questa direzione. Sul terreno di battaglia, in fondo, si è ripetuto quanto nel 1997 era accaduto nel deserto del Mojave durante un'esercitazione dell'esercito statunitense. Le “truppe blu”, non senza euforia, battezzate “Esercito del ventunesimo secolo”, dotate di un equipaggiamento ipertecnologizzato e completamente digitalizzato, vinsero ogni simulazione di battaglia, tranne quella contro le “truppe rosse” equipaggiate in maniera tradizionale le quali, trasformando la loro debolezza in forza, con il ricorso alle più classiche tattiche di guerriglia, finirono con l'impartire una sonora legnata all'esercito del futuro. Uno scenario che si aggrava ulteriormente se, dal ristretto ambito della manovra bellica simulata, ci spostiamo su uno scenario più ampio dove a entrare in ballo è la popolazione nel suo insieme oltre a una serie di organizzazioni transnazionali di varia natura.
Nell'attuale scenario globale, non solo le armi usate sono molteplici e differenziate, ma a impugnarle sono attori globali che possono agire senza i vincoli propri dello stato territoriale. Si assiste così, insieme alla presenza di una pluralità di attori sovranazionali in grado di scatenare i conflitti, al proliferare di una vasta gamma di figure combattenti “private” sempre più presenti e attive negli scenari di guerra su tutti i lati del conflitto. Qualcosa che può essere definita come un'autentica metamorfosi della figura del guerriero, di cui offre un'esauriente panoramica l'ultimo numero di “Conflitti globali”. Introdotto da un saggio teorico di ampio respiro, gran parte del numero è confezionato con materiali empirici che indagano a fondo l'ampio coinvolgimento di figure non militari (anche se prevalentemente appartenenti al mondo occidentale), ma armate e combattenti, negli scenari bellici attuali. Accanto, e spesso insieme ma con compiti “privati” in parte “autonomi”, agli eserciti convenzionali, il numero di civili che svolgono attività belliche sembra essere sempre maggiore e con ruoli non complementari. Mercenari di varia specie e natura, agenzie di polizia private al servizio di multinazionali, legionari in bilico tra operazioni di sicurezza e gestione di attività criminali, contractor e bodyguard sono descritti e analizzati con minuziosità e precisione finendo con il mettere in risalto come la guerra sia per le nostre società fonte di molteplici attività appetibili e redditizie. Il che induce a pensare come la guerra, anche nei nostri mondi civili, abbia riacquistato una legittimità, una rispettabilità e un'attualità che con un qualche ottimismo di troppo era stata bellamente posta nel polveroso archivio della Storia e come l'amara ironia di Bacon sia tutt'altro che fuori posto.
il manifesto, sabato 24 giugno 2006War games
La rivista “Conflitti globali” è giunta al terzo numero. E dopo essersi occupata de La guerra dei mondi e di Fronti/frontiere, la sua ultima uscita cerca di tracciare linee interpretative su La metamorfosi del guerriero, intendendo con ciò i cambiamenti intervenuti nell’“arte della guerra”, nel rapporto tra esercito e società civile e, fattore ancora poco indagato, nella stessa composizione e organizzazione delle truppe. E se è tramontata l’era della leva di massa, che prevedeva un’organizzazione gerarchica e con una linea di comando che dall’alto scendeva in basso, dalla sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam tutti gli eserciti hanno conosciuto un mutamento che può essere considerato anticipatore e al tempo stesso riproduzione dell’organizzazione postfordista della produzione di merci. Task force, piccole unità di combattimento che “godono” di “autonomia” operativa, uso estensivo e intensivo delle tecnologie digitali, outsourcing, di cui i contractors in Iraq sono l’emblema. Questo non significa che non esista un esercito di massa, bensì che p cambiata l’organizzazione interna. Secondo gli studiosi e i teorici dell’“arte della guerra” tutto ciò è dovuto al fatto che i conflitti militari sempre più vedono impegnati eserciti che operano fuori dai confini nazionali perché coinvolti in operazioni di “polizia”. Per gli studiosi si tratta di registrare il fatto che le guerre contemporanee sono quasi sempre “guerre asimmetriche”. Da una parte, infatti, ci sono eserciti potenti e che hanno a disposizione un dispositivo tecnologico e bellico che li rendono potenzialmente imbattibili; dall’altra parte ci sono popolazioni civili ostili e “guerriglieri” con una capacità militare decisamente inferiore. L’asimmetria è però bilanciata dai “deboli” con una maggiore conoscenza del territorio, intendendo con questo termini non solo una migliore conoscenza morfologica del terreno. Ciò che conta nei deserti e nelle città irachene è infatti una conoscenza delle relazioni e della composizione sociale delle popolazioni. È dunque su questo orizzonte che si colloca “Conflitti globali”.
Nel numero si potranno, oltre alla presentazione di Alessandro Dal Lago, che pubblichiamo in questa pagina (vedi l'estratto), leggere gli articoli di Massimiliano Guareschi e Maurizio Guerri, Jean-Paul Hanon (Militari), Mauro Bulgarelli, Umberto Zona (Mercenari), Emilio Quadrelli (Bodyguard), Dario Malventi e Álvaro Garreaud (Legionari) un'intervista a Gilles Kepel sul terrorismo (Roberto Ciccarelli), Mario Vegetti (Il guerriero e il cittadino), Claudio Azzara (Ai confini dell’impero), Gian Piero Piretto (Salvate il soldato Ivan); i contributi di Friedrich George Jünger, Georg Simmel, Augusta Molinari, Mustapha el Quadéry, Georges Canguilhem, Francisco Ferrándiz, Stefano Moriggi.
Nel numero si potranno, oltre alla presentazione di Alessandro Dal Lago, che pubblichiamo in questa pagina (vedi l'estratto), leggere gli articoli di Massimiliano Guareschi e Maurizio Guerri, Jean-Paul Hanon (Militari), Mauro Bulgarelli, Umberto Zona (Mercenari), Emilio Quadrelli (Bodyguard), Dario Malventi e Álvaro Garreaud (Legionari) un'intervista a Gilles Kepel sul terrorismo (Roberto Ciccarelli), Mario Vegetti (Il guerriero e il cittadino), Claudio Azzara (Ai confini dell’impero), Gian Piero Piretto (Salvate il soldato Ivan); i contributi di Friedrich George Jünger, Georg Simmel, Augusta Molinari, Mustapha el Quadéry, Georges Canguilhem, Francisco Ferrándiz, Stefano Moriggi.