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’Ndranghetown
www.zoomsud.it, 24 maggio 2011Nasce SNAP per meglio capire politica, cultura e società. Prima ospite Paola Bottero
Sabato sera, in Via Reggio Campi 121, è stata inaugurata la sede dell’associazione culturale “SNAP”, che ha avuto come madrina d’eccezione la scrittrice reggina Paola Bottero. L’associazione si propone di entrare nel panorama culturale reggino come sodalizio che ha per scopi “Il promuovere la ricerca, il dibattito, l’approfondimento e la divulgazione di temi riguardanti la politica, la cultura, l’economia, l’ambiente e la società; l’Associazione sostiene, inoltre, l’organizzazione di eventi culturali e ricreativi, convegni, seminari, lezioni o corsi di carattere formativo e/o informativo rivolti alla generalità dei cittadini o a settori specialistici“. L’acronimo SNAP sta per “Senza nulla a pretendere”, un omaggio all’arte anarchica e destrutturante del grande Totò, il principe della risata, e vuole affermare il concetto della politica e dell’impegno sociale e culturale come servizio al bene comune, quindi senza la ricerca di obiettivi personali, ma solo per passione. La sala, gremita, ha applaudito la presentazione del romanzo “Ndranghetown” di Paola Bottero, seguita da un dibattito e poi, durante la serata, da una cena sociale che, come un Simposio, è stata ricca di discussioni e di scambi d’esperienze e di vedute. Il romanzo è Orwelliano, mirabile nelle trovate ironiche e rigoroso nella critica sociale. Un’utopia rovesciata, una cruenta interpretazione del futuro, uno sferzante atto d’accusa all’intero sistema di valori che regola e dirige la realtà contemporanea. La scrittrice, utilizzando il paradosso, immagina il destino dell’umanità, tra meno di un secolo, guidato da una grande organizzazione che è lecito definire post-criminale. La coincidenza d’obiettivi tra quelle che oggi sono le Mafie e gli interessi del capitalismo moderno renderanno l’umanità massa informe e omogenea di sudditi-lavoratori, sulla quale primeggerà ‘Ndranghetown, una città del sole alla rovescia. Numerosi gli spunti che fanno trasalire: la riscrittura della storia, con aggiunte o cancellazioni alla verità, per cui Falcone e Borsellino saranno un duo canoro in voga negli anni 90, o altre trovate amaramente umoristiche come questa; la cancellazione del gusto, dell’individualismo; la messa al bando dell’amore; ma soprattutto la fine dell’empatia e della capacità di solidarizzare. L’emblema del baratro è il ponte sullo Stretto che, in un ambiente ipertecnologico, continua a essere paradossalmente costruzione colossalmente inutile, mantenuta attiva solo per il suo valore simbolico: è attraverso la sua costruzione che mafia e ‘Ndrangheta hanno fuso le loro forze partendo alla conquista del potere supremo. Centinaia di corpi, autentici sacrifici umani, popolano i suoi pilastri; sono quelle evocate dal protagonista cui raccontano gli ultimi sforzi dell’umanità di non smarrirsi nella follia; attraverso queste figure di contorno la scrittrice ci descrive l’attualità feroce di chi vive il presente a contatto con la ‘Ndrangheta e la Mafia. Prospettare il futuro seguendo gli aspetti salienti dell’attuale paradigma culturale è compito arduo e porta a conclusioni terribili. L’ha fatto George Orwell, con il celebre “1984”, lo ha fatto Valerio Evangelisti, nelle parti delle sue storie di Eymerich dedicate al terribile avvenire, lo fa Paola Bottero con osservazione acuta, ironia, drammaticità e pathos. Questo libro fa male alla ‘Ndrangheta ma, ancora di più, fa male a una società alla deriva, che fonda sulla negazione dell’essere umano il suo progredire.
di Antonio Calabrò
www.quicalabria.it, 21 maggio 2011Il ponte sul futuro
Nella cosmologia induista si chiama Kalpa, un termine sanscrito che indica un ciclo cosmico. E forse è davvero così che è fatto il tempo: una sorta di spirale, un ricamo, con una parabola ascendente a rappresentare l’evoluzione che vede uomini e società crescere fino all’apice, poi quando il punto massimo è stato toccato decade e il tempo si chiude su se stesso, allora, contro la volontà degli uomini, accade l’irreparabile, l’evento che spazza tutto, che ripulisce tutto, che consente di ripartire. È quest’ultimo frammento lo spazio vitale di ’Ndranghetown, il libro della giornalista Paola Bottero, pubblicato nella collana “Noir di rivolta” dalla casa editrice Agenzia X. Il tempo è fermo in un paradosso anacronistico. Siamo alla vigilia del 28 dicembre 2108 il ponte sullo stretto è stato costruito, unendo ciò che non doveva essere unito, portando vantaggi a qualcuno e nascondendo ciò che non vorrebbe e non dovrebbe mai rimanere nascosto. In questo futuro vive il piccolo Silvio: il figlio senza innocenza della criminalità, “L’Onorata Società delle Due Sponde”, così organizzata da diventare potere economico e politico mondiale, figlio di un futuro che risuona drammaticamente presente. Silvio è il supremo, il futuro, il destino, l’espressione disumana di quella società che forse si è anche posta delle domande, rinunciando però alle risposte in cambio della rassegnazione, eppure in qualche modo appare anche come l’espressione di una logica deviata che si chiede «che senso ha questo ponte, a chi serve ancora, visto che noi siamo intrappolati qui». È come un prisma questo libro dove tra le mille rifrazioni che raccontano il futuro ormai inarrestabile riverbera un presente che forse può ancora essere cambiato. Ed è proprio questo il gioco più bello che l’autrice ha messo in atto, non solo quello di immaginare e raccontare il “come sarebbe” ma lasciare intuire che quel futuro così poco rassicurante lo si sta costruendo ora, qualcuno lo sta costruendo ora. È per questo che del ponte viene raccontata la sua duplice natura. Il ponte sullo stretto di Messina è simbolo del potere arrogante della criminalità, della spregiudicatezza della politica , ma è anche una trappola che sprigiona fantasmi, capaci di dare con la loro morte un tragico senso a quel «gioco di azzurri, fatti di aria, travi e tiranti d’acciaio». Una tomba che uccide: per fatalità, per essere «monito ed esempio», per «recidere un fiore e versare il sangue dell’onore». Un agglomerato d’acciaio di nessuna utilità ma che respira e si lamenta con la voce delle ombre. È il migliore dei futuri possibili quello descritto dalla Bottero, solo che in questa affermazione non c’è traccia di ottimismo, troppo simile al presente, troppo uguale nell’indifferenza, nell’arroganza, nella violenza; è un futuro facilitato, indottrinato e schematizzato, che però ha perso la capacità di regalare sapori, odori, colori; ma che soprattutto ha commesso l’errore più grave, quello che fa la differenza tra l’umano e l’inumano, quello di non riuscire ad imparare dai propri errori; è questo il vero paradosso che la scrittrice presenta quello di una società che resta intrappolata nei suoi errori incapace di riconoscerli. E così verso un epilogo che non possono né immaginare né controllare si muovono i personaggi, attendendo ignari l’evento che fermerà il tempo per farlo ripartire, che scioglierà i paradossi.
di Tiziana Selvaggi

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