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Dopo il lampo bianco
Il primo amore, 1° marzo 2016 Il lampo bianco splende ancora
È stato appena ristampato Dopo il lampo bianco di Silvio Bernelli. Se non l’avete ancora letto è l’occasione per farlo, ne vale veramente la pena. È la storia vera di un incidente spaventoso e di una rocambolesca cura e riabilitazione. Con tante riflessioni sulla caducità e la convivenza con la nostra vitalissima essenza mortale, e la sua sorprendente capacità di rigenerazione. È un libro che non si dimentica. Anzi, più che un libro è un’esperienza.
Qui sotto la prima pagina del libro.
Nel primo pomeriggio dell’8 agosto 2005 mi sorpresi a guardare il mio sangue arterioso che allagava l’asfalto, in una strada che non avrei saputo ritrovare neanche su una cartina.
Il cervello era saturo dell’incidente a cui ero appena scampato in perfetta lucidità, ma ogni dettaglio che lo componeva sembrava troppo spaventoso per essere vero.
L’unica certezza era la gravità delle mie condizioni.
Un’escoriazione partiva dal gomito sinistro, si estendeva su tutta la superficie del muscolo e si allungava fino al polso.
La t-shirt arrotolata sul torace scopriva una ferita sul costato sinistro. Era quasi rettangolare, una dozzina di centimetri per ciascuno dei lati lunghi. Si apriva all’altezza della penultima costola e scivolava sul fianco. Sul ginocchio destro, proprio nell’incavo della rotula, mancava un dito di carne. Il monte della mano destra, l’insieme di muscoli e nervi tra polso e attaccatura del pollice, era stato spianato. Al suo posto c’era un buco di carne grande quanto una moneta. Sui polpastrelli era cresciuta una selva di bolle giallastre.
Una ferita vagamente a forma di cuore dilaniava la gamba sinistra per una quarantina di centimetri. Scopriva parte dell’articolazione della caviglia e quasi tutto il malleolo esterno. Si allargava con l’ingrossarsi del polpaccio, scavalcava la tibia, raggiungeva lo spigolo inferiore della rotula. Tibia e perone biancheggiavano nella luce del pomeriggio insieme a fasce muscolari e nervi inzuppati di sangue.
Sul lato sinistro, al posto della porzione più larga del polpaccio c’era una spessa striscia di carne strappata. L’orlo dell’area maciullata era granuloso e irregolare. Sembrava il morso di uno squalo.
Dell’intera parte anteriore della mia gamba non c’era più niente, a parte alcuni grappoli di carne e pelle nerastra che penzolavano dalla ferita.
Tiziano Scarpa
http://www.thelastreporter.com, 19 novembre 2014 Il lampo bianco di Silvio Bernelli

Il libro di Silvio Bernelli, Dopo il lampo bianco (Agenzia X, 2012), racconta un evento traumatico realmente accaduto che ha cambiato la vita all’autore.
«Nel primo pomeriggio dell’8 agosto 2005 mi sorpresi a guardare il mio sangue arterioso che allagava l’asfalto, in una stradina che non avrei saputo ritrovare neanche su una cartina». Così comincia il romanzo di Silvio Bernelli, insegnante di yoga e della scuola Holden, collaboratore di “Il fatto quotidiano”.
Fin dal principio il lettore capirà che ciò che sta leggendo è qualcosa di realmente accaduto. L’autore, infatti, era in viaggio in Thailandia quando la sua bicicletta venne travolta da un camion e la sua vita cominciò a cambiare.
Il romanzo narra le traversie che l’autore ha dovuto superare per salvare le sue gambe, maciullate dalle ruote del camion. Ciò che però ci stupisce più di tutto è l’inserimento di brani di altri libri per spiegare e giustificare ciò che stava accadendo: è una grande ricerca bibliografica sul tema del dolore e degli incidenti che a volte cambiano la vita, altre la distruggono.
Non sono tanto le immagini dure e truculente degli effetti dell’incidente a tenerci incollati alle pagine quanto la fatica di comunicare, non parlando la lingua locale, il coraggio di sapersi far ascoltare mentre dei soldati ti puntano un mitra contro e sembrano non capire le tue ragioni per voler prendere un aereo dopo lunghi mesi di dolore e tornare a casa.
Dopo il lampo bianco è una rottura che segna la vita dell’autore, ma cambia anche quella del lettore che, come svegliato da un lungo sonno, si accorge di quanto la vita di ognuno di noi possa essere appesa a un filo e forse a salvarci non saranno i migliori medici, i migliori ospedali, ma la tenacia e la testardaggine di voler vivere, anche quando tutto sembra suggerirti un tragico epilogo.
Dopo l’incidente la vita di Silvio Bernelli è cambiata, l’autore ha tanto da raccontare e una forza che riuscirà a travolgere tutti i suoi lettori o i suoi allievi interiorizzando il suo più grande insegnamento: «la verità è che non si finisce mai di sopravvivere. Per questo all’aggettivo sopravvissuto preferisco quello di sopravvivente: assai più preciso nel descrivere la condizione di quelli che come me si sono trovati a correre, anche soltanto per un pungo di secondi, proprio lì, sulla linea del confine».
www.goldworld.it, 11 marzo 2014 Intervista a Silvio Bernelli
Dopo il lampo bianco (Agenzia X, 2012) è l’ultimo libro di Silvio Bernelli; un romanzo autobiografico ma profondamente diverso dai suoi precedenti.
La narrazione di Bernelli parte infatti questa volta da un evento traumatico, un tremendo incidente stradale di cui lo scrittore stesso è stato vittima durante un viaggio in Thailandia nel 2005.
Il romanzo narra le varie fasi che fanno seguito all’incidente e ricostruisce i percorsi materiali e mentali attraversati dal protagonista. In tale contesto ansie e paure si confrontano con stati della coscienza sperimentabili solo in situazioni estreme in un susseguirsi di preoccupazioni per il presente, dettagli di vita passata e considerazioni apparentemente fuori luogo nella situazione contingente.
La narrazione di Bernelli non si limita però al semplice racconto ma, e qui sta uno dei principali punti di forza del libro, mischia “letteratura e vita” grazie ad un lavoro di ricerca che mette la vicenda personale dell’autore a confronto di quella di altri scrittori ed esperti di varie discipline ritrovatisi a loro volta a cospetto di situazioni estreme. Bernelli si trova così spesso ad associare (e per molti versi a sostenere) la propria prospettiva personale con citazioni di autori che si sono trovati come lui a tu per tu con la morte o, quantomeno, con la percezione di una morte incombente.
Fra questi lo Stephen King di Autobiografia di un mestiere, il John Krakauer di Aria sottile, il Karl Kraus di Detti e contraddetti, il Reinhold Meissner di Orizzonti di Ghiaccio
La presente intervista verte essenzialmente sul libro, ma ha inevitabilmente come sottofondo il filo rosso che mi lega all’intervistato e, se per questo, anche all’editore del libro (cioè Marco Philopat di Agenzia X). Tutti e tre, infatti, abbiamo fatto parte di quella fucina di idee e comportamenti che fu l’hardcore punk italiano della prima metà degli anni Ottanta.
Poco conta dire in questa sede che Bernelli è stato il bassista di Declino e Indigesti (del resto basta leggere il suo primo romanzo I ragazzi del mucchio per appurare i dettagli), molto più rilevante a mio avviso constatare come, a trent’anni di distanza, con Silvio come con Philopat, ci sentiamo ancora in qualche modo parte di una medesima famiglia: una famiglia che per un periodo ci ha accomunato e che ha avuto un grande peso formativo sulle cose che abbiamo fatto, detto, scritto o vissuto negli anni a seguire.Presentami il libro
Dopo il lampo bianco è l’autobiografia di un uomo che fa una lunga corsa in ambulanza verso un ospedale, dopo uno spaventoso incidente stradale. È la storia di un uomo che lotta per la vita ed è ciò che è realmente successo a me diversi anni fa in Thailandia. Ma è anche un raccolta di avventure ed esperienze sul legame tra letteratura e sopravvivenza, come quelle vissute da Stephen King, Joe Simpson, Jon Krakauer e alcuni altri autori. Sotto questo aspetto è una sorta di “compilation” di scrittori che hanno avuto – come me – il privilegio di correre sulla sottile, impalpabile linea di confine della vita, e la fortuna di restare al di qua di quel confine, e raccontare ciò che si vede, ciò che si prova. Ma in Dopo il lampo bianco non si parla di esperienze di pre-morte, visioni, eccetera. Il racconto mio e di tutti gli altri autori resta saldamente ancorato a questa terra, alle sensazioni che si provano qui, tra noi. L’altra cosa importante da puntualizzare è che tutte le esperienze vissute da altri scrittori e i diversi frammenti che costituiscono il libro sono tutti inseriti all’interno della vicenda vissuta da me. È grazie a questa tecnica che Dopo il lampo bianco ha il ritmo e la leggibilità di un romanzo.Come hai raccolto le fonti?
Sono andato nelle biblioteche e su internet alla ricerca di vicende che per certi versi potevano essere simili alla mia. Con mia grande sorpresa però, ho scoperto che i libri autenticamente letterari dedicati al tema della scrittura e della sopravvivenza da eventi estremi erano molti pochi, ed erano quelli che conoscevo. Aria sottile di Krakauer,

Mi hanno molto colpito le tue riflessioni sul cortocircuito fra necessità del racconto e credibilità del racconto: Cosa vuoi dirmi a proposito?
Sai, il problema è che tanto per cominciare le parole stesse sono consumate. È difficile riuscire a trasmettere al lettore un’esperienza come il dolore, quando tutte le parole che lo descrivono, pensa soltanto al “dolore atroce” usato da Paolo Villaggio nei libri nei film di Fantozzi, sono depotenziate, poco credibili, sono parole che nel tempo hanno perso il loro valore. E poi esiste il problema stesso del racconto che in certi contesti rende comprensibile, normalizza, giustifica persino l’incomprensibile. È il dilemma con il quale si sono trovati a che fare i numerosi autori che hanno raccontato la Shoah. Come raccontare ciò che sul piano umano non è raccontabile? Alla fine credo che solo la qualità letteraria sia in grado di “salvare” sul piano etico una narrazione di carattere “estremo”. Infatti alla fine, per rimanere all’esempio della letteratura concentrazionaria (che in Dopo il lampo bianco non ho inserito proprio per le sue caratteristiche di eccezionalità, per rispetto verso le vittime) quella che rimane oggi è – tra non molte altre – la gigantesca, immensa opera di Primo Levi, l’autore di quello che probabilmente resterà “il libro del 900” e cioè Se questo è un uomo. Altre testimonianze dei lager, importantissime sul piano umano, sociale e politico, ma meno interessanti sul piano meramente letterario, non resteranno, spariranno nel tempo. La qualità letteraria è l’unica via d’uscita al cortocircuito innescato tra la necessità del racconto e la sua reale efficacia. Solo la letteratura può risolvere un problema creato da lei stessa.

Come si fa a nobilitare un’autobiografia dal punto di vista letterario?
Raccontandola come un romanzo, curando le entrate e le uscita di scena dei personaggi, che poi sono persone in carne e ossa che meritano un rispetto particolare, che a un personaggio inventato non si dedicherebbe. E poi con la scrittura. Che per storie così dev’essere spietata, deve saper chiamare le cose con il loro nome, ma anche raffinata, letteraria. Altrimenti tutto resta sul piano del ricordo o della cronaca. Senza la prospettiva, l’orizzonte, lo sfondamento letterario tipico del romanzo, il racconto resta attaccato alla pagina, e lì rimane. Non riesce a dirci nulla di noi, può commuoverci ma non ci impressiona davvero, non ci segna. Proprio come succede quando si legge la maggioranza delle autonarrazioni.

A un certo punto del romanzo scrivi di aver cancellato il file del libro che stavi scrivendo prima dell’incidente e di aver buttato nel cestino il manoscritto. Hai davvero rottamato tutto ciò che hai scritto prima del Lampo Bbanco?
Sì. Ho buttato via il romanzo che stavo scrivendo. Era inutile. Vediamo ora cosa mi verrà voglia di scrivere in futuro. Sono curioso anch’io di sapere cosa sarà.

Com’è stato lavorare con una piccola casa editrice come Agenzia X? Che differenza hai trovato rispetto alle case editrici più note e presumibilmente anche più ricche con cui avevi lavorato in precedenza?
È stata un’esperienza interessante, anche se tutto è molto più difficile. Molte testate neanche ti considerano se pubblichi per una casa editrice piccolissima, e per di più con una fama di militanza come Agenzia X. Ma comunque Dopo il lampo bianco è arrivato persino sulle pagine del “Corriere della Sera” con una recensione molto favorevole, dove neanche il mio primo romanzo I ragazzi del mucchio, che ha venduto molto di più di quest’ultimo, era arrivato. È un’avventura che ripeterei.

Quanto resta di te del musicista/protagonista dei I ragazzi del mucchio?
È sempre difficile parlare di se stessi, bisognerebbe lasciare ad altri questo giudizio. Ma sforzandomi di rispondere lo stesso a questa domanda, posso dire che sono certamente cambiato parecchio come persona, anche se credo che dentro di me sia rimasto molto del ragazzo che sono stato; ad esempio la curiosità, la voglia di sperimentare, l’autodisciplina, la passione e l’orgoglio con cui si fanno le cose. Poi certo, i tempi e gli ambienti sono parecchio cambiati. Ma riuscire a invecchiare senza perdere queste tre o quattro caratteristiche fondamentali mi sembra già un bel risultato, no?

La parola “cicatrice” resta la tua preferita?
È la voce che ho scritto anni fa per il Dizionario affettivo della lingua italiana pubblicata da Fandango. Sì, è ancora una parola meravigliosa. Per come risuona in bocca con tutte quelle c, e per il significato di esperienza e di tempo, di “prima” e “dopo” che ha. Due valori che da soli bastano a combattere la stoltezza e il vuoto di questi tempi. Se ci pensi, sono la medesima stoltezza e il medesimo vuoto contro i quali combattevo come paroliere e musicista.

Per contattarti?
Ho da poco aperto una pagina facebook che si chiama proprio Dopo il lampo bianco dove sono reperibili interviste, foto, recensioni del libro e anche la voce “cicatrice” del “Dizionario Affettivo” di cui si parlava poco fa. Vi invito a visitarla!
di Stefano Bettini
RaiTunes - RAI Radio 2, 30 gennaio 2013Dopo il lampo bianco
Silvio Bernelli parla di Dopo il lampo bianco con Alessio Bertallot a RaiTunes, e ne legge alcuni estratti con accompagnamento musicale, da Burial agli Everything but the girl.
Ascolta il reading qui
di Alessio Bertallot
http://sugarpulp.it/dopo-il-lampo-bianco, 8 gennaio 2013Dopo il lampo bianco
“Scrivere è sempre sopravvivere e sopravvivere è sempre scrivere, e in questo cerchio è racchiusa ogni esperienza dell’uomo che scrive” (Dopo il lampo bianco, p. 87).Dopo il lampo biancoè una lettura che scuote. E scuotere è un bene: significa che ciò che hai letto ti ha lasciato addosso una traccia. Magari una traccia sfuggente, una sensazione indefinita, ma qualcosa ti è stato mostrato. Hai percepito una piccola rivelazione.
Hai sentito – sotto altre forme – che il libro parlava di te. Di te essere fragile e fallibile, che ti credi invulnerabile fino a che accade qualcosa, che ti fa capire come l’esistenza di tutti noi sia appesa ad un filo sottile, comandato non si sa bene da chi.
In questo romanzo, a cavallo tra l’autobiografia e il saggio, Silvio Bernelli racconta la sua disavventura in Thailandia, quando un camion lo ha ancorato sotto alle ruote gemelle, mentre pedalava sulla mountain bike alla scoperta di un Paese ignoto, agli occhi occidentali pieno di fascino.
D’improvviso l’incubo si è intromesso nel sogno. L’incipit ce lo svela in tutta la sua ineluttabilità: “Nel primo pomeriggio dell’8 agosto 2005 mi sorpresi a guardare il mio sangue arterioso che allagava l’asfalto, in una strada che non avrei saputo ritrovare neanche su una cartina”.
Accanto all’autore c’è un quasi amico che lo accompagnerà con premura nelle ore e nei giorni successivi all’incidente. Silvio verrà trasportato all’ospedale di Ayuthaya e da lì a quello di Bangkok, dove dopo ore interminabili sarà sottoposto ad un primo intervento per salvagli la gamba. La sua vita si aggrappa a questa necessaria speranza: mantenersi tutto intero.
Il racconto autobiografico – e con lui il ritmo della storia – viene spezzato nella sua linearità da digressioni sull’origine, la percezione e gli effetti del dolore. Intromissioni che arrivano da atleti, scrittori e psicologi che tentano di spiegare le reazioni del corpo e della mente davanti a situazioni estreme.
Questo espediente narrativo da un lato proietta il lettore dentro la storia, perché lo pone vicino al protagonista, facendogli vivere ciò che l’autore ha vissuto; dall’altro rallenta la vicenda, specie nella prima parte, rendendo l’attesta di ciò che ci aspetta quasi insopportabile. C’è il pericolo della morte ed è un pericolo che incombe, che resta in agguato, pagina dopo pagina.
Sarà solo alla fine, dopo il suo rientro in Italia, che Bernelli ci rivelerà come è realmente andata dopo il lampo bianco e i fatti verranno inseriti nella prospettiva di una vita vissuta sempre appieno. Una vita che, tra le tante esperienze, lo ha visto a soli vent’anni calcare i palchi di tutto il mondo come bassista delle band hard core punk Declino e Indigesti, esperienza raccontata ne I ragazzi del Mucchio (Sironi, 2003), e protagonista di un altro disastroso incidente nell’83.
L’infortunio tailandese gli ha regalato nuove cicatrici e nuove consapevolezze da condividere con il lettore. Tra tutte quella che “non si finisce mai di sopravvivere. Per questo all’aggettivo sopravvissuto preferisco quello di sopravvivente: assai più preciso nel descrivere la condizione di quelli che come me si sono trovati a correre, anche soltanto per un pugno di secondi, proprio lì, sulla linea di confine”.

di Elena Girardin
www.lindiceonline.com, 20 dicembre 2012
Le strenne dell'Indice: Silvio Bernelli, Dopo il lampo bianco
State viaggiando in Thailandia. Siete in giro da un po’, avete incontrato lungo la strada un compagno d’avventura. Poi un incidente devastante quasi vi ammazza. Il corpo è a pezzi, i soccorsi tardano ad arrivare, vicino avete solo quel tizio appena conosciuto. Vi salverà la vita, lui insieme al destino e l’ostinata voglia di stare al mondo. Pieno di cicatrici, ferito, spossato ma vivo. Un racconto di viaggio che diventa parabola horror e riflessione filosofica. Scritto dall’ex bassista degli Indigesti, gruppo di punta della scena hardcore italiana degli anni '80 insieme ai Negazione, uno degli ultimi ruggiti musicali dell’underground italiano.
di Tiziano Colombi
Radio Monte Carlo, 28 novembre 2012Dopo il lampo bianco
Ascolta la recensione qui
di Maurizio Di Maggio
Corriere della Sera, 23 settembre 2012Il transito dello shock dalla testa al corpo
Ad Ayutthaya, in Thailandia, nel 2005, Silvio Bernelli, subito dopo essere stato travolto con la sua bicicletta da un camion, si ritrova per terra a guardare il proprio corpo dilaniato in più punti. Le percezioni dilatate e rallentate, la sensibilità acuita nel cogliere nitidamente gli aspetti più disparati della realtà, la dissociazione della mente dal corpo sono alcuni degli elementi che risaltano nel libro Dopo il lampo bianco nel quale l’ex bassista punk racconta la sua “esperienza estrema”. Scrivere vuol dire in questo caso prima di tutto tentare di capire , e collateralmente, senza trionfalismi, attestare a se stessi e agli altri che si è sopravvissuti o meglio “sopravviventi”. Non si trova nel libro di Bernelli una riga che sia gratuitamente cruenta: i “volumi” sono tenuti bassi, il filtro della cronaca regola il pathos, l’alternanza con passi di altri libri dedicati a eventi simili scandisce il ritmo. Un filo di ironia corre, come un leggero euforizzante, tra i risvolti più assurdi di questa vicenda traumatica. Con la calma e la lucidità di chi si è lasciato l’incubo alle spalle, Bernelli ha saputo rappresentare il capillare assorbimento dello shock nei tessuti della mente e del corpo.
di Matteo Giancotti
www.anobii.com, 10 settembre 2012Dopo il lampo bianco
“Nel primo pomeriggio dell’8 agosto 2005 mi sorpresi a guardare il mio sangue arterioso che allagava l’asfalto, in una strada che non avrei saputo ritrovare neanche su una cartina.”
Dopo il lampo bianco è un libro da leggere tutto d’un fiato.
Un incidente a circa 12.000 Km di distanza dalla propria casa.
Una strada.
Un uomo che ha appena fatto un volo.
Sangue e asfalto.
La ruota quadrata di una bici.
...L’autore ritorna con la mente e con le proprie emozioni sul luogo di un incidente. Il proprio incidente. Senza farsi sconti ma anzi con minuzia di dettagli macroscopici, frammenti del proprio corpo incastrati in una scena crudele. Una sorta di “endoscopia”, il tentativo d’esplorazione accurata di un confine, il prima e il dopo, per ripercorrerne il perimetro, le pieghe e i bordi frastagliati. Quasi come se stesse tratteggiando la geografia delle proprie cicatrici con un dito, esaminandole da vicino, la consistenza, la sensazione, ricongiungendo i punti di una mappatura interiore.
Per fare questo Silvio Bernelli si avvale di un’accurata selezione bibliografica, letteraria e scientifica, che diventa una specie di guida, una lente che lo aiuta a mettere a fuoco i segmenti di quella scena, come per ordinare gli appunti di quelle tracce.
Avevo avuto il piacere di leggere in anteprima il primo capitolo ed ero rimasta molto colpita dalla narrazione autentica e sincera. A tratti quasi distaccata, come se si stesse osservando se stessi stando fuori di se. Leggendo si capisce bene il senso di quel distacco... Ho atteso qualche mese per poterlo affrontare, per poterlo leggere tutto d’un fiato. Nonostante sapessi Silvio oggi felicemente in forma, la descrizione di quel trauma suscitava in me una certa emozione. Silvio è anche un amico. Un’esperienza negativa che diventa un percorso di ricerca creativa nel riconoscere nella fragilità umana peso e forze specifiche. Un viaggio nella storia più dolorosa e significativa che ridefinisce il significato e il proprio senso della vita.Lo consiglio con 10 stelle.
di Giulia Caira
www.carmillaonline.com, 20 giugno 2012Dopo il lampo bianco
Un’esperienza che nulla e nessuno ti aveva preparato ad affrontare. Un’esperienza al limite. Un corpo straziato, che dovrebbe essere il tuo, ma non ne sei del tutto certo. Il tuo cervello che rifiuta di prendere coscienza di quello che vede e sente...
Da un episodio autobiografico, un gravissimo incidente stradale avvenuto in Thailandia, prende il via il romanzo di Silvio Bernelli, Dopo il lampo bianco, per poi spaziare nella mente e nelle esperienze di altri, di studiosi, scrittori, psicologi, per tentare di dare una spiegazione a ciò che è successo al suo corpo e alla sua mente.
Dopo il lampo bianco che gli ha stravolto la vita, nulla sarà più come prima. La consapevolezza di essere un sopravvivente e non un sopravvissuto non l’abbandonerà più, nemmeno quando le ferite del corpo si saranno trasformate in cicatrici, teoricamente un ricordo.
Solo, in un paese quasi sconosciuto, di cui non capisce bene nemmeno la lingua, in compagnia di un amico sui generis, in realtà un compagno di viaggio conosciuto da poco che si trasforma immediatamente in una specie di angelo custode, perché il lampo bianco ha colpito anche lui. Davanti al corpo straziato del compagno, alla sua paura, non di morire, per assurdo che possa sembrare, ma di vedersi amputare una gamba, alla sua lotta per continuare a sentirsi un essere integro nonostante tutto, per continuare a “vivere” contro tutto e contro tutti, dalla inesperienza dei medici, ai ritardi inspiegabili di ambulanze e cure adeguate, Pietro si sente parte del gioco, sostituisce in tutto e per tutto il ferito e sente che la sua sopravvivenza dipende anche da lui.
Il ferito non sente dolore, è come estraniato da se stesso e da ciò che gli accaduto, la sua mente fluttua fra ricordi condivisi con l’amico, considerazioni sul viaggio interrotto, memorie di un precedente incidente, forse un rifiuto a considerare quello che sta succedendo a lui adesso. Viene curato, operato, rimesso in piedi, ma dentro di lui rimane una cicatrice invisibile, ma molto più importante e decisiva di quelle che si trova sulle gambe, ed è proprio per dare un senso e un nome a questa cicatrice che l’autore inizia magistralmente un viaggio attraverso altre storie e altre esperienze, soffermandosi non tanto sull’esperienza in sé, quando sulle sue conseguenze “non fisiche”.
Guarito, tornerà in Thailandia contro il parere di tutti perché pensa e sente di avere un debito da saldare, un debito di riconoscenza verso un paese che, oltre a salvargli la vita, gli ha permesso di diventare un persona diversa, forse anche migliore, una persona che ha imparato a convivere con un episodio che poteva essere mortale, ma non lo è stato, forse solo per l’intervento del caso. Un episodio che lo ha portato fino al confine fra la vita e la morte senza però permettergli di attraversarlo. Una storia autobiografica che potrebbe essere la storia autobiografica di ognuno di noi, perché forse tutti noi abbiamo avuto un momento in cui ci siamo sentiti dei sopravvissuti, ma forse non ci siamo resi conto che non si smette mai di sopravvivere, ed è per questo che il termine “sopravvivente” è sicuramente molto più preciso e pregnante, di “sopravvissuto”. Nulla è fisso e fermo nella vita e questo Silvio Bernelli ce lo fa toccare con mano attraverso una narrazione intensa, viva e coinvolgente quant’altre mai.
di Lietta Manganelli
Radio Città del Capo, 28 maggio 2012Silvio Bernelli a Radio Città del Capo
Ascolta qui l’intervista di Piero Santi e Sergio Rotino su Dopo il lampo bianco di Silvio Bernelli, trasmessa lunedì sulle frequenze di Radio Città del Capo.
di Piero Santi e Sergio Rotino
http://flatlandia.radiondadurto.org, 21 maggio 2012Intervista a radio onda d’urto
Silvio Bernelli, ex bassista di Declino e Indigesti, che aveva raccontato questa esperienza in I ragazzi del mucchio, ha pubblicato il suo nuovo libro Dopo il lampo bianco per Agenzia X. Un romanzo che racconta l’esperienza vissuta in prima persona di un terribile incidente avvenuto in Thailandia, una vicenda che lo ha profondamente cambiato. Essa viene raccontata avvalendosi anche delle testimonianze di altri autori, da Stephen King a Jon Krakauer.
Ascolta l’intervista qui
Rumore, maggio 2012Dopo il lampo bianco
Un quarantenne torinese in vacanza in Thailandia viene travolto da un camion mentre percorre in bicicletta una trafficata strada di Ayutthaia. È Silvio Bernelli, un passato hardcore punk con Declino e Indigesti, un altro grave incidente alle spalle, un presente di scrittore e giornalista. La situazione è gravissima; ore convulse, corse contro il tempo, dettagli ricamati per sempre nella memoria. Perché lui non appartiene soltanto alla ristretta schiera dei sopravvissuti, ma pure a quella di chi non ha mai perso conoscenza. Lucido, come estraneo al suo corpo in quelle ore. Ed esperto costruttore narrativo sette anni dopo il trauma, da cui ha recuperato al cento per cento. Bernelli, che a scrivere insegna pure alla Scuola Holden, taglia e cuce con la perizia dell’alta sartoria e la sensibilità emotiva dell’autore di rango. Le schegge della drammatica esperienza sono così punteggiate da flashback personali e incastonate nel mosaico della letteratura e della ricerca scientifica nel settore esperienze estreme. Dalla scuderia degli specialisti estrae Joe Simpson, il grande alpinista inglese che venne abbandonato ferito in fondo a un burrone dal compagno che lo battezzo morto e che ne venne fuori con un’impresa oltre i confini della realtà. Chiama in causa Stephen King, altro celebre incidentato automobilistico. E specialisti in momenti del trapasso, psicologi, antropologi. Senza rinunciare a conferire il meritato status di piccoli eroi dal cuore grande all’amico soccorritore, alla silenziosa Maria, al discreto e professionale dottor La Ui. Dopo il lampo bianco lascia così il retrogusto di una storia di relazioni umane, di amicizie nuove, di rapporti che mutano per sempre in ragione dei pochi secondi di un accadimento disastroso. È un fiore nato dal letame del dolore.
di Paolo Ferrari
Blow up, maggio 2012Silvio Bernelli. Dopo il lampo bianco
Dopo il lampo bianco è un romanzo ma anche no. Come un romanzo, il quarto libro di Silvio Bernelli racconta del gravissimo incidente stradale di cui è stato vittima nell’estate 2005 durante una vacanza in Thailandia: le sue sono parole autentiche, vissute, attinte a un’attenta indagine emotiva in un momento estremo. Al tempo stesso, la propria esperienza viene accostata e giustapposta ad analoghe testimonianze altrui, in una riflessione sul trauma e sul proprio rapporto con l’emergenza che è il filo conduttore di tutto il libro. Bernelli si affida talvolta a sentieri tracciati da altri scrittori per approdare alle mappe disegnate dai saggisti – psicologi e medici, perlopiù – e la loro analisi trasforma la somma di questi momenti in sistema, si fa medicamento e stampella. È un romanzo della lucidità, Dopo il lampo bianco: una lucidità che non lo abbandona né nei momenti immediatamente successivi all’incidente, mentre osserva con curiosità il proprio corpo aperto, interrotto come la normale continuità degli eventi, né durante le corse negli ospedali, né nel risvegliarsi accolto dal dolore, fino a quel momento surrealmente assente da tutta questa vicenda. Una lucidità, però, partecipata e accorata, che trascrive la paura e lo sbigottimento di fronte all’irruzione del dramma, ma permette di scavalcare la barriera dell’individualità del trauma per giustapporla ad altre esperienze simili, in un continuo dialogo tra la voce solista dell’autore e il coro degli interventi, riportati in pagina proprio come un saggio, a riassumere ma anche ad imbeccare le numerose riflessioni dell’autore sulla sua vicenda e sulla necessità della scrittura per renderla vera, interiorizzarla ulteriormente invece di esorcizzarla, evitando che il limite del proprio corpo diventi anche il confine del proprio intelletto. È un esperimento riuscito, questo “romanzo ma anche no”: vince, Bernelli, nel tentativo di comunicare ciò che si presuppone incomunicabile, liberare la paura lasciandosela dietro, in un confronto che altrimenti rimarrebbe incastrato in un dolore muto.
di Fabrizio Cristallo
Blow up, maggio 2012Uno scrittore inesorabile. Intervista a Silvio Bernelli
Silvio Bernelli è uno scrittore inesorabile. Dopo tre libri la sua capacità di ammaliare il lettore con uno stile asciutto, lineare, estremo nella sua impeccabilità formale, si affina sempre più. Una modalità già matura nell’esordio autobiografico I ragazzi del Mucchio (Sironi 2003), in cui raccontava, romanzando ma non troppo, le sue vicissitudini di musicista negli anni ’80 con i gruppi hardcore Declino e Indigesti. Il seguito era un libro di fiction vera e propria, Puro veleno (Sironi 2005), forse un po’ meno sentito emozionalmente ma con un impianto narrativo di tutto rispetto. Per la terza prova Dopo il lampo bianco (recensione su questo stesso numero), Bernelli torna a scrivere di sé, mettendosi a nudo rispetto a una vicenda personalissima, un incidente vissuto durante una vacanza che gli ha lasciato ferite profonde (in senso letterale, e non solo). La nostra intervista.

Per un libro di questo tipo è interessante capirne la genesi: quanto tempo dopo l’incidente hai capito che ne avresti voluto scrivere? Ed è stata una spinta a voler esorcizzare l’accaduto (rivivere minuziosamente un dramma realmente avvenuto per liberarsene) o semplicemente la tua predisposizione alla scrittura – a un certo tipo di scrittura – ti ha portato in quella direzione?
Dal mio primo libro autobiografico I ragazzi del Mucchio in poi, passando per il mio “reportage” torinese in Periferie e le mie lezioni alla Scuola Holden sulla letteratura autobiocrafica, mi era già chiaro che quello era il genere letterario che mi interessava di più. E quindi, banalmente, già subito dopo l’incidente raccontato in Dopo il lampo bianco avevo capito di trovarmi di nuovo tra le mani una storia forte vissuta in prima persona, una storia da raccontare. Poi ci ho messo anni a trovare la voce giusta e il modo giusto per farlo.

Il tuo stile ha una precisione e un’accuratezza studiatissima, direi quasi chirurgica, che genera una chiarezza di linguaggio straordinaria. In questo caso ulteriormente arricchita da citazioni ed estrapolazioni da altri testi. Come sei riuscito a mantenere un simile distacco, nel raccontare una storia realmente accaduta, che oltre tutto ti tocca così da vicino?
Grazie intanto per aver apprezzato la mia scrittura, che richiede tantissimo tempo e sforzi per diventare così, come dici tu, chirurgica. Credo nasca dalle mie letture, molto ricche e diverse tra loro, e anche dalla mia ormai lunga carriera di copywriter. Un lavoro che mi ha insegnato a dosare al grammo il peso di ogni parola, a sintetizzare al massimo, nonché e – questo credo sia la cosa più importante – a parlare a tutti anche quando sono in gioco argomenti molto complessi, come quelli di questo libro.

I paragrafi da te scritti ricevono un continuo controcanto da frammenti presi da libri che raccontano (e in alcuni casi analizzano da un punto di vista psicologico e medico) analoghe esperienze altrui. Questo gioco di rimandi è stata una necessità personate o narrativa?
L’idea alla base di questo procedimento è quella del campione, del remix lanciato dal primissimo hip hop. Li ho inseriti perché rispondono meglio di qualunque spiegazione alla tanto raccontata “solitudine dello scrittore”. Uno stato psicologico che nel mio caso, molto particolare, si unisce, si assomma alla “solitudine della rock star giovanile” (ti prego di far leggere questa frase con un sorriso sulle labbra) e poi alla “solitudine del sopravvissuto”. Le voci di Stephen King, Jon Krakauer e altri mi sono servite per riportare all’interno del possibile, del novero delle cose assai singolari che possono accadere a un uomo, anche il mio incidente, così particolare da sembrare incredibile. Questi autori, e gli altri che cito nel libro, hanno poi anche avuto una funzione più tecnica, più narrativa. Li ho usati come se fossero degli altri personaggi, in un libro che, per quanto breve, si basa soprattutto su due soli protagonisti; il mio amico Pietro e me.

Questa neutralità, o accuratezza estrema a livello stilistico, sulla carta potrebbe essere vista come un distacco, e quindi penalizzare l’aspetto emozionale del racconto. Invece riesci ad essere molto empatico in diversi momenti del romanzo, coinvolgendo il lettore proprio sul piano emotivo...
In un libro cosi personale e privato come Dopo il lampo bianco, trovare il tono è tutto, altrimenti si rischia di creare una voce narrante antipatica, che è il primo rischio che corre lo scrittore autobiografico che racconta una vicenda fuori dall’ordinario, speciale come quella capitata a me in Thailandia. L’unico modo di sfuggire a questo rischio è secondo me abbassare tutto il grado emozionale del racconto attraverso il linguaggio, e confidare che così la storia e – ancora più importante – le emozioni che le stanno dietro – possano apparire al lettore nella loro genuinità e forza. È così poi che può scattare l’empatia tra lettore e autore.

Sempre a proposito di stile: chi li ha conosciuto in passato come rocker sanguigno e irruento troverà abbastanza sorprendente che adesso scrivi in modo così misurato ed elegante. Esiste un elemento di continuità tra l’epoca in cui suonavi e la tua attuale attività di scrittore?
Sono orgoglioso di aver militato in due dei gruppi hard core punk concettualmente più violenti della storia. Declino prima e Indigesti poi, è stato un modo fantastico di crescere. Ma se ascolti bene quei dischi, se vedi i vecchi concerti su YouTube come quello a Chicago nel 1986 con gli Indigesti, si nota quanto, anche in quel contesto, il mio basso suonasse sporco ma anche preciso e ordinato, e i miei arrangiamenti, i miei giri di basso fossero lontani anni luce dal preteso -soprattutto dai giornalisti che non hanno mai preso in mano uno strumento in vita loro – “questo lo so suonare anch’io” del punk. Quindi direi che tra il mio stile da musicista e quello da scrittore ci sono motte più similitudini di quello che sembra.“Precisione e ordine”; non si può pensare che il libro sia una manifestazione della stessa sensibilità? Di uno stesso modo di leggere e interfacciarsi con la realtà? Dopo tutto, il tuo testo e un esercizio di razionalizzazione di una situazione che è violenta e caotica.
Non ci avevo pensato, ma ma piace pensare di sì, che è così. Il mio scrivere e il mio suonare il basso sono stati, tra le altre cose ma certamente, anche un argine contro il caos.

Nel tuo libro, racconti che all’indomani della tua esperienza, tornato alla tua quotidianità, hai cancellato tutto ciò che avevi scritto per un romanzo del quale invece ti eri preoccupato durante i difficili momenti in ospedale. In che modo l’avventura da te vissuta ha cambiato la tua scrittura, tanto da sentire l’esigenza di fare tabula rasa e ricominciare da zero?
L’avventura che ho vissuto mi ha cambiato come uomo, prima di tutto, e quindi anche come scrittore. Mi ha fatto capire, tra le altre cose, che la letteratura di fiction, i libri che sì occupano più di raccontare una storia che di dire qualcosa, non mi interessano molto. Non ho bisogno di essere in libreria ogni anno o due con una storia, se non è una storia che non ha la forza di incidere sulla realtà, la mia prima di chiunque. Ma in seguito all’incidente non sono stato costretto a fare una vera e propria tabula rasa, più che altro sono tornato alla casella numero 1, quella che idealmente appartiene all’esperienza raccontata in I ragazzi del Mucchio. È da quell’urgenza, da quel modo di affrontare la realtà, che sono ripartito, come uomo prima, e poi come scrittore.

Questo punto, questa interpretazione della letteratura non coma fiction pura, ma che ha invece come punto fondamentale l’esperienza personale, merita un approfondimento...
“Quello che hai visto scrivilo in un libro”, è un versetto del primo capitolo dell’Apocalisse di Giovanni. Quindi come vedi non ho inventato niente. È vero però che da allora a oggi il modo di raccontare quel che si vede è cambiato radicalmente. Sono convinto che per raccontare al meglio un’esperienza vera oggi sia necessario usare tutti i trucchi della fiction, come ho fatto nei Ragazzi del Mucchio e ancora di più in Dopo il lampo bianco. E poi tutto ciò che si scrive, nel momento stesso in cui si scrive, proprio perché si scrive diventa fiction. Il fatto che poi questa fiction nasca da un fatto vero serve solo a caricare di ulteriore forza la storia, è credibile proprio perché è successa davvero. È un po’ la stessa cosa che ha fatto ad esempio Paul Greengrass, il regista di Bloody Sunday. Il film è ben riuscito perché, proprio utilizzando tutti i trucchi delta fiction, ti scaraventa in mezzo a quella che sembra una ripresa diretta del massacro dei civili irlandesi a Derry, nel 1972, da parte dei paracadutisti britannici. Ti sembra di vedere un documentario, non un film di finzione.

In appendice alla domanda precedente: l’approccio di cui sopra ha per te una validità solo personale, o pensi che sia perseguibile anche in generale?
Non amo i fondamentalismi, quindi questa letteratura che mischia autobiografia, fiction, memoir e saggio è quella che piace fare a me. Io la chiamo “letteratura di convergenza”, per quanto la fiction sia la forza preponderante in questo quadro. Ma da lettore ho gusti diversissimi, e più i libri sono diversi tra loro più la letteratura è ricca e godibile nel suo insieme.

Hai scritto un libro, il tuo secondo, in cui racconti una storia di pura fiction. Qual è la differenza tra la creazione di un personaggio immaginario e la trasposizione su carta di qualcuno che è realmente esistito? Come autore, a quale tipologia sei più legato?
Nel momento stesso in cui porto su carta un personaggio che esiste davvero nella realta, lo rendo un personaggio di fiction, che non avrà mai la pretesa di rappresentare le migliaia di sfaccettature e particolari della persona in carne e ossa. Come autore mi prendo la responsabilità di questa traslazione dalla realtà al racconto, una responsabilità che inventando un personaggio di sana pianta ovviamente non ho.
Immagino che la tua percezione dell’esperienza traumatica che hai vissuto sia sicuramente cambiata nel corso del tempo. Scrivere Dopo il lampo bianco è servito ad acquisirne un’immagine diversa? E se per ipotesi dovessi riscrivere il libro tra dieci anni, pensi che ne verrebbe fuori qualcosa di molto differente?
Non so se scrivere il libro mi abbia aiutalo ad acquisire un’immagine diversa del mio incidente e di tutto quello che ne è seguito, ma posso certamente affermare che se lo riscrivessi, non dico tra dieci anni, ma anche solo domani mattina, già sarebbe diverso. È un processo legato all’apprendimento, ai libri degli altri che si leggono, alle persone che incontriamo. Sono queste cose che cambiano il mio scrivere ogni giorno.

Due dei tuoi tre libri sono (appunto) basati su vicende autobiografiche. Hai ancora materiale per impostare un nuovo libro? Oppure questo approccio ha il limite di non avere sempre materia prima sufficiente a giustificare la scrittura?
La materia per impostare nuovi libri c’è, visto che potrei usare in futuro lo stesso approccio di “racconto di una storia vera” anche per storie vissute da altri. Quindi si tratterebbe di passare dall’autobiografia alla biografia, sempre in chiave fiction ovviamente, mischiando la realtà con la letteratura, l’esperienza con il racconto. Detto questo, dopo aver scritto I ragazzi del Mucchio, che è soprattutto un romanzo di formazione su un’adolescenza molto particolare, pensavo che non avrei mai più vissuto un’esperienza straordinaria come quella di essere stato un musicista hard core che a vent’anni era in giro per il mondo con la propria band. Invece poi la realtà mi ha smentito, e mi ha fatto vivere un’altra esperienza ancora più improbabile di quella. Quindi chissà mai cosa potrà succedere...

Un ringraziamento a Fabrizio Cristallo per il contributo alle domande.
di bizarre
www.canicola.net, 5 maggio 2012Dopo il lampo bianco
Segnaliamo con piacere l’uscita di Dopo il lampo bianco, intenso romanzo di Silvio Bernelli, pubblicato da Agenzia X. Andrea Bruno è autore dell’illustrazione di copertina.
Radiocapodistria, 30 aprile 2012Silvio Bernelli a Radiocapodistria
Ascolta l’intervista a Silvio Bernelli.
di Ricky Russo
www.ilprimoamore.com, 24 aprile 2012Dopo il lampo bianco
Nel primo pomeriggio dell’8 agosto 2005 mi sorpresi a guardare il mio sangue arterioso che allagava l’asfalto, in una strada che non avrei saputo ritrovare neanche su una cartina.
Il cervello era saturo dell’incidente a cui ero appena scampato in perfetta lucidità, ma ogni dettaglio che lo componeva sembrava troppo spaventoso per essere vero.
L’unica certezza era la gravità delle mie condizioni.
Un’escoriazione partiva dal gomito sinistro, si estendeva su tutta la superficie del muscolo e si allungava fino al polso.
La t-shirt arrotolata sul torace scopriva una ferita sul costato sinistro. Era quasi rettangolare, una dozzina di centimetri per ciascuno dei lati lunghi. Si apriva all’altezza della penultima costola e scivolava sul fianco. Sul ginocchio destro, proprio nell’incavo della rotula, mancava un dito di carne. Il monte della mano destra, l’insieme di muscoli e nervi tra polso e attaccatura del pollice, era stato spianato. Al suo posto c’era un buco di carne grande quanto una moneta. Sui polpastrelli era cresciuta una selva di bolle giallastre.
Una ferita vagamente a forma di cuore dilaniava la gamba sinistra per una quarantina di centimetri. Scopriva parte dell’articolazione della caviglia e quasi tutto il malleolo esterno. Si allargava con l’ingrossarsi del polpaccio, scavalcava la tibia, raggiungeva lo spigolo inferiore della rotula. Tibia e perone biancheggiavano nella luce del pomeriggio insieme a fasce muscolari e nervi inzuppati di sangue.
Sul lato sinistro, al posto della porzione più larga del polpaccio c’era una spessa striscia di carne strappata. L’orlo dell’area maciullata era granuloso e irregolare. Sembrava il morso di uno squalo.
Dell’intera parte anteriore della mia gamba non c’era più niente, a parte alcuni grappoli di carne e pelle nerastra che penzolavano dalla ferita.Questo è l’inizio di Dopo il lampo bianco, il nuovo libro di Silvio Bernelli, appena pubblicato da Agenzia X, 143 pagine, 11,90 euro.
di t.scarpa
www.latelanera.com, 23 aprile 2012Dopo il lampo bianco
Ti capita tra le mani Dopo il lampo bianco di Silvio Bernelli, edito da Agenzia X. Guardi il libro. Ha uno strano disegno di copertina (intrigante, bello, ma chissà cosa significa?) e l’autore ha lo stesso nome di Berlusconi: eccoli qui, in anteprima, i tuoi primi pensieri. Puoi fermarti a queste profonde valutazioni bibliologiche e rimanere identico a stamattina, quando ti sei alzato dal letto. Oppure, puoi sederti e leggere le prime tre pagine.
Perché le tue alternative sono solo queste due.
Sì perché, quando verrai a sapere che quello che per te era solo un omonimo del Cavaliere è uno scrittore torinese con un passato da musicista punk che stava visitando la Thailandia, nel frattempo avrai udito il suo corpo dilaniato raschiare l’asfalto di una strada sconosciuta, avrai visto un cerchio attonito di occhi a mandorla riflettersi in una pozza del suo sangue, avrai persino sentito un odore torrido e sintetico fuoriuscire dagli pneumatici di un camion che ha inchiodato troppo tardi.
Di più: non penserai ancora al protagonista di questo romanzo (autobiografico), alla sua realtà di persona e di scrittore, che già avrai letto le parole dello psicologo Daniel L. Schacter e di Rebecca Solnit, avrai riflettuto sulle osservazioni del filosofo William James e ascoltato le indagini della ricercatrice Vanna Axia su come la mente umana reagisce di fronte a un trauma. A quel punto, schiacciato sull’asfalto di una strada di Ayuthaya ci sarai tu, e solo un intervento chirurgico di emergenza potrà tenerti in vita.
Questo libro parla di un tragico incidente e di ciò che segue.
Fa ben altro, in realtà: indaga i meccanismi celati nel profondo di chi vive un trauma ed esamina con una lente d’ingrandimento le tracce lasciate da simili esperienze.
Una via di mezzo tra cronaca e saggio, si potrebbe dire. A me sorge spontaneo paragonare Dopo il lampo bianco a un’esperienza di Augmented reality, in cui informazioni di decodifica e contestualizzazione concorrono a fare il punto di una situazione che, particolare e specifica solo in apparenza, si rivela in tutta la sua drammatica universalità. Siamo tutti Silvio Bernelli investito da un camion ad Ayuthaya, in attesa di soccorsi che forse non arriveranno in tempo.
Nessuno spoiler sul prosieguo della vicenda, tranne per un singolo fatto autoevidente: Silvio è sopravvissuto e ha scritto questo libro.
Autoevidente sì, ma non scontato. La forza richiesta da una simile operazione è qualcosa che travalica il normale, e la lucidità con cui viene svolta ha quasi del sovrumano. Ma raccontare quel trauma è in sé un atto profondamente umano, che non sfugge all’inclusione nel testo stesso e al conseguente esame dell’Augmented Bernelli, un’operazione che forse i più accademici definirebbero “metaletteraria”.
“La necessità di trovare un senso a ciò che si è vissuto e a ciò si sta vivendo si trasforma in narrazione. Un’arte che accompagna l’uomo fin dai racconti attorno al fuoco del bivacco, e che è di per sé consolatoria (...) La capacità di ricostruire il proprio passato come una narrazione è secondo Iona Heath la chiave per una morte meno traumatica e infelice.” (Dopo il lampo bianco, p. 100) Ed è proprio questo che Bernelli fa con Dopo il lampo bianco. Psicologo di se stesso, sta studiando la morte ad alta voce, la racconta in un coraggioso atto di catarsi. Con guadagno tanto suo quanto tuo, perché il risultato è uno di quei libri che prima ti obbligano a riflettere e poi ti rimangono nella pelle, di quelli che almeno un poco cambiano il tuo modo di vedere il mondo.
Nondimeno è un libro di speranza e di vita, perché Silvio è tornato dalla Thailandia e le sue parole trasudano tenacia, ottimismo e intelligenza. Fagli complimenti e auguri, dunque: sopravvivere vuol dire portare cicatrici sul corpo e nella mente, ma raccontare la propria (quasi) morte in un libro significa meritarsi davvero l’opportunità di un grande sequel.
Dentro la letteratura e anche fuori.
di Livio Gambarini
L’Unità, 11 aprile 2012Un turista in bicicletta di fronte all’agonia
Ayuthaya, Thailandia, 8 agosto 2005. Un turista italiano è vittima di un terribile incidente stradale. I dettagli del suo corpo lacerato sono descritti come lo scorrere di un film al rallentatore. È lucido ma gravissimo, deve essere immediatamente operato a Bangkok. Lì uno staff di chirurgia vascolare lo attende per l’operazione che potrebbe salvarlo. In compagnia del solo amico Pietro, in un paese sconosciuto, l’uomo si ritrova a lottare per la sopravvivenza. L’uomo è Silvio Bernelli che cerca di ricostruire lo svolgimento di una vicenda che lo ha profondamente cambiato, avvalendosi delle testimonianze di altri autori, da Stephen King a Jon Krakauer.

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