www.mescalina.it, 18 maggio 2015 Blitzkrieg punk. Sopravvivere ai Ramones
“C’è stato un tempo dove i miei migliori amici erano i Ramones ed ogni loro nuovo disco era una festa, cosa mi hai portato oggi, cosa mi hai portato. Erano anni verdi di orgogliosa solitudine e di fragilità estrema”. (Grande come l’oceano, Diaframma).
Le parole di Federico Fiumani restituiscono come un cammeo l’importanza che all’epoca avevano assunto i Ramones. Ma anche, e forse soprattutto, il carico emotivo che c’era dietro quell’apparentemente spensierato hey ho let’s go. E Dee Dee Ramone, nell’autobiografia Blitzkrieg punk. Sopravvivere ai Ramones (uscita originariamente nel 1998 come Poison Heart. Surviving Ramones) è la perfetta incarnazione della festa mesta che regnava nella band.
Dietro l’aria da fratellini c’era tantissima tensione, soprattutto tra Johnny e Dee Dee. Al punto che quest’ultimo scrisse “La storia dei Ramones non può avere un lieto fine. Sono contento che sia tutto finito, anche se a tratti è stato divertente”.
Lui nel ruolo di rebel with(out) a cause ci si è trovato dalla nascita, probabilmente senza troppa possibilità di scelta. Cresciuto tra il Queens e Berlino, seguendo gli spostamenti del padre militare che proprio nella capitale tedesca aveva conosciuto la madre. Ma i genitori, segnati dalla seconda guerra mondiale, “erano tremendi, le loro vite erano un casino assoluto e avevo l’impressione che dessero a me la colpa di tutto”. E se si cercava scampo fuori da casa, fuori c’era la città che Christiane F. ci ha mostrato in Noi i ragazzi dello zoo di Berlino (1979).
È chiaro quindi perché Wart hog, forse il pezzo più crudo e dolente dei Ramones, sia spremuta del cuore di Dee Dee. Che con parole dirette e lancinanti descrive lo sgretolarsi della sua vita, i tentativi di uscire dalla tossicodipendenza, gli amici, come Johnny Thunderds, persi. A fare da sfondo pulsante alla drammatica altalena esistenziale di Dee Dee, la New York frenetica del CBGB tra Blondie, New York Dolls, che talvolta si alterna con la Londra dei Sex Pistols.
Quest’odissea punk alla fine sembra un valzer tra angeli di desolazione che uno ad uno si salutano. Chissà, magari Lassù c’è un bellissimo concerto, una vera festa.
di Arianna MarsicoLe parole di Federico Fiumani restituiscono come un cammeo l’importanza che all’epoca avevano assunto i Ramones. Ma anche, e forse soprattutto, il carico emotivo che c’era dietro quell’apparentemente spensierato hey ho let’s go. E Dee Dee Ramone, nell’autobiografia Blitzkrieg punk. Sopravvivere ai Ramones (uscita originariamente nel 1998 come Poison Heart. Surviving Ramones) è la perfetta incarnazione della festa mesta che regnava nella band.
Dietro l’aria da fratellini c’era tantissima tensione, soprattutto tra Johnny e Dee Dee. Al punto che quest’ultimo scrisse “La storia dei Ramones non può avere un lieto fine. Sono contento che sia tutto finito, anche se a tratti è stato divertente”.
Lui nel ruolo di rebel with(out) a cause ci si è trovato dalla nascita, probabilmente senza troppa possibilità di scelta. Cresciuto tra il Queens e Berlino, seguendo gli spostamenti del padre militare che proprio nella capitale tedesca aveva conosciuto la madre. Ma i genitori, segnati dalla seconda guerra mondiale, “erano tremendi, le loro vite erano un casino assoluto e avevo l’impressione che dessero a me la colpa di tutto”. E se si cercava scampo fuori da casa, fuori c’era la città che Christiane F. ci ha mostrato in Noi i ragazzi dello zoo di Berlino (1979).
È chiaro quindi perché Wart hog, forse il pezzo più crudo e dolente dei Ramones, sia spremuta del cuore di Dee Dee. Che con parole dirette e lancinanti descrive lo sgretolarsi della sua vita, i tentativi di uscire dalla tossicodipendenza, gli amici, come Johnny Thunderds, persi. A fare da sfondo pulsante alla drammatica altalena esistenziale di Dee Dee, la New York frenetica del CBGB tra Blondie, New York Dolls, che talvolta si alterna con la Londra dei Sex Pistols.
Quest’odissea punk alla fine sembra un valzer tra angeli di desolazione che uno ad uno si salutano. Chissà, magari Lassù c’è un bellissimo concerto, una vera festa.
XL, settembre 2010It’s alive
Questa testimonianza è tratta dal libro Blitzkrieg punk – Sopravvivere ai Ramones scritto da Dee Dee Ramone e Veronica Kofman. Dee Dee è morto di overdose il 5 giugno 2002 a Los Angeles.
Quando uscimmo dal laboratorio di Phil Spector (il leggendario produttore dei Beatles, ndr) andammo a trovarlo insieme a Monte (Melnick tour manager della banda, ndr) e tutta la band. Ed Stasium, il coproduttore di End of the Century, ci scortò fino a una sala prove fuori mano da qualche parte a Hollywood. Finito di accordare il basso e la chitarra iniziammo a darci da fare con Rock’n’Roll High School. Il palco era in fondo a una sala grande e lunga, con il pavimento lucidissimo. A metà della canzone apparve Phil e si diresse disinvolto fino al centro dello studio. Aprì la sua ventiquattr’ore e, siccome non c’erano sedie, si sedette a gambe incrociate sul pavimento e prese a scrutarci da dietro la valigetta aperta. Inutile ricordare che la giornata era stata lunga e io iniziavo a perdere il mio senso dell’umorismo. Avevo solo voglia di farmi una bella dormita. Non so cosa stesse facendo Phil dietro la sua valigetta, ma qualcosa nel suo comportamento mi rendeva sospettoso. Quando finimmo di suonare Phil venne a congratularsi per la canzone, eppure io continuavo a sentirmi a disagio.
Penso che si sia trattato di una specie di test per farsi un’idea su di noi prima di firmare il contratto e diventare il nostro produttore. A quel punto il passo successivo, per Phil, era vedere se con noi si sarebbe potuto divertire. In fondo avremmo dovuto passare un bel po’ di tempo assieme, visto che Phil aveva sempre bisogno di molto tempo per incidere un album. Eravamo tutti stravolti, probabilmente perché la notte facevamo sempre tardi, così trovammo un pretesto per andare via, con l’impegno di rivederci tutti quanti il giorno seguente nella villa di Phil a Beverly Hills.
La villa si trovava in cima a una strada ripida. Era una specie di palazzo fortificato: dopo aver suonato il citofono la security ci perquisì, poi oltrepassammo il cancello e i successivi posti di blocco fino all’ingresso. La proprietà, poco curata, non era in buono stato. Forse perché Phil era scapolo e viveva solo con il suo gigantesco San Bernardo e due guardie del corpo. La mia impressione è che a quell’epoca non avesse altro amico all’infuori del disc jockey Rodney Bingenheimer. Lo conoscevamo anche noi, perché nel 1976 aveva invitato i Ramones al suo primo show per la Kroq, a Los Angeles.
Una volta entrati in casa, Phil ci portò a fare un giretto. Io sono un grande fan di Phil e, per quanto all’epoca fossi totalmente fuori, mi rendevo comunque conto di trovarmi davanti a una vera leggenda del rock’n’roll, ma la cosa mi innervosiva proprio. Dopo aver fatto il giro della villa lasciò me, John e Marky nella stanza del pianoforte e salì al piano di sopra per una riunione privata con Joey. Dopo circa tre ore di attesa mi stavo spazientendo, ero stufo di starmene lì seduto a fissare John e Marc. Alla fine mi alzai dal divano per andare a cercare Phil e Joey e vedere che cosa stava succedendo. Phil deve aver pensato che ero un ladro. Non so per quale motivo abbia reagito a quel modo, ma a un certo punto apparve in cima alle scale e cominciò a gridare agitando una pistola. Dopodiché smontò l’arma in due secondi netti e la rimontò in altri due secondi. Era un maniaco delle pistole e padroneggiava tutte le tecniche di tiro. Tipo Jimi Hendrix, solo che lo faceva con un’arma anziché con la chitarra.
Non è possibile, pensai. Mi sto annoiando a morte, dobbiamo assolutamente andarcene fuori dai coglioni.
Allora lo sfidai: “Phil, non so che cazzo di problemi hai, per sventolare una pistola in questa maniera e cercare di portare via Joey dai Ramones. Io però ne ho abbastanza. Me ne torno al Tropicana”.
Il Tropicana era l’albergo di Santa Monica Boulevard in cui stavamo.
“Dee Dee, tu non vai da nessuna parte” rispose Phil.
Puntò l’arma all’altezza del mio cuore e muovendo la canna ci indicò di tornarcene tutti dentro la sala del pianoforte. Ci sedemmo sul divano e ci servimmo un’altra birra. Ormai eravamo tutti molto ubriachi. Io non ne potevo più, mi sentivo confuso e avevo fame. Phil era un ospite spietato. Mise via la pistola solo dopo essersi assicurato che le guardie del corpo avessero la situazione sotto controllo. Si sedette davanti al pianoforte nero e ci costrinse ad ascoltarlo mentre suonava e cantava Baby I Love You, fino alle quattro e mezza del mattino. Verso le cinque pensai che probabilmente sarei impazzito.
Due settimane più tardi Johnny Ramone, Marky Ramone, Joey, io, Ed Stasium e Phil Spector eravamo in sala di incisione in un’altra località segreta di Hollywood. Dopo aver lavorato quattordici o quindici ore al giorno per tredici giorni di fila ancora non avevamo registrato una sola nota. Chissà come mai, ma stavo perdendo la pazienza. Phil stava seduto al mixer per ore, imperterrito, ad ascoltare in cuffia Marky che produceva una singola nota percuotendo la batteria. Mi sembrava di essere ritornato a Forest Hills, alle Birchwood Towers, quando nell’appartamento di sua madre Joey Ramone per ore palleggiava il pallone da basket e intanto registrava i colpi sul suo mangianastri.
Un paio di giorni dopo, durante la pausa pranzo domandai a Ed: “Sai per caso dov’è finito John?”. E lui mi rispose: “Be’, John se ne è andato circa cinque ore fa. È tornato a New York”.
“Ma è pazzesco. Non abbiamo ancora nemmeno iniziato a registrare.”
“Che vuoi che ti dica?” mi rispose Ed. “Si vede che non ce la faceva più per l’ansia.”
Tornai alle macchinette per le bibite e incrociai Marky.
“Marky” gli dissi “John ha mollato il colpo. È tornato a New York. Secondo te che cosa dobbiamo fare?”
“Andiamocene a casa.”
Non so come, ma io e Marc riuscimmo a prenotare un aereo per New York per quella sera stessa, alle sette. La mattina dopo eravamo al Jfk. Ancora oggi non ho idea di come sia andata con l’album End of the Century, né di chi abbia suonato il basso nella versione finale.
Quando uscimmo dal laboratorio di Phil Spector (il leggendario produttore dei Beatles, ndr) andammo a trovarlo insieme a Monte (Melnick tour manager della banda, ndr) e tutta la band. Ed Stasium, il coproduttore di End of the Century, ci scortò fino a una sala prove fuori mano da qualche parte a Hollywood. Finito di accordare il basso e la chitarra iniziammo a darci da fare con Rock’n’Roll High School. Il palco era in fondo a una sala grande e lunga, con il pavimento lucidissimo. A metà della canzone apparve Phil e si diresse disinvolto fino al centro dello studio. Aprì la sua ventiquattr’ore e, siccome non c’erano sedie, si sedette a gambe incrociate sul pavimento e prese a scrutarci da dietro la valigetta aperta. Inutile ricordare che la giornata era stata lunga e io iniziavo a perdere il mio senso dell’umorismo. Avevo solo voglia di farmi una bella dormita. Non so cosa stesse facendo Phil dietro la sua valigetta, ma qualcosa nel suo comportamento mi rendeva sospettoso. Quando finimmo di suonare Phil venne a congratularsi per la canzone, eppure io continuavo a sentirmi a disagio.
Penso che si sia trattato di una specie di test per farsi un’idea su di noi prima di firmare il contratto e diventare il nostro produttore. A quel punto il passo successivo, per Phil, era vedere se con noi si sarebbe potuto divertire. In fondo avremmo dovuto passare un bel po’ di tempo assieme, visto che Phil aveva sempre bisogno di molto tempo per incidere un album. Eravamo tutti stravolti, probabilmente perché la notte facevamo sempre tardi, così trovammo un pretesto per andare via, con l’impegno di rivederci tutti quanti il giorno seguente nella villa di Phil a Beverly Hills.
La villa si trovava in cima a una strada ripida. Era una specie di palazzo fortificato: dopo aver suonato il citofono la security ci perquisì, poi oltrepassammo il cancello e i successivi posti di blocco fino all’ingresso. La proprietà, poco curata, non era in buono stato. Forse perché Phil era scapolo e viveva solo con il suo gigantesco San Bernardo e due guardie del corpo. La mia impressione è che a quell’epoca non avesse altro amico all’infuori del disc jockey Rodney Bingenheimer. Lo conoscevamo anche noi, perché nel 1976 aveva invitato i Ramones al suo primo show per la Kroq, a Los Angeles.
Una volta entrati in casa, Phil ci portò a fare un giretto. Io sono un grande fan di Phil e, per quanto all’epoca fossi totalmente fuori, mi rendevo comunque conto di trovarmi davanti a una vera leggenda del rock’n’roll, ma la cosa mi innervosiva proprio. Dopo aver fatto il giro della villa lasciò me, John e Marky nella stanza del pianoforte e salì al piano di sopra per una riunione privata con Joey. Dopo circa tre ore di attesa mi stavo spazientendo, ero stufo di starmene lì seduto a fissare John e Marc. Alla fine mi alzai dal divano per andare a cercare Phil e Joey e vedere che cosa stava succedendo. Phil deve aver pensato che ero un ladro. Non so per quale motivo abbia reagito a quel modo, ma a un certo punto apparve in cima alle scale e cominciò a gridare agitando una pistola. Dopodiché smontò l’arma in due secondi netti e la rimontò in altri due secondi. Era un maniaco delle pistole e padroneggiava tutte le tecniche di tiro. Tipo Jimi Hendrix, solo che lo faceva con un’arma anziché con la chitarra.
Non è possibile, pensai. Mi sto annoiando a morte, dobbiamo assolutamente andarcene fuori dai coglioni.
Allora lo sfidai: “Phil, non so che cazzo di problemi hai, per sventolare una pistola in questa maniera e cercare di portare via Joey dai Ramones. Io però ne ho abbastanza. Me ne torno al Tropicana”.
Il Tropicana era l’albergo di Santa Monica Boulevard in cui stavamo.
“Dee Dee, tu non vai da nessuna parte” rispose Phil.
Puntò l’arma all’altezza del mio cuore e muovendo la canna ci indicò di tornarcene tutti dentro la sala del pianoforte. Ci sedemmo sul divano e ci servimmo un’altra birra. Ormai eravamo tutti molto ubriachi. Io non ne potevo più, mi sentivo confuso e avevo fame. Phil era un ospite spietato. Mise via la pistola solo dopo essersi assicurato che le guardie del corpo avessero la situazione sotto controllo. Si sedette davanti al pianoforte nero e ci costrinse ad ascoltarlo mentre suonava e cantava Baby I Love You, fino alle quattro e mezza del mattino. Verso le cinque pensai che probabilmente sarei impazzito.
Due settimane più tardi Johnny Ramone, Marky Ramone, Joey, io, Ed Stasium e Phil Spector eravamo in sala di incisione in un’altra località segreta di Hollywood. Dopo aver lavorato quattordici o quindici ore al giorno per tredici giorni di fila ancora non avevamo registrato una sola nota. Chissà come mai, ma stavo perdendo la pazienza. Phil stava seduto al mixer per ore, imperterrito, ad ascoltare in cuffia Marky che produceva una singola nota percuotendo la batteria. Mi sembrava di essere ritornato a Forest Hills, alle Birchwood Towers, quando nell’appartamento di sua madre Joey Ramone per ore palleggiava il pallone da basket e intanto registrava i colpi sul suo mangianastri.
Un paio di giorni dopo, durante la pausa pranzo domandai a Ed: “Sai per caso dov’è finito John?”. E lui mi rispose: “Be’, John se ne è andato circa cinque ore fa. È tornato a New York”.
“Ma è pazzesco. Non abbiamo ancora nemmeno iniziato a registrare.”
“Che vuoi che ti dica?” mi rispose Ed. “Si vede che non ce la faceva più per l’ansia.”
Tornai alle macchinette per le bibite e incrociai Marky.
“Marky” gli dissi “John ha mollato il colpo. È tornato a New York. Secondo te che cosa dobbiamo fare?”
“Andiamocene a casa.”
Non so come, ma io e Marc riuscimmo a prenotare un aereo per New York per quella sera stessa, alle sette. La mattina dopo eravamo al Jfk. Ancora oggi non ho idea di come sia andata con l’album End of the Century, né di chi abbia suonato il basso nella versione finale.
La Stampa, Tutti libri, sabato 3 giugno 2006Sono quasi calve le creste di gallo
Il trentennale del punk non ha colto impreparati gli editori d'Oltremanica e al di là dell'Atlantico, e nemmeno i nostri, che all'approssimarsi della data hanno messo in cantiere corpose traduzioni. E se da un lato pare lecito chiedersi fino a che punto i punk delle origini avessero davvero in animo di celebrare un giorno certe ricorrenze (specie pensando al più famoso degli slogan di quel "movimento" che com'è noto proclamava "no future"), dall'altro bisogna pure fare i conti col fatto che il punk, lungi dall'esaurirsi nell'esplosione di furia nichilista e iconoclasta che contrassegna quell'estate del 1976, si è dimostrato capace di arrivare in un modo o nell'altro fino a noi, magari incarnandosi negli hacker che attaccano a mezzo di virus informatici le multinazionali anziché nei musicisti dei Green Day. I quali, con i loro capelli colorati, hanno certo fatto tornare proprio di recente il genere punk in testa alle classifiche: e però, alle orecchie dei vecchi punk ormai cinquantenni alle prese con una calvizie non più soltanto incipiente, suonano inevitabilmente come dei simpatici epigoni.
di Giuseppe CulicchiaRumore, luglio/agosto 2006Blitzkrieg, Punk. Sopravvivere ai Ramones
Finalmente. Finalmente qualcuno si è assunto l'onere e l'onore di tradurre e pubblicare sul mercato italiano Poison Heart. Surviving: The Ramones, biografia di Dee Dee Ramone scritta a quattro mani dallo stesso Dee Dee e da Veronika Kaufman uscita negli Usa nel 1998, a due anni dallo scioglimento ufficiale della band, arrivato dopo una carriera più che ventennale. Per questo dobbiamo dire grazie alla neonata Agenzia X.
Blitzkrieg Punk. Sopravvivere al Ramones, pur raccontando la vita di un uomo, diventa inevitabilmente anche la storia di una band. Per tanti la più grande di sempre. Dal 1974 al 1996 i Ramones hanno riempito la nostra vita, e l’hanno resa migliore. Se stringete questa rivista tra le mani, vi sarà difficile obbiettare. E una buona fetta dei nostri ringraziamenti va proprio a lui, a Dee Dee, che la leggenda dei Ramones l’ha fatta nascere e crescere, nonostante tutto. Nonostante le crisi personali, nonostante le battaglie perse contro l'amico/nemico di sempre, l'eroina. Il 5 giugno del 2002 Dee Dee ci ha lasciati. Overdose, pratica chiusa. La morte meno punk che ci sia ci ha portato via per sempre il più punk dei Ramones, bassista pluridecorato, reduce da migliaia di concerti allo spasimo (suo marchio di fabbrica dei Fast Four, quel “One-Two-Three-Four” che dettava tempi alla band e testava la resistenza fisica di un pubblico devoto), morbosamente attaccato alla siringa. Parlando di se stesso. Dee Dee ci racconta (perdonatemi la banalità, ma di questo si tratta) la storia dei Ramones, che è poi anche la nostra. Una storia vissuta (altra banalità, altra verità) senza risparmiarsi, perché come diceva lui stesso “...La vera spinta è l’aggressività. Deve essere autentica, altrimenti il risultato fa schifo di sicuro. Lo show business non può creare le rock band a tavolino. Non funziona così. Per cui non aspettate che collabori...”. Il libro è toccante, forse il migliore tra i tanti usciti negli anni riguardanti i Ramones. Un libro semplice e vero, dal titolo perfetto. Sì, perché ai Ramones Dee Dee e sopravvissuto, alla grande. Alla droga no, ma questo è un altro discorso.
di Luca FrazziBlitzkrieg Punk. Sopravvivere al Ramones, pur raccontando la vita di un uomo, diventa inevitabilmente anche la storia di una band. Per tanti la più grande di sempre. Dal 1974 al 1996 i Ramones hanno riempito la nostra vita, e l’hanno resa migliore. Se stringete questa rivista tra le mani, vi sarà difficile obbiettare. E una buona fetta dei nostri ringraziamenti va proprio a lui, a Dee Dee, che la leggenda dei Ramones l’ha fatta nascere e crescere, nonostante tutto. Nonostante le crisi personali, nonostante le battaglie perse contro l'amico/nemico di sempre, l'eroina. Il 5 giugno del 2002 Dee Dee ci ha lasciati. Overdose, pratica chiusa. La morte meno punk che ci sia ci ha portato via per sempre il più punk dei Ramones, bassista pluridecorato, reduce da migliaia di concerti allo spasimo (suo marchio di fabbrica dei Fast Four, quel “One-Two-Three-Four” che dettava tempi alla band e testava la resistenza fisica di un pubblico devoto), morbosamente attaccato alla siringa. Parlando di se stesso. Dee Dee ci racconta (perdonatemi la banalità, ma di questo si tratta) la storia dei Ramones, che è poi anche la nostra. Una storia vissuta (altra banalità, altra verità) senza risparmiarsi, perché come diceva lui stesso “...La vera spinta è l’aggressività. Deve essere autentica, altrimenti il risultato fa schifo di sicuro. Lo show business non può creare le rock band a tavolino. Non funziona così. Per cui non aspettate che collabori...”. Il libro è toccante, forse il migliore tra i tanti usciti negli anni riguardanti i Ramones. Un libro semplice e vero, dal titolo perfetto. Sì, perché ai Ramones Dee Dee e sopravvissuto, alla grande. Alla droga no, ma questo è un altro discorso.
www.lettera.com, 22 novembre 2006Blitzkrieg Punk: Tutto, troppo e troppo presto, nella wildlife dei Ramones
La vita di una rock'n'roll band vista dall'interno in un susseguirsi di stati di alterazione e di allucinazione che partono dalle periferie di New York City e lambiscono i margini più oscuri e drammatici dell'esistenza anche, canzone dopo canzone, disco dopo disco, tour dopo tour, le apparenze avevano il volto fumettistico e ridanciano dei Ramones.
Le droghe sono il sogno di ogni killer.
Uno che per tentare di salvarsi dalla deriva tossica dei Ramones pensa che la soluzione migliore sia rimettere in piedi una rock'n'roll band partendo da Stiv Bators e Johnny Thunders, due junkie al capolinea, deve avere qualche problema nei contatti con la realtà. Ciò è valso per tutta la vita nei bassifondi di Douglas Glenn Colvin, meglio noto con il nome di Dee Dee Ramone e lui stesso non ne fa mistero in questa autobiografia scritta con Veronica Kaufman. Il taglio è crudo, scarno, minimale, come del resto è stato l'essenziale rock'n'roll del gruppo che ha fondato e in cui ha vissuto finché è resistito, i Ramones. Frasi costruite con frammenti, scheggie o brevissimi flashback ricostruiscono, dietro la storia dei Ramones, una lunga teoria di fallimenti, diatribe, solitudini e tanta, troppa droga. Nel raccontarlo Dee Dee Ramone non cede nemmeno per un istante all'autoindulgenza ed è onesto con se stesso fino alla crudeltà: "Pagavo il prezzo delle droghe e dell'alcol, che rendevano tutto più difficile. Il mio cervello stava andando in pappa. L'unico rimedio era suonare il basso e starmene on the road. Dovevo andare in tournée per pagare i debiti". L'effetto ridanciano e fumettistico dei Ramones svanisce rapidamente e subentra una tardiva presa di coscienza: "È tutto troppo stupido. La società sta crollando. Le città americane sono disperate e segnali di cambiamento non se ne vedono. Mi chiedo come riescano a sopravvivere le minoranze, perché la situazione è ancora più dura da sostenere quando vieni odiato per tutta la vita. Non hai mai un attimo di tregua. Sei giudicato ancor prima di aver commesso il fatto. Vivi in una zona di guerra e devi lottare costantemente se vuoi sperare di sopravvivere". La metafora bellica è tutt'altro che casuale: vivere in una rock'n'roll band come i Ramones prevedeva una sorta di folle disciplina, di adeguamento agli usi (non tutti sanissimi) e costumi di gruppo e che trovano una specie di punto di non ritorno in una scena di Blitzkrieg Punk in cui Phil Spector, in uno dei frangenti che portarono alla produzione di End of the Century, gli punta addosso una pistola (non una novità, per lui), ma era un'altra l'arma con cui Dee Dee Ramone ha giocato per tutta la vita e che alla fine, il 5 giugno 2002, gli ha presentato il conto in forma, neanche a dirlo, di overdose. Senza appello e senza pietà.
di Marco DentiLe droghe sono il sogno di ogni killer.
Uno che per tentare di salvarsi dalla deriva tossica dei Ramones pensa che la soluzione migliore sia rimettere in piedi una rock'n'roll band partendo da Stiv Bators e Johnny Thunders, due junkie al capolinea, deve avere qualche problema nei contatti con la realtà. Ciò è valso per tutta la vita nei bassifondi di Douglas Glenn Colvin, meglio noto con il nome di Dee Dee Ramone e lui stesso non ne fa mistero in questa autobiografia scritta con Veronica Kaufman. Il taglio è crudo, scarno, minimale, come del resto è stato l'essenziale rock'n'roll del gruppo che ha fondato e in cui ha vissuto finché è resistito, i Ramones. Frasi costruite con frammenti, scheggie o brevissimi flashback ricostruiscono, dietro la storia dei Ramones, una lunga teoria di fallimenti, diatribe, solitudini e tanta, troppa droga. Nel raccontarlo Dee Dee Ramone non cede nemmeno per un istante all'autoindulgenza ed è onesto con se stesso fino alla crudeltà: "Pagavo il prezzo delle droghe e dell'alcol, che rendevano tutto più difficile. Il mio cervello stava andando in pappa. L'unico rimedio era suonare il basso e starmene on the road. Dovevo andare in tournée per pagare i debiti". L'effetto ridanciano e fumettistico dei Ramones svanisce rapidamente e subentra una tardiva presa di coscienza: "È tutto troppo stupido. La società sta crollando. Le città americane sono disperate e segnali di cambiamento non se ne vedono. Mi chiedo come riescano a sopravvivere le minoranze, perché la situazione è ancora più dura da sostenere quando vieni odiato per tutta la vita. Non hai mai un attimo di tregua. Sei giudicato ancor prima di aver commesso il fatto. Vivi in una zona di guerra e devi lottare costantemente se vuoi sperare di sopravvivere". La metafora bellica è tutt'altro che casuale: vivere in una rock'n'roll band come i Ramones prevedeva una sorta di folle disciplina, di adeguamento agli usi (non tutti sanissimi) e costumi di gruppo e che trovano una specie di punto di non ritorno in una scena di Blitzkrieg Punk in cui Phil Spector, in uno dei frangenti che portarono alla produzione di End of the Century, gli punta addosso una pistola (non una novità, per lui), ma era un'altra l'arma con cui Dee Dee Ramone ha giocato per tutta la vita e che alla fine, il 5 giugno 2002, gli ha presentato il conto in forma, neanche a dirlo, di overdose. Senza appello e senza pietà.
www.rootshighway.it, 3 novembre 2006Dee Dee Ramone
Uno che per tentare di salvarsi dalla deriva tossica dei Ramones pensa che la soluzione migliore sia rimettere in piedi una rock'n'roll band partendo da Stiv Bators e Johnny Thunders, due junkie al capolinea, deve avere qualche problema nei contatti con la realtà. Ciò è valso per tutta la vita nei bassifondi di Douglas Glenn Colvin, meglio noto con il nome di Dee Dee Ramone e lui stesso non ne fa mistero in questa autobiografia scritta con Veronica Kofman. Il taglio è crudo, scarno, minimale: frasi costruite con frammenti, scheggie o brevissimi flashback ricostruiscono, dietro la storia del Ramones, una lunga teoria di fallimenti, diatribe, solitudini e tanta, troppa droga. Nel raccontarlo Dee Dee Ramone non cede nemmeno per un istante all'autoindulgenza ed è onesto con se stesso fino alla crudeltà: "Pagavo il prezzo delle droghe e dell'alcol, che rendevano tutto più difficile. Il mio cervello stava andando in pappa. L'unico rimedio era suonare il basso e starmene on the road. Dovevo andare in tournée per pagare i debiti". L'effetto ridanciano e fumettistico dei Ramones svanisce rapidamente: c'è anche una scena in cui Phil Spector, in uno dei frangenti che portarono alla produzione di End of the Century, gli punta addosso una pistola (non una novità, per lui), ma era un'altra l'arma con cui Dee Dee Ramone ha giocato per tutta la vita e che alla fine, il 5 giugno 2002, gli ha presentato il conto. Senza appello e senza pietà.
di Marco DentiCorriere del Ticino, 18 luglio 2007Nel mondo dei Ramones
Questa volta bisogna cominciare dalla fine, dalla lettura dell'impressionante appendice posta al termine del volume di Jim Bessman. Perché i Ramones erano anzitutto una macchina da guerra in continuo movimento, una macchina che macinava un concerto dietro l'altro, dalla provincia americana più retriva alle sale più prestigiose del Vecchio Mondo, attraverso tutti e quattro i continenti. E poi perché cominciare dal fondo, adesso che i Ramones sono solo un rimpianto, vuol dire ripercorrere le tracce di anni di vita entusiasmante - era il secolo scorso - quando il rock era una bandiera, l'unica sotto la quale non c'è razza e non c’è religione, e con loro si era già al secondo round: svaniti gli anni Sessanta rock s'era dato per morto. La loro storia insomma comincia quando sul palco c'era gente come i Genesis e gli Yes, per carità, niente di male, ma quello non era rock, era tutta un'altra cosa, una cosa perbene e rassicurante, una di quelle che non preoccupano né la mamma né nessun altro e si possono ascoltare come naturale colonna sonora del più trito decoro borghese, magari ben svaccati sul divanone di pelle della sala. C'era bisogno di una scossa. C'era bisogno di tornare ai fondamentali. E i Ramones sono apparsi proprio in quel momento. Al posto giusto nel momento giusto. Vomitati dall'insicurezza dello squallore borghese di New York, senza neppure saper leggere uno spartito o suonare come dio comanda, hanno preso su chitarra, basso, batteria e a tutta voce ci hanno dato dentro a più non posso e il rock ha ricominciato a marciare: era arrivato il punk e più niente sarebbe stato come prima. La biografia di Bessman, scritta allora e pubblicata in italiano solo adesso, ma con una preziosissima appendice di Federico Guglielmi che narra i loro ultimi anni, non manca di sottolinearlo, con enfasi perché i Ramones pur senza essere mai stati gratificati da vendite vertiginose, sono stati fagocitati e digeriti, imitati e venerati da generazioni intere di musicisti e critici che proprio in loro hanno visto rinascere il rock dalle sue stesse ceneri. Ma non sono state tutte rose e fiori. I quattro non sono mai stati davvero amici. Non sono mai andati davvero d’accordo. Hanno lavorato. Soprattutto hanno lavorato, macinato chilometri, concerto dopo concerto fedeli alla linea sesso, droga e rock’n’roll. Fin troppo
Di cosa stiamo parlando? Provate a leggere la bellissima autobiografia di Dee Dee Ramone e capirete. Il libro vede la luce grazie all'impegno di Agenzia X, un'agorà dei tempi antichi da poco aperta, letteralmente aperta, a tutti, nello storico quartiere Ticinese, a Milano, dove si incontrano i più diversi ambiti della comunicazione: dall'editoria alla grafica, dalla cinematografia alla ricerca storica. L'autobiografia in questione, pur se di qualche mese addietro, è uno di quei rari libri indispensabili e senza tempo. Non si può indagare insomma il fenomeno Ramones solo attraverso la bibliografia ufficiale di Bessman, né utilizzando le tante altre che ufficiali non sono. Non si può soprattutto parlare di punk senza conoscere vita e pensieri di chi del punk è stato forse l’icona più rappresentativa in mezzo mondo. La lettura, va da sé, è di quelle toste, senza mezze misure, frutto di una verità scomoda e priva di reticenze che va dritta al cuore e al cervello di chi legge, fin dall’inizio, fin dalla narrazione dell’infanzia trascorsa tra Germania e States in compagnia di genitori per così dire un tantino alcolizzati, fino dalla bocciatura alle elementari(!), fin dai primi trasporti per il rock e la cinematografia horror e via via su e giù, su e giù attraverso una vita che ha visto troppo di droga e di sentimento per non incarnare tutta la disperazione del ribelle: la disperazione crudele e dolcissima di chi sa di non avere futuro. Neppure in compagnia dei Ramones l'unica famiglia che Dee Dee abbia mai sentito sua e che qui, in questo libro a tratti straziante, rivivono tutta la loro amichevole inimicizia, la loro rabbia: one - two - three- four, quando di quella musica si sparavano le note, i sogni di tutti i perdenti, per un momento, potete crederci, andavano a segno e di vivere valeva ancora la pena.
di Luca OrsenigoDi cosa stiamo parlando? Provate a leggere la bellissima autobiografia di Dee Dee Ramone e capirete. Il libro vede la luce grazie all'impegno di Agenzia X, un'agorà dei tempi antichi da poco aperta, letteralmente aperta, a tutti, nello storico quartiere Ticinese, a Milano, dove si incontrano i più diversi ambiti della comunicazione: dall'editoria alla grafica, dalla cinematografia alla ricerca storica. L'autobiografia in questione, pur se di qualche mese addietro, è uno di quei rari libri indispensabili e senza tempo. Non si può indagare insomma il fenomeno Ramones solo attraverso la bibliografia ufficiale di Bessman, né utilizzando le tante altre che ufficiali non sono. Non si può soprattutto parlare di punk senza conoscere vita e pensieri di chi del punk è stato forse l’icona più rappresentativa in mezzo mondo. La lettura, va da sé, è di quelle toste, senza mezze misure, frutto di una verità scomoda e priva di reticenze che va dritta al cuore e al cervello di chi legge, fin dall’inizio, fin dalla narrazione dell’infanzia trascorsa tra Germania e States in compagnia di genitori per così dire un tantino alcolizzati, fino dalla bocciatura alle elementari(!), fin dai primi trasporti per il rock e la cinematografia horror e via via su e giù, su e giù attraverso una vita che ha visto troppo di droga e di sentimento per non incarnare tutta la disperazione del ribelle: la disperazione crudele e dolcissima di chi sa di non avere futuro. Neppure in compagnia dei Ramones l'unica famiglia che Dee Dee abbia mai sentito sua e che qui, in questo libro a tratti straziante, rivivono tutta la loro amichevole inimicizia, la loro rabbia: one - two - three- four, quando di quella musica si sparavano le note, i sogni di tutti i perdenti, per un momento, potete crederci, andavano a segno e di vivere valeva ancora la pena.
Sonic #4, dicembre 2006-gennaio 2007(Soprav)vivere e morire nei Ramones
Come band i Ramones erano già belli che andati da tempo (hanno tenuto l’ultimo concerto nel 1996), tuttavia nessuno poteva pensare che se ne sarebbero andati per sempre. Nell’aprile del 2001 un cancro al sistema linfatico si è portato via Joey, un anno dopo è toccato a Dee Dee e nel settembre del 2004 un tumore alla prostata ha posto fine alla vita di Johnny. Se per il primo e il terzo potremmo fare nostro il detto c’est la vie, non si può dire altrettanto del decesso per overdose di Dee Dee. Saputa la notizia, mi chiamò un amico ramonesiano e mi pose questo interrogativo: “Ma come cazzo si fa a morire di overdose a cinquant’anni?”. Non sapevo cosa rispondere, rimasi muto e basito dall’altro capo della cornetta. Ma ora, dopo la lettura di Blitzkrieg punk – sopravvivere ai Ramones (Agenzia X, pp. 186, euro 15,00) a firma DEE DEE RAMONE e VERONICA KOFMAN, mi appare tutto molto più chiaro. La storia di Dee Dee, all’anagrafe Douglas Colvin, è quella di un reduce che ha resistito finché ha potuto. Una storia senza lieto fine (non siamo mica al cinema qui!) terminata nel peggiore dei modi, esattamente come era iniziata. Il padre di Dee Dee era un militare americano di stanza in Germania, un egoista alcolizzato che si accoppiò con un’altra pazza ubriacona a cui le dava spesso di santa ragione. L’unica cosa positiva era che questa valchiria tedesca amava il r’n’r al punto di indottrinare il figlio al suono di Bill Haley and The Comets. Dal canto suo Dee Dee, a parte la passione crescente per la musica del diavolo, iniziò a stonarsi di morfina in Germania già all’età di 12/13 anni. Quando a 16 anni se ne tornò con la madre e la sorella a New York, ci mise poco più di un mese per impantanarsi negli acidi e nell’eroina. Al contempo familiarizzò con altri giovani delinquentelli di Forest Hills dediti al cazzeggio, allo sballo e, soprattutto, in fissa per l’oltraggiosa inquietudine degli Stooges. A New York si stava muovendo qualcosa. Le Dolls e i Television spianarono la strada a questa “manica di reietti incivili”, ribattezzata Ramones, che esordì al CBGB quando non c’erano neanche i cessi e il pubblico pisciava sul pavimento: immaginate che delirio! Seppur lentamente, le cose iniziarono a girare ma mentre gli altri Ramones riuscivano a mantenere una pur traballante vita sociale (casa, lavoro, affetti), Dee Dee collezionava come figurine sfratti, fidanzate zoccole e drogate e amicizie ultratossiche. Pur non essendo ‘sto gran musicista, la sua creatività superava di gran lunga quella degli altri scoppiati che bazzicavano il punk. In piena botta di eroina scrisse la mitica Chinese Rock, che parlava di lui e Jerry Nolan (ex New York Dolls, in seguito negli Heartbreakers) in sbattimento per procurarsi droga. Andò a finire che la fece ascoltare a Jerry dopo che si erano fatti assieme e così quel pezzo divenne il primo singolo del seminale LAMF. Nell’anno cruciale 1977, durante il secondo soggiorno londinese dei Ramones, Dee Dee fece subito comunella tossica con Sid Vicious: “Gli diedi un po’ di speed e lui lo infilò nella siringa per farsi uno schizzo. Poi con l’ago risucchiò acqua dal cesso e riempì la siringa. L’agitò per diluire lo speed. Nell’acqua c’erano vomito, piscio e catarro. A guardarlo sembrava che Sid non ci trovasse niente di strano. Gli interessava solamente farsi, era pronto a sopportare qualsiasi disagio pur di raggiungere in fretta il suo scopo. Con questa le ho viste proprio tutte, mi dissi!”. In realtà Dee Dee ne ha viste (e combinate) di tutti i colori. Ai tempi del criticatissimo The End of the Century si sorbì le paranoie di quel pazzo maniaco di Phil Spector che viveva in una sontuosa villa con due guardie del corpo, un enorme San Bernardo e una pistola sempre a portata di mano. Come tutti i disadattati, Dee Dee è sempre stato allergico alla disciplina. Non facevano per lui le ferre regole dei Ramones, dettate dal “colonnello” Johnny, che lo obbligavano a indossare la fumettistica divisa dei finti fratellini (jeans attillati, chiodo e capelli a scodella), così nel 1989 mollò baracca e burattini per imbarcarsi in uno scriteriato progetto rap col nome Dee Dee King. Più o meno nello stesso periodo andò a Parigi per tentare di metter su un supergruppo punk con Stiv Bators e Jhonny Thunders, ma la cosa fallì miseramente e sia Stiv che Johnny ci lasciarono le penne di lì a poco. E ancora, a parte la dipendenza dall’eroina, spesso era in preda del delirium tremens a causa dell’astinenza da alcol, ha attraversato un periodo di anoressia e, ciliegina sulla torta, è stato pure internato per un paio di settimane in un ospedale psichiatrico. Una storia talmente complicata la sua che sarebbe riduttivo considerare Dee Dee soltanto la pecora nera della tanto decantata Happy Family. Per questo mi sento di sottoscrivere in pieno le parole di Veronica Kofman: “… quella che state per leggere non è semplicemente la storia dei Ramones ma quella di una vita, la vita di un uomo che tra le tante avventure che gli sono capitate ha anche fondato una rock band famosa in tutto il mondo”.
di Manuel Graziani