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Body act
DolceVita, marzo/aprile 2023 Tatuaggi e piercing: ribellione od omologazione?
I protagonisti della scena si raccontano e tracciano il passato, il presente e il futuro di un gesto potente che ha smarrito nel tempo il suo significato originario. Ma davvero è così?

Il disagio, l’inquietudine, la rabbia che monta dentro le vene e che storicamente si esprime nelle strade in proteste, sommosse e occupazioni, oggi sembra esplodere perlopiù sui corpi.
D’altronde il corpo è da sempre, per eccellenza, il mezzo per trasformare i tabù in virtù, i divieti in occasioni, l’ordinario in straordinario, ma più il tempo passa più sembra che le modificazioni sullo stesso, in particolare il gesto di tatuarsi, vadano perdendo di significato. Questo almeno è quanto emerge dai racconti di diversi protagonisti della scena a cominciare da G.P., storico piercer di Milano, che racconta sulle pagine di Body Act (Agenzia X, 2022), una collezione di interviste raccolte da Rote Zora (Elisa Fosforino): «A mio avviso ora si assiste alla gara di chi è più tatuato, modificato ed estremo cadendo così nella mera ostentazione per essere più trendy dell’altro. Al bisogno personale di sperimentare la modificazione autodeterminata del corpo si è passati alla necessità di apparire e io trovo questo una triste deriva».
Le generalizzazioni, si sa, lasciano il tempo che trovano, ma la forza di questa originale collezione di interviste raccolte da da Rote Zora (Elisa Fosforino), appassionata di body suspension e controculture, sta nella ricostruzione del senso profondo dietro ad un segno sul corpo: per molto è stato ed è la maniera di esprimere dissenso contro ogni forma di ingiustizia, discriminazione e pregiudizio, uno schiaffo al buon gusto e all’omologazione, un modo per affermare nessun tipo di appartenenza, per restare fuori da ogni tipo di categoria.
La massiccia diffusione del tatuaggio ha in parte compromesso questo aspetto; gli stessi tatuatori oggi tendono a seguire le ondate della moda, del trend, facendo perdere di vista la possibilità di tirare fuori l’unicità di una storia incisa a fior di pelle e di conseguenza l’unicità della persona che si affida alle loro mani. Per questo va ricordato che incidere, bucare, tatuare o marchiare la propria pelle ha in sé la potenza di esprimere tutt’altro, la manifestazione di esistenze che possono essere vissute diversamente.
il manifesto, 12 marzo 2023 «Body Act», modificazioni al limite tra pelle, controcultura e tabù
Libri. Il volume di Rote Zora per Agenzia X, sospensioni e tatuaggi in Italia raccontati da 20 protagonisti e protagoniste della scena.

«La propria carne è trincea o via di fuga». Il corpo da sempre è oggetto di controllo, assoggettamento, omologazione. Riscoprire il suo potenziale trasformativo, decostruire e capovolgere tabù è ciò che dalla fine degli anni 80 ha fatto la body art (anche) in Italia. A questo mondo Rote Zora aka Elisa Fosforino, 34 anni, ha dedicato una ricerca confluita in Body Act (Agenzia X edizioni) che condensa la variegata realtà della body suspension, piercing e tatuaggi italiana in venti racconti orali di protagoniste e protagonisti che in modi e tempi diversi l’hanno attraversata. «Volevo andare a indagare una comune “esperienza di pelle”, inoltre in Italia e all’estero, a parte la “bibbia” Modern Primitives, non ci sono molti lavori che ricostruiscono la scena attraverso testimonianze dirette». Da Genesis P-Orridge, pioniere della body mod, co-organizzatore del primo evento di sospensione in Italia all’inizio degli anni ’90; a Mr Fab, tra gli occupanti del Virus di Milano, che racconta come il do it yourself dei punk influenzò la modalità auto didatta di eseguire piercing e creare primi gioielli con materiali sperimentali.
Fondamentali i contatti con America e UK, con personaggi come la Gauntlet e Mr Sebastian, tra primi piercer della comunità gay londinese che guardava la scena leather di San Francisco. Il libro incrocia traiettorie di vita, gruppi, luoghi, esperienze in tutt’Italia. Molte e incisive le voci femminili, la cui aderenza alla body art rappresentava qualcosa di assolutamente non conforme. Elvia Iannaccone, cresciuta tra i centri sociali di Milano, tra le prime a fotografare i tattoo per «Tattoo Revue», ricorda come negli anni ’80-’90 le donne tatuatrici non fossero molte, «ma le poche che c’erano incisero profondamente nella scena», vedi Amanda Toy la cui re interpretazione della old school sovvertì lo stile più machista del tattoo. Iannaccone fu ideatrice di Ladies, ladies! Art Show, esibizione il cui scopo era ribaltare la rappresentazione del dominio unicamente maschile nel settore dei tattoo e del progetto editoriale Ladies of Tattooing che promuove il tatuaggio come espressione artistica di donne queer, transgender, di colore.
Ancora Noema Kali, aka Tiger Orchid, una delle pioniere della ricerca estrema del corpo, fachira, studiosa di sociologia visuale e semiotica, co-fondatrice del Teatro della sofferenza ispirato ad Artaud e delle Salem’s Hole. Considera il recupero del corpo come un recupero del matriarcato. Una delle sue muse ispiratrici è l’americana Annie Sprinkle (autrice di Post Porn Manifesto).
«Guy Debord spiega come sia stato possibile manipolare la concezione del distacco mente- corpo in cui il corpo deve essere solo funzionale». Da qui l’accettazione dei corpi che rappresentano il modello economico capitalista: conformi, disciplinati, spettacolarizzati. Questo intacca anche le modificazioni corporali fatte non per ricerca personale ma per un senso di appartenenza capace di fare spettacolo. «Tanto che» – dice Noema Kali, le cui modificazioni sono frutto di «guerre personali» – «mi viene quasi voglia di togliermi tutto con il laser». Al contrario, l’artista ha un ruolo sociale, è un educatore, ha una responsabilità: questo era particolarmente evidente negli anni Novanta, nei free party, nelle SusCom. Il piercer o tatuatore è una sorta di sciamano urbano; il corpo è un canale aperto a energie ancestrali di cui nella nostra società non si ha consapevolezza: il rituale è un modo per «tirare fuori ciò che è sepolto dentro». Antares Misandria, co-fondatrice, assieme a Noema e Soraya, delle Salem’s Hole che si esibirono al Body Performance Art Festival al Teatro dell’Orologio di Roma, spiega che uno dei motivi per cui ha smesso di eseguire performance è che nella società attuale le pratiche corporali hanno perso senso: «Mi cucivo la bocca per simboleggiare come la donna non potesse esprimersi, chi vedeva rimaneva turbato, c’era un coinvolgimento forte. Oggi si ricerca solo il piacere, per me è una deriva degradante: i nostri spettacoli rappresentavano realtà scomode. Se chi mi guarda ci vede piacere non ho raggiunto il mio intento, io non sono un giocattolo». Su questa deriva contemporanea convergono gran parte delle interviste. Angelo Nardò, body piercer dal 1995, praticante di sospensioni corporali, spiega come l’avvento di internet e l’attenzione dei media abbiano portato a un’inevitabile accelerazione: «Quello che si cerca non è l’esperienza personale, ma il suo consumo. Non ci trovo empatia, ma spettacolarizzazione». Resta il potenziale rivoluzionario di pratiche di controcultura, tra rito, performance, sperimentazione, agite sul confine/pelle, sui limiti sociali, culturali, in between tra l’io e l’altro.
Francesca Saturnino
mowmag.com, 12 dicembre 2022 Ok, ma perché le modificazioni corporee si stanno diffondendo così tanto? Ecco la nuova rivoluzione silenziosa
La pelle e la carne sono diventati il luogo su cui tracciare future traiettorie dissidenti, come cicatrici che rappresentano risorse, potenzialità e contraddizioni, ponendo il dolore al centro della ricerca. E così dilagano piercing e tatuaggi, ma anche pratiche più invasive come la body suspension e le scarnificazioni. Un libro, Body act, approfondisce questa tendenza in aumento e non solo tra i vip. La sua autrice ci ha spiegato la nuova rivoluzione che passa attraverso il corpo

Body suspension, trazioni o sospensioni, scarificazioni, piercing o tatuaggi sono azioni che consentono di sperimentare lo straordinario. Ma perché queste modificazioni corporee si stanno diffondendo nel mondo? Forse perché ci sono sempre più persone che insistono a rifiutare l’osceno quotidiano? Il disagio, l’inquietudine, la rabbia che monta dentro le vene e che storicamente si esprime nelle strade in proteste, sommosse e occupazioni, oggi sembra esplodere anche sui corpi. La pelle e la carne diventano il luogo concreto su cui tracciare future traiettorie dissidenti, come cicatrici che rappresentano risorse, potenzialità e contraddizioni, ponendo il dolore al centro della ricerca. Considerato il principale terreno di colonizzazione del controllo sociale e dell’omologazione, il corpo è per eccellenza il mezzo per trasformare i tabù in virtù, i divieti in occasioni, l’ordinario in straordinario, fino a superare il limite tra sogno e realtà. Dal comune desiderio di azione diretta sulle proprie membra emergono le storie qui raccontate. Body act, il libro scritto da Rote Zora (aka Elisa Fosforino) per Agenzia X è un viaggio collettivo verso la scoperta di mutazioni fisiche e mentali incarnate per accedere all’estremo ed esplorare il punto ultimo, quello più lontano e inimmaginabile. L’abbiamo intervistata.

Partiamo dal primo punto: cosa intendiamo con body modification?
Di una varietà di tecniche che puntano a modificare uno o più parti del corpo. Le body mod possono soddisfare fini estetici più comuni (lifting facciale o la chirurgia estetica) e meno comuni. Tra le forme più radicali di body mod possono essere portati a esempio lo splitting, l’eyeball tattoo, gli impianti. Alcune di queste sono irreversibili, come il tatuaggio della sclera dell’occhio. Altre invece sono reversibili, come lo split tongue o gli impianti sottocutanei. Queste ultime forme di body mod abbracciano canoni estetici non convenzionali e che generano un forte impatto sia su chi le compie sia sull’immagine che trasmettono agli altri. Si tratta di una comunicazione non verbale. Un palese “il corpo è mio e IO ci faccio quello che voglio”.

E ormai anche personaggi famosi li praticano.
Fedez ha i lobi dilatati ed è molto tatuato, ma queste sono decorazioni corporee ormai sdoganate anche dalle celebrities, che raramente generano il sospetto tipico dell’essere umano quando si trova di fronte a qualcosa di strano e perturbante.

Si viene ancora giudicati dall’aspetto?
Certo, inevitabilmente si viene giudicati. Nel libro ci sono testimonianze forti, come la storia di Alice, madre molto modificata a cui è stato detto “gente come voi dovrebbe venire sterilizzata.” Io stessa da professoressa vengo giudicata per il mio aspetto, perché un insegnante troppo tatuato non risponde allo stereotipo scolastico e viene subito associato al mondo della marginalità e della devianza, cosa che non corrisponde di certo a una verità assoluta. Anzi. L’educazione si trasmette soprattutto con l’esempio che diamo comportandoci in modo consapevole al ruolo che abbiamo, piuttosto che con il solo aspetto esteriore.

Come mai hai sentito la necessità di scriverlo?
Non vorrei risultare presuntuosa, ma sentivo la necessità di leggerlo. Nel panorama editoriale italiano mancava un testo del genere e secondo me era importante avere qualcosa di approfondito che andasse a scavare le radici di questa scena nata dal desiderio di voler comunicare qualcosa. Inoltre non potrei mai scrivere su un tema che non m’interessa, infatti in prima persona ho sperimentato e continuo a sperimentare su me stessa la body modification. Body act è un viaggio collettivo che prende forma dalle storie di persone che vivono il corpo come terreno di mutazione e autodeterminazione. Se penso alla Body Modification mi viene in mente Maila Nurmi, classe 1922, una delle prime donne popolari ad aver ristretto il punto vita…

In cosa consiste?
La pratica di restringimento della vita è molto affascinante. In Occidente è arrivata sia come adesione ai canoni estetici femminili (pensiamo ai corsetti del periodo vittoriano) sia come forma di opposizione agli stessi, per esempio molte donne scelsero di costringersi la vita per evitare gravidanze indesiderate. Non era però una pratica esclusivamente femminile, nel libro Angelo Pezzola descrive come in alcune tribù indigene questa faceva parte di riti di passaggio maschili. I giovani uomini indossavano grosse cinture che venivano strette sempre di più.

Com’è arrivata la body modification in Italia?
In Occidente arriva nel sistema dell’arte ad esempio quando l’artista francese Orlan decide di modificare chirurgicamente il suo volto per assomigliare alla “Venere di Milo” e ad altre figure emblema della bellezza occidentale. La chirurgia estetica diventava performance che culminava nella scelta di divenire mostro, facendosi installare sotto pelle, nelle tempie, delle zollette di silicone, a forma di corna. Era una esortazione a ribadire l’urlo femminista “il corpo è mio e lo uso anche per disgustare il tuo sguardo maschile e fallocentrico.” In Italia arriva alla fine degli anni ‘80, con un approccio molto fai da te, attraverso piercing o scarificazioni ed è spuntata fuori come funghi, in modo del tutto spontaneo, in risposta a un’esigenza di cambiamento contro l’osceno quotidiano. All’inizio ti costruivi da solo la macchina per i tatuaggi, ti arrangiavi. Si è creata una rete di persone, una comunità, legata da questa passione in comune. In anni dove non c’era internet capivi che l’altro andava nella tua stessa direzione anche solo da un lobo dilatato. Ti incontravi a rave, concerti, tattoo convention e iniziavi a crescere insieme. Le mie ricerche guardano al passato per capire il presente e immaginare il futuro, mai con uno sguardo nostalgico.

Perché si arriva alla body modification?
Oggi credo che uno dei punti sia semplicemente quello di soddisfare un proprio desiderio estetico, in modo consapevole (è importantissimo andare solo da professionisti del settore) prendendo atto anche dei rischi comunicativi quotidiani: un eyeball tattoo altera il bianco dell’occhio e a livello sociale questo ha chiaramente un impatto. E poi c’è il tema del voler comunicare non solo agli altri, ma anche a se stessi. A volte non sappiamo nemmeno noi cosa stiamo comunicando, ma lo stiamo facendo. È insito nella nostra natura, noi ci differenziamo dagli animali per l’autodeterminazione che si manifesta nell’agire che diventa parola o corpo. Abbiamo sempre avuto questo bisogno di modificare il corpo e lo stato di coscienza anche attraverso pratiche corporali.

Intendi la body suspension?
Sì, ad esempio la body suspension con i ganci che vengono inseriti nella pelle per sospenderti (il tempo di sospensione poi dipende dalla zona che si è scelta per inserire i ganci e da altri fattori), ma anche semplicemente un play piercing, quindi con gli aghi inseriti per scopo decorativo come corsetti o puntaspilli. Pratiche che riguardano il corpo e che hanno una durata temporale limitata. Nel caso della body suspension devi superare il dolore iniziale della perforazione e abituarti a quella nuova sensazione che si prova quando i piedi iniziano a staccarsi da terra. È un’esperienza simile a un rituale, perché riguarda pratiche non ordinarie, che sconfinano nello straordinario.

Qual è la finalità ultima del tuo libro?
Di ricerca, di ricostruire una determinata scena. Le origini. E dare voce alle testimonianze dirette di persone che hanno agito sul corpo come azione concreta di rivendicazione. Persone che arrivano ad una maggiore consapevolezza di sé. Body Act: non si protesta solo nelle strade, ma anche attraverso il corpo. Vorrei davvero che lo leggessero i giovani, per aiutarli a capire cosa ci può essere dietro una ricerca del e sul corpo. È giusto che esca ora un libro del genere, perché la body modification è molto diffusa.

E i ragazzi sono aperti al tema?
Assolutamente: parlando di cambiamenti spontanei è proprio durante l’adolescenza che il corpo si modifica per i fatti suoi. Ovviamente si scontrano coi genitori, che spesso sono agli antipodi, però alla fine cedono e li portano negli studi di piercing e tatuaggi per assecondare le loro esigenze. I ragazzi sono molto curiosi in merito. Sono quelli più esposti al giudizio, questa è una generazione molto fragile, ma è quella più disposta a comunicare.
di Micol Ronchi

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