Trentino, 18 settembre 2017 Un cronista precario e il pugilato popolare
Un morto sul pavimento di una palestra di pugilato, il mondo dello sport dei guantoni visto dal basso e l'ambiente del cosiddetto antagonismo milanese sono gli ingredienti di un noir militante che intreccia il pugilato fatto nelle palestre popolari all'avventura di un giornalista precario alla ricerca della verità in un caso di omicidio, tra tentativi di depistaggio e incontri pericolosi. Tra allenamenti, montanti e ganci schivati e presi, il racconto è ambientato in una Milano reale, quella della zona più defilata dei Navigli, da sempre culla dell'antagonismo milanese e dell'antifascismo militante. Protagonista Stefano Calligari, giornalista insoddisfatto della piega che il mondo dell'informazione italiano ha preso da tempo. Tra citazioni di Izzo, Palahniuk, Tyson e Sugar Ray Robinson, Pennetta traccia anche una mappa della boxe popolare in Italia e in Europa, realtà in costante ascesa negli ultimi anni a livello di popolarità e partecipazione.
di Carlo MartinelliCarmilla, 15 settembre 2017 Boxe populaire, tra pugni e politica dal basso
Proprio nei giorni in cui Forza Nuova ha lanciato un appello ai pugili per le sue ronde a caccia di migranti, esce in libreria un noir militante che toglie ogni sentore di fascismo alla nobile arte: è Boxe populaire – Pugni rosso sangue di Fabio Pennetta, che si autodefinisce “un discreto pugile delle palestre popolari autogestite”. Ed è da questo movimento dal basso, che negli ultimi anni ha sottratto lo sport alla logica del profitto per restituirlo alla sua essenza di strumento di crescita personale e collettiva, che nasce questo libro tutto milanese, dove in molti riconosceranno personaggi più o meno noti degli spazi sociali occupati.
Sono loro, con le donne e gli uomini che li fanno vivere, i veri protagonisti di un libro che inizia un venerdì pomeriggio, quando il giornalista Stefano Calligari, detto Il Callo, riceve una telefonata dalla Questura: nella palestra occupata di via Torricelli – gli dicono – gli squatter anarchici organizzano incontri clandestini, e questa volta c’è scappato il morto. Il cronista, precario e declassato dal cartaceo al web, intravede la possibilità di tornare tra quelli che contano risolvendo il caso e criminalizzando i pugili militanti, ma proprio loro gli mostreranno come sia facile deformare la realtà e come sia triste perdere i propri sogni per la strada. Il Callo, che ai tempi dell’università era un ribelle, raggiunti i quarant’anni si è impigrito fin quasi a non rendersi conto di essere lui stesso al servizio di un sistema che non rinuncia comunque a criticare. Scrive dei centri sociali come nemmeno un tesserato di Fratelli d’Italia, ma non crede a ciò che si ostina a pubblicare; si indigna per il fatto di essere sfruttato ma poi è il primo a sfruttare un poveraccio che ha trasformato in tuttofare in cambio di vitto e alloggio. Il Callo non è cattivo, il guaio è che non ci pensa. Ed è questo il grosso scoglio – è una delle riflessioni che suscita la lettura del libro di Pennetta – contro cui si scaglia l’onda dell’attivismo: la disillusione che si trasforma in apatia, nel “mi bastano il divano e l’ultima serie di Game of Thrones”. Ma poi c’è l’occasione che cambia tutto: nel libro è un allenamento aperto al parco, nella vita è un amico che ti porta in una palestra popolare, magari una di quelle la cui storia è narrata in appendice, posti come Torricelli a Milano, l’Antifa boxe legata ad Askatasuna, la Vincenzo Leone di Napoli o la Sanpietrino di Firenze. Luoghi dove vigono parole d’ordine come antifascismo, antirazzismo, antisessismo, che si traducono in rispetto di sé e degli altri. Posti dove esplorando i propri limiti si imparano a rispettare gli altrui confini. Luoghi dove la parola “compagni” perde ogni vecchiume e si trasforma in impegno vero. Al Callo – complice anche l’incontro con un’affascinante boxeuse francese – bastano tre giorni per capire tutto questo e togliersi di dosso la maschera da milanese imbruttito. Settantadue ore in cui tornerà un giornalista serio, alla ricerca della verità anche se non collima con la linea editoriale del suo giornale, indosserà i guantoni, prenderà qualche pugno e alla fine si scoprirà decisamente meglio di quanto credeva.
Che la storia del Callo sia quella di chiunque si avvicini per la prima volta alla boxe popolare lo si scopre appena il noir cede il passo a una mappa narrativa delle palestre autogestite. È un colloquio immaginario tra un allenatore e un neofita quello scelto per presentare la pratica sportiva promossa dal Lambretta: dal primo, timido, ingresso in palestra alla pratica come passione, dalle assemblee in giro per l’Italia agli incontri sul ring con i compagni che fanno il tifo, fino alla consapevolezza del pugilato come esercizio di coscienza di classe. Perché “quando l’ingiustizia diventa legge – è la citazione di Brecht presa in prestito da Pennetta – la resistenza diventa un dovere”.
di Gioia GiudiciSono loro, con le donne e gli uomini che li fanno vivere, i veri protagonisti di un libro che inizia un venerdì pomeriggio, quando il giornalista Stefano Calligari, detto Il Callo, riceve una telefonata dalla Questura: nella palestra occupata di via Torricelli – gli dicono – gli squatter anarchici organizzano incontri clandestini, e questa volta c’è scappato il morto. Il cronista, precario e declassato dal cartaceo al web, intravede la possibilità di tornare tra quelli che contano risolvendo il caso e criminalizzando i pugili militanti, ma proprio loro gli mostreranno come sia facile deformare la realtà e come sia triste perdere i propri sogni per la strada. Il Callo, che ai tempi dell’università era un ribelle, raggiunti i quarant’anni si è impigrito fin quasi a non rendersi conto di essere lui stesso al servizio di un sistema che non rinuncia comunque a criticare. Scrive dei centri sociali come nemmeno un tesserato di Fratelli d’Italia, ma non crede a ciò che si ostina a pubblicare; si indigna per il fatto di essere sfruttato ma poi è il primo a sfruttare un poveraccio che ha trasformato in tuttofare in cambio di vitto e alloggio. Il Callo non è cattivo, il guaio è che non ci pensa. Ed è questo il grosso scoglio – è una delle riflessioni che suscita la lettura del libro di Pennetta – contro cui si scaglia l’onda dell’attivismo: la disillusione che si trasforma in apatia, nel “mi bastano il divano e l’ultima serie di Game of Thrones”. Ma poi c’è l’occasione che cambia tutto: nel libro è un allenamento aperto al parco, nella vita è un amico che ti porta in una palestra popolare, magari una di quelle la cui storia è narrata in appendice, posti come Torricelli a Milano, l’Antifa boxe legata ad Askatasuna, la Vincenzo Leone di Napoli o la Sanpietrino di Firenze. Luoghi dove vigono parole d’ordine come antifascismo, antirazzismo, antisessismo, che si traducono in rispetto di sé e degli altri. Posti dove esplorando i propri limiti si imparano a rispettare gli altrui confini. Luoghi dove la parola “compagni” perde ogni vecchiume e si trasforma in impegno vero. Al Callo – complice anche l’incontro con un’affascinante boxeuse francese – bastano tre giorni per capire tutto questo e togliersi di dosso la maschera da milanese imbruttito. Settantadue ore in cui tornerà un giornalista serio, alla ricerca della verità anche se non collima con la linea editoriale del suo giornale, indosserà i guantoni, prenderà qualche pugno e alla fine si scoprirà decisamente meglio di quanto credeva.
Che la storia del Callo sia quella di chiunque si avvicini per la prima volta alla boxe popolare lo si scopre appena il noir cede il passo a una mappa narrativa delle palestre autogestite. È un colloquio immaginario tra un allenatore e un neofita quello scelto per presentare la pratica sportiva promossa dal Lambretta: dal primo, timido, ingresso in palestra alla pratica come passione, dalle assemblee in giro per l’Italia agli incontri sul ring con i compagni che fanno il tifo, fino alla consapevolezza del pugilato come esercizio di coscienza di classe. Perché “quando l’ingiustizia diventa legge – è la citazione di Brecht presa in prestito da Pennetta – la resistenza diventa un dovere”.
La Gazzetta dello Sport, 16 settembre 2017 Boxe e Milano oggi all’ex Pini
La boxe milanese riparte dai ring delle palestre popolari e dall’inchiostro di Fabio Pennetta, pugile e scrittore che con Boxe populaire racconta un noir ambientato tra i Giambellino e il Naviglio Pavese. Il libro, 250 pagine edite da Agenzia X, sarà presentato oggi alle 19.00 a “Tutto eXaurito”, 4 giorni di feste presso l’ex Paolo Pini di via Ippocrate 45, rinato grazie all’Associazione Olinda. Qui, oltre a concerti e laboratori, un allenamento collettivo organizzato dal Coordinamento delle palestre popolari milanesi.
Ansa.it, 4 settembre 2017 Boxe populaire, tra noir e realtà. Lo sport dei guantoni visto dal basso e l’antagonismo milanese
Un morto sul pavimento di una palestra di pugilato, il mondo dello sport dei guantoni visto dal basso e l’ambiente del cosiddetto antagonismo milanese sono gli ingredienti di Boxe Populaire. Pugni rosso sangue, noir militante che intreccia la presentazione del pugilato fatto nelle palestre popolari all’avventura di un giornalista precario alla ricerca della verità in un caso di omicidio, tra tentativi di depistaggio e incontri pericolosi. “La nostra energia ha radici profonde – racconta uno dei personaggi –, nasce dal basso come le prime scosse sismiche di avvertimento. Cresce nel ventre, fa vibrare le budella come quella rabbia istintiva che non sapevi di avere... prende il ritmo di un giro di tre note suonate velocemente con il plettro sulla corda del MI e irrompe come una chitarra elettrica distorta di una canzone oi. Tutto nasce dal basso”. Tra allenamenti, montanti e ganci schivati e presi, il racconto è ambientato in una Milano reale, quella della zona più defilata dei Navigli, da sempre culla dell’antagonismo milanese e dell’antifascismo militante, quella della palestra popolare di via Torricelli ma anche del Giambellino, del parco Solari e di tutta una serie di strade che il ‘Callo’, ovvero Stefano Calligari, giornalista insoddisfatto della piega che il mondo dell’informazione italiano ha preso da tempo, percorre in bicicletta tra una traccia da seguire e nuovi incontri maturati nel mondo della boxe popolare. Lo scontro del racconto è articolato su diversi piani: c’è quello tra occupanti di immobili sfitti e destinati alla speculazione, contro i ‘palazzinari’ disposti a tutto per tornare in possesso delle abitazioni murando gli ingressi o spaccando i sanitari per rendere invivibili le case, ma c’è anche quello del ‘Callo’, che alla fine del racconto proverà finalmente ‘a tirare un pugno da pugile professionista’, contro l’arroganza di un certo mondo giornalistico non precario, abbottonato ai nomi che contano e insofferente ai ‘cani’ più o meno sciolti come lui, innamorati della penna e del racconto.
Poi c’è anche l’amore nascente per uno sport fatto di partecipazione e vissuto in maniera diversa rispetto a quello interpretato in senso strettamente agonistico in altri ambienti più ufficiali della disciplina pugilistica. Tra citazioni di Jean Cloud Izzo, Chuck Palahniuk, come Mike Tyson e Sugar Ray Robinson (‘Il ritmo nel pugilato è tutto. Qualsiasi movimento tu faccia nasce dal cuore: o questo ha il ritmo giusto o sei nei guai’), Pennetta traccia nel libro anche una mappa della boxe popolare in Italia e in Europa, realtà in costante ascesa negli ultimi anni a livello di popolarità e partecipazione, con una seconda parte del volume interamente dedicata proprio al racconto delle palestre autogestite, da Milano (Torricelli, Antifa Bull’s Box, ZAM, Baraonda, Liabeuf BKK di Monza ecc.) a Torino, passando per Firenze, Napoli e altre città ancora fino a San Paolo, in Brasile.
di Carlo Mandelli
Un morto sul pavimento di una palestra di pugilato, il mondo dello sport dei guantoni visto dal basso e l’ambiente del cosiddetto antagonismo milanese sono gli ingredienti di Boxe Populaire. Pugni rosso sangue, noir militante che intreccia la presentazione del pugilato fatto nelle palestre popolari all’avventura di un giornalista precario alla ricerca della verità in un caso di omicidio, tra tentativi di depistaggio e incontri pericolosi. “La nostra energia ha radici profonde – racconta uno dei personaggi –, nasce dal basso come le prime scosse sismiche di avvertimento. Cresce nel ventre, fa vibrare le budella come quella rabbia istintiva che non sapevi di avere... prende il ritmo di un giro di tre note suonate velocemente con il plettro sulla corda del MI e irrompe come una chitarra elettrica distorta di una canzone oi. Tutto nasce dal basso”. Tra allenamenti, montanti e ganci schivati e presi, il racconto è ambientato in una Milano reale, quella della zona più defilata dei Navigli, da sempre culla dell’antagonismo milanese e dell’antifascismo militante, quella della palestra popolare di via Torricelli ma anche del Giambellino, del parco Solari e di tutta una serie di strade che il ‘Callo’, ovvero Stefano Calligari, giornalista insoddisfatto della piega che il mondo dell’informazione italiano ha preso da tempo, percorre in bicicletta tra una traccia da seguire e nuovi incontri maturati nel mondo della boxe popolare. Lo scontro del racconto è articolato su diversi piani: c’è quello tra occupanti di immobili sfitti e destinati alla speculazione, contro i ‘palazzinari’ disposti a tutto per tornare in possesso delle abitazioni murando gli ingressi o spaccando i sanitari per rendere invivibili le case, ma c’è anche quello del ‘Callo’, che alla fine del racconto proverà finalmente ‘a tirare un pugno da pugile professionista’, contro l’arroganza di un certo mondo giornalistico non precario, abbottonato ai nomi che contano e insofferente ai ‘cani’ più o meno sciolti come lui, innamorati della penna e del racconto.
Poi c’è anche l’amore nascente per uno sport fatto di partecipazione e vissuto in maniera diversa rispetto a quello interpretato in senso strettamente agonistico in altri ambienti più ufficiali della disciplina pugilistica. Tra citazioni di Jean Cloud Izzo, Chuck Palahniuk, come Mike Tyson e Sugar Ray Robinson (‘Il ritmo nel pugilato è tutto. Qualsiasi movimento tu faccia nasce dal cuore: o questo ha il ritmo giusto o sei nei guai’), Pennetta traccia nel libro anche una mappa della boxe popolare in Italia e in Europa, realtà in costante ascesa negli ultimi anni a livello di popolarità e partecipazione, con una seconda parte del volume interamente dedicata proprio al racconto delle palestre autogestite, da Milano (Torricelli, Antifa Bull’s Box, ZAM, Baraonda, Liabeuf BKK di Monza ecc.) a Torino, passando per Firenze, Napoli e altre città ancora fino a San Paolo, in Brasile.